Il viaggiatore immobile.

Le autostrade informatiche

Mercoledì 23, ore 11.30

Relatori:
Piero Corsini,
Direttore Prodotti IBM-Semea
Mauro Miccio,
Membro del Consiglio di Amministrazione della RAI
Marco Somalvico,
Docente al Politecnico di Milano

Corsini: La storia insegna che quando l'uomo arriva a qualche progresso tecnologico, il quale presuppone un cambiamento del modo di vivere di ogni uomo, ne ha subito una certa paura; allora, per venire al nostro caso concreto, c'è chi vuole scendere da Internet, mentre non vi siamo praticamente ancora saliti, oppure emergono considerazioni un po' apocalittiche.

Io ho il compito di fare il tecnologo, e lo faccio con l'entusiasmo di cui sono capace: per questo, voglio dirvi — ed è importante — che questa tecnologia va capita, perché si impatterà col modo di operare di ognuno di noi nella vita normale, e non c'è cosa peggiore che essere ignoranti. Quando le cose si capiscono si sa poi come correggere eventuali difetti o eventuali problemi che nascono, ma la cosa principale è conoscere, sapere cosa sta accadendo.

Siamo di fronte ad una vera rivoluzione. Di questa parola si è abusato tante volte, ma questa rivoluzione io la paragono — questo è un parere personale, ma tanti la pensano così — a quella che l'uomo preistorico ha vissuto quando da cacciatore è diventato agricoltore. Pare infatti che l'uomo, ad un certo punto, stesse mangiando più animali di quanti non ne riuscisse a trovare; il suo ingegno l'ha portato così a scoprire una nuova tecnologia, l'agricoltura, e questo gli ha consentito di progredire. Possiamo anche pensare a quello che è avvenuto nel XVIII secolo, quando la società è diventata industriale, o all'avvento della macchina a vapore...

Queste situazioni nuove hanno generato numerosi problemi, ma il mondo è cambiato grazie a quelle rivoluzioni tecnologiche. Noi siamo alle soglie di una rivoluzione che sarà ancora più profonda di quella industriale, e che viene denominata "la rivoluzione dell'informazione", in cui il bene più prezioso sarà proprio questa informazione. Quello che noi, come azienda che opera nel settore, vediamo constatando le novità della tecnologia, è che tra una decina di anni, quando tutti noi saremo ancora vivi e vegeti e opereremo nelle nostre attività, ognuno di noi sarà un utente attivo del Personal Computer, sarà un utente attivo di questa "information technology". Siamo, in questo senso, una generazione fortunata, perché le altre due rivoluzioni di cui ho parlato hanno impiegato 200 o 300 anni per compiersi, quindi c'era modo per le generazioni successive di capire che c'era qualcosa di nuovo. Noi, invece, siamo nati quando di computer ancora non se ne parlava o quasi, e assisteremo durante la nostra attività ad una trasformazione completa del nostro modo di operare, di lavorare, grazie a questa rivoluzione. Ognuno di noi diverrà un utente attivo della "information technology", di questa società dell'informazione: questo significa che si lavorerà, si opererà, utilizzando in modo attivo il computer.

La possibilità di un uso efficiente del computer è basata su due capisaldi. Prima di tutto, i computer debbono parlare tra di loro, debbono poter comunicare fra di loro. Da qui, nasce il concetto delle autostrade elettroniche, il concetto di Internet: questo fenomeno sta creando una nuova realtà virtuale, che qualcuno chiama "cyber space", dove si svolgono attività che non riguardano solo il mondo ludico, dell'entertainement, ma anche attività normali.

Il secondo caposaldo è che, perché ognuno di noi diventi un utente attivo di questo mondo informatico, il computer diventi molto più facile da usare, più naturale, meno complicato di come è oggi. Credo che accadrà di parlare più con il computer che con le persone, anzi se riusciremo a fare le cose in maniera più efficiente avremo molto più tempo per dialogare con le persone, perché ne perderemo molto di meno in operazioni che oggi siamo costretti a svolgere.

Per illustrare il primo caposaldo, vi parlerò della rete "Prodigy", una rete elettronica presente negli Stati Uniti con circa un milione di utenti, fatta dalla IBM e da una società di grandi magazzini. Quello che voglio farvi capire è come da questa rete si possa fare un normale shopping: di solito, uno esce e va a vedere i negozi per comprare qualcosa, con "Prodigy" invece lo si fa in maniera elettronica. Ad esempio, se voglio comprare un paio di jeans, lo ordino con "send order", il computer mi chiederà con che carta voglio pagare: di fatto, mi arrivano poi i jeans e mi viene addebitato il costo.

Dalla rete "Prodigy" si può passare direttamente ad Internet, a questa rete delle reti, per mostrare, ad esempio, i Musei Vaticani. Stiamo infatti sviluppando un progetto, con la direzione dei Musei Vaticani, il cui obiettivo è di digitalizzare tutta una serie di testi antichi — potete immaginare quante opere d'arte siano contenute nella Biblioteca Vaticana! — e di renderli accessibili con una qualità simile a quella originale, a volte addirittura superiore, dato che il computer può anche manipolare, e quindi eliminare, certi difetti che il tempo ha causato ad alcuni manoscritti, facendo sì che gli studiosi di questo tipo di disciplina, ma non solo loro, possano usufruire di questi beni culturali. L'informazione, in questo modo, è semplice ed accessibile a tutti.

Ho detto poi che l'altro caposaldo su cui si basa questa rivoluzione è l'uso naturale del computer, ciò che ancora oggi non accade, perché abbiamo una tastiera che spesso inibisce l'utente: sarebbe molto più comodo poter parlare con il computer. E, di fatti, il computer parla, risponde: è in atto una tecnologia di sintesi della voce, che è la vera rivoluzione.

Già oggi in Internet vi sono 30 milioni di utenti, ogni anno e mezzo raddoppiano, il che significa che nel giro di una decina di anni ci saranno 300.000, 400.000, 500.000 persone collegate. Diventa una comunità senza confini, senza barriere, che pone una serie di problematiche, perché la tecnologia c'è ma la natura non fa i salti e l'uomo li fa ancora meno. Queste cose vanno capite, digerite, perché poi vi è una serie di possibili effetti collaterali, ma certamente tutto ciò rappresenta un fatto positivo e si tratta certamente di un enorme passo avanti nel progresso umano.

Miccio: Abbiamo superato ormai quella fase classica della storia dell'uomo che è la cosiddetta era industriale. L'Ing. Corsini ha ricordato che nell'era passata anche i rapporti erano guidati da un criterio economicistico sostanzialmente diverso dall'attuale. In fondo possiamo dire che, secondo i dettami di Adam Smith, l'economia dello scambio era quella che determinava i rapporti fra gli uomini, in cui tra la domanda e l'offerta era il prezzo a fare la sintesi delle due opzioni.

Ora siamo nell'era post-industriale o, come altri la definiscono, l'era dell'informazione o anche, come io penso che si possa meglio denominare, l'era della comunicazione. Perché l'era della comunicazione? Perché constatiamo che tutti i grandi rapporti, compresi quelli economici, sono improntati ad una economia che chiamerei "del giudizio". Quindi cominciano ad essere importanti le reti, non solo quelle informatiche, ma quelle dei rapporti, la fiducia, che i latini definivano con grande sintesi "intuitus personae", cioè quel rapporto che è privilegiato fra due soggetti. Basti pensare ad un prodotto di largo consumo come l'automobile, che ormai non si vende più col sistema classico della produzione e della distribuzione ma trova nel rapporto fra progettazione e soprattutto post-vendita, quindi nel nesso di fiducia con la casa automobilistica, la ragione stessa di questa vendita e dell'acquisto da parte del cliente.

Il prodotto assume una forma sempre più virtuale. In fondo il grande terrore di Bacone, quando si scagliava contro gli idoli del Foro, si è realizzato nel processo di informatizzazione. Ma questo processo non è altro che il completamento di un percorso che l'uomo ha compiuto, che ha portato sin dalle sue origini a voler simbolizzare, cioè a rendere con immagini, idee, simboli, la sua realtà.

Questo processo di astrazione inizia con l'alfabeto greco-romano, che ha portato l'azione, il vivere quotidiano, le emozioni e le percezioni ad essere rappresentate in forma concettuale. Il rapporto fondamentalmente orale, in cui il bisogno di raccontare e raccontarsi passava attraverso la parola mediante l'alfabeto, si è sempre più sublimato in una serie di riferimenti concettuali. Credo che alla fine di tutto questo ci sia, come giustamente ricorda uno studioso della comunicazione, il Prof. Gross, dell'Università Americana di Pennsylvania, il fattore che rende gli uomini unici rispetto a tutto il creato, cioè la loro capacità non di essere un semplice soggetto sociale — come tanti altri animali sono soggetti — ma di amare, di vivere in gruppo e trovare nella socialità la loro ragione d'essere.

Il processo di astrazione, iniziato con la storia della scrittura dell'uomo, ha poi trovato nel manoscritto la sua immediata prosecuzione, ed ha in seguito visto un ulteriore processo di oggettivazione quando si è passati alle prime stampe, basti pensare alla rivoluzione che in quel momento preoccupò non poco gli intellettuali dell'epoca, di fronte al fatto che già ai primi del '500, c'erano 8 milioni di libri stampati. Tenendo conto che il mondo conosciuto e quello "colto" erano senz'altro più limitati rispetto al presente, di fronte a questo sovrabbondare di volumi stampati, davanti a questa rivoluzione che Gutenberg aveva determinato, un personaggio come il socio di Gutenberg stesso, venne addirittura espulso dalla Sorbona perché ritenuto stregone avendo introdotto questi libri; oppure un filosofo come Leibniz si lamentava dicendo che "questa orribile massa di libri che cresce continuamente, temo che farà tornare la barbarie nella civiltà umana".

L'Europa, quindi, sperimenta questo rapporto con la parola e con la storia, con la sua storia, la sua cultura, attraverso la stampa, che peraltro ha un altro grande presupposto della storia dell'uomo: la parola comincia ad organizzarsi, perché nel momento in cui viene stampata fa diventare il libro merce di per se stesso, ma nello stesso tempo diviene un modo per organizzare l'attività in maniera sistematica. Andando avanti, abbiamo la radio, la TV, e adesso parliamo di questi nuovi mezzi di comunicazione, tutti straordinariamente pervasivi.

Tutto questo spiega, anche storicamente, il rapporto che si crea con questi mezzi, nei confronti dei quali bisognerà trovare un rapporto che sia un rapporto di conoscenza e non di distacco, perché più è lontano e più lontane saranno le nostre capacità di intervenire su questi mezzi, più può esserci un rischio di pericolosità. Certamente non si può attuare, come qualcuno vorrebbe, un processo "quaresimale", di digiuno, perché l'uomo, a meno che non rinneghi se stesso, difficilmente può dimenticare questo bisogno di essere raccontato e di raccontare. La nuova tecnologia in qualche modo ci può dare la possibilità di diventare co-narratori di queste storie, perché attraverso i processi di interattività si tende sempre più ad avvicinare il mezzo al pubblico.

Il grande binomio tra pericolosità e sviluppo ci attanaglia: in fondo, la stessa tecnologia, può essere la grande Agorà elettronica, cioè la grande piazza in cui discutere liberamente senza vincoli. Qualcun altro cita come esempio l'intuizione di Bentham, il quale vede nelle tecnologie una specie di carcere, nel quale, attraverso un sistema architettonico di specchi, un solo carceriere controlla tutte le attività dei prigionieri senza che essi tra di loro si possano vedere. Certamente, più le tecnologie rendono realistiche le illusioni — attenzione alla parola virtuale, che è molto di più di quello che può essere il termine illusione o fantasia, è qualcosa di reale, che però viene attraverso un mezzo che media fra noi e la realtà stessa, quindi in una dimensione più vicina al reale — più è acuta la necessità da parte nostra di metterle in discussione, per costruire una società più umana. Questo ci riporta alla necessità di trasferire i messaggi dalla simbologia delle nuove tecnologie e dell'informatica, per conquistare quello che è il significato vero dei messaggi.

Questo sforzo di recuperare il significato comporta un forte richiamo e soprattutto una grande sfida per chi crede nei valori cristiani universali. Il vangelo di Giovanni dice che è la verità che ci fa liberi: non è nella molteplicità delle fonti che noi potremmo trovare una maggiore libertà, ma nel ritrovare all'interno di noi stessi e nel rapporto con gli altri qualcosa di più reale, di più oggettivo, di più vero, qualcosa da comunicare per quello che è, non per quello che soggettivamente si crede.

Soltanto quando il Cristianesimo è esperienza vissuta, il medium diventa realmente il messaggio: a questo livello, rappresentazione e realtà coincidono di nuovo. Tutto questo è ugualmente valido per la lettura della Bibbia; spesso parliamo del contenuto delle scritture supponendo che il contenuto sia il messaggio, ma è falso: il vero contenuto della Bibbia è la persona stessa che la sta leggendo. Quando si legge, alcuni intendono, altri no: il vangelo di Giovanni parla anche di questo; tutti hanno accesso alla parola di Dio, ognuno è quello che contiene, ma solo alcuni percepiscono realmente il messaggio, il messaggio non è nelle parole ma nell'effetto che esse producono. Qui la parola chiave è la conversione. Questo è il grande problema che tutti dovremmo affrontare di fronte a questa rivoluzione tecnologica, cioè essere capaci, cominciando da noi stessi, di andare a cercare con grande sforzo la verità che è quella che consente di trasmettere all'interno di questa miriade di canali.

Internet e le migliaia di reti che esistono in Italia e nel mondo, attraverso il processo di globalizzazione, arriveranno in tutte le nostre case, certo solo potenzialmente, perché poi spetterà a noi avere l'impegno di essere "alfabetizzati" nei confronti di queste tecnologie, per cercare di governarle e non di esserne governati. Al fondo di tutto, c'è questa nostra forte sfida verso la verità. Per un cristiano l'impegno è quello di essere consapevole che solo attraverso una grande forza, che arriva dal Verbo incarnato, e un grande impegno morale, si riuscirà a governare le nuove tecnologie e a rappresentare ancora nella nostra storia, un ruolo importante, che non può essere certamente secondario proprio di fronte a questa rivoluzione tecnologica.

Somalvico: Attraverso Internet, avviene una comunicazione, e dunque un'informazione: di un dato, di un testo, di un programma... o anche di una serie di criteri che guidano un medico a diagnosticare delle malattie. Tutto ciò dal punto di vista della gnoseologia, cioè della filosofia della conoscenza, è denominato modello del reale. La filosofia antica infatti distingueva in modo dualista ciò che è la realtà e ciò che è una conoscenza modellizzata della realtà. Per esempio, un sacco di grano trasportato sul carretto da un cavallo è realtà, è il grano profumato con le sue spighe; un'informazione sui sacchi di grano trasportati dai cavalli, che viene inserito nella rete comunicativa, diventa un modello di questa realtà.

Perché dobbiamo pagare il biglietto di sostituire la realtà — le spighe — con i modelli della realtà ? Perché noi vogliamo uccidere le difficoltà connesse con quelle che Kant chiama le categorie della sensibilità, spazio e tempo. Trasferire il chicco di grano da un punto ad un altro richiede tempo, richiede lo sforzo del cavallo, ed anche il superamento di una distanza spaziale. Se invece trasformiamo, attraverso una modellizzazione, il chicco di grano, questo chicco di grano — come un testo di Leopardi — in un ente che chiamiamo informazione, noi rendiamo questo ente trasformabile dalle macchine delle informazioni quali ad esempio le reti o gli elaboratori. Lo rappresentiamo con dei numeri, quindi lo modelliziamo e lo codifichiamo; questi numeri sono analogicamente rappresentati da impulsini di corrente elettrica o mancanza di impulsini di corrente elettrica — 0 o 1 — che camminano alla velocità di 300.000 Km /s.

Dunque, guadagnamo nella velocità, pagando il biglietto di sostituire al reale il modello del reale.

Non dobbiamo essere tristi di ciò, perché il progresso della cultura umana, grazie a Dio, non è dovuto ad un superbo Icaro, che tutto vuol vedere direttamente in maniera immediata. La cultura umana si basa sulla mediazione che molte volte però è basata sulla fiducia nell'autorevolezza delle fonti. Solo in questo modo, i letterati del medioevo potevano, leggendo alcuni degli 8 milioni di libri, capitalizzare la conoscenza dei loro predecessori. Quindi non c'è nulla di male nel sapere che talvolta noi ci basiamo su un quid che è già stato metabolizzato da altri; bisogna solo esserne consci.

Noi ci troviamo di fronte a macchine dell'informazione, cioè a macchine, a entità artificiali come gli elaboratori e le reti di elaboratori, che possono operare su modelli del reale che appunto chiamiamo informazione. Le due categorie dello spazio e del tempo vengono trattate in modo peculiare da queste macchine nell'operare sui modelli del reale, cioè noi riusciamo, in maniera leggermente idealizzata, in un istante, ad avere sul nostro elaboratore — ad esempio — la Grand biblioteque di D'Alembert, cioè possiamo accedere immediatamente o con qualche attimo di tempo all'archivio di testi di qualsiasi libreria posta in qualunque punto del globo. Tutto lo spazio viene compattato nel punto dell'elaboratore, ottenendo così una concentrazione nello spazio. Questo riguarda anche l'aspetto del tempo: andare in una biblioteca, tirar fuori pesanti tomi dagli scaffali, aprirli, girar le pagine, richiede una manualità che ha un tempo tale per cui, nel percorrere il pensiero degli altri, bisogna pagare un certo biglietto. Questo invece può avvenire semplicemente attraverso i polpastrelli che schiacciano i tasti. Dunque, ci troviamo di fronte anche ad una compattazione del tempo.

Un'ultima conclusione su questo primo importante aspetto del modello: se io ho dei modelli, devo fidarmi di colui che ha costruito il modello. La società umana si è organizzata attraverso l'integrazione di criteri di giudizio, rappresentati dal termine "guida". Ciascuno di noi, se non è superbo, ammette l'idea di cercare una propria guida e di seguirla, e magari di essere lui stesso guida nei confronti di altri suoi compagni. Così come nella società umana c'è una ragnatela di guide, di criteri, di maestri e di discepoli, presto o tardi ci sarà anche nella realtà dei modelli memorizzati e delle informazioni la proiezione delle guide della società.

Grazie a questo amplificatore potente che è Internet, l'uomo non è isolato come una monade, e infatti nasce un primo spunto molto positivo, ovvero la voglia di comunicazione interpersonale. È questo un elemento di socializzazione che non può che essere visto con piacere ed è anche un momento di confronto e di condivisione critica e di illuminazione corale. Siamo ad un primo dei veri elementi di sorpresa che ci da questa tecnologia, tecnologia con dei pericoli ma anche con delle prospettive utili. La comunicazione tra me e il mio prossimo è incentivata dal "novum" che scopro di volta in volta. Non ho però, ecco il secondo punto cruciale, un insieme passivo di informazioni sui quali io posso al massimo meditare con la mia testa. Ho delle macchine come gli elaboratori, i robot, che su questo quid che è l'informazione, sono in grado di fare operazioni sostituendo il mio corpo, ma sempre sotto il dominio del mio intendere e volere. La macchina è sempre il riflesso delle intenzioni umane; posso dunque eseguire dei programmi sulle informazioni che la macchina mi dà, per sintetizzare, per dedurre, per organizzare in archivi, anche per illustrare.

Arrivo così al secondo punto nodale: noi abbiamo la possibilità non solo di leggere i testi, ma di svolgere un'attività di esplorazione attiva che ci permette come un Ulisse dantesco di rompere diverse colonne d'Ercole per entrare in nuovi oceani. Il bello di questa esplorazione — permessa unicamente da Internet — è che in essa troviamo di nuovo la società, può avvenire non da soli, ma insieme al proprio prossimo. La compattazione dello spazio non riguarda soltanto l'oggetto del conoscere ma anche il soggetto conoscitore. Io, seduto a Milano, tu seduto a Rimini e tu seduto ad Osaka, possiamo esplorare insieme questo cronospazio. Così avviene un grande stimolo alla cooperazione.

Altro elemento fondamentale è il fatto che nel far ciò, esplorando cooperativamente, io posso non solo essere contemplativo dell'opera che sta avvenendo, ma posso anche essere interattivo. L'elaboratore nel quale avviene questa "opus" di costruzione a molte teste può mostrare me stesso nell'opera che sto costruendo, come se io vedessi un filmato dove io sto costruendo l'opera. Questo può avvenire appunto mediante le tecniche della realtà virtuale: io che osservo la "opus", vedo in essa anche i suoi costruttori, cioè vedo una replica di me stesso. Una comunicazione uomo-macchina che non avviene più attraverso soltanto i tasti, ma attraverso un vero e proprio esoscheletro, una specie di insieme di sensori, un piccolo impermeabile da indossare con un cappelluccio, che percependo dal mio corpo, non solo dalla mia voce ma anche, ad esempio, dai miei polpastrelli, il movimento che il mio corpo svolge in base alla mia intenzionalità, comunica questo alla macchina e nella macchina vede me stesso replicato nell'operare.

Oggi è possibile memorizzare nei mezzi informatici anche i criteri che guidano gli uomini di cultura: esistono i "sistemi esperti", degli strumenti informatici che fanno si che, ad esempio, un medico di condotta possa consultarsi con un famoso esperto di malattie della respirazione senza averlo fisicamente accanto, perché nell'elaboratore è stata memorizzata, direbbero i logici, la teoria propria di questo grande medico delle malattie della respirazione, cioè i criteri che lui adotta per diagnosticare quella o questa malattia.

È possibile memorizzare in queste teche che non sono soltanto libri, ma sono anche memorizzazioni di criteri di giudizio, i criteri che guidano uno scienziato, un filosofo di oggi — ad esempio Rubbia — e, in vitro, mantenerli e propagarli nel futuro. Un vostro pronipote fra sessant'anni potrà dire: "Voglio avere un colloquio con Rubbia". Rubbia non esisterà più, ma non solo ci saranno le opere statiche, passive, scritte da Rubbia, ma anche la possibilità di chiedere a Rubbia: "Tu che ne penseresti di questo problema?".

Per concludere, ricordo due aspetti di Internet, uno positivo ed uno negativo. Quello positivo è che questo strumento è un inno allo spirito critico perché più conosco più mi vien voglia di parlare del mio nuovo al vicino di casa, più conosco, operando in cooperazione, più mi vien voglia di parlare criticamente. È un inno alla libertà, perché chiaramente non ho dei vincoli precisi; libertà senza essere Icaro, libertà anche basata sulla scelta delle guide. È un inno alla creatività dell'homo creator, dell'uomo che continua incessantemente a conoscere l'opera della creazione divina.

L'aspetto negativo può essere capito ricordando i famosi weekend senza energia, senza benzina: è il pericolo dell'astinenza. Più gente arriva alle telecomunicazioni, più avremo momenti di compressione della possibilità di usufruirne.

Una massima finale: "I grandi filosofi greci hanno ricordato che i mali dell'umanità dipendono da una piccola ma gravissima cosa: confondere i mezzi con i fini". Internet è un mezzo: il fine sta nella nostra attenzione a non confonderlo come un fine.