La verità come vita nei recenti

pensatori russi

Lunedì 25, ore 18.30

Relatore:

Tomás Spidlik,

Docente di Teologia Spirituale Patristica e

Orientale presso il Pontificio Istituto Orientale e

presso la Pontificia Università Gregoriana

 

 

 

 

Introduzione – La ricerca della verità si identifica con la storia del pensiero umano e con la vita stessa. Eppure si tratta di uno sforzo così difficile che molti hanno preferito rinunciare e sono caduti nello scetticismo. L’Europa occidentale ha conosciuto molti e vari tipi di questa debolezza. I pensatori russi recenti conobbero il difetto opposto: le ideologie crudeli e inumane. È proprio dei fanatismi partire dalle formule astratte e applicarle senza tener conto delle persone. Si giustificano con il famoso detto "amicus Plato, sed magis amica veritas". Sembra un principio nobile, ma solo fino a quando non incontriamo persone farisaiche capaci di uccidere un uomo sotto il pretesto della loro verità. Pilato la incontrò e perciò sospirò come scettico: "Che cosa è la verità?" (Gv 18,38). Eppure stava davanti a lui proprio Colui che è la verità eterna. Ma siccome Egli è anche la vita (Gv 14,4), la sua verità, meno che oggetto delle ricerche individuali è piuttosto un dono, segno di comunicazione fra le persone. Cominciamo con le radici filologiche del termine "verità".

 

 

 

 

La testimonianza dei termini per la verità – Ogni popolo si fa un’idea della verità che cerca a modo suo. Florenskij dice che lo stesso termine impiegato nelle diverse lingue per designare la verità testimonia differenze di approccio interessanti. Grazie all’analisi filologica della parola "verità" a partire da quattro lingue antiche, egli propone una riflessione sulle implicanze culturali di ciascun significato1.

Il verbo ebraico aman, da cui viene la parola émet, (verità) significa fondamentalmente "essere solido, sicuro, degno di fiducia". La verità è dunque la qualità di ciò che è stabile, provato, di ciò su cui si può contare, su cui si può appoggiare. L’atteggiamento religioso degli ebrei non ammette dubbi: Jahvé, e solo lui, è sicuro, solido, l’unico a cui ci si possa appoggiare. per questo sono veritiere le parole che ci indirizza attraverso i profeti e per questo le accoglie con fede.

I greci invece erano scettici: non accettavano facilmente una cosa che non avessero veduto. L’alethéia, parola che usano per dire verità, è formata dal privativo a e da léthos o láthos (essere dimenticato, nascosto); la verità è dunque ciò che è stato scoperto, ciò che si è imparato. Questa attitudine è opposta a quella che testimonia il termine latino veritas. La veritas latina (come il tedesco wehren, impedire, e lo slavone vera, fede) evoca piuttosto un mistero: mistero è il contrario del greco.

E cosa si può dire per gli slavi? Legati alla terra, con l’osservazione dei cicli successivi della natura, le distruzioni dell’inverno e le risurrezioni di primavera, si erano convinti che non sono i fenomeni in sé eterni, ma la vita in quanto tale. In effetti, lo slavone istina non solo esprime "ciò che esiste" (cfr. il latino est e il tedesco ist), ma anche ciò che respira (cfr. asmi, asti del sanscritto e atmen del tedesco). Conoscere l’istina è dunque entrare in contatto con una verità vivente.

Testimonianze dei pensatori sulla verità vivente – Quando i russi conobbero la filosofia idealista tedesca, all’inizio essa li abbagliò; ma in un secondo tempo questo entusiasmo si è trasformato in una avversione appassionata contro la "falsa eternità" delle idee astratte. Noi "conosciamo ciò che viviamo": a questa conclusione arriva Kireevskij, dopo aver seguito in Germania le lezioni di Hegel, e dopo aver scoperto gli staretsi del monastero di Optina2. Si è reso conto che la verità non è un "capitale morto": essa infiamma l’anima, essa dà la vita3. E che succede a questo punto della religione? Si dovrebbe dire che essa è solo "comprensibile", senza pretendere che sia la vita? Tolstoj rifiuta di accettare la religione cristiana come una "rivelazione divina" proposta in formule. Per lui il Cristianesimo è un fatto storico, dunque una vita4. In religione, scrive Florenskij, "la verità è una Persona che si manifesta storicamente, e non un principio astratto; in altri termini, la verità non è cosificata, ma personale5.

 

 

 

 

Necessità di una conoscenza personale – L’ammissione che la verità profonda del mondo è personale esige che si accetti una conclusione estremamente difficile per l’uomo educato nella cosiddetta mentalità scientifica europea: l’avvicinamento alla verità, la sua ricerca non può rimanere "oggettiva", universalmente formulata, ma deve progredire per divenire personale. Non possiamo avvicinarci alla persona allo stesso modo in cui siamo abituati a conoscere le cose, cioè attraverso le scienze che hanno per oggetto di studio la natura. Purtroppo – e secondo Berdjaev è il peccato originale della nostra civiltà – non si finisce mai di trattare come "cose" le realtà viventi e personali. L’uomo si studia come cosificato e oggettivato (oggi si direbbe: lo si mette nel computer), come una piccola particella del cosmo, inserito nelle sue leggi. Invece agli occhi di Dio, l’uomo libero è stato creato come la realtà principale e il mondo è soggetto a lui. "Ben lungi dall’essere la persona una parte dell’universo, è invece l’universo che è una parte, una dimensione della persona che essa qualifica"6. Se tale è la realtà, tale deve essere anche la sua conoscenza.

Allora si deve negare il valore della conoscenza oggettiva? Chi potrebbe esigere da noi la rinuncia delle scienze? Bisogna solo rendersi conto della loro parzialità e insufficienza gnoseologica. Dostoevskij la illustra con la sua famosa "Leggenda sul palazzo di cristallo"7. L’uomo scientifico rassomiglia al costruttore di un palazzo di vetro, dove tutto è chiaro, visibile, comprensibile. Nient’altro è ammesso dentro. Quando poi l’uomo ci va ad abitare, in un primo tempo è incantato da tanta chiarezza. Ma in seguito fa una scoperta tragica: dentro non è né la libertà, né l’amore, perché queste cose non saranno mai scientificamente chiare. Non c’è neanche posto per le persone. Nel seguente capitolo dello stesso libro, l’uomo del sottosuolo viene rassicurato da uno "scienziato" che fra cento o duecento anni non ci saranno più misteri nella conoscenza del mondo e che tutto sarà chiaro come due e due fanno quattro. Allora l’uomo fa una sola domanda, molto semplice: "E io, allora, che cosa ci farò?"8

La verità è meta-logica, scoperta del mistero – L’uomo scientifico, pensa Aksakov, ha acquisito le sue conoscenze sotto il "giogo della logica", ragionando, ma si rende ben conto che la vera scienza è cercare al di là di questi limiti. La verità vivente, afferma Chomjakov, è una forza. La forza non può essere compresa con la ragione, con la logica, è un principio "metalogico"9.

Spingendosi ancora più in là, Leone Sestov predica l’ideale di una conoscenza sopralogica nel suo libro Atene e Gerusalemme10. Oppone il pensiero razionale, che risale alla filosofia greca, e irrazionale, la percezione biblica del mondo. La Bibbia, secondo lui, non si preoccupa delle contraddizioni, al contrario, le mette in risalto. Ma armoniosamente concilia tutti gli eventi con l’onnipotenza divina.

Nei Padri della Chiesa, la mistica è nata insieme alla coscienza dell’insufficienza del concetto umano per spiegare le verità rivelate della Trinità e dell’Incarnazione. L’attitudine mistica dei russi, più larga, sorge di fronte ai problemi dell’uomo e in generale di tutta la realtà. La libertà e l’amore, elementi costitutivi della persona, non sono afferrabili per mezzo delle categorie razionali e fanno di ogni uomo una persona irripetibile. Quando diciamo che un quadro è di Michelangelo, siamo convinti che nessun altro potrebbe fare una pittura identica. Nella musica "il vero Mozart" si può attribuire solo a lui. L’uomo del sottosuolo di Dostoevskij si rende conto che la sua dignità personale sparirebbe completamente nel momento in cui tutto fosse "chiaro come due più due fa quattro" o quando l’uomo fosse sottoposto al criterio dell’ "universalmente valido".

"Vivere nello sconosciuto" è il leitmotiv del "saggio sul pensiero adogmatico" di Sestov, intitolato L’apoteosi dell’assenza del fondamento11. Non abbiamo bisogno di molte parole convincenti per prendere atto che il mistero esiste, che siamo circondati da ogni lato da un mistero. Questo mistero, scrive Trubeckoj, spaventa un ateo, ma può al contrario aiutare il cristiano ad avvicinarsi a Dio12. Il mondo nasconde i suoi misteri, invece Dio li rivela a chi vuol comunicare la sua verità.

 

 

 

 

La verità è antinomica – Lo scopo del pensiero logico è togliere tutte le contraddizioni, superare gli opposti per mezzo dei principi fondamentali universalmente validi; ma ogni vita è dinamica e antinomica, si passa da una parte a quella opposta.

Le antinomie sono numerose e complesse, tanto quanto lo è la vita. L’idealismo tedesco cerca di nasconderle, dichiararle illusorie, superarle. Esse al contrario, stupiscono i pensatori russi. Vyseslavcec resta colpito dalla grandezza e insieme dalla nullità dell’uomo13, Frank dal suo carattere divinoumano connesso alla sua incredibile debolezza14. Novgorodcev è stupito dall’antinomia tra individuo e società, dal fatto che l’individuo cerca in ogni momento di essere indipendente e d’altra parte non può essere valorizzato se non nella vita sociale15. Per Bulgakov, la prima antinomia è nella creazione, nel fatto che l’uomo sia un essere tessuto dal non essere16. Florenskij nota che l’insegnamento di san Paolo, e la sua stessa vita, la sua brillante dialettica religiosa consiste in una serie di rotture, salta da un’affermazione all’altra che è antinomica17.

La scoperta di queste antinomie non è frutto di una riflessione sterile. Gli asceti le provano nella loro propria esperienza, come testimonia ad esempio l’archimandrita Sofronio ne La vita dello starets Silvano. Afferma: "La vita spirituale di un asceta cristiano è strana, è incomprensibile. Si presenta come un tessuto di stupefacenti contraddizioni: da una parte attacchi demoniaci, l’abbandono di Dio, le tenebre della morte e i tormenti dell’inferno; d’altra parte le manifestazioni di Dio e la luce dell’essere senza inizio. Ma la parola è incapace di esprimere tutto questo"18.

La soluzione spirituale delle antinomie, trinitaria – Constatando che la ragione con la sua logica non è in grado di risolvere le contraddizioni della vita, dove cercheremo il principio unificante? Secondo Florenskij esiste una sola soluzione, la vita spirituale, poiché, egli afferma, "qualunque sia il nostro oggetto, noi frazioniamo immancabilmente ciò che esaminiamo, sbricioliamo ciò che studiamo in aspetti incompatibili. Solo nel momento in cui siamo illuminati dalla grazia queste contraddizioni nel nostro spirito si aboliscono, tuttavia non razionalmente, ma attraverso un mezzo sovrarazionale. L’antinomia non dice affatto ‘o questo o quello sono veri’; e neppure dice ‘né questo né quello è vero’; dice invece che ‘sia questo che quello sono veri, ciascuno a proprio modo’. La riconciliazione e l’unità sono al di sopra della ragione"19.

Ora, per Florenskij, al di sopra della ragione si trova in primo luogo il mistero di Dio uno e trino insieme. Perciò questo mistero ci è stato rivelato, affinché per mezzo di esso riusciamo a risolvere le numerose antinomie della nostra vita e del nostro mondo. Lo stesso libro La colonna e il fondamento della verità potrebbe avere come sottotitolo "Soluzione trinitaria della antinomie della nostra vita e di tutta la realtà". Per questo motivo Florenskij è divenuto teologo trinitario per eccellenza e scopre le tracce di questo mistero persino in matematica.

 

 

 

 

La verità è cristologica – Ammettiamo che suona in modo estremamente insolito all’uomo scientifico l’affermazione che il mistero della santissima Trinità è il primo principio conoscitivo. Più accettabile è, a chi legge il vangelo, la constatazione che la verità è Cristo. La sua incarnazione è l’unione delle antinomie divinoumane: l’invisibile divenne visibile, l’eterno mortale, infinitamente beato sofferente. Numerose e bellissime sono le riflessioni dei pensatori russi che presentano Cristo come unico vero senso della storia, del cosmo, della cultura, delle religioni. Citiamo un solo testo da una lettera di Dostoevskij, indirizzata nel 1854 alla signora Von Visine20: "Vi dirò di me stesso che sono figlio di questo secolo, un figlio dell’incredulità e del dubbio, fino ad oggi e forse fino alla tomba. Quali spaventose torture mi è costato e mi costa anche ora questa sete di credere, tanto più forte nella mia anima quanto ci sono in me argomenti contrari. E tuttavia, Dio mi invia talvolta dei momenti in cui tutto mi è chiaro e sacro. È in quei momenti che ho composto un credo: credere che non c’è nulla di più bello, di più profondo, di più amabile, di più ragionevole e di più perfetto che il Cristo, e che non solo non c’è niente, ma, e me lo dico con un amore geloso, che non si può avere niente. E più ancora, se qualcuno mi avesse dimostrato che Cristo è fuori della verità, avrei preferito senza esitare restare con Cristo piuttosto che con la verità". L’ultima espressione appare bizzarra, ma si comprende nel contesto di ciò che abbiamo detto precedentemente.

 

 

 

 

La verità è ecclesiale - unione nella verità – La Chiesa unisce i pensieri dei cristiani insegnando loro l’unica verità di Cristo. Si manifesta questa unità soprattutto nella professione dei "dogmi" i quali, secondo Evdokimov21, rappresentano "l’immutabile della rivelazione", al contrario dei canoni giuridici che cambiano secondo le circostanze storiche. Quindi la professione dei dogmi comuni costituisce "la cattolicità della Chiesa".

E pure sorge un’altra questione: la professione dei dogmi comuni coincide con la loro comprensione? Certamente no. Quest’ultima dipende dall’intelligenza spirituale che varia in profondità, poiché il dogma, dice Losskij, è una "visione"22 e questa evolve. Da ciò conclude Berdjaev: "L’esistenza di una Ortodossia o di un Cattolicesimo statico è una finzione e un’autosuggestione"23, una tendenza che appare "nei sistemi che portano in sé l’impronta della metafisica greca" che è statica24.

Ma non si cade così in un relativismo? Florenskij lo nega radicalmente. Non si tratta di cambiare il dogma. Ma si deve reagire contro la tentazione di separare il dogma dalla vita della Chiesa e farne una formula morta. Allora conclude l’autore: "Chiunque desidera comprendere l’ortodossia non dispone che di un solo mezzo, l’esperienza ortodossa diretta" nella vita della Chiesa, contemplando la sua bellezza25.

 

 

 

 

L’amore e la "tuttunità", principi gnoseologici – La Chiesa è il sacramento dell’amore e dell’unità. Se essa custodisce la verità, bisogna accedere alla sua rivelazione in queste condizioni. Scrive Berdjaev: "L’amore è considerato come un principio della conoscenza della verità. È la sorgente e la garanzia della vita religiosa. La comunione attraverso l’amore, la conciliarità, è un criterio di conoscenza opposto al cogito ergo sum cartesiano. "Io solo" non pensa, "noi" pensiamo: noi significa la comunione nell’amore; e non è il pensiero che prova la mia esistenza, ma la volontà e l’amore"26.

Ed ecco un altro testo caratteristico di Vyseslavcev: "È profetica rispetto ad ogni intellettualismo recente, questa espressione di Leonardo da Vinci: ‘un grande amore è figlio di una grande conoscenza’. Noi, cristiani d’Oriente, possiamo dire il contrario: una grande conoscenza è figlia di un grande amore"27. È in forza di questo amore che nessuna verità particolare può essere vista isolatamente. La realtà appare come una "tuttunità" (vseedinstvo). È soprattutto a partire da Soloviev che questo termine esercita sugli spiriti russi una ipnosi che incanta e conquista gli animi. La conoscenza deve essere integrale, aspirare alla pienezza, perché, come dice Golubinskij, la facoltà di conoscere ci è data per condurci dal finito all’infinito. Il relativo è il mezzo per arrivare all’Assoluto, a Dio; e alla fine dei secoli Dio si darà integralmente alla sua creatura"28.

Ma come arrivarci ora? La verità integrale si rivela all’uomo integrale, dicevano Kireevskij e Chomjakov. È preliminarmente necessario che l’uomo unisca tutte le sue facoltà spirituali, le esperienze dei sensi, il pensiero razionale, il senso morale e la contemplazione religiosa, per accedere tutto intero alla conoscenza della realtà integrale. Ma l’uomo tutto intero è tale quale è nel suo cuore. Quindi l’organo appropriato della vera conoscenza è il cuore. "Beati i puri di cuore perché vedranno Dio" (Mt 5,8). Di conseguenza, il termine cuore è divenuto uno dei più caratteristici della spiritualità russa29. Ma finiamo con il metodo, proposto da Soloviev, di riunire tutte le conoscenze in uno.

 

 

 

 

La bellezza salverà il mondo – La verità, se è realmente tale, deve abbracciare tutto ciò che esiste. Qualsiasi oggetto conosciuto indipendentemente dal tutto, non è conosciuto realmente. Ma la cultura europea, come la vediamo oggi, è in grado di raggiungere questa pienezza? È la domanda che si pose il giovane Soloviev30. Già durante i suoi studi universitari egli notò come gli uomini europei hanno sviluppato tre rami delle conoscenze: empirica, metafisica e mistica. Questi però non comunicano fra di loro.

Le scienze naturali hanno perfezionato al massimo il metodo empirico, l’osservazione esterna dei sensi. Questo metodo, in sé lodevole, è insufficiente allo scopo, offre un aspetto parziale della verità. Questa constatazione ha dato origine alla nascita della metafisica, filosofia razionale. La metafisica razionalistica raggiunse il suo colmo nel pensiero di Kant, Hegel ed altri. Si esaurisce nell’elaborare nozioni precise e concetti astratti. Dimostrando anch’essa, con ciò, la sua insufficienza e la sua parzialità. Nella introduzione a La crisi della filosofia occidentale, Soloviev scrive: "Questo libro si fondato sulla convinzione che la filosofia, intesa come conoscenza astratta, esclusivamente teorica, ha ormai terminato la sua evoluzione ed è entrata irrevocabilmente nel mondo del passato"31. Dobbiamo quindi ricorrere al terzo tipo di conoscenza: la mistica. Essa conosce l’oggetto "dall’interno", in quanto, cioè, noi siamo uniti con esso.

Si distinguono, quindi, nettamente, questi tre gradi di conoscenza: sensibile-empirica, razionale ("aristotelica" per i Padri della Chiesa, "kantiana" per Soloviev), spirituale, (intuitiva, mistica). Purtroppo questi tre rami di conoscenza non comunicano fra di loro. Come arrivare ad una sintesi? Soloviev considerava la soluzione di questo problema come la sua propria vocazione. Ma solo verso la fine della vita egli formulò un progetto concreto. Vi deve avere una parte importante l’estetica, la capacità di vedere il mondo come bello. La conoscenza che chiamiamo scientifica è analitica: vede uno accanto all’altro, differente dall’altro, forma "idee chiare e distinte da ogni altra cosa", secondo il principio cartesiano. È quindi principio di divisione. Al contrario la visione estetica vede uno dentro l’altro, la realtà superiore in quella inferiore. Una realtà isolata è brutta, ma diventa bella quando comincia a far "trasparire" una realtà superiore. Per porre il problema in modo del tutto concreto, Soloviev ricorre all’esempio del diamante. Tutti sono d’accordo sul fatto che il diamante è bello. Ci rendiamo anche conto di quale sia la causa della sua bellezza. Chimicamente, il diamante è la stessa cosa del carbone. Ma la grande differenza consiste nel fatto che il carbone soffoca la luce del cielo, invece il diamante la fa risplendere in sé. La luce che raggiunge la materia è dal diamante trattenuta e valorizzata. Vedendo il diamante contempliamo i raggi del sole32.

Se per la filosofia scolastica l’essere è essenzialmente unun-verum-bonum, in Soloviev e Florenskij questa triade è sostituita da quella unum-verum-pulcrum, ogni cosa è una vera e bella. Questa "triade metafisica" ha il suo prototipo e le sue radici nella "triade celeste", nella santissima Trinità. Similmente scrisse Tarkovskij: "La bellezza, in effetti, è simbolo di qualcosa d’altro. Di che cosa esattamente? La bellezza è simbolo della verità". Ne segue la conclusione che l’arte appartiene alla gnoseologia, procura la conoscenza integrale, è anche essenzialmente religiosa. Allora, secondo l’espressione di Dostoevskij, "la bellezza salverà il mondo".

Si cita sovente anche un’altra frase di Dostoevskij: "La bellezza è il mistero in cui il diavolo lotta con Dio e i campi di battaglia sono i cuori degli uomini"33. Il peccato appare come il contrario, il polo opposto della bellezza, perché è l’ "ipseità" senza relazione con l’ "altro" e con tutta la creazione. Ed è un fatto, scrive Florenskij, che l’ascesi cristiana "rende gli uomini non solo buoni, ma belli; il tratto caratteristico dei santi asceti non è la bontà, che si trova anche in esseri carnali, perfino se sono grandi peccatori. È la bellezza spirituale, splendente, di una personalità che porta la luce e che resta inaccessibile all’inerzia carnale. In questo senso si può affermare che non c’è nulla più bello di Cristo, il solo senza peccato", verità e luce che illumina il mondo34.

NOTE

1 Stolp III, Lettera 2, pp. 15 ss. T. Spidlik, Grégoire de Nazianze. Introduction à sa doctrine spirituelle, OCA 189, Roma 1971, pp. 1 ss.

2 N. Arsen’ev, O zizni preizbytocestvujuscej, Bruxelles 1966, pp. 243 ss.

3 Ibidem, p. 245.

4 N. Losski, Histoire de la philosophie russe, Parigi 1954, p. 348.

5 Stolp XXV, p. 579; ibidem I, p. 3.

6 N. Berdiaev, De l’esclavage et de la liberté de l’homme, Parigi 1946, p. 22.

7 Ricordi dal sottosuolo, trad. F. Landolfi, Milano 1961, cap. 7, p. 38.

8 Ibidem, cap. 8, p. 49.

9 V. A. Gratieux, A. S. Chomjakov et le mouvement slavophile, vol. II, Parigi 1939, p. 207.

10 In russo, Parigi 1951.

11 In russo, S. Peterburg 1905.

12 S. N. Trubeckoj, La metafisica della Grecia antica (in russo), Mosca 1890, pp. 9ss.

13 L’eterno nella filosofia russa (in russo), New York 1955, pp. 247 ss.

14 Dieu est avec nous, Parigi 1955, pp. 140 ss.

15 Cfr. N. Losski, Histoire..., op. cit., p. 349.

16 Ibidem, p. 208.

17 La colonna e il fondamento della verità (in russo), Mosca 1914, lettera 6, p. 162.

18 Starets Siluane, Parigi 1973, p. 29.

19 La colonna..., op. cit., lettera 6, pp. 159-160.

20 Lettere, vol. 28, I, 1965, p. 176.

21 L’Orthodoxie, Neuchâtel - Parigi 1959, p. 186.

22 O. Clement, Aperçu sur la théologie de la personne dans la "diaspora russe", mille ans, p. 136.

23 Esprit et liberté, Parigi 1933, p. 321.

24 Ibid., p. 26.

25 Stolp, pp. 7-8.

26 L’idée russe, Parigi 1969, p. 169.

27 Il cuore nella mistica cristiana e indiana (in russo), Parigi 1929, p. 26.

28 N. Losski, Histoire..., op. cit., p. 313.

29 Cfr. T Spidlik, La spiritualità dell’Oriente cristiano. Manuale sistematico, Balsamo 1995, pp. 104 ss.

30 T. Spidlik, Soloviev, in La mistica, fenomenologia e riflessione teologica, Roma, Teresianum 1984, pp. 645-668.

31 La crisi della filosofia occidentale, La Casa di Matriona, Milano 1986, p. 47. Cfr. anche un’altra opera di Soloviev, Critica dei principi astratti, in Opere, Bruxelles, 1966 ss, vol. II, pp. 1-397.

32 La bellezza della natura (in russo), Opere, vol. IV, pp. 35 ss.

33 I fratelli , I, I, 3, 3, Berlino 1919, p. 166.

34 La colonna..., op. cit., lettera 4, pp. 99 ss; per ulteriore sviluppo di questi temi, cfr. T. Spidlik, L’idée russe une autre vision de l’homme, Troyes 1994, trad. it. L’idea russa un’altra visione dell’uomo, Roma ed. Lipa, 1995.