venerdì 28 agosto, ore 15

AMBIENTE ENGINEERING ECONOMIA

partecipano

Ernesto Stagni

direttore dell'Istituto Vie e Trasporti del Politecnico di Milano

Giovanni Picco

amministratore delegato della SPEA (lri-Italstat) amministratore

Pacifico Paoli

delegato della Fiat Engineering

conduce l'incontro

Diego Meroni

L'attività dell'uomo produce un inevitabile impatto, non necessariamente negativo, sull'ambiente. L'idea di minimizzare l'impatto ambientale è perciò un nonsenso. Ciò che è veramente necessario è una valutazione "del rapporto costi-benefici che abbia riguardo al vero bene dell'uomo, non soltanto al benessere materiale, ma al bene che riguarda l'uomo presente e l'uomo futuro". (Ernesto Stagni)

E. Stagni

Vi porterò la mia esperienza personale d’ingegnere dei trasporti, anche se quello che dico vale anche in gran parte per tutte le grandi opere d’ingegneria che influiscono, inevitabilmente e da sempre, sull'ambiente. Questo sia per quanto riguarda l'aspetto fisico-naturale, cioè l'intorno atmosferico, idrologico, la stabilità e l'uso dei terreni, sia per quanto concerne l'aspetto estetico-culturale, ciò che normalmente si chiama paesaggio ma un paesaggio integrato dall'opera dell'uomo e quindi il contesto storico artistico di una città, di una regione.

Premetto che una Valutazione d’Impatto Ambientale, che oggi si chiama VIA, deve essere sempre compresa in una valutazione più ampia, in un’analisi più ampia del rapporto costi-benefici che abbia riguardo al vero bene dell'uomo, non soltanto al benessere materiale, ma al bene che riguarda l'uomo presente e l'uomo futuro.

Un'altra osservazione generale è che dobbiamo rifuggire dal considerare sempre negativo l'impatto ambientale che invece può essere anche positivo, perciò la dizione "minimizzare l'impatto ambientale" non ha ragione di essere. Vi cito alcuni esempi: le grandi opere di bonifica del passato hanno migliorato notevolmente l'ambiente, creando addirittura delle attività umane; la ferrovia Bologna-Firenze, la famosa direttissimo, ha avuto delle opere che hanno stabilizzato tutto un versante come quello della Valle del Setta. Vediamo come incidono su questi tre aspetti dell'ambiente le opere, le grandi vie di trasporto. Prima di tutto sotto l'aspetto fisico-naturale c'è da riconoscere obiettivamente che i trasporti inquinano sempre: c'è sempre un inquinamento atmosferico dato dal fatto che tutte le volte che si produce energia per combustione s’inquina inevitabilmente. I trasporti, come sapete, rappresentano la terza utenza nazionale, dopo l'industria e gli usi domestici, ed incidono per il 19-20%. Ci può essere l'inquinamento locale o l'inquinamento globale atmosferico continentale. Oggi c'è da osservare che non sono soltanto i motori a combustione ad inquinare. L'attuale politica energetica italiana ha rifiutato o perlomeno sta per rifiutare (adesso non so cosa succederà) l'energia nucleare; ha bloccato l'energia idroelettrica perché l'ha giudicata non più economica e si è rifugiata, per il 92% della produzione energetica, sull'energia per combustione termica e per combustione chimica. L'inquinamento rimane anche se sottoforma di trazione elettrica o comunque d’impiego d’energia elettrica.

Si è verificato uno spostamento dell'inquinamento dal luogo in cui l'energia è utilizzata a quello in cui l'energia è prodotta ma l'inquinamento permane.

Tutta l'energia prodotta in Italia per combustione, ENEL e non ENEL, genera duecentoventi miliardi di metri cubi d’anidride carbonica; il che significa, tanto per dare un'idea di questo volume, che ogni anno sull'intera superficie italiana, che sono come sapete è di trecentomila Km. quadrati, si forma uno strato, se si concentrasse naturalmente, di 74 cm.

Per fortuna non è così, altrimenti fra tre o quattro anni dovremmo andare tutti ai piani superiori, perché c'è la funzione clorofilliana che si mescola all'atmosfera ecc.

In base a quest’ingente produzione d’anidride carbonica l'equilibrio della nostra atmosfera si può modificare, perché in Italia tutta l'energia - e non così in Francia e neppure in Germania Federale o in Russia - è prodotta per combustione.

Non lamentiamoci quindi dell'effetto serra, dell'aumento di temperature, d’altre conseguenze se continuiamo a rifiutare e ad impedire la ricerca sull'energia nucleare. Da questo punto di vista, le difficoltà incontrate per rinnovare l'impianto del Brasimone, che è un impianto di ricerca, sono anche più gravi di quelle incontrate per impedire la costruzione di nuove centrali nucleari.

Anche l'inquinamento acustico è conseguenza inevitabile dei trasporti. Da questo punto di vista si sono fatti moltissimi progressi al punto che oggi possono essere stabilite alcune norme precise da osservare.

Ciò che è subdolo e nascosto è il danno idrico e idrogeologico. Non è ancora ben noto ad esempio come i gas di scarico del traffico normale con motore a combustione interna influiscano sulle acque superficiali e anche sulle falde profonde. Ma c'è di più, e vi cito un esempio: 25 o 30 anni fa i costruttori dell'Autostrada del Sole, dell'Al e anche dell'A14, non si sono preoccupati molto di questi problemi. Oggi invece siamo costretti ad occuparcene perché, per esempio, tutti i cavamenti di ghiaia dal letto dei fiumi attraversati dall'autostrada hanno modificato od abbassato il corso degli stessi. Questo ha dato luogo ad effetti deleteri sui ponti perché ha fatto crollare per esempio il ponte sul Taro, ha poi fatto ricostruire il ponte sul Secchia, ha abbassato la vallata dei Santerno, ha anche modificato il corso della falde freatiche che derivano dai fiumi. E’ questo, un problema ancora aperto che s’impone per tutte le nuove costruzioni. A questo dobbiamo aggiungere anche la distruzione di suolo agricolo o boschivo per quanto concerne l'aspetto fisico-naturale. In questo caso vale un vecchio criterio secondo il quale quando si distrugge qualche cosa del patrimonio naturale, anche piccolo, bisogna ricostituirlo per non turbare un equilibrio che magari sarà nascosto, ma che deve essere ripristinato anche laddove l'intensità può sostituirsi all'estensione.

L'impatto sulla stabilità dei terreni invece, non rientra a mio avviso nell'impatto ambientale ma appartiene alla correttezza progettuale. Non è degno di questo nome un ingegnere che quando fa un'opera non pensi anche alla stabilità dei terreni attraversati o per esempio - sono un costruttore di metropolitane - anche alla stabilità degli edifici adiacenti. A questo punto bisognerebbe fare un'altra conferenza sullo sfascio idrogeologico italiano. Esso non è dovuto all'opera dell'ingegnere, dell'architetto ma addirittura alla mancata opera dell'ingegnere, dell'architetto o del geologo e non è dovuta certamente, parlo per la mia esperienza personale, all'impatto degli impianti di trasporto. Ben diverso è il caso del paesaggio e dei contesto estetico-culturale; finora abbiamo avuto effetti misurabili, dirò anche monetizzabili, con studi in corso, con modi concreti di avviare. Passiamo ora ad una fase, quella dell'estetica-cuiturale, in cui c'è una grande nebulosità di giudizio. Occorre premettere che qualsiasi nuova costruzione introduce un elemento nuovo in una realtà esistente. Anche i Propilei e il Partenone hanno modificato il paesaggio: a questo proposito citerò una celebre vignetta di Mosca sul Candido di moltissimi anni fa, (quando si parlava della Repubblica che doveva proteggere il paesaggio) in cui erano rappresentati Fidia e Pericle tutti e due con barba e con vesti lunghe, e a Fidia che mostrava il Partenone tutto lustro Pericle diceva: "Sì, sì, è bello, ma turba il paesaggio". E’ chiaro che tante opere hanno ai loro tempi turbato il paesaggio, dagli acquedotti romani ai viadotti dell'autostrada del Sole.

L'essenziale è che siano messe nel posto giusto e fatte bene.

C'è poi un terzo aspetto, meno nuboloso e più sottile, dell'incidenza sull'ambiente degli impianti di trasporto, che è quello socioeconomico, del quale i giornali non parlano mai perché l'influenza dell'uso del territorio sulle abitudini di vita e sugli insediamenti è sì a lunga scadenza, ma è costante e continua ed è molto più importante dei regolamenti urbanistici, dei piani d’idronizzazione, dei divieti e della disciplina degli insediamenti. Perché una via di trasporto risponde sì ad uno scopo primario ben definito, ma questo flusso primario di trasporto genera degli effetti secondari che col tempo diventano preponderanti e condizionano pesantemente, nel bene e nel male, lo sviluppo di una città e di una regione e quindi le condizioni di vita.

Vi faccio alcuni esempi: la Via Emilia è stata costruita con uno scopo primario, cioè il passaggio degli eserciti romani dall'Adriatico al Mar Ligure, ma oggi sono prevalsi gli effetti secondari, e cioè la conseguente creazione della regione Emilia Romagna e tutte le città dell'Emilia Romagna. Se vogliamo venire a tempi più recenti diremo che le ferrovie Nord Milano e le ferrovie Varesine hanno creato l'arca metropolitana milanese, hanno creato nuclei abitativi che a loro volta hanno generato effetti secondari con la crescita continua d’insediamento e di viabilità che caratterizzano l'area metropolitana milanese.

Tutto questo è una difficoltà notevole per i progettisti perché è un effetto di retroazione delle vie di trasporto. Di solito il progettista prevede la situazione esistente cioè lo scopo primario, prevede le modifiche causate dalle discipline, dai piani regolamentari esistenti ma è per lui difficile vedere l'effetto di retroazione. Affinché ciò avvenga, è necessaria una maggiore collaborazione fra i tecnici, che non sono solo gli ingegneri, ma anche gli architetti, i geologi e certe volte gli economisti e gli urbanisti. L'urbanista non può pretendere di imporre un disegno da lui auspicato se non trova anche un efficace sistema di trasporto capace di servire il piano e il regolamento desiderato con tutti gli effetti primari e secondari. Per queste soluzioni occorre chiarezza sia sugli scopi primari che sugli effetti secondari, perché se lo scopo primario non esiste è chiaro che non verranno neanche gli effetti secondari. Se nella via Emilia non fossero passate grandi quantità d’eserciti romani, probabilmente la regione Emilia e le città emiliane non sarebbero sorte.

Vorrei concludere dicendo che i problemi d’impatto ambientale sono stati per molto tempo trascurati nella progettazione delle opere in ingegneria, ma ora si è giunti all'eccesso opposto, indulgendo in una mentalità primitiva. Affinché ciò non avvenga, non si devono inserire procedure troppo lunghe, troppo rigide e troppo articolate che accentuano uno dei difetti della nostra amministrazione pubblica, che è quello della lentezza delle decisioni, con il rischio che i progetti restino ad invecchiare nel cassetto, siano superati quando sono da attuare o, peggio, rimangano incompleta. Mi sento di sottoscrivere quello che è scritto sul quaderno che avete presentato come Creative Discipline.

Vorrei aggiungere che è un non senso che un problema di tanta importanza per il futuro della nazione abbia dato luogo ad un partito politico, con tutto il rispetto che ho per l'idea di questo partito, perché alla fine problemi di questa importanza vengono affrontati sotto l'aspetto di vantaggi elettorali, ricorrendo a giudizi che per forza non possono essere approfonditi e che spesso sono anche il risultato di pressioni opposte. E anche deplorevole che, nel giusto intento di evitare disastri ecologici, si dia luogo invece a disastri economici che sono ugualmente deleteri perché ogni spreco di risorse impedisce che vengano costruite altre opere.

Per questo il mondo tecnico, anche se talora in contrasto col mondo politico, deve contrapporre metodi obiettivi che abbiano validità quantitativa e monetizzabile; per questo occorre insistere che la valutazione dell'impatto ambientale rientri nelle valutazioni costi-benefici.

E’ un problema difficile, ma noi tecnici non siamo chiamati soltanto a risolvere i problemi facili, per questo occorre respingere il concetto rigido del rispetto assoluto della realtà esistente e dell'impatto nullo. In conclusione, la critica all'impatto ambientale e ai danni eventuali d’impatto ambientale deve essere sempre uno stimolo per migliorare l'opera, non per abbandonarla o per cambiarla mutandone il significato.

Per questo il tecnico (e qui dico ancora una volta ingegneri, architetti geologi e forse anche economisti) non è mai fazioso e non deve nemmeno mai essere messo in tentazione di esserlo. Deve sempre presentare un quadro obiettivo e mostrare obiettivamente quando le preoccupazioni ambientali siano valide e come possono essere superate, senza divenire un impedimento dello sviluppo civile in tutti i sensi, che è in definitiva il vero bene dell'uomo. Nell'affermare la centralità dell'uomo credo di essere in buona compagnia perché credo l'abbiamo affermate persone molto più importanti di me.

 

G. Picco

Sarei stato veramente in difficoltà maggiori, nell'iniziare quest’intervento, se dal Prof.Stagni non mi fosse arrivata una rassicurazione, e cioè che il tipo d’attenzione che dobbiamo riservare a questi problemi va commisurata ad una serie di scale di valori e di priorità che sono irrinunciabili e rispetto alle quali non hanno senso le posizioni critiche e rivendicativi ad oltranza. Sono profondamente d'accordo con lui e lo sottolineo non per creare un alibi alle difficoltà che abbiamo nel ruolo d’operatori pubblici nei confronti e delle istituzioni e delle comunità, ma perché siamo convinti che il problema dell'ambiente inciderà sul futuro del nostro sviluppo.

Non soltanto nella dimensione dell'attuale e diffusa opinione ambientalista, ma perché l'ambiente inciderà profondamente sugli aspetti che concernono i cosiddetti comportamenti, i consensi, i tipi di riferimento dell'uomo rispetto al modo di operare e di ricrearsi. Le condizioni, in sintesi, della futura convivenza.

Il principio dei riequilibrio dei sistemi che il Prof. Stagni ha approfondito in alcuni aspetti, principio alterato dalle innovazioni tecnologiche e dal dissennato uso dell'antropizzazione, è stato purtroppo timidamente perseguito come metodo, quando non è stato snobbato.

Oggi il tentativo è di ricondurlo all'alveo più rigoroso delle definizioni scientifiche e all'alveo più discrezionale dei confini normativi. Il pericolo è che l'aspetto normativo prevalga, specialmente in questo periodo in cui si sta per affrontare in Italia la legislazione di supporto alle direttive CEE dei '73.

Le direttive CEE impegnano tutti i paesi della comunità europea a darsi entro il luglio prossimo un assetto legislativo congruente sulle verifiche che le opere pubbliche di maggior rilievo debbono avere prima della loro esecuzione. Il tentativo di ricondurre solo a parametro normativo tutti i principi che il Prof.Stagni ha molto opportunamente ripreso nel suo brillante intervento rischia di creare molta confusione e di stravolgere il significato e la portata di tutte le attenzioni da avere nei confronti del patrimonio da tutelare. Credo sia mio dovere dire che deve essere attivata, al di là delle preoccupazioni di arrivare comunque a definire una normativa sull'impatto ambientale, una diffusa coscienza e una consapevolezza di cosa sia e di quale sia l'oggetto reale dei valore e del patrimonio che si intende rinsaldare.

Ritengo esista un ruolo di responsabilità oggettiva, come ha ricordato il Prof.Stagni, che riguarda l'engineering nel suo complesso e cioè la sommatoria di tutte quelle energie professionali che, al di là delle responsabilità che devono portare, devono in questo momento assumersi il carico di tracciare un alveo rispetto a settori specifici, come quello della ricerca. Mi preme sottolineare, rispetto alla tematica di preservazione del patrimonio naturale e a volte anche storico-culturale, che il ruolo dell'engineering non può essere assolto solo dalle forze tradizionalmente professionali, quasi come se queste fossero detentrici di verità o di parametri di giudizio assoluti. Esiste la necessità di un coinvolgimento più largo che deve comprendere ad esempio tutta la cultura locale che deve farsi carico di una serie di accertamenti e di raccolta di dati di partenza. All'interno delle istituzioni, come si diceva ieri con il Presidente del Consiglio Goria, esiste poi l'esigenza di una serie di energie creative che accumulino cultura e siano in grado di produrre giudizi e consensi nel momento in cui l'opera deve essere varata, giudicata e realizzata.

Sul discorso dell'opera pubblica si potrebbero dire molte cose, alcune delle quali già anticipate dal Prof. Stagni, alle quali vorrei aggiungere soltanto questo.

Nella società moderna esiste comunque l'esigenza di fare riferimento all'opera pubblica, non come momento di contestazione che a volte trascende i limiti dal rapporto intersociale - a volte si arriva a giudicarla solo nei risvolti più deteriori e cioè di moralità o immoralità, di tangenti e di speculazioni - ma quanto piuttosto come giudizio nella complessità dei fatti che l'opera pubblica comporta nel rapporto con la società in divenire. Credo che questo sia un aspetto che esige cultura e approfondimento da parte di forze e di energie come le vostre.

Uno sforzo a livello di strutture, di base, ma anche nel mondo della produzione. Esige un tipo di rapporto collaborativo che ci aiuti ad arricchire il nostro patrimonio conoscitivo e quindi anche il giudizio sulle utilità reali rispetto alle sollecitazioni che vengono dalla società.

Oggi un'opera pubblica è sempre realizzata sulla base di sollecitazioni che provengono dal sociale ma è ancora da approfondire quanto e in che misura queste sollecitazioni siano poi realmente filtrate la reali necessità dell'uomo, da un'effettiva necessità di crescita e di sviluppo. La problematica della realizzazione d’opere pubbliche del nostro paese carica d’interrogativi .In questo campo ci siamo attestati per anni alle definizioni ed alle politiche rivendicativi dei cosiddetti modelli di sviluppo. Per anni abbiamo sentito parlare di modelli alternativi e noi operatori pubblici ci siamo sempre chiesti, ad esempio rispetto alla costruzione di infrastrutture, quali potessero essere questi modelli alternativi di sviluppo.

Esiste nel paese un'esigenza credo reale di non vedere questi modelli come stereotipi, come modelli astratti di rivendicazioni sociali, sindacali o ecologiche, ma come modelli e punti di riferimento per una crescita culturale, un divenire che si affidi alla creatività dei soggetti, alle responsabilità degli operatori sì da attivare, sulle scelte e sulle realizzazioni, quel consenso che non si trincera solo dietro la democrazia per bollare in termini negativi o positivi un'opera, che si ancora alle possibilità ed alle opportunità che si creano con nuovi investimenti.

Questo per individuare in quale misura si possono attivare collateralmente effetti positivi e in quale misura possono essere evitati gli errori che in passato si sono commessi trascurando questo rapporto con la società e con il suo divenire creativo.

Credo questo sia il terna che il Meeting ha proposto e sul quale abbiamo fatto alcune riflessioni e desideriamo confrontarci con voi affinché ci diate spunti e stimoli per proseguire nel nostro ruolo e nella nostra azione.

P. Paoli

Come funziona una società d’ingegneria e la Fiat Engineering in particolare? La Fiat Engineering è divisa in divisioni autonome, per ciascun settore d’attività, che spaziano dall'architettura, alle strutture, alle infrastrutture, all'energia, agli impianti industriali (che naturalmente rappresentano il grosso della nostra esperienza) all'ambiente, ai trasporti, all'informatica territoriale, agli sviluppi agricoli e turistici. Voi direte: "Ma come fa una società d’ingegneria ad essere esperta in settori tanto diversi?" In realtà operiamo attraverso un concetto di tipo sistematico; garantendo cioè una multidisciplinarietà d’azioni e attivando di volta in volta gli esperti di qualsiasi disciplina scientifica disponibili nel mondo universitario e professionale. Nella pratica il risultato è che il sistema funziona, la nostra esperienza finora ha funzionato.

Ho fatto questa breve presentazione della Fiat Engineering e delle società d’ingegneria perché penso sia utile sapere da che tipo d’esperienza partiamo. Tornando al tema specifico di questa tavola rotonda, "Ambiente, Engineering, Economia", vorrei fissare l'attenzione su tre argomenti.

Il primo riguarda la valutazione d’impatto ambientale. Il Prof.Stagni e l'Ing. Picco hanno già illustrato ampiamente i problemi di fronte ai quali si trova ad operare un ingegnere. Una direttiva comunitaria impone la valutazione dell'impatto ambientale e delle opere più importanti e a questo proposito vanno fatte due considerazioni. La prima è che è che la direttiva comunitaria alla quale seguirà naturalmente una normativa italiana, è una grossa opportunità che non bisogna lasciarsi sfuggire. Ce la si lascia sfuggire se la valutazione di impatto ambientale rappresenterà un ulteriore intralcio burocratico che ritarderà la realizzazione di opere per altro necessarie nel nostro paese (tutti quanti riconoscono il ritardo accumulato negli ultimi anni in termini di grosse infrastrutture).E’ un'opportunità, al contrario, se la necessità di normatizzare la valutazione d’impatto ambientale diventa l'occasione attraverso la quale rivedere l'iter-burocratico attualmente vigente per snellirlo.

La seconda opportunità che intravedo nella normativa da realizzare è che se definiamo criteri obiettivi di riferimento per la valutazione di impatto ambientale facilitiamo di gran lunga il lavoro a tutti i professionisti che in questo momento vagano e sono incerti tra una serie di direttiva e di impostazioni politiche che il più delle volte sono anche in contrasto fra loro.

Il secondo punto che vorrei trattare riguarda l'ambiente e i relativi servizi. Sui giornali sempre più viene messo in risalto il degrado dell'ambiente in Italia, la mancanza di servizi e l'inefficienza dei servizi prestati, dai rifiuti, alla depurazione delle acque, all'inquinamento in generale. Credo che su quest’argomento il contributo delle società di ingegneria e soprattutto il contributo di una serie di professionisti e di operatori economici sia fondamentale per poter cambiare l'attuale stato delle cose. Partendo dal presupposto dell'importanza della decisione politica, bisogna vedere come questi problemi vengono affrontati. Oggi stiamo vedendo in pratica che si costruiscono moltissimi impianti di depurazione con fondi pubblici, che però non funzionano o non vengono gestiti al punto che restano inutilizzati, i fiumi sono inquinati, al mare non si può fare il bagno e così via. E’ il sistema che deve essere cambiato e credo esistano degli operatori economici, delle professionalità in grado di far funzionare questo settore offrendo dei servizi reali. Se l'operatore economico che opera in questo settore fosse remunerato per i servizi realmente prestati, penso che molte cose migliorerebbero.

Il sistema con cui funziona il F.I.O. dell'ambiente, ad esempio, mette a disposizione delle regioni una serie di miliardi, per il 1987 credo siano novecento miliardi, per realizzare una serie di impianti ecologici. Che cosa succede? I novecento miliardi sono distribuiti alle regioni che prevedono di costruire e realizzare una serie di impianti di depurazione.

Queste affideranno appalti ed incarichi a ditte costruttrici di impianti. Naturalmente, come succede in quasi tutti gli appalti, dalla cifra iniziale l'importo viene dilatato, per cui da novecento miliardi probabilmente cresceranno a mille, millecinquecento, duemila miliardi; poi, quando l'impianto è realizzato, viene dato in gestione normalmente a comuni o a consorzi di comuni che non li sanno gestire, per cui tutto resta come prima, un'altra cattedrale che non funziona. Questo è lo stato di funzionamento dell'80% degli impianti in Italia. Se i novecento miliardi del F.I.O. fossero messi invece a disposizione come incentivo ad operatori economici che si assumano la responsabilità di fare il progetto, realizzare l'opera e gestirla, e che vengano pagati solo per i servizi realmente prestati, cioè per i metri cubi di acqua che riescono a depurare e per le tonnellate di rifiuti solidi che riescono a smaltire, penso che otterremmo perlomeno due grossi vantaggi. Da un lato la quantità degli investi- menti sarebbe moltiplicata per tre o per quattro perché novecento miliardi come incentivo finanziario potrebbero attivare una somma di investimenti molto superiore, dall'altro tutti gli impianti così realizzati funzionerebbero perché l'operatore riceve il suo compenso soltanto per il servizio prestato ed è sua preoccupazione farli funzionare. Credo che il coinvolgimento dell'iniziativa privata nella gestione dei servizi relativi all'ambiente sia un punto fondamentale di fronte al quale la popolazione e la comunità siano ormai abbastanza sensibilizzati. Ho parlato di depurazione e di rifiuti solidi, ma possiamo includere anche gli acquedotti e tutti gli altri interventi che riguardano l'ambiente.

Il terzo punto che affrontare è il rapporto tra i privati e le partecipazioni statali in relazione all'ambiente, e faccio riferimento un po' allo slogan di questo Meeting: "Meno stato e più società". Ritengo che le partecipazioni statali abbiano costituito un fondamentale e importantissimo strumento per ricostruire l'Italia e rappresentino tuttora un validissimo strumento in alcuni settori strategici, soprattutto nei servizi, e che possono formare operatori economici validi anche in settori dove operano anche i privati. Credo che nei settori dove l'importanza strategica della statalità non è rilevante e dove le partecipazioni statali operano a fianco dei privati, sia d'obbligo un rapporto di aperta concorrenza tra pubblici e privati.

Non è accettabile una situazione di privilegio dovuta per legge o per usanze consolidate o per comportamenti delle aziende a partecipazione statale, perché questo significa un’inefficienza del sistema. Laddove la competitività impera, è giusto che partecipazioni statali e privati competano, ma se il gioco della competizione è stravolto da regole che vengono dall'alto, credo che a rimetterei sia la società italiana.