Mercoledì 29 agosto, ore 15.00

POLITICHE SCOLASTICHE NEI PAESI CEE: PLURALISMO EDUCATIVO?

Incontro con:

Gerardo Bianco

Ministro della Pubblica Istruzione

Lorenzo Cattaneo

Presidente nazionale dell’AGESC (Associazione Genitori Scuola Cattolica) Presidente Vicario Europeo dell’OE - GIAPEC (Associazione Europea Genitori Scuole Cattoliche)

Alfred Fernandez

Direttore Generale dell’Organizzazione Internazionale per lo Sviluppo della Libertà d’Insegnamento (OIDEL)

Santiago Martin

Segretario Generale Federazione Spagnola Insegnanti Religiosi Vice Presidente dell’Organizzazione Europea Scuole Cattoliche

Giuseppe Meroni

Presidente Nazionale DIESSE

Lorenzo Strik Lievers

Senatore

Modera:

Mario Dupuis

M. Dupuis:

Benvenuti a questa tavola rotonda sulla libertà scolastica organizzata all’interno del Meeting dell’amicizia fra i popoli. Un tema come quello della libertà d’educazione non poteva mancare perché fa parte della storia del nostro movimento fin dalle sue origini. Perché degli uomini che amano essere se stessi, conoscere la loro identità, sperimentare fino in fondo la verità della propria cultura e incontrare fino in fondo la cultura degli altri, non possono che amare la libertà e prima tra tutte la libertà d’educazione. Non è perciò esagerata la frase che don Giussani ripeteva quando era insegnante di religione al Liceo Berchet di Milano: "Mandateci in giro nudi ma lasciateci la libertà d’Educare". Perché se è tolta la libertà di educare, è minata all’origine la radice stessa dell’uomo. Ma su questo tema della libertà d’educazione e della libertà scolastica, che permette alla libertà d’educazione di non essere un valore astratto, sappiamo quanti siano i pregiudizi e quante persone, quante realtà, su questo argomento anziché guardare in faccia la realtà ed usare la ragione - per stare all’interno del clima culturale di questo Meeting - usano invece gli stereotipi del passato, le frasi fatte, luoghi comuni, arroccandosi su posizioni che nulla hanno da dire all’uomo d’oggi, ai genitori d’oggi, ai giovani d’oggi. Quello che ci auguriamo da quest’incontro, dalle persone che oggi saranno con noi ad accompagnarci in questo cammino, è che possa avvenire un dialogo e una resa di ragioni su questo grande punto della vita umana, perché ancor prima che trovare la soluzione politica, pur urgente, si cominci a ragionare da uomini e non in modo settario e ideologgizzato. Oltre agli amici che partecipano all’incontro d’oggi, sta per arrivare il neoministro della Pubblica Istruzione, onorevole Gerardo Bianco, che parteciperà con noi ai lavori di questa tavola rotonda. Farei la prima domanda all’amico Fernandez chiedendogli, per cominciare, quali sono secondo lui le ragioni per cui è indispensabile la libertà di scuola, la libertà d’educazione, la libertà d’insegnamento per l’avvenire dei popoli che cercano di costruire l'Europa.

A Fernandez:

Grazie. Alla domanda che mi è stata posta risponderò che l’unica politica efficace per la Comunità Europea è una politica di libertà e quindi di pluralismo educativo. Questo per tre motivi. Il primo è che la libertà d’insegnamento è una libertà pubblica importante come la libertà d’opinione o d’espressione. Tutti i trattati di diritto, i testi internazionali, lo riconoscono; però nella pratica questa libertà è un po’ il parente povero, la Cenerentola delle libertà pubbliche. Il secondo motivo è che si è costatato vieppiù che non si può riformare il sistema educativo senza la cooperazione, la collaborazione dell’intera società e l’ultima conferenza organizzata dall’UNESCO in Tailandia lo dice a chiare lettere. Nella dichiarazione finale di tale riunione, infatti, è sottolineato che per rispondere ai bisogni educativi fondamentali, è necessario associare alla pianificazione e alla gestione dell’educazione, le famiglie, le aziende, gli insegnanti, tutti gli attori insomma. Il terzo motivo per cui io credo che la libertà d’insegnamento sia fondamentale è che una società veramente democratica deve ammettere un pluralismo di valori nonché una molteplicità culturale. E’ ovvio che questi pluralismi richiedono un minimo di consenso, ma con queste basi ci deve essere comunque una pluralità in grado di riflettere il pluralismo sociale. Ecco i tre motivi per i quali io penso che la libertà d’insegnamento sia indispensabile per l’Europa del '92, come si suol dire ormai.

M. Dupuis:

Mi pare che l’amico Fernandez ci abbia aiutato ad entrare subito nel vivo dell’argomento, soprattutto quando parlava del diritto dei genitori di scegliere per i figli i centri d’insegnamento - come li chiamava lui - che credono più adeguati, e soprattutto della questione che richiamava parlando dell’ultima conferenza mondiale svolta in Tailandia, che cioè non è possibile oggi pensare ad una qualità dell’istruzione (un tema che a tutti dovrebbe essere caro, non solo ai cattolici), che non passi attraverso l’effettiva libertà d’insegnamento. Ma per rimanere un attimo sulla questione della famiglia, di questa realtà che gioca un ruolo fondamentale nella modalità attraverso cui lo Stato permette l’effettiva libertà d’educazione, mi viene subito spontaneo interrogare l’amico Cattaneo una scuola che ritengono adeguata all’esperienza umana che hanno deciso di vivere. Che rappresenta proprio un'associazione di genitori che hanno scelto per i proprio figli. Chiederei a lui come si pone allora il rapporto famiglia-scuola e cosa chiede la famiglia allo Stato per avere veramente la possibilità di esercitare questo diritto.

L. Cattaneo:

Io ringrazio l’amico Dupuis per questa domanda. E’ una domanda che ci riguarda non solo come associazione, ma anche soprattutto come rappresentanti di famiglie che vogliono esercitare innanzi tutto un diritto naturale, il diritto naturale dei genitori di scegliere un’istruzione, un’educazione conforme ai propri principi per i propri figli. E il diritto naturale è preesistente al diritto statale, se permettete; non vorrei scandalizzarvi, ma è preesistente agli stessi diritti di Chiesa. Questo diritto naturale è acclarato da argomentazioni, da concetti, da dichiarazioni (dell’ONU, dell’UNESCO e dei vari diritti internazionali), lo stesso nostro diritto lo esprime nella Costituzione: l’articolo 30 sancisce il dovere e il diritto dei genitori di istruire, ed educare i figli e l’articolo 33 afferma che la legge deve assicurare alle scuole non statali piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali. Il problema è questo che questo: diritto non è praticato nei fatti dallo Stato. Abbiamo un milione e mezzo d’alunni che vanno dalle materne alle scuole elementari, alle superiori e ai centri di formazione professionale, ma non esiste ancora in Italia una legge paritaria, una legge che è prevista dalla nostra Costituzione e che purtroppo oggi non c’è. E vero, assieme al Movimento popolare, l’AGESC, a tante associazioni, sono stati indetti convegni, promosse iniziative, petizioni, e si è ottenuta una sensibilizzazione maggiore dell’opinione pubblica su questi temi. A livello regionale, per quanto riguarda il diritto allo studio, che è una forma d’assistenza scolastica per quello che riguarda libri, mense e trasporti, di fatto si è creata questa equipollenza, ora sancita da varie legislazioni regionali. Dirò di più, in certe regioni, specialmente quelle a statuto speciale (Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia), - che sono un po’, se permettete, dei fiori all’occhiello degli amici locali dell’AGESC che hanno portato avanti queste risoluzioni - il diritto allo studio si è aperto ad un discorso paritario. A Roma invece il discorso finisce in un vicolo cieco che non ha ancora consentito questa realizzazione e l’Italia praticamente è l’unico paese dell’Europa occidentale che non ha ancora riconosciuto questo aspetto. Che cosa fare? Ci sono delle proposte che io elenco velocemente. C’è un discorso di defiscalizzazione degli oneri sostenuti da coloro che mandano i figli nelle scuole non statali. C’è una proposta del buono scuola che è stata lanciata proprio qui al Meeting di Rimini d’alcuni anni fa. E c’è l’intervento graduale della diminuzione degli oneri scolastici. Addirittura, paradossalmente, ci potrebbe essere un costo zero. Oggi come oggi esiste un esubero di docenti nel campo della scuola e addirittura si prefigurano determinati profili scolastici per la loro occupazione. Perché allora questi docenti in esubero, previa richiesta nominativa per una concordanza educativa, non potrebbero essere utilizzati nella scuola non statale? Però il problema è essenzialmente politico; ecco, occorre questa libertà politica e il raffronto per l’Europa e con l’Europa può essere significativo.

M. Dupuis:

Grazie. Abbiamo sentito anche dal dottor Cattaneo il riferimento dell’Italia come fanalino di coda, insieme alla Grecia, se non sbaglio, di questa mortificazione della libertà scolastica. Chiederei allora a Padre Martiri di aiutarci un po’, di testimoniarci com’è vissuta attualmente in Spagna la battaglia per la libertà d’educazione.

S. Martin:

Buon pomeriggio, grazie al Movimento Popolare per avermi invitato a questo meraviglioso Meeting di Rimini. In Spagna l’attuale costituzione riconosce la libertà d’insegnamento, non soltanto una mera libertà formale. Ma una libertà consta anche di finanziamento affinché sia reale la scelta dei genitori, la scelta che riguarda il centro d’insegnamento. Tuttavia il partito socialista che è al governo interpreta la costituzione in modo restrittivo. Abbiamo finanziamenti per l’insegnamento obbligatorio e per la formazione professionale, non però per la scuola materna e neppure per la scuola media inferiore e superiore. Il nostro ideale è il finanziamento totale di tutti i gradi d’educazione come accade in Olanda. Per noi l’ideale è la legislazione olandese che concede a tutti i centri d’insegnamento lo stesso trattamento economico. Possiamo dividere i paesi della comunità europea in quattro gruppi: paesi in cui esiste un finanziamento pubblico dei centri privati, consentendo la libertà reale di insegnamento; paesi in cui questo finanziamento è solo parziale e quindi restano difficoltà; paesi in cui si intraprende il cammino verso il finanziamento pubblico dei centri privati e infine, quarto gruppo, paesi dove ancora non esiste un finanziamento pubblico dei centri privati. Nel primo gruppo si collocano l’Olanda, il Belgio, la Repubblica Federale tedesca, l’Irlanda, la Danimarca e il Lussemburgo. Nel secondo figurano il Regno Unito, Gran Bretagna, Francia e Spagna, nel terzo il Portogallo, infine nel quarto troviamo Italia e Grecia. In Spagna c’è un 35% della popolazione scolastica di livello non universitario che frequenta centri privati, in cifre assolute tre milioni di alunni. Noi aspiriamo che il 35% del bilancio nazionale dell’educazione si attribuisca all’insegnamento privato. C'è in discussione una nuova legge in cui si prefigura tutta una riforma dell’insegnamento su due livelli: una ristrutturazione dei livelli accademici e un rinnovamento totale di tutti i programmi. Noi siamo d’accordo su una riforma dell’insegnamento per poter competere con gli altri paesi europei della comunità, ma non siamo d’accordo sulle restrizioni che verranno imposte al finanziamento dell’insegnamento privato. Inoltre, in questa legge nuova vengono frapposte difficoltà all’insegnamento religioso nei centri pubblici togliendo l’alternativa esistita fino ad ora per gli alunni che non sceglievano l’insegnamento di religione e che dovevano obbligatoriamente seguire lezioni di etica naturale. Noi ci opponiamo parzialmente a questo progetto di legge perché siamo convinti che non accolga l’ideale della libertà di insegnamento. Credo che per il momento sia sufficiente quello che ho detto.

M. Dupuis:

Ora vorrei chiedere l’intervento dell’amico senatore Strik Lievers con il quale abbiamo tentato, alla meno peggio, di coordinarci per impedire che la legge sull’ordinamento, della scuola elementare restringesse ancor di più queste libertà, mortificasse la libertà di insegnamento sia nella scuola statale sia in quelle non statali. Per esperienza personale non ho mai avuto simpatie per i radicali; anche noi quando pensavamo ai radicali pensavamo a quelli che seguono in qualche modo il progetto scalfariano di Repubblica, però devo dire che incontrando il senatore Strik Lievers e parlando con lui, mi sono accorto di che cosa vuol dire ragionare non per pregiudizi, ma proprio incontrando l’umanità, per cui probabilmente queste due culture, una tutta radicale autentica – come dice lui - e una cattolica, hanno qualcosa da dirsi. Lui non ha rappresentato il partito radicale in questa battaglia per la libertà di insegnamento, però ci tiene a dire che l’ha condotta in coerenza con l'ideale in cui crede.

L. Strik Lievers:

Io vi ringrazio molto e ringrazio molto l’amico Dupuis per questa presentazione così calda, troppo calda rispetto ai miei meriti, e ringrazio molto il movimento per avermi invitato a questo incontro, per avermi invitato un po’ a confermare questo fatto scandaloso che un radicale su alcune cose (alcune cose di fondo e non quella marginali), si incontra -e si incontra bene - e si batte insieme con dei cattolici come quelli del Movimento Popolare o di Comunione e Liberazione. Io credo che questo possa essere un momento di verità rispetto a un’immagine deformata, perché per esempio il Sabato, il Movimento Popolare, quando usano il termine radicale, lo usano un po’ sinteticamente per definire il nemico storico; la società radicale è il nemico storico contro cui combattere. Io vorrei però ricordarvi che nella esperienza radicale c’è un’esperienza che è tutta un’altra cosa, cioè quella del partito radicale, dei pannelliani rispetto agli scalfariani; vorrei ricordarvi il Pasolini, a cui così fecondamente vi richiamate, degli Scritti Corsari, dell’ultima fase della sua vita, era vicinissimo a Pannella ed ai radicali. Mi ricordo ancora il giorno della sua morte, doveva infatti intervenire ad un nostro congresso. Arrivò invece un suo messaggio scritto, credo l’ultimo scritto di Pasolini, ed era per un congresso per il partito radicale. In quel messaggio, Pasolini evidenziava la ragione di una vicinanza a chi, con il rigore della non violenza e del richiamo delle regole di libertà fino in fondo, contestava quello che lui chiamava la degenerazione consumistica e di omologazione della società radicale. Per queste ragioni, credo che sia stato naturale che come radicale io mi sia incontrato con voi di fronte a questo scandalo della riforma delle scuole elementari che aveva due aspetti clamorosi. Innanzi tutto imponeva un modello, quello dei tre insegnanti per classe, che è una scelta discutibile, ma che è una scelta pedagogica, di cultura didattica, che si può accettare se si accetta una certa immagine del bambino. Se non si accetta quella certa immagine, non è nemmeno accettabile quel modello che la legge impone invece a tutti quanti: nella scuola di Stato, a chi è d’accordo e condivide quell’immagine del bambino e a chi non la condivide, ed anche nelle scuole private. Questo significa riproporre ancora una volta, nel 1990, il modello di una pedagogia di Stato, cioè un’unica verità pedagogica che lo Stato impone a maggioranza, impone a tutti, cioè la negazione radicale della libertà ed una forma di Stato etico, cioè di Stato che invece di essere il luogo in cui laicamente si regolano le libertà di tutti, diventa quello che ha una sua verità da imporre nella scuola e altrove. Questo è lo Stato etico, lo Stato fascista, lo Stato totalitario, lo Stato comunista. Qui naturalmente era soltanto un’ombra di Stato etico, ma quell’ombra c’era e pesante, insieme all’altro aspetto dei tre insegnanti che devono lavorare insieme e succede che o questi insegnanti litigano fra di loro, ognuno fa quello che vuole - con effetti catastrofici per il bambino oppure, per senso di responsabilità, anche se non sono d’accordo fra di loro, scelgono la linea che vuole la maggioranza e quindi insegnano secondo la volontà di questa, per cui su tre potrebbe esserci un insegnante che insegna contro coscienza, secondo criteri che lui non condivide. Abbiamo creato quindi, con qualche modifica strappata in extremis per la prima volta in Italia la figura di un insegnante privo di libertà di insegnamento. Di fronte a questo, io, da radicale, cioè da uno che crede che la libertà e le regole come tutela della libertà siano fondamentali, ho sentito il dovere di insorgere e fare quanto potevo. In termini generali, come è stato detto dagli altri relatori, la cosa che distingue la scuola dovrebbe essere il rapporto educativo e il rapporto culturale. Come si fa ad immaginare un rapporto culturale e educativo che non sia fondato sulla libertà? In tanti altri luoghi forse si può rinunciare a qualcosa della libertà, ma nel rapporto culturale educativo, non c’è scuola, non c’è verità se non c’è libertà. Quello che abbiamo visto in questa battaglia sulle elementari, è da riproporre ad ogni livello della scuola italiana, fondata com'è nei suoi funzionamenti su tutto salvo che sulla logica della scuola. C’è una logica burocratica nella distribuzione, selezione, assunzione degli insegnanti oppure c'è una logica sindacale. La logica della scuola è invece quella di un luogo in cui gli insegnanti possano unirsi fra loro su progetti pedagogici comuni, sul confronto pedagogico-didattico, in cui gli studenti o le famiglie, a seconda delle età, possano anche scegliere. Qui il discorso sarebbe lunghissimo. Io voglio soltanto dire che questa è la cultura, l’obiettivo, i temi intorno a cui bisogna lavorare, spazzando via certi vecchi steccati. Il confronto fra laici e cattolici su scuola pubblica e scuola privata è un confronto vecchio, non esiste più perché non esiste più il grande problema su cui si è fondata la scuola laica, pubblica, di Stato, in Italia; creata nell’800 per liberare una società dall’egemonia clericale. Ormai i cattolici sono una minoranza intensa, una minoranza con un ruolo essenziale, e il pericolo di una clericalizzazione non c’è più. Quindi i vecchi schemi non hanno più senso, se mai c’è un problema vero. Nel momento in cui noi andassimo, come io spero, a creare libertà innanzi tutto nella scuola di Stato, a consentire nella scuola di Stato spazi di libertà di scelta, di aggregazione, secondo modelli e proposte culturali, il pericolo che c’è ed è il frutto della società di oggi e non di quella di ieri è la creazione di ghetti, di chiusure. In questa società in cui il fenomeno delle leghe è cosi forte, la tendenza è di rinchiudersi ognuno nel proprio ambito, fra gli uguali a sé. Io credo da vero democratico che la legge è legge, ormai è passata, e quindi deve essere applicata, ma c’è modo e modo di applicarla. Voglio sperare che l'attuale Ministro della Pubblica Istruzione la possa applicare in modo tale che i danni di questa riforma siano limitati al massimo. Concludo con questo appello a superare insieme certe contrapposizioni che non hanno senso per creare insieme le condizioni per cui la scuola in Italia possa essere finalmente non il luogo della burocrazia e del sindacato, ma il luogo della libertà. Grazie.

M. Dupuis:

Grazie al Senatore Strik Lievers. Ora vorrei che il professor Meroni ci aiutasse un po' a vedere, secondo l’esperienza sua, la nostra esperienza, l’esperienza anche del centro Diesse, cosa vuol, dire pluralismo, come è possibile pensare a delle riforme che non imprigionino il pluralismo, che non rendano un po’ ambiguo questo termine, e permettano alla libertà di potersi veramente esprimere che essere interlocutorio, perciò io farò delle osservazioni. Dirò subito che a noi dei Movimento Popolare, le ultime riforme hanno provocato una certa depressione. Le riforme della scuola italiana in genere sono deprimenti perché obbediscono al criterio del compromesso. In esse il pluralismo è inteso così: siamo tutti nello stesso tendone e siamo tutti liberi di studiare allo stesso modo, bisogna eliminare qualsiasi differenza. Perché questa uniformità, perché le riforme della scuola italiana partono e non fanno altro che trascinarsi per anni fino ad eliminare tutte le differenze, fino a raggiungere come ideale un’uniformità totale? Perché non esiste la possibilità della differenza? E' intervenuto un fatto molto grave in questi ultimi trenta anni, dagli anni ‘50 in poi. In questi ultimi trenta, quaranta anni, ricorda Del Noce, è avvenuto un fatto gravissimo: la distruzione completa di un’identificazione antropologica. Una volta c’era l’opposizione tra scuola di Stato e scuola cattolica: la scuola di Stato voleva l’educazione nazionale, la scuola cattolica voleva mantenere fermi i valori religiosi. C’erano due posizioni dal punto di vista umano, c'era ancora quello che si poteva chiamare - citato anche prima - un diritto naturale, una morale comune, un costume comune. Del Noce ci ha fatto vedere come in questi ultimi quaranta anni questo è stato distrutto e non è mai successo ad un livello di massa così vasto come in questi ultimi anni. Oggi si usa la parola pluralismo, che io proporrei d’ora in poi di usare con le pinze, come un relativismo morale, dove il criterio è l’individuo e tutti devono fare le stesse cose all’interno di un unico sistema. Questo pluralismo è cioè la ratifica del relativismo morale e dell’individualismo esasperato. Pensiamo alla riforma delle superiori, tanti di noi sono entrati nell’insegnamento mentre si stava discutendo la riforma e vanno in pensione mentre si sta discutendo quella delle superiori, mentre si sta cercando di eliminare, anno dopo anno e codicillo dopo codicillo, tutte quante le differenze fino ad assumere una specie di comune minimo denominatore, cosi minimo che diventa ferreo e in cui tutti devono stare e in cui non è possibile sviluppare niente. Ecco, noi ci stiamo battendo e ci battiamo sempre più ferocemente, perché a detta di Giussani è dieci volte peggiore oggi che non quarant’anni fa. Non possiamo star dentro a questo andamento della scuola italiana che ha come criterio supremo quello della neutralità, anzi della neutralizzazione delle differenze. Non ce la facciamo perché noi siamo un’altra cosa, siamo una storia diversa, non riusciamo a star dentro ad una gabbia legislativa perché questa storia scoppia da tutte le parti; non avremmo messo in piedi tutte le scuole libere che abbiamo messo su e sarà sempre più così. Perciò potremmo chiedere subito al Ministro che cosa pensa di queste riforme, che tali poi non sono, ma sono soltanto delle dilazioni all’Infinito.

 

G. Bianco:

Io voglio innanzi tutto ringraziare per questa golosa occasione che, come ho dichiarato poco prima alla stampa, mi dà l’opportunità di incontrarmi con tanti giovani e questo è naturalmente il tipo di rapporto che un Ministro della Pubblica Istruzione intende soprattutto rafforzare e definire. Vi renderete conto che in questi primi giorni di contatto con la problematica del Ministero - oggi sono forse al quindicesimo giorno di esperienza - mi è difficile poter percorrere tutto il curriculum scolastico della scuola italiana. E dico questo perché questa mattina mi sono dovuto occupare della prima applicazione della nuova legge delle scuole elementari. I sindacati mi hanno rinfacciato di aver dichiarato pubblicamente un fatto che avevo compiuto e che apparteneva alla mia coscienza di parlamentare, cioè di non aver votato a favore di questa legge. Io ho votato la prima volta contro e poi, dopo che è tornata dal Senato, mi sono astenuto. Allora non pensavo certo di diventare Ministro della Pubblica Istruzione, ho semplicemente utilizzato il voto secondo i miei convincimenti. A questo punto devo dimenticare il mio voto e devo applicarla, devo tentare di applicarla nel modo migliore. Naturalmente uno dei primi problemi è quello di fare, risorse permettendo, forti corsi di aggiornamento e mandare anche alcuni insegnanti volenterosi all’estero e quindi puntare sull’aggiornamento. La questione di fronte alla quale mi sono trovato e che mi porterà, con ogni probabilità, a non intendermi con i sindacati, è la seguente: se noi mettiamo subito degli insegnanti presi dalla graduatoria nazionale e li mettiamo immediatamente in ruolo, il risultato sarà che avremo nell’80% delle sedi un esubero ulteriore di insegnanti e dei vuoti nelle province dove mancano, con il risultato che aumenterà la cifra degli insegnanti in sostanza con stipendio, ma disoccupati, mentre rimarranno i vuoti dall’altra parte, perché la legge non ha creato una forma di raccordo. A questo punto ho chiesto di modulare prima i posti, secondo quello che la legge prevede, poi creare l’immissione in ruolo di questi insegnanti, e su questo e cominciata a scontrarsi la riforma. Con questo ho solo voluto farvi un esempio dell’intreccio di problemi e di questioni che mi trovo ad affrontare, a parte il discorso della vecchiezza del sistema scolastico. Ecco perché una delle mie prime preoccupazioni è stata quella di pregare l’ufficio legislativo di preparare una proposta di legge per cominciare ad ordinare in un Testo Unico le leggi della Pubblica Istruzione. Venendo alla prima domanda - cosa penso delle riforme - dico innanzi tutto che di riforme non se ne sono fatte, quindi ho poco da pensare. L’unica riforma che si è fatta è quella della scuola elementare, avete sentito come ho votato e nel mio voto c’è il mio pensiero. Il sistema scolastico italiano è carente di riforme, ci sono dei progetti di legge di fronte ai quali in un certo senso la classe politica si è come arresa, ha rinunciato anche a cose che devono essere affrontate con urgenza, basti pensare che noi dobbiamo allinearci alla Comunità Europea elevando l’età dell’obbligo. L’Italia è l’unico paese della Comunità (anche la Spagna ha realizzato questi provvedimenti), che non ha ancora una legge per l’obbligo, e il provvedimento fermo al Senato è un provvedimento che ancora adesso non raccoglie tutti i consensi. Tutto è bloccato per il contenuto della legge stessa, per il problema del biennio unico o differenziato collegato con la prosecuzione degli studi o collegato con gli sbocchi professionali, un problema delicatissimo che comunque va risolto. Non parliamo della riforma della scuola media superiore in cui, forse con saggezza, si è tentata la strada della sperimentazione. Ora però sta accadendo che la sperimentazione sta creando in Italia, caro professor Meroni, il pluralismo, ma il pluralismo della confusione. Io leggo dai rapporti degli ispettori situazioni assolutamente assurde. La sperimentazione ha finito per perdere il ruolo di esame avanzato di possibilità e di potenzialità che la scuola ha, è diventata una forma surrettizia per generare l’innovazione in mancanza di riforme di carattere generale, e naturalmente anche su questo bisognerà mettere ordine. C’è il problema della riforma della scuola media superiore, che, come sapete, per tre legislature sembrava arrivare in porto poi si è tornati sempre indietro e adesso c'è come una sorta di paralisi perché non si sa che strada imboccare. Qui c'è un problema di crescita culturale, forse anche di omogeneizzazione della nostra cultura alla cultura europea. Io personalmente sono convinto che mentre la cultura, cattolica con il Concilio Vaticano II si è resa conto dei grandi valori e della grande portata del pensiero laico, mi pare che un certo pensiero laico non si sia ancora reso conto del grande sviluppo che si è determinato nel campo della maturazione culturale e della consapevolezza del mondo cattolico, e su questo il confronto sarà aperto. A questo punto c’è anche la questione dell’esame di stato, che oggi è un sistema disincentivante per lo studio. Come è noto, l’esame di stato è una sperimentazione che esiste da ventuno anni, dal 1969 se non vado errato, e ogni anno sappiamo che questo esame peggiora ma allo stesso tempo non riusciamo a cambiarlo. In attesa della riforma io ritengo che ci siano attualmente, siccome molte istituzioni hanno già figura giuridica autonoma, le possibilità di esaltare gli aspetti dell’autonomia. Chiudo con una considerazione ancora di carattere generale: c’è da far maturare una cultura intorno alla scuola e c’è da far maturare, non soltanto nelle affermazioni retoriche, una coscienza da parte della scuola, un’eccessiva frattura fra il mondo della scuola e il contesto sociale. Le famiglie, un po’ sindacalisticamente, vedono la scuola come il luogo al quale strappare un diploma, e quindi l’insegnante come uno che nega un beneficio che è dovuto al loro figlio. In qualche misura quindi c’è un’azione da svolgere anche secondo i canali tradizionali. Come è noto, alla fine dell’anno ci dovranno essere delle elezioni e quindi è necessario che da questo punto di vista ci muoviamo. L’obiettivo che è scritto qui nel vostro documento e che non vi leggo, lo si raggiunge soltanto se c'è una cultura che cresce, se cresce una cultura diciamo forte, e soprattutto se si prende la coscienza che non ci sono scuole di diverso tipo, ma che tutta la scuola svolge un servizio pubblico, questo è il primo concetto. Mentre venivo, dicevo all’amico che mi accompagnava che per esempio in Italia la cosiddetta scuola privata è gestita per circa il 51,52% da religiosi, il 49% tenuta dai privati. Qui una riflessione va fatta, perché credo che quella dei religiosi abbia all'80% una sua finalità più alta; l’altra, quella dei privati, rientra nella logica del facilismo, del diploma che deve essere concesso e quindi occorre fare attenzione. Alla domanda che faceva Meroni io rispondo in questi termini: certo bisogna fare esprimere la società e la scuola che è la sua più diretta espressione in modo pluralistico, ma bisogna anche garantire gli standard, bisogna anche garantire il livello della cultura, bisogna anche che ci sia un quadro. C’è bisogno di creare la saldatura fra la spinta al movimento, all’innovazione, al pluralismo, ma anche la spinta a dare alla scuola, se mi consentite, quella stabilità e quella sodezza che ne garantisce la forza. Noi dobbiamo far uscire dalla scuola i giovani con una piena formazione umana e critica su cose essenziali, perché così possano affrontare la vita.

M. Dupuis:

Grazie al Ministro della Pubblica Istruzione. Abbiamo ancora un po’ di tempo e riusciamo a fare qualche altra battuta. Torniamo per un attimo allo scenario europeo, non dimenticando tra l’altro che il Ministro della Pubblica Istruzione attualmente è anche Ministro di turno della Pubblica Istruzione dei Paesi della CEE, avendo l’Italia la presidenza di turno. Vorrei, molto brevemente, che Alfred Fernandez dicesse i rapporti che L’OIDEL ha creato con i Paesi dell’Est europeo, dove c’è una crescente domanda di libertà nelle scuole.

 

A Fernaandez:

Effettivamente noi organizziamo ad Ottobre un simposio dedicato alla libertà di insegnamento e democrazia nei Paesi dell’Europa dell’Est e abbiamo preso parecchi contatti con persone di questi Paesi in cui sono molto preoccupati dalla qualità della scuola. Per esempio, in Polonia, genitori e insegnanti hanno costituito da due anni a questa parte sessanta scuole e il movimento oggi conta seimila membri, quindi c’è un fabbisogno notevole a livello sociale nell’Est europeo di questo sviluppo della libertà di insegnamento. Parecchie persone mi hanno detto che per loro costituiva il miglior modo di consolidare la democrazia nel proprio Paese e questo costituisce il migliore esempio del rapporto che può esistere tra libertà e democrazia, riprova ne è il fatto che in quei Paesi la libertà di insegnamento sia stata perseguitata in modo veramente accanito.

M. Dupuis:

Allora, se questa domanda di libertà sta prendendo non solo i Paesi dell’Europa dell’Ovest, ma come ha detto adesso Fernandez, anche i Paesi dell’Europa dell’Est, io chiedo al Ministro della Pubblica Istruzione in quale misura questa testimonianza di libertà può essere uno stimolo per la nostra situazione italiana. Lei pensa, signor Ministro, che questa strada dell’Europa sia una strada utile anche per il nostro Paese? In che misura abbiamo da imparare da Stati come l’Olanda, il Belgio, la Danimarca o l’Inghilterra, che in fatto di libertà, cioè di presenza della società reale all’interno della scuola, mi pare abbiano da insegnarci qualcosa?

G. Bianco:

Io penso che la risposta sia già stata data da te. E’ fuori discussione che non possiamo che muoverci verso un concerto sempre maggiore, ma ci sono problemi di contenuto, quello ad esempio del riconoscimento reciproco tra i vari Paesi del titolo di studio Mi pare che non ci possano essere dubbi che la Comunità Europea, che sempre più si muove per diventare una grande Comunità integrata, purtroppo perfino sotto il profilo delle politiche di difesa, debba, sul piano del sistema scolastico muoversi in maniera sempre più integrata. Sia ben chiaro però che ogni Paese, per esempio l’Inghilterra, oppure i Paesi dove ci sono stati forti conflitti religiosi come l’Olanda e il Belgio, ha avuto dei percorsi particolari. In Italia c’è stato un altro tipo di strada e credo che questa cultura debba crescere. Ma, a mio avviso, mettendo la barra con direzione Europa, alcune conquiste si potranno ottenere.

M. Dupuis:

Mi pare che nel modo in cui abbiamo costruito questo incontro e poi con la presenza del Ministro della Pubblica Istruzione, abbiamo preso maggiormente consapevolezza di una battaglia che ci aspetta, di un lavoro, di un compito pieno di ragioni grandi, perché ne va di mezzo l’umanità nostra, l’umanità dei nostri figli, l’umanità di tutte le persone. E importante percepire una cosa, che la libertà di insegnamento prima che essere un valore da difendere, un valore da promuovere, è un’esigenza della persona, e come tale, non c’è nessuna situazione, per quanto pungente o mortificante, che possa imprigionare far morire la voglia della persona di esprimersi. Più sapremo esser liberi, avere un’identità, avere -una proposta in una situazione ancora mortificante, come quella in cui viviamo, più avremo la forza, l’energia e le ragioni per chiedere la libertà. Per questo con il passare degli anni abbiamo sempre più energia, non perché abbiamo elaborato un progetto politico e questo si sta realizzando, anzi, se non stiamo attenti, si sta sempre più allontanando, come abbiamo visto con la riforma delle elementari. Eppure la nostra vivacità, la nostra voglia di libertà, cresce perché non è dagli spazi della politica che noi impariamo a vivere, impariamo a vivere in forza di una grande esperienza e di un grande ideale che ci permette di incontrare chiunque, di essere compagni di battaglia con gli amici spagnoli, di vedere subito con simpatia un ministro che capisce questo problema e si mette al lavoro nella fucina ministeriale di queste cose, ci permette di lavorare insieme ad altri movimenti, di incontrare uomini di un’altra cultura, come quella che ci è stata testimoniata dal senatore Strik Livers. Alla base di tutto c’è un’esperienza umana vivibile da subito, che non aspetta la politica per potersi realizzare, ma proprio perché c'è, chiede libertà per potersi esprimere, sapendo che chiede una cosa talmente elementare che, se fosse attuata, tutti gli uomini ne avrebbero giovamento. Ringraziamo il Ministro per aver scelto come sua prima uscita pubblica, credo, quella del Meeting di Rimini, di essere stato tra noi anche se il tempo è stato tiranno, e tengo a dire che è stato presente tra noi anche l’Onorevole Portatadino, Vicepresidente della Commissione Istruzione alla Camera.