Testimonianze dalla Polonia

Lunedì 23, ore 18.30

Relatori:

Hanna Suchocka,

Ministro della Giustizia della Repubblica di Polonia

Jan Adamowicz,

Responsabile di "Ut Unum Sint"
in Polonia

Andrzej Malyga,

Direttore di "Ut Unum Sint"
di Wroclaw

Suchocka: Essendo politico e Ministro, vorrei dare una testimonianza della Polonia in quanto rappresentante dello Stato. È una occasione veramente particolare: quest’anno infatti ricorrono dieci anni dalla caduta del comunismo. Vorrei dare una testimonianza del tutto personale, perché sono stata coinvolta in questo cambiamento politico dagli inizi, sebbene talora sembri difficile credere in tutto ciò che è accaduto. Basti pensare che dieci anni fa l’inflazione, guardando il livello economico, saliva al 600%, invece quest’anno è del 6%. Questa è la misura di questi dieci anni di cambiamento.

Personalmente ricordo ancora l’entusiasmo che ci accompagnava dieci anni fa durante le prime elezioni libere: in quel periodo veramente credevamo e pensavamo che era giunto il momento di riprendere tutta la tradizione europea, come tradizione democratica e come tradizione di valori. La Polonia da sempre, dai suoi inizi, era profondamente radicata nella cultura europea, per cui mai potevamo essere d’accordo con tutto quello che succedeva negli anni precedenti del comunismo. Per questo, mentre ci preparavamo alle nostre prime votazioni politiche libere, quello che ci interessava di più era la libertà: la libertà della persona, la libertà della parola, la libertà politica.

Abbiamo cominciato a realizzare questo programma di libertà dal primo incontro del Parlamento, nel luglio 1989. Le votazioni di dieci anni fa si sono svolte all’interno di un contratto politico con il vecchio regime: secondo questo contratto, si pensava di mantenere in qualche maniera il socialismo, magari riformato sotto certi aspetti. Invece ciò che veramente ha rotto con il passato, con il vecchio regime, è stata l’elezione a Primo Ministro di un candidato libero democratico, Taddeus Mazowiecki. Questa elezione ha chiuso il rapporto e le trattative con i comunisti, e ha aperto la strada verso una vera democratizzazione. Oggi ci sembra quasi impossibile pensare che sia stato chiamato alla carica di Primo Ministro nei paesi dell’Europa dell’Est un politico non comunista; per questo, i dieci anni che sono passati sono una buona occasione per tentare una riflessione su quello che è cambiato in Polonia.

La convinzione della gente in Polonia è che i cambiamenti avvenuti in questi dieci anni sono stati da sempre desiderati, aspettati, e che è accaduto proprio quello che era intensamente desiderato. Uno dei desideri principali della gente polacca era proprio quello di formare una società civile non ideologica, di creare una società non statalista, ma libera: "più società meno Stato". Lo Stato non può pretendere di organizzare la vita della nazione, del popolo, compresa la vita personale, come invece avveniva durante il comunismo. Desideravamo creare una società, uno Stato, che permettesse ai cittadini di prendere nelle proprie mani quella consistente parte della loro vita fino ad allora gestita dal potere.

In questi dieci anni sono nati tantissimi organismi non governativi, ed è avvenuto ciò che si potrebbe chiamare "stare in piedi" invece che in testa. Nei tempi del comunismo infatti governava il centralismo totale, e per la base non rimaneva quasi nulla da gestire. Invece adesso, specialmente dopo l’ultima riforma, le società locali prendono nelle proprie mani ciò che interessa loro. Uno dei principi del governo di oggi è proprio il principio di sussidiarietà, ben noto dall’insegnamento sociale della Chiesa. Questo principio è stato fondamentale per rinnovare e per ricreare la concezione dello Stato, del governo, della organizzazione politica.

La Polonia sta ritornando alle proprie radici, che da sempre la legavano all’Europa cristiana. Naturalmente i cambiamenti portano frutti non solo positivi ma quelli negativi, tra cui il problema della disoccupazione, molto doloroso, che è al livello dell’11%. In realtà questo 11% è un livello europeo: tuttavia, in Polonia la disoccupazione è un problema doloroso perché tocca le persone concrete, e soprattutto coloro che hanno dato il proprio contributo reale nel cambiamento. Queste persone finiscono per sentirsi smarrite o addirittura abbandonatae.

È appunto su questo problema che entrano in campo le varie organizzazioni non governative: per risolvere gli aspetti negativi del cambiamento c’è bisogno che queste società entrino in stretta collaborazione con lo Stato che si sta formando.

Adamowicz: C’è una parola che mi colpisce e che mi ha colpito negli anni passati, soprattutto nel 1984: la parola "vita". Dentro questa parola ci sono tante altre parole come felicità, bontà, gratitudine, verità. Ho ritrovato questa parola in tutto il suo significato e in tutta la ricchezza nel momento in cui io ho incontrato il movimento di Comunione e Liberazione.

Il mese successivo al mio incontro con Comunione e Liberazione, con alcuni amici abbiamo organizzato un gesto di caritativa in occasione di san Nicolò: andare nelle famiglie poverissime. Incontrandole non abbiamo visto ciò che ho descritto prima, cioè né la felicità, né la verità, né la bontà, né la gratitudine. Abbiamo invece incontrato grandissimi problemi ai quali non potevamo rispondere. Abbiamo visto una miseria di fronte alla quale ci sentivamo incapaci. Noi che portavamo pacchi ai bambini poveri cominciavamo a sentire cosa è la verità, la gratitudine, la felicità. Questo ci ha fatto porre di fronte alla domanda "cosa ci tocca fare adesso?". Noi da soli ci sentivamo allo stesso tempo incapaci – c’era ancora il comunismo – e poveri: tuttavia, ci siamo detti che volevamo continuare quel gesto. Così abbiamo cominciato ad incontrare questi amici, questi bambini poveri, all’inizio una volta al mese, poi ogni due settimane, poi ogni domenica. Proseguendo con questo gesto ci diventava sempre più chiaro che tutti abbiamo lo stesso bisogno: avere un luogo amichevole, un luogo che ci accoglie, un luogo di amore.

Due anni dopo, abbiamo rischiato di fare la prima vacanza con questi bambini: ne abbiamo portati trenta, l’anno dopo quaranta e così via. Non eravamo nessuna organizzazione, non avevamo i mezzi, eravamo e basta. Nel 1987 ho invitato a questa vacanza una famiglia, papà, mamma con due bambini. Dopo una settimana di vacanza vissuta insieme il papà di questa famiglia poverissima in macchina piangeva dicendo: "Ma la vita veramente può essere bella?". Gli ho risposto: "Sì la vita può essere bella e sarà bella solamente ad una condizione, se rimaniamo insieme". È successo invece che due mesi fa uno dei suoi figli si è suicidato in una situazione molto drammatica. Conservo una foto, risalente a tre anni, di questo ragazzo, che oggi avrebbe avuto diciassette anni: nella foto si appoggia alla mia spalla. Con certezza dico che se questo ragazzo fosse rimasto appoggiato con la sua testa sul mio braccio debole, sarebbe vivo e potrebbe essere felice come era felice suo papà anni fa quando tornavamo da quella vacanza.

La Fondazione a cui appartengo è stata registrata nel 1990, dopo anni e anni di una amicizia normale, quasi banale che toccava la quotidianità. Proseguendo, i problemi crescevano perché se io personalmente mi interesso della mia vita, di tutta la mia vita, in modo naturale cominciavo anche ad interessarmi della vita di ciascuno che incontravo. Questo vuol dire, per esempio, che quando due anni fa in Polonia c’è stata una terribile alluvione, per il fatto di essere interessato della mia vita e della vita della gente che avevo a fianco, mi sono subito impegnato non solo nell’aiutare ma proprio nell’essere un luogo di speranza per la gente toccata dall’alluvione.

Malyga: Sono stato colpito personalmente dall’alluvione, poiché abito in una città, Wroclaw, che è stata travolta dall’alluvione: il quartiere dove abito con la mia famiglia non è stato toccato dall’alluvione, e quindi avrei potuto impegnarmi in qualche modo per aiutare il resto della popolazione. Tuttavia, mi sentivo incapace, perché non avevo la macchina, perché non sapevo come raggiungere le persone sotto l’acqua… questa incapacità è stata rotta dalla telefonata di Jan. Mi ha colpito, perché la prima cosa che mi ha chiesto è stata: "Come stai? Come sta la tua famiglia? Cosa vi è successo?". Dopo mi ha chiesto come era la situazione a Wroclaw.

Lo stesso giorno mi sono mosso con i nostri amici per aiutare la gente, che aveva bisogno di tutto, dell’acqua da bere, dei viveri, di tutto il necessario per vivere. Tanta gente era isolata dall’acqua, per cui con un gommone li raggiungevamo portando viveri, acqua, medicinali. Eravamo molto colpiti dalle facce di queste persone che aspettava aiuto, facce stravolte, facce disperate, che vivevano la paura di quello che sarebbe successo. Ma non vorrei soffermarmi sul significato dell’aiuto che potevamo dare; ciò che vorrei sottolineare è invece il senso di quello che stavamo facendo, il senso a cui ci richiamava sempre Jan sia nel contatto telefonico che nel contatto personale. Questo senso era il senso della nostra unità. Cercavamo di vivere questa unità tra di noi non solo come una unità spirituale, ma proprio come una unità concreta, fisica. Jan diceva che questa nostra lotta contro l’alluvione era come un muoversi del corpo umano, e un corpo umano può funzionare quando è tutto unito.

Questo senso è diventato chiaro per i miei giovanissimi ragazzi giessini: impegnandosi nei vari gesti d’aiuto, man mano si rendevano conto della grandezza del dono di unità che ci legava e che ci è stato donato. Questa esperienza ancora una volta ci ha fatto capire la grandezza del dono della compagnia del movimento: l’uomo solitario si perde facilmente, l’uomo solitario verrà immediatamente vinto e distrutto dalle circostanze sfortunate. La compagnia, appartenere agli amici, ci fa stare davanti alle situazioni più disperate, più difficili che possano accadere.

Da questo deriva il nome della nostra fondazione, che sono le parole di Gesù: "Ut unum sint": che siano una cosa sola. Ognuno di noi ha bisogno di una certa stabilità, di mettere a posto le sue cose, di organizzare le sue cose, ma questo non basta per essere felice, perché per essere felice ciascuno di noi deve incontrare una presenza che è permanente, che è eterna, e questa presenza c’è e si chiama Gesù Cristo. È soltanto questa presenza che può affrontare tutti i bisogni dell’uomo. Quando la gente ci chiede "Qual è il programma della vostra fondazione?, noi rispondiamo che quello ci interessa di più è far incontrare una mamma, un bambino, una famiglia con Gesù Cristo. Perché solo Gesù Cristo può affrontare ogni problema dell’uomo e dargli la felicità.