Mercoledì 27 Agosto, ore 15

CHAGALL MONUMENTALE

Incontro con

Sylvie Forestier,

Conservatrice del Museo di Chagall a Nizza, curatrice della mostra.

Brigitte e Charles Les Marq,

maestri vetrai che hanno curato la realizzazione delle vetrate di Chagall.

S. Forestier:

Credo che il maestro, questo grande artista che fu Marc Chagall, sarebbe lui stesso stato felice e commosso di essere qui fra di voi. Quando mi è stato spiegato qual era lo spirito del Meeting di Rimini mi è sembrato giusto proporre in questo luogo il senso profondo di tutta l'avventura artistica, sia plastica sia spirituale, di Marc Chagall. Abbiamo pensato anzitutto agli ultimi lavori di Marc Chagall nell'ordine monumentale: e due opere essenzialmente avevano un significato peculiare in questo ambito: da una parte l'opera di cui avete una riproduzione fotografica molto ben realizzata, la vetrata della Cappella dei Cordellier della città di Charbot, nella Mosella, in Francia, che ha due denominazioni: l'albero della vita e la pace. La pace è forse la vita stessa e l'albero della vita non può fiorire se non nella pace. Questo tema Chagall lo ha ripreso più volte. Lo aveva già trattato per la grande vetrata delle Nazioni Unite a New York. Chagall ha incontrato l'ordine che io chiamo monumentale, relativamente tardi nella sua vita artistica e questo incontro fu come un punto d'arrivo inerente alla natura stessa della pittura, che tenta di andare, progressivamente, oltre la frontiera stessa del quadro. D'altra parte devo anche spiegare ciò che fu un duplice scatto in questo compimento della pittura artistica di Chagall, che lo porterà fino alle grandi realizzazioni della vetrata e anche del mosaico. Forse fu anzitutto, Franz Meiller lo ricorda, una visita alla cattedrale di Chartres che creò un’emozione in Chagall. Il secondo scatto, più esattamente l'altro incontro, è stato con il padre Marie La Cuturier, un domenicano che ebbe in Francia un ruolo decisivo nel rinnovellare, per così dire, l'arte sacra. Chagall, dopo alcuni tentennamenti accettò e realizzò per questo Battistero un pannello in ceramica murale, che si chiama Il passaggio del Mar Rosso, e che Chagall dedicò, e lo cito, alla libertà di tutte le religioni. Creò due bassorilievi di marmo ed infine fece le sue prime due vetrate che rappresentano due angeli complementari, uno col volto più femminile, l'altro forse più mascolino, come se attraverso la duplice immagine angelica, Chagall intendesse ritrovare uno dei suoi maggiori temi di fondo, mitici, il tema della coppia, o meglio la complementarità del principio femminile e del principio maschile. Questi angeli non sono molto colorati, sono grigi, ma la loro bellezza, il loro movimento, che rivela come un volo che viene dal cielo fin sulla terra degli uomini, ne fanno due capolavori. Poi Chagall viene sollecitato per le vetrate della Cattedrale di Metz, Sant'Etienne, che era stata distrutta dalla guerra: con questo suo lavoro accanito incomincia a prendere forma il suo destino di artista monumentale. Chagall ha un altro incontro, che io ritengo fondamentale: si tratta dei maestri vetrai, di coloro che saranno a servizio del suo pensiero, del suo genio, in una comunione, una comunicazione artistica di tale profondità e interiorità che, attraverso il messaggio inizia il grande dialogo. Credo sia giunto per voi il momento di sentire la voce di Brigitte e di Charles Les Marq: i quali, più di chiunque, hanno conosciuto - e intendo parlare di una conoscenza non solo intellettuale, ma che è comprensione, emozione della affettività - Marc Chagall.

C. Les Marq:

E’ sempre difficile parlare d'arte, soprattutto dell'arte plastica, poiché gli uomini hanno inventato la pittura appunto per non dover parlare. Non parlerò molto delle vetrate, ma dato che Brigitte ed io abbiamo avuto questa gioia, perché Chagall è stato un uomo buono, divertente, profondo anche, e soprattutto un grande visionario, vorrei cercare qui con voi certi ricordi nel nostro lavoro con un artista dall'immaginazione rara nel XX secolo, biblica, religiosa, quindi figurativa, e che nel contempo rimane innovativa su tutti i piani. Quando abbiamo cominciato a lavorare con Chagall, veniva nel nostro atelier, poi andava a dormire in albergo, dopo 12,13 ore di lavoro. Aveva 70 anni, e forse amava questa separazione che ci permetteva di ritrovarci un po' più freschi dopo. Chagall diceva sempre: "Charles, a domani alle 8". E’ dato che era il maestro, io arrivavo alle 8 meno 10, e Chagall stava già camminando sul marciapiede, aspettandomi. L'indomani mi diceva: "Charles, ci vediamo alle 8", io arrivavo alle 8 meno un quarto, e Chagall sempre sul marciapiede a camminare, allora gli dicevo: "Maestro, possiamo cominciare prima domattina, se lei vuole", "No, no, alle otto". Allora io arrivavo alle otto meno venti e lo trovavo. Racconto questo aneddoto perché è il prologo di una intera giornata di lavoro con lui, ciò che ho imparato molto in fretta da quell'uomo, che impressionava col suo lato visionario, è che ci vuole una certa follia nel lavoro, e alle 8 cominciava la follia di Marc Chagall. Io ero però un po' come il regista, avevo lo spartito e cercavo di interpretarlo al meglio. Ma lui era il compositore, e si trovava di fronte ad un'opera dieci volte più imponente, davanti ad un materiale, ad uno spazio nuovo (…). Possedeva questo dono di provocare, perché pretendeva che non si copiasse mai. Grazie a lui eravamo nella tradizione della grande arte monumentale. In ogni momento della realizzazione dell'opera, la vetrata, un affresco, un mosaico, ogni artista, ogni artigiano deve sempre dare l'intera sua vita, tutta la sua immagine, per far sì che l'opera del maestro possa svilupparsi sempre oltre. E, devo dirlo, lui stesso mi ha insegnato ad avere sempre più fiducia negli artigiani dell'atelier, quelli che lavoravano attorno a me e con me (…). Chagall, che era un grandissimo artista, pensava a ragione - e la cosa gli costava intere notti di insonnia - che ogni tanto un quadro gli veniva bene (…). Per Chagall non c'erano frontiere fra l'arte e l'artigianato. Era egli stesso un ottimo artigiano. Lo ha scritto anche, chiamava i materiali come un talismano, amava la materia, in questo caso la luce: per questo si è avvicinato alla vetrata, un'arte dove la luce non è riflessa sull'oggetto, bensì lo attraversa, egli era affascinato da ciò. E, per concludere, mi riferirò ad una parola di Chagall, amore. Io l'amavo e lui mi amava.

S. Forestier:

C'è una necessità interiore nella pittura di Chagall, che lo porta dalle prime sue opere, relativamente modeste, verso dimensioni sempre più ampie. E’ un appello che qualsiasi pittore prova nell'animo. E Chagall certo non è sfuggito a questa legge. Non credo che la pittura per Chagall fosse un semplice piacere, non credo che egli vedesse la pittura unicamente come un insieme di colori in un certo ordine, credo che per Chagall la pittura fosse un modo dell'essere, dipingere diventava una vitale necessità: quindi l'opera, il quadro, è portatore di senso e questo senso trova la propria carne nella pittura che diventa a sua volta essere vivente, e non puro oggetto di piacere (…).