Realismo e testimonianza:
l’eredità di Régine Pernoud

In collaborazione con Piero Gribaudi Editore

Martedì 24, ore 15.00

Relatori:

Marco Respinti,
Direttore Responsabile del Mensile "Percorsi di politica, cultura,
economia"

Marco Tangheroni,
Direttore del Dipartimento di Medievistica presso l’Università degli Studi di Pisa

Luigi Negri,
Docente di Antropologia Teologica

presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

 

Moderatore:

Raffaello Vignali

Vignali: "La mia esistenza è stata plasmata da incontri. Certe persone sono state luci sul mio cammino. Poco importa l’epoca storica in cui sono vissuta. È forse un privilegio dello storico quello di poter familiarizzare con chi è vissuto nel passato, riuscendo addirittura a fare amicizia tanto gliel’ha reso intimo e vivo lo studio approfondito dedicatogli. Con Giovanna d’Arco ho avuto un vero e proprio colpo di fulmine: eppure l’ho incontrata malgrado me stessa". Questa è la testimonianza di Régine Pernoud.

Respinti: Il poeta e filosofo inglese Coleridge ha scritto, quasi due secoli fa, che l’Illuminismo, periodo sedicente colmo di luci, fu in realtà molto più carico e pregno di ombre che non di lumi. Nella misura in cui l’Illuminismo, da un certo punto di vista, non è ancora finito, nella misura in cui ancora proietta la sua ombra – non è un gioco di parole –, questa oscurità permane molto impenetrabile. Il Medioevo è sicuramente una delle creazioni di questa oscurità illuministica, sia nel termine Medioevo, come se fosse un periodo da mettere tra parentesi, sia nella descrizione dei contenuti che lo hanno animato.

Il Medioevo, come qualcuno ha scritto, era una realtà fatta da uomini che non pensavano affatto di mettersi a costruire una civiltà, non era il loro scopo primario. Il loro scopo primario, da uomini carichi di limiti, nel bene e nel male, era semplicemente quello di cercare di prendere sul serio la rivelazione di Cristo, e di vivere di conseguenza. Non volendo creare una civiltà, di fatto hanno reso possibile una civiltà a misura d’uomo.

Régine Pernoud, insieme ad altri, ha avuto il merito storico di togliere la coltre di oscurità dal Medioevo. Tutta la sua opera, sin dal primo libro del 1944, sembra girare attorno ad un concetto e a un termine: luce. La storia che amava studiare e la sua stessa storia personale era continuamente intessuta da una luce, una luce persistente. Nella sua ultima opera finì per chiamare questa luce "Luce", riferendosi in qualche modo alla luce di Dio.

Tangheroni: Sollecitando un piccolo editore, feci conoscere per la prima volta in Italia Régine Pernoud, attraverso la traduzione di Luce del Medioevo. Solo a fatica, successivamente, la storica francese è diventata un’autrice ben nota al pubblico italiano, grazie a editori italiani di un certo calibro, come Rusconi e Rizzoli.

L’egemonia sul Medioevo, negli anni Settanta, era esercitata sostanzialmente da due case editrici, Einaudi e Il Mulino. Era molto difficile trovare, per chi non si sentisse a suo agio nella cultura dominante, una vera alternativa. Oggi domina il pensiero debole, il relativismo etico; a quel tempo invece dominava la cultura marxista. Conoscevo Régine Pernoud come studiosa del commercio di Marsiglia perché la mia specialità era la storia del commercio. Era una studiosa che aveva una chiarissima confidenza con le fonti, sia documentarie che narrative, del Medioevo: questo le dava una straordinaria solidità. Quando un amico, Giovanni Cantoni, mi pregò di farmi iniziatore di questa traduzione in italiano e fare anche una prefazione, a me, allora giovane, che di professione facevo lo storico medievale, questo libro rivelò il senso di ciò che io facevo. Per fare un semplice esempio: il libro Luce del Medioevo si chiudeva con alcune pagine di dizionario sul Medioevo che demolivano i luoghi comuni in maniera molto incisiva e molto divertente.

La Pernoud si è impegnata costantemente nel combattere il "secolare pregiudizio" che grava sul Medioevo. Chiunque potrebbe fare un esperimento: per una settimana seguire i quotidiani e i settimanali e mettere da parte, in un piccolo archivio, ritagli di articoli in cui compaiono l’aggettivo medievale o il sostantivo Medioevo. Si potrà costatare che il significato è sempre negativo. Tanti colleghi delle scuole spesso limitano il loro insegnamento sul Medioevo, che troverà con la riforma della scuola in atto ancora minori spazi, alla visione del film Il nome della rosa. Si tratta purtroppo di un film banale e ricco di errori. Basti pensare che in una scena Riccardo, vedendo arrivare l’abate, nasconde un’invenzione: gli occhiali.

A questo Medioevo di cartapesta, fatto di immagini e luoghi comuni, si potrebbe opporre il Medioevo che è nel marmo della cattedrale di Pisa. Se con un binocolo si fissa la facciata, nella parte superiore, si potrà leggere l’epigrafe in onore di Buscheto, il primo architetto di questa meravigliosa Chiesa. L’epigrafe, della fine del XI secolo, loda l’architetto per aver costruito una Chiesa di bianco marmo più bella di quella dei romani. Ma non finisce qui: il complimento più grande riguarda l’invenzione di macchine grazie alle quali il lavoro che prima dovevano fare migliaia di buoi può essere fatto da una decina di ragazzi: trasporto e posa in opera di enormi colonne monolitiche del peso di 15 tonnellate. Questa è la realtà, non la finzione.

Rispetto all’inizio degli anni Settanta, il Medioevo gode oggi di una diversa audience. Il rischio è quello che a una leggenda nera si sia sostituita una leggenda rosa. L’Italia d’estate è piena, come mai negli anni scorsi, di piccoli paesi medioevali, cittadine medioevali, che organizzano cortei storici, rievocazioni ambientate nel Medioevo. Un fenomeno che i sociologi dovrebbero esaminare soprattutto perché, accanto a queste rivisitazioni, la leggenda nera, nonostante tutto, continua a resistere, perché ha radici profonde. Ha radici nell’Umanesimo non cristiano, radici che si sono dilatate con la riforma protestante, secondo la quale il Medioevo, epoca del trionfo della Chiesa, rappresenta di per sé il trionfo dell’Anticristo. Il massimo sviluppo della leggenda nera avviene in età illuministica e dal momento che noi viviamo in una cultura fortemente neo-illuminista, vi è ancora ostilità nei confronti del Medioevo. Ecco perché la leggenda nera, nonostante i progressi della conoscenza storica che sono stati notevoli soprattutto negli ultimi decenni, resiste. Per fortuna, la gente sente anche il bisogno di riallacciarsi, di ritrovare un’identità precisa, ed ecco perché i libri di Régine Pernoud hanno avuto e hanno, nonostante il silenzio della cultura ufficiale, un largo successo.

Il silenzio della cultura accademica è generalizzato ed è legato all’ostilità per la divulgazione storica: in Italia la maggioranza degli storici scrive per i suoi 25 colleghi ed è interessata soprattutto al giudizio di questi colleghi. E quando qualche collega, come Franco Cardini, ha successo, scrivendo libri di divulgazione, viene bollato in modo negativo. In Francia la situazione è diversa, perché anche i grandi accademici come Le Goff e Duby, sono stati spesso in testa alle graduatorie del best seller e, una volta fatte le loro prove giovanili di erudizione, hanno spesso pensato al vasto pubblico. Il lettore bisognoso di storia si rifugia in Italia nelle proposte insufficienti, superficiali, aneddotiche come i testi di Indro Montanelli. Vi è anche un’altra ragione del silenzio accademico: l’ostilità latente e occulta alla valorizzazione del Medioevo in senso positivo e al connotato cristiano del Medioevo.

Un’ultima annotazione. L’università italiana sta per cambiare attraverso l’introduzione di una formula europea: tre anni di studi generali, tanto generali da farli assomigliare ad un liceo, ai quali vanno aggiunti due anni di specializzazione. Nei così detti "Decreti d’area", non ancora in vigore ma già formulati dalla commissione ministeriale, non esiste un percorso storico medioevale. Sarà impossibile, se questi decreti passano, laurearsi in storia medioevale: si studierà l’alto Medioevo insieme alla storia dell’Impero romano, e si studierà il basso Medioevo insieme alla storia moderna. Anche in questo modo, per via amministrativa, si rischia di eliminare il Medioevo. Bisogna difendere questo periodo non perché rappresenta la civiltà cristiana, ma perché rappresenta una delle civiltà cristiane.

Negri: L’eredità non può essere un particolare, neanche una somma di particolari per quanto intensi o appassionanti. L’eredità è sempre un valore universale e l’unico valore che possiede questa caratteristica è la fede: questo è il tesoro di Régine Pernoud. La metafora della luce, che la storica ha sempre utilizzato, rappresenta la ricerca del senso della vita. La ricerca del senso della vita ha a che fare con la ricerca sul Medioevo, come ha a che fare col mangiare e col bere, col vegliare o col dormire. L’uomo diventa cristiano perché riconosce che questa luce è una presenza che entra nello spazio del cuore e dell’esistenza col volto di Gesù Cristo e col volto della Chiesa. Régine Pernoud ha accettato e ha saputo amare la Chiesa perché innanzitutto l’ha riconosciuta nel Medioevo, prima ancora che nella situazione concreta in cui è vissuta.

Noi, quindi, riceviamo da lei l’amore alla luce. Nella bellissima prima pagina di Luce del Medioevo, straordinario libro che io stesso ritrovai tanti anni fa in una misera biblioteca milanese, racconta che da piccola, in vacanza con la sua famiglia, fu spettatrice della caduta delle stelle. Quel movimento della vita la spinse ad amare la luce che si rivela, amare il Mistero anche quando è enigmatico, anche quando è ancora lontano, e ad amare soprattutto quando da questa lontananza e da questa incombenza il Mistero si fa compagnia della vita, compagnia nel mistero di Cristo e nel mistero della Chiesa. La luce, amata nel chiaroscuro dell’attesa o riconosciuta nell’evidenza della presenza, è ciò che illumina tutti gli aspetti della vita. L’amore alla luce ha reso la Pernoud appassionata alla verità del Medioevo e alla storia della borghesia francese, ma prima di tutto al grande compito di correzione dei pregiudizi secolari.

Come lei stessa affermava, la luce esiste perché così ha voluto Dio; Dio tutto in tutti, nell’ordine misterioso e sovrano, lega in modo misterioso tutte le cose della vita al cosmo. Per questo motivo occorre imparare la fede come ricerca del vero, accettare il vero in Cristo, ricevendo un compito: ci si deve battere. La vita cristiana, infatti, è una missione. La testimonianza della verità della luce in tutte le cose, in tutti gli aspetti dell’esistenza, è comune ai grandi storici, agli studiosi, agli scienziati, ai filosofi, ai teologi; comune anche a mia madre, che aveva fatto la quinta elementare ma combatteva questa battaglia per la luce con forza, energia, purezza. Da Régine Pernoud dobbiamo imparare la missione: lei l’ha vissuta in aspetti specifici della vita, come noi siamo chiamati a viverla in tutte le circostanze della vita perché, quali che siano, diventino significative del Mistero e introduttive a Cristo. Riceviamo dunque un’eredità di fede, riceviamo un’eredità di missione e la caratteristica di questa eredità di missione è la testimonianza. Quella testimonianza che Giovanni Paolo II, parlando in tutt’altro contesto, chiamava capacità di incontrare, di conoscere e di valorizzare. Noi riceviamo una missione che è la capacità di testimoniare davanti ad ogni uomo la verità che è Cristo; e nella testimonianza della verità che è Cristo, riceviamo il compito d’incontrare chiunque, di saper colloquiare con chiunque, di saper valorizzare l’aspetto di positività che c’è in ogni esperienza. Non esiste missione che non diventi ecumenismo: straordinaria capacità d’incontrare e di valorizzare.