Taiwan:

testimonianze di una amicizia

Marted

26, ore 11.30

Relatori: Storia Italiana del XX Secolo Chiara Piccinini,

Sua Ecc. Mons. Joseph Ti-Kang, presso l’Università Cattolica Studentessa Universitaria

Arcivescovo di Taipei di Taipei Shih-wan Hsieh,

Maurizio Giuliano, Isabella Matteini, Studentessa

Incaricato di Insegnamento di Titolare di Cattedra di Lingua Italiana

Ti-Kang: Nella storia della Chiesa in Cina i missionari di più grande influenza sono stati quelli italiani. Cominciando da Giovanni da Monte Corvino, trecento anni dopo abbiamo Matteo Ricci e altri trecento anni dopo il nostro grande cardinale Cesare Costantino, considerato il patriarca della Chiesa in Cina, apostolo della Cina del moderno tempo. Posso dire questo anche perché non soltanto questi personaggi storici sono italiani, ma tuttora i più numerosi missionari in Cina sono ancora italiani.

 

 

Giuliano: Vorrei cominciare chiarendo il concetto di missionario, perché spesso si pensa a chi è in missione come a chi va in un paese lontano con l’idea di risolvere i problemi sorti in questi posti esotici. Vorrei sfatare questa idea di terzomondismo che accompagna l’immagine del missionario. La posizione che abbiamo noi che siamo in missione è la stessa richiesta a ciascuno di voi, cioè un’adesione, una disponibilità a che Cristo faccia quello che ha iniziato nella vita di ciascuno.

L’arrivo in Cina per me è stato dettato da certe circostanze, che cercherò velocemente di farvi capire. Ho studiato storie orientali a Bologna; dopo la laurea ho deciso di approfondire l’aspetto linguistico, e così sono riuscito a trovare una borsa di studio per andare a Taipei. Appena arrivato, ho avuto la grazia di incontrare un’amica del movimento, Elena, che era lì da un mese, la quale mi ha aiutato molto nell’introduzione all’ambiente: lì si parla una lingua di cui non sapevo quasi niente, c’è un traffico infernale e un inquinamento incredibile, bisogna mangiare cose per noi stranissime e per di più con le bacchette...

Questa realtà nuova è ben accetta all’inizio, perché il gusto della novità attutisce la fatica. Eppure anche questo gusto del nuovo, se non ha una ragione profonda, dopo un po’ stanca. Il senso e l’importanza del rapporto con Elena è stato proprio questo: riandare alle radici di quello che mi aveva spinto laggiù, il desiderio di far memoria dell’incontro fatto in Italia. Questo mi permetteva di vivere le giornate non schiacciato dalle circostanze, non schiacciato dall’ambiente in cui ero costretto a vivere, come quello dell’università, ma cercando di vivere la giornata con gusto. Ritornare all’origine ci permetteva di trasformare la nostra giornata. Per questo è nata la voglia, giornalmente, di incontrarci e ripuntare gli occhi su quello che ci era accaduto. Pur abitando alle estremità della città avevamo deciso di dire insieme le lodi mattutine, anche se questo comportava più di un’ora di motorino, per riuscire ad incontrarci in un posto pacifico: sotto una statua di Tchang Kaï-chek, il posto più tranquillo di Taipei. Ci era richiesto questo gesto di obbedienza per salvare la nostra giornata. Senza quel gesto tutto veniva appiattito e diventava soffocante.

Don Giussani scrive in Decisione per l’esistenza: "Seguire non può essere un gesto automatico, un essere trasportati una volta per tutte, in modo irreversibile, da una corrente, ma è una decisione personale che diventa un gesto continuo della propria libertà. Per questo la tradizione cristiana ci consiglia di dire ogni giorno la preghiera del mattino: per riprendere la decisione cosciente di seguire Dio. (...) Seguire è insomma amare, poiché è proprio affermare un altro come se stessi"1. Questa è stata ed è la posizione che ci permette di essere lì da sei anni e di esserci con questa tensione. Ci colpiva, infatti, una lettera che don Giussani ci ha scritto nel primo periodo della nostra permanenza a Taipei, in cui diceva: pregate tutti i giorni la Madonna affinché possa accrescere la vostra coscienza di appartenenza al movimento. Questo ha voluto dire anche che quando Elena è dovuta tornare in Italia, gesti quali la preghiera mattutina, la Scuola di Comunità giornaliera, gli strumenti del movimento, Tracce, le lettere degli amici, le telefonate, sono stati di un’importanza fondamentale per poter vivere il presente.

Scaduto il primo anno, la borsa di studio mi è stata rinnovata e si è posto un altro problema. Più che un problema, un fatto, il fatto del mio rapporto con colei che poi è diventata mia moglie. Essendosi lei quasi laureata è nata la voglia di condividere questa storia insieme. Così ci siamo trovati all’inizio a vivere tutti e due un periodo di studio: io infatti ero ancora nel periodo della borsa di studio, lei doveva iniziare a studiare il cinese, altrimenti anche la spesa sarebbe stata una grossa difficoltà. Dovevo poi mantenere la famiglia con la borsa di studio e cercare di fare dei lavoretti part-time per riuscire comunque a vivere. Ciò che ci ha permesso di stare lì, ragionevolmente, è stata l’amicizia con don Giussani, il credito fatto alle parole da lui detteci. Infatti in una condizione di difficoltà, col tempo, i segni si sono rivelati sempre più chiari ed incalzanti: la nostra idea ora è quella di restare a Taipei.

 

 

Matteini: Mi sembra anzitutto importante precisare che tra i primi miracoli di questa convivenza a Taiwan ci sono due bambini, i nostri.

Vorrei raccontare attraverso i fatti che sono successi nella mia vita, che cosa ha significato per me partire per Taiwan e come è cambiata la mia vita ultimamente. Il primo fatto ha a che fare solo indirettamente con la mia partenza per Taiwan, essendo un episodio risalente all’epoca in cui facevo parte di Gioventù Studentesca, dodici anni fa. Mi era capitato di sentire questa frase: Cristo o è la verità della vita o è una favola. Mi ha colpito molto, e infatti posso dire che questa frase è il filo rosso che ha guidato tutta la mia vita da dodici anni a questa parte.

Quando frequentavo Gioventù Studentesca, ero molto attiva: facevo, organizzavo, cantavo... Ad un certo punto ho incontrato degli amici nuovi. Un giorno, mentre stavamo studiando insieme, uno di loro mi dice: "Quando stiamo con i preti, parliamo di certe cose... ma tu ci credi che Gesù Cristo sia presente qui tra noi, in questo momento, fra noi quattro che studiamo?" Io ho reagito molto orgogliosamente – era come se mi fosse arrivata una frecciata! – e ho risposto di sì, però quella domanda mi ha messo dentro un tarlo. Un tarlo che mi ha roso per tantissimo tempo. Perché se Cristo era una favola, allora non c’entrava niente con la vita e con quello che facevo (come studiare con i miei amici), se invece Cristo era la verità della vita, allora era un fatto dell’altro mondo, da brivido. Dopo dodici anni, posso dire che la storia che mi ha portato qua, mi fa dire che Cristo è la storia della vita, perché una favola non avrebbe mai cambiato in questo modo la mia vita, tanto meno duemila anni di storia.

L’altra cosa che volevo raccontare è un fatto che è successo quando abbiamo deciso di partire. Siamo partiti subito dopo il matrimonio: abbiamo fatto il viaggio di nozze e siamo arrivati a Taiwan. La sera prima del matrimonio, violando tutte le tradizioni che vogliono l’addio al celibato e al nubilato, siamo stati invitati da un nostro amico a cena (il padre di Chiara, la studentessa che è qui con noi e che tra poco parlerà). Ci raccontava che per lui, essere all’estero, essere stato all’estero, voleva dire essere come in trincea, come quando i soldati sono in guerra: ogni pasto è come se fosse l’ultimo pasto e ogni azione è vissuta con attenzione incredibile, perché l’attimo dopo potrebbero non esserci più. Io non capivo cosa volesse dire, ma una volta arrivata a Taiwan ho capito.

Infatti il primo impatto con Taiwan è stato l’impatto con una realtà estranea. Ero abituata all’università, a fare Scuola di Comunità con trecento persone, mentre lì eravamo io e mio marito a ritrovarci a leggere il libro. Sembrava venisse a mancare tutto quello che in Italia mi era stato dato. Eppure mi sono sentita privilegiata, perché ho dovuto recuperare tutto il rapporto con la realtà pezzo per pezzo, il rapporto con mio marito ed il rapporto con gli amici, con i gesti normali del movimento, che lì non c’erano e che proprio per questo sono stati recuperati con una essenzialità incredibile. Ogni volta che dovevo far qualcosa non prendevo niente per scontato, mi dovevo chiedere: ma perché lo faccio? Cosa è importante per la mia vita? Che cosa vuol dire la realtà? E la cosa bella di questi anni è stata la scoperta che anche quella realtà che, apparentemente, era totalmente estranea a me, in realtà era identica alla realtà che vivevo qua in Italia, cioè era rimando ad altro, tutto era segno di un altro perché tutto mi rimandava a chiedermi qual era il significato della mia vita e della realtà in cui vivevo.

I primi tre anni sono stata fondamentalmente a casa perché ho avuto due gravidanze: ho avuto un bambino piccolo da accudire, poi sono stata incinta di nuovo e poi ho avuto un altro bambino piccolo da accudire... Sono state due gravidanze difficili, per cui sono stata due mesi a letto, come molte mie amiche che erano qui in Italia e che si erano appena sposate. Le circostanze che mi hanno chiamato in quel posto mi hanno fatto chiedere più volte: "Che cosa sono qui a fare, sto in casa, bado ai bambini, esco pochissimo, fuori c’è un tempo infernale, piove tantissimo...", il contrario dell’avventura esotica che la gente pensava potessi raccontare! Mi hanno aiutato molto a vivere questa situazione due frasi, o meglio due frasi ed un pensiero. Una è il motto della fraternità di Comunione e Liberazione: "Era necessario che l’eroico diventasse quotidiano e il quotidiano diventasse eroico". Il pensiero era invece la figura di santa Teresina di Gesù Bambino, patrona delle missioni, suora di clausura morta a ventiquattro anni.

Da un anno insegniamo in università: io e mio marito abbiamo fatto degli incontri bellissimi. Ne racconto solo uno, l’incontro con Giulia, che ho visto su una panchina pochi giorni dopo che avevo cominciato ad insegnare in università. Piangeva; mi sono avvicinata e, come potevo, le ho chiesto cosa era successo. Lei mi ha detto che era morto suo nonno e che era in lutto. Dopo di che le ho detto: "Vuoi venire con me?" e lei mi risposto di no. Dopo sono andata in cappella a pregare. Mentre pregavo pensavo: "Ma perché non le ho detto dove stavo andando?". Dovete pensare che Taipei è una realtà dove il Cattolicesimo non sanno neanche che cosa sia, molte volte non sanno neanche chi sia Gesù Cristo, per cui avevo un po’ di pudore a dire che andavo a pregare e che ero cattolica. Quando sono uscita sono tornata da Giulia, mi sono fatta forza e le ho detto: "Sai dove sono stata? Sono stata a pregare, a recitare le lodi, perché io sono cattolica: ho pregato anche per tuo nonno". Lei si è commossa tantissimo e mi ha detto: "Lo sai che mio nonno era cattolico?": un caso su milioni! Da quel giorno ci troviamo sempre a pregare assieme, anzi è più fedele lei di me. Dopo un po’ di tempo, sempre con un po’ di pudore le ho detto: "Ma Giulia, perché non invitiamo altre persone a dire la preghiera con noi?". Mi ha risposto che lo stava già facendo. Da qui è nata la nostra amicizia e la fedeltà a questo semplice gesto.

Successivamente, dopo la testimonianza che hanno fatto Chiara ed Elena in università – di cui parleranno – sono nati una serie di gesti, senza nessuna preoccupazione di essere una presenza in università, ma proprio da un’amicizia fra di noi. Sono iniziati in modo naturale dei gesti nostri in università, come ad esempio il cineforum. Abbiamo cominciato ad esserci nell’ambiente.

 

 

Piccinini: Sono stata a Taiwan per un periodo relativamente breve, un anno. Vorrei raccontare come è nata l’idea di andarvi.

Tutto è partito dall’amicizia che per tradizione la mia famiglia ha con don Giussani; tutti gli anni abbiamo l’occasione di pranzare con lui ed in uno di questi pranzi gli ho parlato di un mio interesse molto vago per imparare il cinese. Avevo per lui una grande stima, e l’amicizia con lui era nata già da prima, quando avevo cominciato le superiori, e in lui mi aveva sempre stupito l’interesse e la passione che ha per chi ha di fronte, e l’unità della sua vita a partire dall’avvenimento cristiano, a partire dal fatto che Cristo definisce tutto in lui. Per questo, gli ho detto del mio interesse per la Cina, perché avevo cominciato a confrontare con lui tutte le cose che mi interessavano.

Ricordo che don Giussani disse: "Bellissimo: se vuoi studiare il cinese, cerca un corso di cinese in università". Ho cominciato così a studiare la storia e la cultura cinesi, ma mi rendevo conto che mi interessava entrare in contatto con la lingua viva. Allora, sempre parlandone con don Giussani, lui mi disse: "Cercati una borsa di studio per andare là". Trovata la borsa di studio, sono partita.

Le difficoltà che ho avuto all’inizio sono le stesse che sono state già raccontate; inoltre, i primi sei mesi che ero lì, quando Isabella doveva partorire, ci sono stati dei periodi in cui ci vedevamo poco e ho avuto delle difficoltà grosse, perché non riuscivo a entrare in contatto con la gente. Ricordo che scrissi a don Giussani, prestando fede alla promessa che mi aveva fatto, la promessa che avrebbe risposto alle mie lettere in caso di difficoltà. E di fatto, mi ha risposto con una lettera che è stata importantissima per tutti noi, in cui don Giussani ci spiegava che Cristo per l’uomo italiano, giapponese o cinese è la verità del mondo, che è stata data come ostaggio e noi dobbiamo liberarla dalle nostre forme perché sia vista, vista nel cambiamento che la vita (umana, individuale e sociale) viene operata da noi, in quanto investiti dal fiume della Chiesa, dall’acqua pura che è Cristo.

Queste parole per noi hanno voluto dire tantissimo: il problema non era più quello di muoversi nella realtà con uno schema, ma era prima di tutto un coinvolgersi con la gente e lasciare che loro vedessero quello che portavamo. La verità è stata messa in ostaggio: dipende da noi che venga liberata, dalla nostra libertà. Questo ha voluto dire un cambiamento concreto: prima di tutto il fatto che Isabella e Maurizio hanno cominciato ad insegnare all’università e che Isabella ha così conosciuto le ragazze di cui parlava prima.

Da questi eventi, è nata l’idea di fare una testimonianza in università, "Come viviamo il Cattolicesimo in università". Come ha già detto Isabella, a Taiwan praticamente nessuno sa cosa sia il Cattolicesimo, magari alcuni la parrocchia.... Noi ci aspettavamo che non venisse nessuno, invece è venuta metà della classe di Isabella, venti persone. Abbiamo spiegato che il modo in cui ci muoviamo in università (i servizi agli studenti, l’aiuto nei bisogni dell’università) nasce dal gusto per la realtà che ci è stato dato dall’incontro che abbiamo fatto. Sono rimasti colpiti da questo, e infatti da allora ogni mercoledì abbiamo cominciato a vederci con queste persone, abbiamo insegnato loro dei canti, ed è nata un’amicizia grande.

Quando don Ambrogio è venuto a trovarci, una di queste ragazze gli ha detto di accorgersi che, da quando ha conosciuto Isabella, vuole incontrare Dio. È proprio quello di cui parlava don Giussani nella lettera: Cristo lo portiamo al di là dei nostri schemi, e si vede nel nostro cambiamento personale che abbiamo qualcosa di diverso.

Quando sono tornata in Italia don Giussani mi ha detto che il vero valore della vita è solo la testimonianza a Cristo, e che vivendo tutte le cose nella memoria questo sarà sempre più vero e naturale, perché la fede è la vera natura. La mia esperienza è stata proprio un’esperienza di fede, il conoscere una presenza. Durante le vacanze internazionali, don Giussani ci ha detto che la missione non è un possesso morale ma la comunicazione della verità della realtà. Gli apostoli sono rimasti incantati da Cristo, l’hanno seguito e seguendolo sono cambiati: da qui scaturisce la morale. Cristo è presente, seguendolo possiamo cambiare.

 

 

Hsieh: Da molto tempo la mia famiglia è cattolica: fin da quando sono alle scuole superiori ho cominciato ha partecipare ai gruppi cattolici, chiedendomi spesso in cosa realmente consistesse la vita del cristiano. Circa tre anni fa ho conosciuto Maurizio e Isabella, e da allora ho ricominciato a pormi questa domanda.

Ho poi avuto occasione di lavorare con Maurizio e di venire con lui al Meeting; ho lavorato insieme con alcuni studenti, e mi chiedevo cosa volesse dire lavorare insieme. Un anno fa Maurizio doveva tornare in Italia da Taiwan, ed io l’ho accompagnato all’aeroporto; non so bene perché, mi ha detto che dovevo pensare bene alla mia vita, considerando con attenzione le due strade possibili, il matrimonio e la verginità. Dopo mi ha anche detto che avrei dovuto studiare italiano, e stare in Italia per un anno. Avrei voluto rispondergli: "Perché? Un anno è lungo, e poi a me studiare non piace!" Ma invece non mi ricordo cosa gli ho detto, soltanto mi ricordo che ho pianto per un’ora...

Dopo questa conversazione, a Taiwan ho cercato un prete che conoscevo, che quando ha sentito che volevo venire in Italia mi ha detto: "Tu vuoi sprecare la tua vita? Bisogna lavorare!" Dopo ho trovato la ragione per andare in Italia; ho cominciato a chiedermi: "C’è un lavoro che si fa per non guadagnare denaro? Se venire in Italia può aiutarmi ad amare Dio di più perché non devo venire?".

In agosto ho partecipato a tre vacanze: quella degli studenti, quella delle famiglie, e le vacanze internazionali. Stando con Maurizio ed Isabella, mi sono resa conto che in questo movimento si sottolineano particolarmente due aspetti, la comunione e la libertà. Alle vacanze internazionali, vedendo quasi tutti stranieri, mi sono resa conto – e l’ho anche scritto ad un mio amico di Taiwan – che ciascuna di queste persone si porta Cristo. Per questo, so che apparteniamo a un solo.

 

 

Ti-Kang: Vorrei dire una parola sui missionari laici come Maurizio, Isabella e Chiara: l’ora dei laici non soltanto comincerà, è venuta. La Chiesa senza i laici non è una Chiesa. La Chiesa è il popolo di Dio; tutti quelli che sono battezzati, membri della comunità cristiana, sono chiamati a partecipare allo stesso stato, alla stessa vocazione alla santità, alla stessa missione come apostoli, evangelizzatori, evangelizzatrici. Nessun cristiano può astenersi. Vorrei farmi portavoce del popolo cinese, questo grande popolo tanto numeroso: anche se il regime comunista apparentemente è molto potente, il Signore è più potente.

NOTE

1 L. Giussani, Alla ricerca del volto umano, Rizzoli, Milano 1995, p. 105.