Incontro con Sua Eminenza Cardinale Alexandru Todea

 

Domenica 25, ore 15

Alexandru Todea, Arcivescovo Metropolita della diocesi greco cattolica di Fagaras e Alba Julia, è nato nel 1912 a Teleac, nel cuore della Transilvania. Il 25 marzo 1939 viene ordinato sacerdote. Nel 1948, all’inizio del regime comunista di Ceausescu, la chiesa greco-cattolica romena viene forzatamente inglobata nella chiesa ortodossa, maggioritaria nel paese. La gerarchia ecclesiastica viene perseguitata e dispersa. Innumerevoli sono i sacerdoti ed i vescovi che conoscono le prigioni del regime e in qualche caso la morte.

Anche monsignor Todea, consacrato clandestinamente vescovo nel 1950, viene imprigionato nel 1951, processato e condannato a morte con l’accusa di aver avuto rapporti con la Santa Sede. La pena fu commutata nei lavori forzati a vita da scontare in una miniera di piombo.

L’esperienza di tredici anni di lavoro forzato lo mineranno profondamente nel fisico. Graziato nel 1964 tenta di riorganizzare, per quanto possibile in un paese dominato da un regime fondato sulla delazione e la sopraffazione come quello di Ceausescu, le comunità greco-cattoliche.

Nel 1990, dopo la sanguinosa caduta del regime, la chiesa unita rumena viene resa di nuovo legale e la Santa Sede può ristabilire la gerarchia. Monsignor Todea, nonostante abbia superato l’età prevista dl Codice Canonico, il 14 marzo viene nominato vescovo della diocesi di Fagaras e Alba Julia, la diocesi storicamente più importante per i greco-cattolici di Romania.

Nello stesso anno è consacrato metropolita per la Romania. Il Santo Padre lo ha creato Cardinale nel Concistoro del 28 giugno scorso.

Todea: In occasione dell’ottantesimo compleanno del Sommo Pontefice Pio XI, in una udienza degli alunni del Collegio di Propaganda Fidae nel 1937, il Santo Padre ci disse: "Mi dispiace, carissimi giovani di tutto il mondo, che non sono giovane come voi, per poter confessare la fede tramite sofferenze e martirio; è ciò che avviene per voi". Era l’anno in cui Pio XI pubblicò due fonti di luce: la Divini Redemptoris, contro il comunismo ateo, e la Mit brennender Sorge, contro il razzismo. Accanto alla dottrina cattolica di orientamento nei tempi tenebrosi, queste due Encicliche furono per la mia Chiesa una premessa, quale insieme alla fede indelebile e con l’aiuto delle grandi personalità della vera cultura, costituirono i certi capisaldi della resistenza della Chiesa Rumena Unita con Roma, conosciuta anche sotto il nome di Chiesa Greco-Cattolica, dato il fatto che il rito era greco, ma tradotto in lingua rumena.

Per poter approfondire la testimonianza di fede in Romania, mi fermerò sopra i seguenti pensieri:

1) l’incontro fra la luce divina e le tenebre;

2) il trattamento degli uomini senza Dio ed il trattamento di Dio senza uomini;

3) l’io di Cristo nella vita pubblica, l’io di Cristo crocifisso, l’io di Cristo risorto, l’io di Cristo sovrano della storia.

1. Per mille anni i rumeni ebbero la fede espressa nel rito latino, e poi, date le vicende della storia fra Roma e Costantinopoli, essi rimasero sotto l’influenza dei popoli di rito orientale e così ricevettero il rito orientale greco in lingua slavona. Ma nel 1700 i rumeni della provincia di Transilvania, fecero l’unione con Roma, e da quel momento la nostra Chiesa si chiama Chiesa Rumena Unita con Roma, oppure Chiesa Greco-Cattolica. Intorno agli anni 1740-50, sotto l’influenza dei monaci serbi di Karlowitz, una parte dei rumeni uniti con Roma dal 1700, ritornarono alla Chiesa ortodossa. Generalmente parlando, ci fu una collaborazione abbastanza buona fra cattolici uniti ed ortodossi, specialmente nel campo nazionale, e tutti, uniti con Roma e non uniti, si consideravano buoni rumeni, fino al 1948 quando tutti i membri della Chiesa unita con Roma, per essere ancora considerati buoni rumeni, dovevano lasciare il Papa, dichiarato da Stalin il nemico numero uno del comunismo, ed unirsi con la Chiesa Ortodossa. Quale sarebbe stato il significato di questo passaggio? Il significato sarebbe stato non solo il rinnegamento della fede, ma anche accettare la totale sottomissione al partito comunista in vista della distruzione della personalità umana, come si è verificato.

In quel momento, carissimi fratelli e sorelle, in quell’autunno del 1948, quando si scatenò la persecuzione, il terrore era così selvaggio che tutta la Chiesa con i sacerdoti, la maggior parte fra i 30 e 40 anni, potevano esclamare con Dante Alighieri: "Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai in una selva oscura, chè la via dritta era smarrita". Aspettavamo, in mezzo a queste tenebre, una luce da parte dell’intelletto, ma la più importante, da parte della Grazia divina. Prima di tutto abbiamo messo il giudizio sano al lavoro, quel giudizio il quale, presente nei momenti dell’oscurità, aiuta lo spirito di sacrificio di certe persone, per rimanere uomo integro. E come una volta è apparso Virgilio per Dante, e lo ha condotto attraverso l’Inferno ed il Purgatorio, così l’intelletto dei Vescovi, dei sacerdoti, dei religiosi e delle religiose, è stato illuminato dalla luce naturale, deciso a sopportare tutte le conseguenze di una tale ingiusta decisione di un governo senza Dio. Si vide, fin dai primi momenti della persecuzione, che il mezzo con cui attuavano questa decisione era la violenza; secondo la dottrina della Chiesa, e specialmente della teologia morale, non è possibile che la violenza faccia sì che un atto umano sia volontario. S. Tommaso afferma: "È impossibile che ciò che è involontario per la volontà, diventi volontario tramite la violenza" (Summa Theologica, I, II). Dunque, tutto ciò che si fa sotto il peso della violenza, è involontario. Quando hanno cominciato a picchiare i sacerdoti che si opponevano, quando minacciavano di deportali in Siberia, allora si sentiva timor, cioè paura, e quando cominciarono a cacciarli via dalle Chiese e dalle case parrocchiali, la paura divenne sempre più sentita. Alcuni sacerdoti, sotto il peso della paura, accettarono di firmare e di passare alla Chiesa ortodossa, ma non con un atto volontario, ma così come avviene sul mare quando c’è la tempesta e tutto è gettato via solo per conservare la vita. Quindi è chiaro che si procedeva per paura.

I sei Vescovi, invece, furono tutti arrestati nei giorni 27 e 28 ottobre 1948. La situazione era la seguente: cinque diocesi con cinque Vescovi ed un Vescovo vicario e duemila sacerdoti. Di questi, circa settecento furono arrestati: canonici, professori di teologia, preti, poi anche donne che aiutavano i sacerdoti e tutte le religiose, specialmente quelle della congregazione della "Madre del Signore". Alcuni preti si nascondevano e lavoravano nella clandestinità, alcuni lavoravano come semplici operai. Il primo dicembre 1948, apparve un decreto in cui si affermava che i fedeli ed il personale della Chiesa unita con Roma, con l’eccezione di poche persone, erano tutti passati alla Chiesa ortodossa. Un falso storico tremendo! Di fronte a questo falso, non rimaneva altro che mettere tutta la fiducia in Dio nostro Signore e nella Madonna. Perché? Perché adesso cominciavano i nemici che c’erano dentro di noi e specialmente le passioni, che di per sé non sono cattive né buone, ma dipendono dall’orientamento. Ci siamo decisi ad amare non solo Cristo, ma anche i nemici; ci siamo decisi a non aver odio, a non essere tristi, a non disperare, a essere coraggiosi in tutte le circostanze. Un po’ difficile era il desiderio, specialmente quando l’organismo era magro a cagione della fame, e senza volere si pensava ad un thè, ad un latte, ad un pezzo di pane che mancava. La fame era terribile; sorpassa l’immaginazione di un uomo che non l’ha sperimentata. La fame ha avuto la forza di costringere alcuni sacerdoti a passare alla Chiesa ortodossa, non potendone più sopportare i tormenti. La sofferenza diventò più sentita quando cominciò la morte dei vescovi, i quali adesso erano dodici in prigione, poiché la Santa Sede, in seguito all’arresto dei vescovi residenziali, aveva disposto la consacrazione in clandestinità di altri vescovi, fra i quali fui anche io. Il primo, che è morto all’età di 51 anni, dopo un anno e nove mesi di prigione, era Basilio Aftenie, di Bucarest; e poi via dicendo fino al nono. Dei duemila sacerdoti che c’erano nel 1948, fin ad ora sono passati all’eternità circa 1600, alcuni nella prigione, alcuni dopo la liberazione dalla prigione, alcuni nella ortodossia.

La violenza è nemica del libero arbitrio della persona umana; violenza fu usata contro la Chiesa Rumena Unita con Roma. E poi, mentre i membri di questa Chiesa erano nella prigione e morivano uno dopo l’altro, i nostri nemici dicevano in Occidente che noi avevamo abbracciato liberamente un’altra confessione. La verità storica e gli effetti della violenza sono stati i seguenti: il primo effetto fu la paura. Questa produsse discussioni tra i membri delle famiglie, nelle comunità parrocchiali. Quando cominciò la persecuzione, si seppe che alcuni preti erano stati battuti, picchiati, bastonati per tre giorni. La paura divenne così forte che riuscirono a riunire 36 sacerdoti, i quali, senza alcun mandato dai vescovi, dichiararono, in nome di tutta la Chiesa Rumena Unita, che si era deciso di rompere le relazioni con il Papa. In seguito a questa tragicommedia, la paura prodotta per violenza ebbe i seguenti effetti: l’audacia, i cui frutti furono una risposta fortissima, negativa, da parte di tutti i vescovi, della maggior parte dei sacerdoti, di tutte le monache, di tutti i monaci, di tutti i fedeli che per molti anni non vollero entrare nelle chiese, diventate ortodosse. Poi piano piano, i fedeli si divisero, alcuni dicendo che essi andavano nelle loro chiese, altri frequentarono le chiese di rito latino ed i preti clandestini della Chiesa perseguitata. Così si formavano i gruppi di resistenza per la difesa della Dottrina Cattolica. Il risultato fu che la maggior parte, con a capo tutti i vescovi, dodici, furono arrestati e condannati.

Secondo effetto: la disperazione. Uno dei preti, quando cominciò la persecuzione, sotto il peso della paura, firmò dicendo che dipende dall’atteggiamento dei vescovi, non dalla sua firma. Dopo un mese i vescovi furono arrestati. Venendo a sapere di questo fatto, il sacerdote ne rimase così turbato che prese una corda e piangendo, dicendo che era lui colpevole per l’arresto dei vescovi, si impiccò. Ma questa selva oscura di Dante, questo inferno, questo purgatorio, si trasformò poco per volta, ricordandoci di tutto ciò che noi sapevamo, in uno stato d’animo piacevole. Virgilio di Dante era arrivato fino a noi con aiuti naturali, con l’aiuto della luce intellettuale, con la forza necessaria a fortificare la volontà. Anche dal punto di vista naturale, considerando il carattere della persona umana, non si possono cambiare le convinzioni con la forza della violenza. Un aiuto di questo genere fu la cultura accumulata durante la nostra formazione, la storia, i libri che avevamo letto, i capolavori della letteratura, per esempio I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni. In quest’opera noi trovavamo tutto ciò che è avvenuto contro la nostra Chiesa. Trovammo i nostri persecutori nelle persone dei conti, i quali minacciavano il sacerdote, don Abbondio, di non fare lo sposalizio di Lucia e Renzo. Così come contro i due fidanzati, anche contro di noi si accaniva la perfidia dei potenti, innalzava e moltiplicava gli ostacoli, montava tutto un castello di malizie, di inganni, di calunnie, di violenze, e sembrava accanirsi anche il destino coi suoi colpi brutali e alla cieca. Ma sapevamo che alla fine la volontà buona con l’aiuto divino trionfa. Trovammo in questo romanzo anche la figura dei sacerdoti, i quali per paura facevano concessioni ai persecutori, come don Abbondio, ma anche l’immagine dei nostri sacerdoti i quali continuavano l’apostolato al prezzo della vita, nel sacerdote francescano. I fidanzati ci donavano l’esempio, perché "Renzo sembra davvero riassumere in sé tutte le doti del popolo: bontà generosa, la giustizia istintiva, la religiosità schietta, la laboriosità ilare e serena, la freschezza non corrotta dei sentimenti. Renzo di cui la vicenda è tutta una corta ma sottile polemica, una battaglia mai finita contro l’orgoglio e le stregonerie, contro le ingiustizie dei signori che han fatto la legge e l’adoperano secondo i loro fini e il loro capriccio; e questa battaglia egli la combatte senz’altra arma che le sue idee chiare e non artefatte, la fiducia in Dio, che resiste a ogni prova... E poi c’è Lucia, in cui la fede ha creato una sensibilità più alta, più delicata e sottile;... una superiore gentilezza di affetti che reca con sé una luce ineffabile, e la proietta su tutte le cose e persone con cui s’incontra"(1). Finalmente, come una grande promessa, c’è anche la figura straordinaria del Cardinal Borromeo.

Un altro aiuto per la nostra cultura fu il Cinque Maggio dello stesso Manzoni, scritto in occasione della morte di Napoleone, avvenuta nel 5 maggio 1821, nell’isola di S. Elena. Manzoni vede in tutti gli uomini della statura di Napoleone, l’impronta divina. Egli rivisita la vicenda fulminea e alterna di gloria, di regno, di trionfi, ma anche di sconfitte, di cadute, di dure riconquiste, tentando di immaginare quali abbiano potuto essere gli ultimi giorni di Napoleone. Manzoni considera quanto sia effimera la gloria degli uomini e la paragona a quella celeste, l’unica vera, perché non passa mai.

Avevamo poi dinnanzi agli occhi, le figure dei nostri educatori, sia degli Istituti del paese, sia del "Collegio di Propaganda Fide", come per esempio del Rettore e professore di dogmatica, il futuro Cardinale Pietro Parente, poi il Cardinale Carlo Salotti, e altri che hanno contribuito alla nostra formazione. Concludendo questo capitolo di lotta fra la luce dell’intelletto e le tenebre che hanno pervaso la nostra Chiesa, eravamo certi che dove la natura dell’intelletto non viene corrotta, Dio non ci priva di grazia. Perciò anche con la persecuzione scatenata in Romania contro la Chiesa unita con Roma si è verificato il principio di teologia specialmente di San Tommaso: "Grazia supponit naturam" (la Grazia divina sempre presuppone la natura integra dell’uomo).

2. Cominciò un capitolo di vita nel quale eravamo nelle mani di uomini senza Dio che si credevano onnipotenti e credevano di avere il diritto di fare tutto ciò che volevano con quelli che non la pensavano come volevano loro. Ma Dio non si lascia mai aspettare. Non avevamo nessun aiuto umano; ma Dio non era assente. I persecutori erano senza Dio. Noi eravamo senza uomini, senza aiuto umano, ma non senza Dio, non senza aiuto divino. Non volendo condannarci per la fede volevano ad ogni costo spremere dichiarazioni di altra natura. Così per esempio, quando, dopo sette mesi di inchiesta, sono stato portato in una stanza dove c’erano quattordici ufficiali con un generale, egli mi disse: "Signor Todea, nel ventesimo secolo nessuno muore per la fede, quindi vogliamo una dichiarazione scritta da te in cui dichiari che hai resistito e riorganizzato la Chiesa Rumena Unita affinché, quando fossero arrivati gli americani per lottare contro i comunisti, voi, vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose, poteste aiutarli ad uccidere i comunisti". Gli ho risposto: "Signor generale, prima di dare una risposta la prego di chiamare un medico psichiatra". "Perché?" – mi ha domandato il generale. "Per constatare chi è pazzo, io, loro o noi tutti". In quel momento tutti gli ufficiali, tredici, saltarono sulle sedie, vennero verso di me e gridarono: "Bandito, così parli al compagno generale?". Ma il generale ha gridato loro di stare tranquilli al loro posto e poco dopo sono usciti tutti fuori. Un altro ufficiale è venuto e mi ha portato in una stanza dove c’era un tavolino e sul tavolino una penna ed una dichiarazione scritta. E l’ufficiale mi disse: "Firma per quanto ti è chiesto oppure dovrai stare per ventiquattro ore con le mani in alto ed un piede sollevato" (Quando andrete a casa provate quanto è facile stare così per 24 ore!). Non ho risposto niente ma ho detto soltanto: "Santa Madonna ti prego adesso di tenere il mio piede". Mi sono rifiutato di firmare. L’ufficiale è partito. È rimasto un giovane poliziotto il quale mi ha detto: "Sta sempre con una mano in alto, il piede giù ma quando viene qualcuno a ispezionare alla porta – c’era un visore – io ti darò un segno e allora ti prego di alzare il piede e l’altra mano". Così durò circa cinque ore, poi si aprì l’uscio e l’ufficiale disse al poliziotto: "Portalo nella stanza!" Tutto il tempo ho pregato la Madonna di non lasciarmi, meglio la morte che il pensare di accettare.

Nella prigione di Sighet, una città accanto alla frontiera russa, sono stato a capo della pulizia di tutta la prigione. I lavori di ciascun giorno erano spazzare, tagliare legno, tirare acqua in un bacino con una pompa, settemila roteamenti al giorno. Al principio dicevamo: "Signore – eravamo tre o quattro persone – quanti roteamenti tanti atti di fede, tanti atti di amore, tanti atti di adorazione". Ma il più grande fatto con questi lavori consisteva nell’apostolato mentre spazzavamo dinanzi alle stanze dei detenuti, quando segretamente, mentre prendevamo la spazzatura, si parlava un po’ con i malati per dare l’assoluzione e incoraggiarli. Mettevo la scopa nella sinistra e con la destra davo la benedizione e l’assoluzione(2).

Non si poteva celebrare la Messa. Non c’erano l’ostia e il vino ma una volta, prima di essere trasportati da una prigione all’altra, parlai con un poliziotto che simpatizzava con noi(3), esprimendo il mio desiderio di un po’ di pane e un po’ di vino e lui me li ha consegnati. In una stazione ferroviaria il vagone si fermò per cinque ore. Eravamo circa quaranta persone di cui cinque sacerdoti. Essendo condannato a vita, nel trasporto da una prigione all’altra io dovevo essere con i piedi in catene e con le manette alle mani. Abbiamo confessato tutti, anche gli ortodossi. Fra tutti i detenuti io solo ero con le catene e le manette ma tutti quanti mi sollecitavano a pontificare. Quindi ho consacrato con le mani ed i piedi legati. La considero la Messa più solenne del mio servizio sacerdotale. Poi abbiamo fatto adorazione e fino all’altra prigione ho sempre dato la benedizione con il Santissimo Sacramento e gli uomini erano in adorazione. Momenti indelebili. Arrivati alla prigione con difficoltà i poliziotti riuscirono a togliere le catene perché i miei piedi si erano molto gonfiati. Ma Dio era sempre con noi anche senza gli uomini. La Madonna era con noi e ci dava molto coraggio. Per una meditazione che avevo tenuto a venti uomini, con i quali condividevo la stessa stanza, fui punito per sette giorni. Due senza cibo, uno con cibo, con le catene ai piedi, senza potermi sedere né appoggiarmi al muro per diciassette ore al giorno. Sono ritornato nella stanza storto di spalle. Nessuno aveva pensato che sarei ritornato.

3. L’io di Cristo nella vita pubblica. Fin dal principio, cioè dall’unione fatta con Roma nel 1700, i nostri predecessori erano consapevoli della necessità dell’apostolato nello spirito della Chiesa cattolica, seguendo la vita pubblica di nostro Signore Gesù Cristo. Le circostanze determinavano al principio una linea nazionale ma, col decorrere del tempo, si approfondiva contuinuamente la linea della vita spirituale secondo la dottrina di Cristo ripartita nell’anno liturgico. Non solo l’amministrazione dei santi sacramenti ma anche la frequenza della santa confessione, della comunione annuale, mensile, quotidiana, l’adorazione del Santissimo Sacramento, il primo venerdì del mese, il primo sabato del mese, la Crociata eucaristica per i ragazzi, l’Apostolato della preghiera, la Riunione Mariana, l’azione cattolica conosciuta sotto il nome di A.G.R.U. (Associazione Generale dei Rumeni Uniti), l’associazione degli studenti, l’associazione dei sacerdoti adoratori, la Congregazione delle religiose, come la Congregazione della Madre del Signore, l’ordine di San Basilio il Grande, gli Assunzionisti, i Gesuiti, i Francescani di rito orientale e di rito latino, i Fratelli delle Scuole Cristiane... Tutta l’attività della Chiesa Rumena Unita con Roma si svolgeva seguendo il Signore in tutta la sua vita pubblica intesa nello spirito della Chiesa di Cristo, al capo della cui il Signore disse: "Super hanc petram aedificabo ecclesiam meam" (sopra questa pietra edificherò la mia chiesa).

L’io di Cristo Crocifisso. L’indole della natura umana si sente vicina al nostro Signore nel tempo delle nozze di Cana. L’indole cambia quando Cristo ci mostra il Calvario e quando si scatena una persecuzione. La Chiesa cattolica è stata sempre perseguitata e continua ad esserlo in qualche paese del mondo. C’era l’espressione verissima del Sommo Pontefice Pio XII che le caratteristiche della Chiesa non sono quattro bensì cinque. La quinta è la persecuzione. "Credo in Una, Santa, Cattolica, Apostolica, e sempre perseguitata Chiesa".

Nell’autunno del 1948 venne il nostro turno. Dinanzi agli occhi fin dal principio non abbiamo visto altro che con San Paolo il "Cristo Crocifisso e per Cristo siamo nelle catene". Possiamo continuare, con lo stesso apostolo, che per Cristo abbiamo sopportato l’arresto, la derisione, la fame, il freddo, le bastonate incoronate con mille anni di prigione(4) e con la morte di nove vescovi, molti sacerdoti e tante altre persone passate nell’al di là con il desiderio di vedere Cristo risorto, l’io di Cristo risorto.

La resurrezione di Cristo significava l’inizio del trionfo dei suoi successori ma non senza lotta e non senza sofferenza. Come dice San Paolo: "Se abbiamo sofferto con Lui saremo partecipi anche della sua Resurrezione". La prigione, ossia il sepolcro della Chiesa Unita, durò sedici anni e poi per venti anni ci trovammo fuori dalla prigione ma senza libertà e sempre perseguitati. Finalmente è venuto un decreto di abrogazione del decreto di sopprimere ma senza essere messo in pratica per la restituzione dei beni e specialmente delle Chiese. Facciamo l’apostolato nelle case, nelle piazze pubbliche, sotto il cielo e lì dove tutti i fedeli si raccolgono, si dichiarano cattolici, entriamo nelle nostre chiese come è stato con la prima Cattedrale della Chiesa Unita, quella di Blaj, la mia cattedrale(5).

L’io di Cristo sovrano della storia. Uno dei libri magnifici per la storia dei nostri tempi e specialmente per la storia della Chiesa Rumena Unita è stato La storia di Cristo di Giovanni Papini. Alla fine di questo libro c’è una preghiera in cui l’autore invoca il ritorno di Cristo nei nostri tempi. Dico sinceramente che per molti di noi è stata, nella prigione e dopo, una preghiera continua con le parole di Papini: "Vieni Gesù e mostrati come ti sei mostrato a Paolo sulla via di Damasco, a San Francesco. Vieni Gesù per mostrarci l’amore con il quale Tu ci hai amato".

Il Cristo è sovrano della storia e come sovrano ha dato per noi, alla Chiesa, un Capo con molte qualità, così importanti per poter condurre tra queste tempeste la nave di Pietro: lo spirito della delicatezza e mansuetudine riguardo alle quali Schiller, il grande poeta tedesco, scrisse: "Dove si combina la delicatezza con la mansuetudine, la forza e la mitezza si dà vita ad un suono armonioso"; lo spirito calmo, di cui Napoleone diceva: "È la più grande qualità dell’uomo destinato a comandare"; lo spirito di pazienza di cui l’accademico Buffon scrive: "Il genio non è altro che una grande disposizione alla pazienza"; lo spirito dell’universalità che preoccupava tutti i grandi uomini di cultura, come per esempio Goëthe, la cui preoccupazione era la formazione della personalità nella direzione dell’apertura verso il mondo; l’amore universale verso tutti gli uomini di tutte le confessioni, di tutte le nazionalità, motivo per il quale alcuni dicono che il Santo Padre Giovanni Paolo II è un miracolo del nostro secolo dato che la definizione di Dio è questa: "Deus caritas est" (Dio è carità).

Con questo spirito il Santo Padre è venuto incontro alla Chiesa Rumena Unita con Roma dopo 43 anni di persecuzione. Così come Cristo, Figlio di Dio vivo, riconosceva, similmente il Santo Padre ha riconosciuto la testimonianza della Chiesa Rumena Unita per il primato papale, nominandola Chiesa martire. Che il mondo interessato sappia che la Chiesa, in nome della quale parlo, è stata in carcere, ha subito tanta sofferenza e persecuzione perché non voleva rinunciare al primato di Pietro. E in questo mondo ha rifiutato la selvaggia dottrina atea, la quale avrebbe condotto alla distruzione morale di tutto il popolo del paese.

Noi adesso vediamo il ritorno di Cristo nella luce del suo Corpo Mistico. Dobbiamo amare tutti, specialmente i nemici ed i nostri persecutori. Non dimentichiamo mai che l’apice della personalità di Cristo sono state le parole: "Padre perdona loro che non sanno ciò che fanno!". Non è facile ma è il più grande mandato. Invochiamo dunque sempre il suo dono con le parole di Papini nella Storia di Cristo: "Vieni Gesù e mostrati come ti sei mostrato a Paolo sulla via di Damasco, a San Francesco. Vieni Gesù per mostrarci l’amore con il quale Tu ci hai amato".

 

NOTE

(1) Natalino Sapegno, Letteratura italiana, pp. 630-631.

(2) In questo ambiente sono riuscito, tre giorni prima della morte, ad ascoltare la confessione e a dare l’assoluzione alla più grande personalità rumena, Giulio Maniu, che non ha accettato nessun compromesso con il partito comunista e con l’ateismo. Ricordo anche il grande storico rumeno, Georg Brataun. Essendo ortodosso mi ha domandato una volta: "È possibile che lei, cattolico, mi dia l’assoluzione?" Ho detto:"Sì" e ancora: "Mi sento molto più felice che per un cattolico". Sua figlia, di Parigi, è venuta l’anno scorso da me per domandare se era vero, quali erano le circostanze della morte di questo grande storico perché essa ha sentito cose che non erano vere. Allora è ritornata molto felice a Parigi, sapendo tutto ciò che è avvenuto con suo padre. Anche se ortodosso, se un uomo è come si deve, io lo lodo, e non soltanto in privato ma anche dinanzi a questa magnifica adunanza.

(3) Ce n’erano anche di questi; sempre dove ci sono uomini cattivi Dio invia uno che è un uomo consapevole della sua esistenza e del destino, sempre ci dà qualcuno, ma segretamente perché altrimenti non sarebbe uscito vivo dalla prigione.

(4) Nell’insieme, io, i sacerdoti greco-cattolici e i vescovi abbiamo fatto mille anni di prigione.

(5) Il 19 maggio di quest’anno tutti i fedeli furono d’accordo di non fare più la Messa in un’aula ma nella Cattedrale. E siamo entrati, senza fare alcuna provocazione perché non c’era alcuno contro. E così anche in altre chiesette, ma sempre senza violenza.