"Là tutti siamo nati" (Psal. 87).

Gerusalemme: città santa

 

Lunedì 23, ore 17

Relatori:

Ifrah Zilberman

Faisal Husseini

Moderatore:

Robi Ronza

 

Ronza: In questo incontro tratteremo il tema politico e simbolico nel medesimo tempo di Gerusalemme. Siamo molto onorati dalla presenza dei nostri due relatori, il professor Zilberman, dell’Università ebraica di Monte Scopos, e il professor Faisal Husseini, membro eminente della delegazione palestinese alle trattative di pace del Vicino Oriente. Ringraziamo entrambi per avere accettato di sedere insieme a questo tavolo per parlare della difficile ma necessaria convivenza fra israeliani e palestinesi. Sentiremo due punti di vista, non soltanto perché abbiamo a questo tavolo un israeliano e un palestinese, ma anche perché abbiamo un uomo politico e un uomo di cultura, un accademico: questo renderà eterogeneo e, proprio per questo, più interessante il nostro incontro.

Ifrah Zilberman, Docente di Antropologia alla Hebrew University di Monte Scopos (Gerusalemme)

Zilberman: Parlerò del problema di Gerusalemme, affrontandolo dal punto di vista di un accademico. Negli ultimi 25 anni Gerusalemme, che in passato era divisa in due parti, è diventata un’unica città, ed è cresciuta trasformandosi in un’area metropolitana e raddoppiando la popolazione. La città ha assunto contorni enormi, i suoi problemi urbani si sono fatti sempre più complessi e ora è necessario trovare delle soluzioni adeguate. Oggi la città è una grande entità urbana complessa ed è il punto chiave del paese. La periferia metropolitana della città di Gerusalemme occupa una zona molto più grande della vecchia città. Ma i problemi politici della città di Gerusalemme vanno ancora più in là: la città è una capitale al centro di una profonda contestazione, ed è l’obiettivo di aspirazioni nazionali da parte di israeliani e palestinesi. Guardando però al di là di questo ambito semplicemente nazionale, ci si rende conto che la città rappresenta l’arena di uno scontro simbolico in cui cristiani, islamici ed ebrei lottano gli uni contro gli altri: i simboli esclusivi non fanno altro che ampliare ancora di più il conflitto che interessa la città. Ogni religione infatti si ritiene l’unica depositaria della benedizione divina. Gerusalemme è un centro di lotta politica, di discussione, di negoziati, ma è anche la località nella quale ciascuna delle tre religioni cerca di assumere un potere spirituale e terreno. Ogni religione ritiene che all’interno di Gerusalemme – nell’essenza stessa della città – ci sia una chiave cosmica che può modificare il destino spirituale dell’umanità: di conseguenza, avendo un maggior potere su Gerusalemme, si può arrivare ad una sorta di vittoria cosmica. Per alcuni questo significa che se il loro popolo, il loro gruppo nazionale avrà la meglio a Gerusalemme, potrà essere l’unico possessore della città e quindi della benedizione divina. Per altri, invece, significa un nuovo processo che interessa la vita umana e una purificazione della propria religione dalla secolarizzazione e dall’onere dello stato civile moderno: sperano così di poter riformare il proprio destino religioso ed anche indirizzarlo verso il dominio. Per altri, infine, Gerusalemme è invece la chiave che permette di articolare le proprie aspirazioni. Tre esempi chiariranno quanto intendo dire.

Alcuni piccoli gruppi estremisti ebraici hanno acquistato, nel quartiere musulmano di Gerusalemme, un edificio: la municipalità di Gerusalemme e il Governo di Israele hanno contestato la loro attività. Alcuni movimenti islamici estremisti a Gerusalemme hanno cercato di infondere la propria ideologia nella società mussulmana e in altre parti della società palestinese, ad esempio proibendo l’utilizzo di bevande alcoliche e cercando di modificare il modo di vestire delle donne, affinché si conformasse alle usanze islamiche. Infine, alcune sette cristiane vogliono creare un punto di appoggio nella città di Gerusalemme, come i mormoni che hanno costruito un nuovo campo sulle colline del monte degli olivi, che guarda sulla città di Gerusalemme.

Questi episodi dimostrano che attualmente Gerusalemme è piena di tensione, tensione nazionale e tensione religiosa: c’è la necessità di trovare un terreno di scambio e di incontro simbolico che permetta di creare una causa comune a livello culturale per i diversi popoli e per le diverse religioni che vi convivono. E’ necessaria anche una strategia della simbiosi, una strategia dell’avvicinamento, e non un comportamento predatorio. C’è anche la necessità di dar forma a qualche sistema simbolico di inclusività all’interno di Gerusalemme, per poter condividere risorse spirituali senza renderle una fonte di lotta.

Faisal Husseini, rappresentante della Delegazione Palestinese ai Colloqui di Pace per il Medio Oriente

Husseini: Nel ‘48 si è avuta la divisione di Gerusalemme: nella parte orientale noi abbiamo perso la maggior parte dei nostri territori, dei nostri villaggi, ed abbiamo in seguito cercato di liberare questo stato di cose. Nel ‘67 c’è stata un’altra divisione, proprio nel momento in cui Israele pensava che tutti i palestinesi erano a Gerusalemme, però in qualità di cittadini di Gerusalemme. Chiunque invece si trovasse per un qualunque motivo all’esterno della cerchia, non sarebbe stato considerato cittadino di Gerusalemme. Dal ‘48 avevamo cercato di costruire la nostra vita lavorando all’esterno, per dare aiuto alle famiglie che si trovavano all’interno, ma dopo il ‘67 noi ci siamo trovati con una metà della popolazione all’interno di Gerusalemme, e l’altra metà all’esterno: metà delle loro famiglie si trovava dentro, e l’alta metà si trovava fuori da Gerusalemme. Quest’anno, quando Israele ha deciso di isolare Gerusalemme, dall’altra parte dei territori occupati ha creato un altro disastro per Gerusalemme orientale, perché noi dipendiamo dai villaggi che ci circondano – come anche le piccole città intorno a noi – e ci siamo trovati isolati dagli altri.

Io provengo da Gerusalemme e odio vederla divisa: chiunque si rechi a Gerusalemme spostandosi da occidente ad oriente capirà istantaneamente che ne esistono due: una ad occidente, libera, ed un’altra ad est pesantemente occupata. Come possiamo arrivare ad una formula, ad una conclusione che faccia in modo che Gerusalemme possa diventare un’unica città e al tempo stesso in modo che tutte le sue genti possano godere dei medesimi diritti? Siamo certi che esiste una possibilità in questo senso, soprattutto se guardiamo al futuro e se ci mettiamo nella mentalità di uno scenario di pace anziché di guerra.

Nel Medio Oriente, come in qualunque altra regione di questo mondo, non esisterà un posto nel futuro per i piccoli stati, come la Gran Bretagna, la Germania, l’Italia, la Francia, che nei prossimi secoli non avranno la possibilità di vivere isolati. Ed è per questo che questi stati hanno deciso di costruire una Europa unita. Noi crediamo fortemente nella nostra area geografica, dobbiamo quindi impostare il nostro avvenire sull’ideale della collaborazione regionale: questo però richiede una stabilità nella zona geografica, e prima di raggiungere una stabilità bisogna risolvere alcuni problemi.

Anzitutto, quello palestinese: non è possibile risolvere questo problema senza prima creare uno stato palestinese, che possa essere la chiave o il cancello d’ingresso verso il cammino della collaborazione regionale. Occorre porre fine alla sofferenza dei palestinesi, che vivono in altre parti del mondo in svariati tipi di regimi e in buone condizioni: tutto questo crea un problema per ciascuno stato, e se ci saranno dei problemi particolari, i primi ad essere additati come colpevoli saranno i palestinesi. Per questo, noi vogliamo avere uno stato palestinese, per dare a questo popolo la sensazione di avere una patria, dove può far rientro, in qualunque istante. Noi offriamo agli israeliani una tra queste due possibilità: o in futuro essi rappresenteranno una parte poco importante dell’Europa, oppure una parte importante del Medio Oriente.

La stessa alternativa vale per Gerusalemme: o diviene la capitale di Israele isolata, oppure una delle capitali più importanti del Medio Oriente, e magari la capitale stessa del Medio Oriente. L’unica soluzione possibile è quella di creare uno stato palestinese, che avrà una capitale nella parte orientale di Gerusalemme mentre ci sarà nella parte occidentale una capitale per Israele, e al tempo stesso ci sarà una specie di ombrello, una municipalità che potrà tutelare l’unità di Gerusalemme. In questo caso, sono convinto che Gerusalemme sarà la città più importante del Medio Oriente, e Israele sarà una parte importante del Medio Oriente. Intravedo qui una specie di ricostruzione del periodo "aureo", quando mussulmani, ebrei e cristiani hanno collaborato e lavorato insieme in Galizia in Spagna. Sono convinto che questa possibilità esista ancora, e che sia ancora possibile affrontare la questione di Gerusalemme, considerandola come una città che può accogliere le capitali di altri due stati. La sicurezza sarà possibile solo attraverso la collaborazione regionale, e non sull’equilibrio delle forze, che è l’equilibrio delle paure. La pace non può esistere col timore, può essere costruita solo sulla base di rapporti reciproci e di interessi comunemente condivisi.

Ci sono numerosi interessi comuni tra il mondo arabo e il mondo israeliano: i palestinesi possono certamente giocare un ruolo molto importante in questa comunicazione, per raggiungere una vera formula di pace. Prima di tutto, dobbiamo quindi vederci come pari, senza cercare di imporre le nostre idee al prossimo e invece alimentando le idee da condividere, per giungere così ad una posizione costruttiva.

Ronza: Questa idea delle due capitali in una città nel nostro paese è particolarmante comprensibile, perché la nostra capitale, Roma, è capitale anche di un’altra entità nazionale. Siamo così abituati a questo fatto da non rendercene conto, ma Roma è la capitale di due soggetti di diritto internazionale, e a Roma ci sono due differenti corpi diplomatici, uno accreditato presso lo Stato italiano e uno presso la Santa Sede. Quindi, non è una cosa così stravagante come potrebbe sembrare, ma una cosa che da noi si pratica da molto tempo.

Zilberman: La visione presentata dal signor Husseini è un chiaro segno dell’importanza di Gerusalemme. Gli Israeliani, che vorrebbero vedere la città di Gerusalemme come una città santa e pacifica, ritengono che la soluzione dovrebbe essere graduale e pragmatica. Gran parte di essi sono convinti dell’importanza di Gerusalemme, e vorrebbero prendere parte attiva nella ricerca di una soluzione. Ma ci sono anche alcuni gruppi radicali che invece vorrebbero imporre la propria soluzione per la città. Ognuna delle soluzioni dovrebbe quindi avere un margine di manovra e di tempo sufficienti per essere attuata, adattandosi anche alla situazione. Sono convinto che nel corso del tempo israeliani e palestinesi riusciranno a trovare un modo per risolvere il loro problema a vantaggio di ambedue i popoli.

Ronza: Vorrei ora porre al Dottor Husseini – il più politico dei nostri due interlocutori – una domanda precisa. La Santa Sede, che aveva a lungo sostenuto la tesi di una internazionalizzazione di Gerusalemme, negli ultimi anni ha lasciato cadere questa tesi, rendendosi conto che non era accettata da nessuna delle parti in causa, avanzando, seppure in modo non ancora ufficiale, l’ipotesi di uno statuto speciale internazionalmente garantito per Gerusalemme, senza porre più la questione di chi vi sia sovrano. La Santa Sede sta dicendo – così mi sembra di avere capito – che chiunque sia sovrano in Gerusalemme deve tenere conto del carattere particolarissimo della città, e un modo per garantire questo è quello di creare uno statuto speciale internazionalmente garantito, valido per chiunque sia o sarà sovrano in Gerusalemme, che lo vincoli a tenere conto del carattere simbolico mondiale e planetario della città. E’ questa una ipotesi che lei personalmente e l’OLP prendono in considerazione o no?

Husseini: Voglio anzitutto sottolineare che questa non è una posizione ufficiale, i negoziati sono ancora in corso: se non fosse così, ne parlerei anche più a lungo. Ho detto che vorremmo avere una città unita, non divisa, che possa riunire in sé due capitali con quello che ho definito una sorta di ombrello che serva a mantenere l’unità della città: questo richiederà naturalmente un sostegno della comunità internazionale, a partire dalla visione che il mondo intero ha della città di Gerusalemme. Questo sostegno della comunità internazionale è per noi molto importante, per questo lo sottolineo. Questo non significa però che noi vogliamo una Gerusalemme internazionale, ma una Gerusalemme non divisa che sia sostenuta dalla comunità internazionale e che possa dare ad ambedue i popoli il loro diritto alla città.

Ronza: Il dottor Husseini ci ha fatto balenare questa ipotesi affascinante, che Gerusalemme possa essere la capitale di una parte importante del Vicino Oriente, o addirittura la capitale del Vicino Oriente, legando questa ipotesi al diverso sviluppo delle relazioni tra Israeliani e Palestinesi. Lei come vede questa possibilità, questa prospettiva?

Zilberman: La situazione in cui Israele si trova non è quella di essere una parte poco importante dell’Europa, né posso dire con certezza che potrà essere una parte importante: ma sicuramente nel corso del prossimo secolo, Israele darà forma al proprio destino e verrà riconosciuto in base ai propri meriti e non semplicemente dal fatto di appartenere all’una o all’altra parte del Mediterraneo. L’idea che Israele sia parte di un Medio Oriente musulmano e arabo, è attraente e io mi auguro che almeno una parte di questa visione possa tradursi in realtà nei prossimi dieci anni.

Sono meno ottimista del signor Husseini, perché ho l’impressione che di fronte a noi abbiamo ancora molti problemi, molti contrasti, e che ci sia anche un pericolo di un crescente radicalismo nel Medio Oriente. Non tutti i popoli del Medio Oriente sono animati dalla migliori intenzioni, e probabilmente ci saranno ancora molti conflitti da affrontare.

Per quanto riguarda la questione israeliano-palestinese, soprattutto in relazione al discorso di Gerusalemme, io sono dell’opinione che si dovrebbe adottare un processo graduale. In ciascuna fase si dovrebbe cercare di capire qual è dall’altra parte la disponibilità a mantenere il proprio ruolo, e a mantenere il proprio ordine interno, in modo tale da poter rispondere alle promesse fatte. Si dovrebbe gradualmente creare una maggiore fiducia da ambo le parti, nella disponibilità, nella capacità che l’altro ha di essere una nazione nel senso più pieno del termine. Cercare di far proprio ogni attributo che uno stato ha in tempi troppo brevi potrebbe essere controproducente, invece di portare avanti la causa della pace potrebbe avere esattamente l’effetto opposto. A partire dal 1967, ci sono stati tra Israele e Giordania molti accordi che hanno cercato di mantenere e di rispettare i diritti dei musulmani. Per quanto riguarda le garanzie internazionali per Gerusalemme, si dovrebbe sperare che queste garanzie non tolgano ad uno stato o agli stati la capacità di mantenere l’ordine nella città. In una situazione come quella attuale di Gerusalemme, così accesa e con tanta carica emotiva, c’è la necessità di stabilizzare degli sforzi da parte di uno stato e, secondo me, attualmente Israele è l’unico stato in grado di svolgere questo ruolo. Spero che la politica del muoversi gradualmente possa portare Israeliani e Palestinesi ad una condizione di parità e ad una condizione in cui ambedue si addossino l’onere di proteggere la città di Gerusalemme.

Ronza: Tra pochi giorni il Dr. Husseini con la sua delegazione, sarà con le altre delegazioni al tavolo delle trattative per la pace nel Medio Oriente. Tutta la sua vita è intessuta di questa vicenda. Che prospettive trae, che speranze ha da questo round di trattative che sta per cominciare?

Husseini: Anzitutto, vorrei dire che sono d’accordo con Ifrah sul fatto che le cose devono giungere, passo per passo, gradualmente. Questa era appunto l’idea che riguardava il periodo diciamo interinale, e il trasferimento graduale di autorità ai Palestinesi. Vorrei vedere queste fasi, questi passi, realizzati però anche a Gerusalemme, per esempio, consentire il ritorno delle famiglie – e si tratta della metà della popolazione – a Gerusalemme, dando anche ai Palestinesi che vivono fuori, il diritto di rientrare. Ma per cominciare, vorrei che si consentisse una maggiore costruzione a Gerusalemme per i Palestinesi. Tutti gli edifici fino ad ora hanno servito soltanto la politica della costruzione presso la parte orientale di Gerusalemme, dato che la maggioranza della popolazione è ebrea, e la minoranza è palestinese. Ecco perché, se potessimo veramente riscontrare la realizzazione di queste fasi, allora sarebbe possibile cominciare a pensare al periodo interinale, non soltanto per Gerusalemme, ma anche per gli altri territori occupati. Questo periodo può essere la soluzione per poter avanzare e arrivare alla discussione dello stato permanente.

Per quanto riguarda il prossimo round di negoziati credo che esista anche la possibilità di arrivare ad una dichiarazione di principi, se gli Israeliani ammetteranno, nella lingua in cui la dichiarazione dei principi verrà fatta, che questa non è una terra contestata, ma occupata. Se questo divario sarà colmato, forse possiamo fin d’ora cominciare a lavorare per negoziare lo status permanente, anche senza cessare di negoziare quelle che sono le modalità per il periodo interinale. Un’altra cosa che potrà essere sicuramente oggetto di discussione nel prossimo round, è la possibilità di arrivare a presentare dei passi, delle azioni pragmatiche, che riguardano anzitutto la striscia di Gaza e di Gerico. Un ritiro da parte degli Israeliani da queste aree consentirà l’instaurarsi di una autorità palestinese, e sarà anche un caso emblematico per noi e per altri, perché mostrerà che è possibile costruire un rapporto di fiducia tra di noi, mentre al tempo stesso sarà possibile portare avanti la costruzione di un periodo interinale e trasferire le autorità in altre parti dei territori occupati. In quei luoghi, dovremo dare e assegnare piena responsabilità ai palestinesi, perché questa è un’eccellente opportunità di trovare un campo, un territorio comune di lavoro e di interessi insito sul campo, che aiuterà entrambi i popoli a prendere il futuro nelle loro mani e quindi a risolvere e a prendere anche le decisioni difficili. Ma la decisione più importante e di cui più abbiamo bisogno è quella di costruire questa pace, di diffonderla in tutto il Vicino Oriente.