I giovani di oggi avranno mai la pensione?

Tavola rotonda promossa da Compagnia delle Opere

e da Unioncamere

 

Giovedì 24, ore 18.30

Relatori:
Luciano Roasio,
Direttore Generale della SAI
Raffaele Morese,
Segretario Generale Aggiunto della CISL
Tiziano Treu,
Ministro del Lavoro

 

 

Roasio: Prima di dare la risposta alla domanda contenuta nel titolo di questo incontro, è bene fare un quadro su quella che era la situazione prima della riforma pensionistica.

Il primo dato importante è il famoso deficit del fondo pensioni lavoratori dipendenti. Secondo i numeri, che sono stati ufficialmente comunicati nel 1995, le prestazioni di questo fondo pensioni dei lavoratori dipendenti sono previsti in 124 mila miliardi circa; i contributi da parte di tutti i lavoratori sono di 75 mila miliardi, la differenza è di quasi 50 mila miliardi. Proiettando in avanti questa situazione di prestazioni e contributi questo fondo nel duemila avrebbe lo stesso tipo di deficit, circa 49 mila miliardi, nel 2005 58 mila miliardi, nel 2010 ottanta mila miliardi. Non è che questo capiti perché qualcuno ha sbagliato a fare i conti, ma perché sono capitati dei fatti esterni e interni alla gestione di questo fondo, anzitutto l'effetto demografico. Secondo una statistica delle Nazioni Unite, l'Italia nel 1990 aveva il 20% di ultra-sessantenni sulla popolazione, l'Unione Europea il 19,6%, gli Stati Uniti il 16,9% e il Giappone il 17%. Nel duemila questa cifra, positiva per la sopravvivenza, negativa dal punto di vista contabile, arriverà al 22,7%, la media dell'Unione Europea sarà del 21%; nel 2010 l'Italia arriverà al 23%.

L'altro dato fondamentale è costituito dal confronto tra i diversi sistemi previdenziali: se infatti confrontiamo l'Italia con i paesi a noi più vicini, Inghilterra, Francia, Germania, constatiamo che l'età di pensionamento in Italia era più vantaggiosa.

Vivevamo in un sistema pensionistico che ha delle ottime prestazioni, se confrontate con gli altri paesi europei, che però ha anche al suo interno uno sbilancio contributivo che poteva pesare sulle tasche di tutti i cittadini, perché il deficit deve essere coperto dallo Stato. Per questo è stato molto importante quello che questo Governo con le forze sociali ha fatto affrontando la riforma pensionistica.

Con essa, si è deciso di passare dal sistema retributivo — in funzione degli anni e delle retribuzioni — al sistema contributivo — chi contribuirà alla pensione avrà una certa pensione —; però, questa riforma ha avuto l'enorme buon senso di creare una fase transitoria, diciotto anni, con la possibilità di miscela del sistema retributivo e contributivo che permette di atterrare morbidamente in un nuovo sistema pensionistico nel quale il sistema pubblico rimane il pilastro centrale. Con la riforma della legge 124 sui fondi pensione, si possono inoltre creare dei fondi pensione complementari, attraverso banche, compagnie di Assicurazioni, Sim, organismi finanziari.

A questo punto, come osservatore matematico, ritengo che i giovani di oggi potranno avere la pensione.

Morese: Per tanti anni, ogni volta che arrivava la finanziaria, l'argomento erano le pensioni. Già nel 92, in occasione della finanziaria, abbiamo incominciato a mettere mano ad alcuni aspetti strutturali. Sono convinto che, per i prossimi anni, quando si parlerà di finanziaria non si parlerà più di pensioni, perché la loro architettura è ormai solida. La copertura pensionistica, in prospettiva, si mantiene rispetto all'ultimo stipendio, e se a questo affianchiamo i fondi pensione integrativi che riteniamo debbano svilupparsi nel nostro paese, l'architettura del sistema pensionistico è garantita.

Da questo punto di vista, non c'è da lamentarsi, e infatti tutti i critici che ci sono stati attorno in questo lavoro complicato, di fatto hanno abbassato il tono, perché hanno accettato e compreso che si trattava una questione sociale per la stabilità del Paese.

La riforma, infatti, va misurata rispetto alla solidarietà e al tasso di equità del nostro Paese. L'Italia era a rischio, stava mettendo gli anziani contro i giovani, perché la previsione era che, nel giro di qualche anno, i giovani lavoratori avrebbero dovuto pagare il 40% del loro salario solo per finanziare le pensioni degli anziani. Le Assicurazioni spiegavano agli italiani che era meglio farsi una pensione privata: durante tutto il periodo del lavoro per la riforma, c'è stata una campagna forsennata per spiegare agli italiani che bisognava abbandonare il sistema pubblico e pensare ognuno a sé. Noi abbiamo fatto un lavoro di ricostruzione di solidarietà tra le generazioni: abbiamo confermato altre forme di solidarietà come le pensioni di reversibilità, che nessuna assicurazione privata può garantire.

Ricostruzione della solidarietà tra le generazioni vuol dire garanzia di una comunità che mantiene nel tempo i fili di una convivenza, e non chiude la gente nel proprio io. L'abbiamo ricostruita chiedendo sacrifici a tutti, perché questa è una riforma che non ha aggiunto, ha tolto qualcosa a tutti, ma ha ricostruito le condizioni di una solidarietà tra le generazioni, solidarietà verso chi fa un lavoro usurante, o verso le donne in maternità.

La riforma, in secondo luogo, ha aumentato anche il tasso di equità. Avevamo una giungla pensionistica; abbiamo costruito un livello di equità perché abbiamo co-obbligato tutti, persino i giornalisti, a decidere di avere un sistema omogeneo di pensioni che avesse le caratteristiche della obbligatorietà. Certo, ognuno si può fare la sua pensione privata o singola o con i fondi pensioni, ma gli elementi di equità e di solidarietà per tutti sono aumentati.

Per questo, ho detto che l'architettura del sistema pensionistico mi sembra seria, e i giovani costruiranno la loro pensione in base ai contributi che pagheranno: più il lavoro è precario, meno saranno i contributi. Questa è la grande scommessa: i giovani avranno la pensione, il sistema glielo consente, l'equilibrio è assicurato, ma se avranno il lavoro. Il tema del lavoro sarà nei prossimi anni la questione su cui si costruirà il sistema pensionistico.

Treu: Come avrete capito, la risposta alla domanda del titolo del nostro incontro, è affermativa. Questo non è scontato, perché ancora un anno fa eravamo in uno stato di tensione, di allarme sociale fortissimo, la gente correva a far domanda di pre-prensionamento, perché non sapeva se avrebbe trovato i soldi il giorno dopo. Abbiamo costruito faticosamente, superando molte diversità, perché c'erano 52 sistemi di pensioni, e abbiamo costruito un sistema su cui c'è un largo consenso, un sistema più giusto e più solido. È un riconoscimento che ci viene anche da osservatori internazionali, tanto è vero che quando abbiamo messo in moto questa riforma siamo riusciti a concluderla grazie ai cosiddetti mercati internazionali, questi mostri sacri che ci guardano, dai quali è venuta una reazione che ha confermato il consenso.

La seconda cosa che vorrei sottolineare è che questa riforma guarda lontano, ai giovani che andranno in pensione fra trenta, quarant'anni. La parte più solida della riforma è infatti impostata avendo lo sguardo lontano, mentre la parte più faticosa è quella che è stata dedicata a noi "di mezza età". Fino a ieri, avevamo pensato un sistema di pensioni fatto per una popolazione diversa, che andava in pensione e che poi aveva pochi anni da vivere, con una vecchiaia difficile, spesso, perché la vita lavorativa era stata pesante, quindi aveva bisogno di cure. Non era una vecchiaia attiva, aveva bisogno di assistenza, e i servizi pubblici erano meno sviluppati di oggi.

Noi abbiamo invece pensato a un altro tipo di popolazione futura, una popolazione che vivrà, dopo la fine della sua vita lavorativa ufficiale, venti, venticinque anni, anche di più. Quindi, è sufficiente che gli si dia una base meno alta, ma garantita per un periodo più lungo, sostenibile dalle spalle dei giovani che altrimenti si ribellerebbero, una base integrabile: infatti, un'altra caratteristica della popolazione a cui pensiamo, è che è in grado di auto-organizzarsi, di esprimere una previdenza propria, il famoso pilastro integrativo.

Diamo anche la possibilità di gestire da sé la propria uscita dal mondo lavorativo: una volta uno entrava nel mondo del lavoro anche a quindici anni, poi arrivava esausto a una certa età, fissa. Invece, andiamo verso un mondo in cui c'è più variabilità nelle entrate nel lavoro, si entra più tardi, c'è più scolarità, più variabilità nella vita e tipi di lavoro, e quindi ci deve essere anche la possibilità di avere più variabilità nell'uscita. Noi incentiviamo in questa riforma non una uscita improvvisa, che spesso è un trauma, ma il passaggio dalla piena attività a forme di part-time che si cumulano con le pensioni.

Un'altra cosa che voglio dire solo per sottolineare l'importanza di questa costruzione è che si tratta di un modello di previdenza asciutta, essenziale, unitaria, quindi solidaristica, che supera quelle discriminazioni e quelle differenze che ci sono adesso. Perché un lavoratore pubblico — secondo il sistema del passato — può andare in pensione dopo 19 anni di lavoro, e quello privato deve aspettare di più? Perché chi ha una carriera brillante, vera o falsa, deve avere una pensione che ha un picco enorme, per cui lo Stato gli dà molti più soldi di quelli di cui ha bisogno per — come dice la costituzione — i bisogni essenziali della vita? Con questo sistema che abbiamo costruito, cerchiamo di dare uno zoccolo di base che è fondamentalmente pensato per chi fa una carriera normale; se poi uno fa un picco di carriera in più, con quei soldi che guadagna in più si farà la sua previdenza integrativa.

Abbiamo considerato — anche questo è fondamentale — come crescerà la pensione, pensando al futuro. Abbiamo pensato di farla crescere in prospettiva secondo quanto cresce la ricchezza del Paese: tanto cresce economicamente ogni anno il Paese, tanto andrà ai lavoratori attivi e nella stessa misura noi pensiamo che un paese possa permettersi di investire per sostenere la popolazione anziana. Non di più, perché se facessimo di più, come facevamo adesso, avremmo una crisi finanziaria immediata.

Da ultimo: se la previdenza futura è costruita sull'ipotesi di un lavoratore che abbia una vita lavorativa ordinata, anche se diversificata, allora dobbiamo garantire a tutti, non il posto del lavoro — questo non è possibile —, ma le opportunità di avere una vita lavorativa ordinata, anche variata. Non abbiate troppa paura — lo dico a voi giovani! — della varietà e della diversità: è vero che c'è un rischio, il rischio che questi diventino lavori precari, però, alla vostra età, non potete permettervi di fasciarvi la testa prima di avere affrontato questo problema. Ci sono ragionevoli certezze per pensare che il lavoro del futuro sarà più variato e quindi sarà una sfida continua, proprio perché non si avrà il posto fisso.