SCENA 10 - Antigone: "Cos’è questa storia del buio Medio Evo, come se non si fosse ancora scoperta la libertà?"

Il vecchio immigrato: "Non so cosa dirti, a scuola lo hanno insegnato anche a mio nipote".

Venerdì 30, ore 11

Incontro con:

Leo Moulin

Ilias Tsivikis

Amin Fahim

Roberto Lombardi

Moderatore:

Giuseppe Meroni

 

Meroni: Ciascuno di noi ha spesso sentito questa affermazione: il Medio Evo è buio. Questo incontro vuole affrontare due versanti della questione: è vero che la libertà è un portato del tempo moderno? È vero che il Medio Evo ne era privo? Secondo versante: quali sono i fattori e quali sono le possibilità di una libertà effettiva perché si possa vivere e insegnare questa libertà? come si può sviluppare questa libertà che la cultura dominante giudica negata dall’esperienza cristiana?

Leo Moulin è nato a Bruxelles nel 1906. Studioso di fama internazionale, ha dedicato molti lavori agli ordini religiosi (in particolare al monachesimo benedettino), alla loro vita e al ruolo che hanno ricoperto nel disegnare l’originale fisionomia del nostro continente.

Moulin: Esistevano libertà in questi secoli che certi si ostinano a dire bui, oscurantisti, secoli di ignoranza, di tenebre, di inquisitoria intolleranza? La prova? Parlando del Medioevo uno scrittore ha cantato "i variopinti legami che... avvincevano l’uomo ai suoi superiori naturali...", della "dignità personale" dell’uomo medievale, del "velo di tenero sentimentalismo che avvolgeva (all’epoca) i rapporti di famiglia", delle "attività (quelle del medico, del giurista, del prete, del poeta, dello scienziato) che... erano considerate degne di venerazione e rispetto". Qual è questo scrittore? Lo stesso ha riconosciuto l’esistenza "dei santi fremiti dell’esaltazione religiosa dell’entusiasmo cavalleresco" e, finalmente, "di innumerevoli franchigie (vuol dire libertà) faticosamente acquisite e patentate". Qual è questo saggista che ha parlato così bene del Medioevo? È Carlo Marx nel Manifesto Comunista del 1848 il quale denuncia la borghesia (diremmo la società dell’’800) che, in luogo di tutti questi valori, ha "sconsacrato... ogni cosa sacra". Tutti i "rapporti sociali... con il loro seguito di opinioni e credenze rese venerabili dall’età", li ha "affogati nell’acqua gelida del calcolo egoistico", mettendo al loro posto la sola libertà di commercio "senza scrupoli", non lasciando "tra uomo e uomo, altro vincolo che il nudo interesse, lo spietato pagamento in contanti".

Dunque, per Carlo Marx, insospettabile testimonio, nella società medievale esistevano libertà "faticosamente conquistate" e quindi reali, concrete, vissute, risentite da ciascuno, libertà che "la borghesia", per parlare come Marx, direi: il secolo dei Lumi, ha "lacerato", distrutto radicalmente, per imporre la sua libertà. E non solo di commercio, ma la libertà totale, nuda, astratta, puramente giuridica, con tutte le conseguenze che conosciamo, la miseria, il pauperismo, la derelizione del proletariato durante la maggior parte dell’Ottocento, e la società in piena crisi, di oggi(1).

Dunque tutti godono di libertà concrete, reali, personali, come antinomia, come contraddizione totale alla libertà dei filosofi dei Lumi. I congiurati dei borghi del Medioevo, delle città, dei comuni, cioè quelli che avevano fatto il giuramento di vivere insieme in un comune libero sotto la protezione di diritti e di libertà, godevano di una libertà individuale, della inviolabilità del domicilio, del diritto di proprietà, della soppressione di ogni intralcio alla circolazione dei beni delle persone, della libertà di organizzare fiere e mercati, del diritto di avere una campana, segno materiale di indipendenza del comune e di erigere una torre in Belforte.

Abbiamo parlato delle libertà concrete, della fittissima rete di libertà concrete, "privilegi, statuti, diritti. Libertà e costumi legittimi", dice la costituzione Habita del 1155, della quale godevano tutti i cosiddetti "borghesi" dei "borghi", dei "comuni" medievali. I congiurati godevano di queste libertà e di più avevano il diritto di controllare e, qualche volta, di rifiutare le esigenze finanziarie del Potere, anche in tempo di guerra. Avevano la libertà di intraprendere, di creare, di vendere merci, di organizzare i mestieri secondo regole strettamente definite dagli interessati stessi. Ma, osserviamo, sono libertà che non si esercitavano se non in un gruppo costituito (che si chiamava universitas, ordine religioso, corporazione, comune) e attraverso questo gruppo. I diritti personali, nel senso moderno, esistevano poco o erano raramente concessi.

Avevano ancora il diritto legale di resistere al potere, se questo non rispettava le sue promesse, i suoi giuramenti di osservare le libertà comunali. Nel Brabante, provincia belga, il principe, prima di poter entrare nella città e di ricevere le chiavi, segno di buona accoglienza, doveva giurare di rispettare le libertà della città. E a segno di "joyeuse entrée", cioè di "allegro ingresso", c’era una pergamena religiosamente, gelosamente conservata nell’archivio della città. Il tutto protetto da una rete di giuramenti sulla Bibbia, di promesse diverse ed anche di tecniche deliberative ed elettorali che assicuravano il rispetto di un regime che si può chiamare democratico e che sono all’origine del nostro codice elettorale.

Per dimostrare ancora meglio la nostra tesi esaminiamo rapidamente i privilegi e libertà dei quali godevano scolari, maestri ed università medievali, con l’affermazione permanente e di un’ampia autonomia istituzionale e di una libertà intellettuale radicale, comunque molto più grande di ciò che pensiamo oggi. Gli scolari godevano di un vero status personale (per esempio dispensa del servizio militare); gli scolari dipendevano unicamente dalla giustizia episcopale, che era più dolce, più mite, e non dalla giustizia del comune o del re. Non dovevano pagare il dazio per le merci personali che compravano fuori dell’incinta daziaria per loro, i loro servitori, la loro famiglia quando veniva a visitarli (ne approfittavano per fare un po’ di commercio). Funzionava un controllo annuale dei prezzi dei libri e del livello dell’affitto della camera e della pensione e così via.

Lo stesso, mutatis mutandis, per i maestri, per l’università stessa. In quanto università essa gode di una quantità tale di privilegi che più di una volta la sua libertas, al singolare, diventava una potestas la quale attentava alle libertà degli altri gruppi della società comunale. Più di una volta con la massima arroganza ha opposto i diritti dello Studium, del sapere, cioè i suoi diritti e libertà, ai diritti di Roma, dei re o dei comuni. Dunque esistevano libertà durante i primi secoli del Medio Evo. Libertà numerose, concrete, efficaci, libertà per l’uomo perché cristiano.

Ma, direte forse, esisteva nel Medio Evo anche "la" libertà? Sì. La Chiesa ha sempre rivendicato la libertas Ecclesiae. San Paolo scrive: "Dove è lo Spirito, ivi è libertà" (II Cor 3, 17). Dante, il nostro Dante, mi permetto di dire, scrive: "Libertà va cercando, ch’è si cara, come sa chi per lei vita rifiuta" (Purg. I, 71), parla di "innata libertate" (Purg. XVIII, 68). O: "Tu m’hai di servo tratto a libertate".

Dunque, direte, esisteva anche "la" libertà e non solamente "le" libertà? Badate bene a questo: san Paolo parla della libertà del cristiano, che non è più "servo del peccato" (Gv 8, 36) poiché è, in quanto credente, "affrancato dalla legge del peccato e della morte" (Rm 8, 2), "servo francato del Signore". Lo stesso si può dire di Dante: parla in qualità di cristiano. Non è "l’uomo, misura di tutto" del filosofo greco Protagora, è "l’uomo vivo, gloria di Dio", di cui parla sant’Ireneo da Lione. Se accettiamo la proposizione di Protagora, l’uomo misura di tutto, non ci possono essere limiti alla mia libertà. In nome di quali valori dovrei limitare la mia libertà, frenare la mia libertà, per rispettare la libertà sfrenata (come la mia) degli altri?

Tutti i valori laici, che secondo me sono valori cristiani desacralizzati, laicizzati, diventano pericolosi non perché sono cattivi in sé (sono, ripeto, di essenza cristiana), ma perché non hanno altro punto di riferimento che l’uomo e l’uomo solo. Ora il grande scrittore austriaco Jozef Roth ha scritto nel 1936: "Quando l’uomo arriva al punto di credere che solo l’uomo può salvare l’uomo, è maturo per il fascismo o per il comunismo". Ciò che si è verificato dopo.

Invece, se questi valori, se l’uomo di questi valori ha un punto di riferimento al di fuori di sé, un assoluto al di fuori di se stesso, cioè Dio, allora può parlare della sua libertà. È la libertà del cristiano: "Dove è lo Spirito – dice Paolo – ivi è la libertà".

Ilias Tsivikis, nato a Lemnos nel 1940, è sacerdote della Chiesa Ortodossa a Tessalonica e docente universitario. Ha dedicato gran parte della sua attività ai giovani.

Ha tradotto in greco alcuni testi di don Giussani, attraverso i quali ha conosciuto l’esperienza di CL.

Tsivikis: Sono molto lieto di trovarmi oggi qui e di vivere con voi l’esperienza unica del vostro Meeting, parlare con voi la lingua dell’amicizia, lingua che non conosce nessuna frontiera, non una lingua che esalta le differenze, ma anzi una lingua che va oltre, la lingua dell’unità nella diversità. E ora riprendiamo il dialogo iniziato da Paolo VI e Atenagoras, il dialogo che unisce gli uomini nel mistero dell’amore di Cristo, dialogo indispensabile alla nostra epoca segnata dall’isolamento egoistico e dall’individualismo. Un dialogo che ci dà la vera, autentica libertà. Il mio tema è: "Il cristiano e la libertà".

In tutte le epoche gli uomini hanno anelato alla libertà e varie teorie hanno tentato di rendere questa aspirazione sistematica. Spesso, nel corso della storia, e ancora oggi, l’uomo ha tentato di scuotere, di scrollarsi di dosso il giogo della schiavitù per conquistare la libertà religiosa, politica, sociale, nazionale, ecc., ma questa ricerca universale finora ha incontrato soltanto amare delusioni. Infatti la conquista della totale libertà porta generalmente all’anarchia, a sua volta incanalata dalla dittatura, nuova forma di schiavitù che si impone in nome dell’ordine o persino in nome della libertà. L’umanità è piena di esempi che tragicamente illustrano questo doppio vicolo cieco cui porta la pseudolibertà politica, e milioni di persone sono vittime dell’anarchia o della dittatura. Ricordiamoci le ultime parole pronunciate da Madame Roland al momento di salire sulla ghigliottina: "O libertà, quali crimini si commettono nel tuo nome!".

Se si considera ora la libertà dell’individuo si vede che è altrettanto ingannevole che la libertà delle nazioni e infatti questa ricerca sin dall’inizio porta ad un’affermazione di se stessa indifferente ai bisogni del prossimo e ad un amoralismo che rifiuta qualsiasi barriera. La libertà sessuale porta all’aborto, la volontà di potenza al crimine, ambedue portano alla distruzione. Sotto l’etichetta di libertà l’uomo moderno vive senza fede né legge. La società dell’abbondanza soddisfa più che mai le sue necessità materiali. L’uomo vive così più intensamente il dramma della sua dipendenza, del suo assoggettarsi a dei bisogni sempre più numerosi. Schiavo della pubblicità e dei bisogni che essa crea per schiavizzarlo, privato così della sua libertà materiale, l’uomo si ritrova privo anche della sua libertà spirituale. Questa libertà che genera servitù, schiavitù, morte è veramente la libertà? Affronterò il tema dal punto di vista teologico, da un lato perché questo è il mio campo di ricerca e d’altra parte perché, anche se esaminato da altre scienze, filosofia, psicologia, sociologia, ecc., secondo me si tratta di un problema prettamente teologico. Per mancanza di tempo mi limiterò all’insegnamento di san Paolo, chiamato spesso l’apostolo della libertà.

La nozione di libertà nel pensiero di san Paolo occupa un posto centrale e questo è dovuto alla tradizione giudaica, che è quella dell’apostolo là dove Dio si manifesta come liberatore per il presente e per il futuro, e al fatto che san Paolo parla soprattutto al mondo ellenistico, particolarmente sensibile all’appello della libertà. Citerò infine una terza ragione, un terzo motivo più importante ancora: la necessità per san Paolo di definire la nozione di libertà in Cristo, libertà che viene portata dal messaggio cristiano.

L’uomo che vive lontano da Dio ha del mondo un’immagine prettamente antropocentrica. Ora mentre questa immagine dovrebbe dargli un sentimento di sicurezza e di libertà, avviene esattamente il contrario: il rifiuto di Dio e l’asservimento all’idolatria antropocentrica portano l’uomo all’asservimento alle varie passioni (Rm 1, 26) e lo rende schiavo dei suoi peccati. Lo stato di peccato diventa permanente, il peccato si trasforma così in un nemico temibile, in una tragica schiavitù da cui l’uomo cerca invano di liberarsi. La parte tragica di questa situazione si accentua e aggiunge alienazione alla schiavitù. Questo stato non si limita certo all’essere umano ma si estende a tutto il creato: "Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto" (Rm 8, 22). Abbiamo così una dimensione cosmica della servitù dell’essere umano e della natura che fa della libertà una necessità imperativa. L’affrancamento dell’uomo e della natura dalle potenze che lo mantengono incatenato costituisce il tema centrale di un gran numero delle lettere di san Paolo. Al capitolo VIII della lettera ai Romani l’apostolo parla delle potenze che mantengono l’uomo in uno stato di schiavitù sia collettiva che personale. A questa forma di schiavitù san Paolo oppone la nuova vita in Cristo che ci viene offerta dall’azione redentrice di Dio. "È affinché noi rimaniamo liberi che Cristo ci ha liberati. Quindi resistete e non rimettetevi sotto il giogo della schiavitù" (Gal 5, 1). Questa redenzione non tocca soltanto l’essere umano ma tutto il creato. La libertà secondo san Paolo è l’affrancamento e la salvezza data da Cristo che viene estesa a tutta la natura. All’opera della creazione divina si unisce così l’opera della redenzione; la libertà è quindi opera della Trinità e si manifesta come intervento di Dio nella storia. L’uomo vi partecipa accettando di essere affrancato e lavorando sempre per vincere il peccato generatore di schiavitù.

Questa libertà una volta ottenuta non ha un carattere statico, come invece le libertà conquistate unicamente dall’uomo. Al contrario, è un modo di vivere dinamico. Così san Paolo rigetta qualsiasi filosofia che spinge l’uomo a conquistare la libertà unicamente con i suoi mezzi e rifiuta anche i movimenti di massa. Il punto debole della lotta dei popoli per la libertà è che essa stessa è antropocentrica e ricerca l’interesse materiale. Al contrario, l’insegnamento paolino sottolinea il carattere cristocentrico, teocentrico dello sforzo dell’uomo, sforzo che presuppone la redenzione e serve l’interesse spirituale. Sforzo che presuppone ugualmente la presa di coscienza delle cause più profonde della schiavitù e il mettere a nudo le vere potenze che tengono l’uomo sotto il loro giogo.

Così, dice san Paolo, l’uomo ha bisogno dell’aiuto di Dio e non può da solo liberarsi, affrancarsi.

E qui interviene un’idea sorprendente che rischia per parecchi di diventare fonte di scandalo a causa del suo carattere antinomico: si tratta dell’asservimento come libertà e viceversa della libertà come asservimento. La libertà cristiana è legata alla sottomissione incondizionata a Dio, così l’uomo affrancato diventa servitore di Dio, o meglio, schiavo di Dio secondo la traduzione letterale della parola greca doulos. L’uomo appare così come un essere sempre dipendente, ma mentre la sua schiavitù al peccato genera tristezza, sofferenza, morte, il suo asservimento a Dio è veicolo di redenzione, di gioia, di vita. È difficile per noi capire questo rapporto tra l’affrancamento e il nuovo asservimento a causa, come dice san Paolo, della nostra "debolezza naturale" (Rm 6, 19). L’apostolo sottolinea inoltre che la scelta del nuovo assoggettamento deve avvenire in piena libertà. La libertà non è quindi l’indipendenza ma scelta del sottoporsi a Dio.

Oggigiorno si plaude ai movimenti di liberazione dei popoli, ma a che punto la loro liberazione dà loro vera libertà? Non si tratta spesso di una vera e propria mistificazione perché in fin dei conti l’uomo liberato si sottopone a un nuovo padrone, la sua libertà è la scelta che egli fa della migliore via di scampo. È il suo libero arbitrio che lo rende responsabile del suo destino. L’uomo è sempre in stato di dipendenza rispetto a ciò che è, a ciò che crede essere fonte della vita. Con la sua sottomissione a Dio l’uomo manifesta la sua obbedienza alla Sua volontà.

Tuttavia l’asservimento a Dio è secondo san Paolo un legame di adozione e di amore. "E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale preghiamo: Abbà, Padre!" (Rm 8, 17. Cfr. anche Rm 8, 14-17; Gal 4, 6-7). Questa nuova relazione assimila i figli adottivi al Figlio e li rende coeredi di Cristo (Rm 8, 17). La libertà in quanto dono di Dio è un elemento inerente a questa adozione, ed è chiaro che la nozione di adozione conferisce una nuova dimensione alla nozione di libertà. Infatti la libertà d’ora in poi viene capita come comunione di vita con Dio e si ottiene con la partecipazione del fedele ai sacramenti della Chiesa. Viene così a formarsi una nuova società nella quale "non c’è più né giudeo né greco, né schiavo né libero, né uomo né donna poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù" (Gal 3, 28). Questa nuova società è una famiglia nella quale non ci sono più discriminazioni razziali, nazionali, sociali, politiche, culturali od altre. È una nuova forma di vita, diversa dalla vita che la maggior parte dei popoli conosce.

Un chiarimento qui è forse necessario. San Paolo non pensa ad un’uguaglianza tra gli uomini ma all’unione di tutti in Cristo. La scomparsa di qualsiasi discriminazione costituisce per lui la condizione imperativa sine qua non dell’unione a partire da oggi ed è preludio della futura unione. La libertà vista come unione non è soltanto un ideale, è un modo di essere che si esprime nel comportamento quoditiano dei cristiani. È "uniti nel Signore" che questi riusciranno a continuare il loro slancio di sottomissione. Senza questa unione, senza l’amore del prossimo, la libertà rischia di trasformarsi in egoismo e di risvegliare le passioni. Ed è per questo che san Paolo ci avverte: "Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà, purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate al servizio gli uni degli altri".

Per non lasciarsi dominare dalle passioni, l’uomo deve lasciarsi abitare, penetrare dallo Spirito e lasciarsi condurre da Esso. "Vi dico, dunque, camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare i desideri della carne. La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne. Queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate ciò che vorreste. Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete più sotto la legge" (Gal 6, 15-18).

Così per l’uomo l’unico modo di fare ciò che vorrebbe è di essere abitato dallo Spirito. Poiché il Signore è lo Spirito, e dove c’è lo Spirito del Signore c’è la libertà" (II Cor 3, 17). Ma c’è di più. L’uomo abitato e guidato dallo Spirito è un uomo nuovo, capace di trasformare il mondo. Imitatore di Gesù Cristo, il cristiano è investito di questo potere sul mondo, come Nostro Signore. Affrancato dalle catene che mantengono l’uomo naturale prigioniero, gode di superiorità sulle potenze oscure e possiede come membro del corpo di Gesù Cristo poteri che hanno ricevuto in condivisione tutti i fedeli. La libertà come potere sul mondo comporta un cambiamento radicale della concezione del mondo così come nel comportamento del cristiano nella vita quotidiana.

Per concludere: non c’è vera libertà senza sottomissione a Dio. Questo schema apparentemente contraddittorio non va dimostrato, va vissuto. Ed è con la nostra sottomissione a Dio che riceviamo la nuova vita e che siamo investiti del potere sul mondo. Ma questo potere non è senza controllo, è sottoposto all’amore del prossimo. Questo deve essere il criterio del nostro comportamento. La carità è frutto dell’asservimento dell’uomo a Dio. In virtù di questa carità rinunciamo ai nostri diritti, ci facciamo imitatori di Gesù Cristo che "annullò se stesso prendendo la condizione di schiavo" (Fil 2, 7). In questo modo l’escatologia irrompe nel tempo presente in tal modo che il mondo si ritrova restaurato e trasformato, l’invidualismo e l’egoismo umano vengono eliminati. L’individuo cessa di essere un numero per essere finalmente una persona, la persona non è più un’astrazione, acquisisce sostanza, una entità. Secondo i Padri della Chiesa la persona umana si identifica con l’uomo, l’uomo creato da Dio "a sua immagine e somiglianza". È il punto focale del cammino dell’uomo verso Dio e dunque della sua vera libertà.

Amin Fahim, egiziano, copto cattolico, ha consacrato la propria vita ad un’opera di educazione e di sviluppo a favore dei più poveri attraverso l’Associazione Cristiana dell’Alto Egitto di cui è considerato un secondo fondatore.

Fahim: Anzitutto vorrei ringraziare gli organizzatori del Meeting per avermi donato l’occasione di partecipare a un momento forte del vostro Movimento che io conosco bene e rispetto molto, e anche per avermi donato l’opportunità di trasmettere un messaggio del mio Paese e di lanciare un appello. Il messaggio e l’appello sono tutti e due basati sulla stessa idea: senza libertà non è possibile far regnare la giustizia, e senza questi due, collegati, è impossibile instaurare la pace. Di più, posso dire che non è concepibile costruire la pace e mantenerla senza l’amore.

Adesso applichiamo questo pensiero a due livelli: il primo, la piccolissima Associazione Cristiana dell’Alto Egitto per le Scuole e la Promozione Sociale, e il secondo, tanto più gigantesco, all’area del Medio Oriente. Per quanto riguarda il messaggio di un’esperienza egiziana cristiana, che è partita dalla nostra fede e dalla nostra appartenenza al nostro Paese, voglio trasmetterlo oggi in nome di tutti i miei amici e colleghi con cui ho la fortuna di lavorare. La loro età è di circa trent’anni. Siamo un migliaio di persone ed operiamo in una sessantina di villaggi, a due livelli: educazione e sviluppo. Non vorrei dare troppe cifre, ma posso dire che lavoriamo in 38 scuole elementari gratuite, con 11.400 alunni e 680 insegnanti. Il settore di sviluppo comprende programmi diversi come l’alfabetizzazione, la promozione della donna, la sanità, la formazione dei leader dei villaggi e progetti economici e comuni di sviluppo.

Perché abbiamo fatto la scelta di lavorare per i più sfavoriti? Perché c’è un problema di giustizia: quando c’è la povertà c’è un’ingiustizia, c’è una mancanza d’amore. Una persona povera non è una persona libera, è prigioniera di mille cose. Dovete sapere che il 60 per cento degli Egiziani soprattutto in Alto Egitto sono sotto il livello della povertà. Un esempio. Un collega è entrato in classe; la lezione era sulla denutrizione e ha domandato agli alunni: "Cosa avete mangiato ieri sera?". Cinque o sei non hanno risposto; allora il mio amico ha chiamato una bambina di 8 anni e le ha fatto più di una volta la stessa domanda. Finalmente la figliola ha detto: "Non ho mangiato ieri". "E allora, che cos’hai mangiato stamattina a colazione?". "Ma non faccio mai colazione". "Allora avrai mangiato ieri a pranzo?". "No, ieri a pranzo ho mangiato con mia madre e quattro fratelli un uovo". Questa bambina deve andare a scuola, capire, crescere e trovare il suo posto nella vita, dobbiamo aiutarla tutti quanti. La scuola deve divenire un centro di sviluppo dove l’approccio è un approccio integrale a tutta la persona. Ciò vuol dire cominciare ad amare la persona, che ha bisogno di essere amata. La crescita spirituale della persona è molto importante perché ogni persona ha bisogno di credere in Dio e di scoprire la sua fede cristiana, sia cristiani sia musulmani (abbiamo musulmani e cristiani nelle nostre scuole). Come il Cristo è venuto per annunciare la buona novella e liberare l’uomo dalla sua schiavitù, noi cerchiamo di rispondere a tutti i bisogni del bambino e anche di fargli scoprire tutte le potenzialità e facoltà che esistono dentro di lui.

Un’altra situazione di ingiustizia che minaccia tutti gli egiziani è la crescita del fondamentalismo. La scuola deve risolvere questo problema attraverso l’insegnamento della religione che deve divenire il progetto proprio della scuola: l’insegnamento dell’Islam ai musulmani e la catechesi per i cristiani. Dobbiamo metterci d’accordo sulla maniera di far conoscere Dio ai bambini in modo che cristiani e musulmani si amino e lavorino insieme per costruire poi lo stesso progetto sociale.

Avremmo potuto fare come la maggioranza delle "buone scuole" e mirare soltanto ai buoni risultati scolastici alla fine dell’anno. Tutti sarebbero soddisfatti, ma non la nostra coscienza. Allora occorre fare di più e trovare i fondi necessari per far funzionare tutto questo progetto di sviluppo della persona. Ma non abbiamo denaro, dobbiamo presentare i progetti ogni anno per trovare un milione di dollari all’anno.

La seconda parte del mio intervento riguarda il Medio Oriente e il mio appello a voi. Ci sono tre piani politici che si svolgeranno nel Medio Oriente. Ho tutte le prove ma non ho tempo per dirle. Il primo è un piano sionista d’Israele che esiste dalla fine del secolo scorso e che consiste nel dividere gli stati attuali della zona in piccoli stati confessionali che si faranno la guerra continuamente e questo sarà la missione di Israele per permettere a Israele di vivere in pace.

Il secondo piano è quello islamista espansionista estremista. Non dobbiamo confondere i musulmani coi sionisti. Noi viviamo coi musulmani da secoli e quando un attacco è avvenuto in Alto Egitto, qualche anno fa, i musulmani della casa di sopra sono scesi per vivere con i cristiani di sotto, per proteggerli. Io parlo adesso del piano politico ben finanziato, estremista, islamico che consiste in due punti: il primo è di prendere il potere in ogni paese dove vivono i musulmani, se questo paese non applica la legge islamica: è una delle ragioni per le quali Sadat è stato ucciso. Il secondo aspetto di questo piano è di propagare l’Islam anche fuori dai Paesi arabi, nell’Africa e in altre parti. Queste persone sono convinte che noi vogliamo convertire il mondo alla nostra religione e non mantenere la fede di un credente nella sua religione. Questo piano è pericoloso perché è una seconda minaccia contro le minoranze.

Il terzo piano è quello americano; il presidente Bush l’ha ben esplicato: "Gli Stati Uniti vogliono imporre la pace", non istaurare ma imporre. Il piano americano consiste nel controllare tutte le forze strategiche che esistono nel mondo come una sicurezza per gli Stati Uniti. Questo piano è basato normalmente su dei principi politici internazionali: la protezione, la sicurezza contro l’altro economica, politica, militare. Quando questi tre piani si incontrano insieme, fanno qualcosa di molto pericoloso per le minoranze. È chiaro che il piano americano consolida il piano israeliano ma non è tanto chiaro che questi tre piani costituiscono un imbuto che va man mano a stringersi e diviene pericolosissimo per le minoranze a cominciare da quella cristiana. Il 50 per cento dei cristiani sono emigrati nella zona del Medio Oriente in quarant’anni e adesso ha preso la forma di un esodo. Là dove è nato, il cristianesimo rischia di sparire. Allora a chi e perché io faccio questo appello? Primo: se l’Europa riuscisse a realizzare la sua unione non soltanto dell’Europa dell’Ovest, ma di tutta l’Europa, fra cinque o dieci anni l’Europa sarà la prima potenza nel mondo. Secondo: adesso pensiamo alla ricostruzione dell’Europa, ma su quale scala di valori? La stessa scala di valori secondo cui il mondo è stato creato? O adesso cominciamo a cambiare questa scala di valori?

Papa Giovanni Paolo II in maniera profetica ha indetto per dicembre il Sinodo dell’Europa, forse per pensare come questa ricostruzione può essere fatta. Ma noi non abbiamo qualcosa da fare? Saremo sempre spettatori? Così la pace non riuscirà.

Il mio appello è questo, specialmente ai giovani d’Italia e ai giovani d’Europa: dovete seguire gli avvenimenti, porvi delle domande, farvi un’opinione propria, prendere posizione, avere il coraggio di esprimerla dovunque ci si trovi, a partire dalla propria fede e dalle proprie convinzioni. Dunque è necessario impegnarsi, entrare nella politica, tradurre le convinzioni in azioni, uscire dallo spazio geografico per una visione planetaria della pace. E credo che adesso sia venuto il tempo per le religioni di non far più la guerra ma di costruire insieme la pace. L’avvenire che avremo domani voi potete costruirlo oggi. Allora avanti, giovani d’Italia e d’Europa, andate a costruire la pace da oggi e che Dio sia con voi e con noi, sempre, amici e uniti nella stessa causa.

Roberto Lombardi, livornese, è dal novembre 1990 presidente nazionale dell’A.Ge.S.C. (Associazione Genitori Scuole Cattoliche), il cui scopo è sostenere il ruolo sociale e politico della famiglia nella prospettiva della libertà di educazione.

Lombardi: Partendo dalla metafora che il Meeting di quest’anno propone, mi sono chiesto se era possibile verificare, al di là dell’ipotesi fantastica, una situazione che fosse concreta e storica. Se c’era per caso un Creonte vero che in qualche modo poteva avere a che fare con la nostra situazione. E sono partito forse apparentemente da lontano. Ugo Foscolo, nei Sepolcri, anno 1806, lamenta: "Pur nuova legge impone oggi i sepolcri / fuor de’ guardi pietosi, e il nome a’ morti / contende". A me pare che questa situazione abbia una strettissima analogia con la vicenda di Antigone e della sepoltura di suo fratello. Anche qui c’è un problema di sepolture e un problema di potere. Con l’editto di Saint Cloud Napoleone Bonaparte esiliava i morti fuori porta, oltre le mura, li espelleva dalle chiese. Le motivazioni ufficiali di tale provvedimento era d’ordine igienico. Ma come non pensare che Napoleone, braccio armato della rivoluzione, non volesse invece tagliare orizzontalmente la storia resecando le radici della memoria e della tradizione? Regine Pernoud, in un suo datato saggio, ma sempre valido, ci ricorda come nel Medio Evo era frequente incontrare nelle campagne i villaggi con la chiesa, la scuola per i ragazzi della comunità e il cimitero per i vecchi del paese. L’editto di Saint Cloud potrebbe quindi essere anche un episodio di un più ampio disegno tendente a cancellare fisicamente questa immagine, simbolo dell’unità culturale e spirituale dell’uomo medievale ed allegoria della proposta cristiana. Nello stesso luogo si educava la mente e lo spirito; nello stesso luogo si studiava e si pregava nella memoria e nella fede dei padri. Vi è dunque una dimensione sacrale del momento educativo che i razionalisti del secolo dei lumi hanno voluto negare e spezzare. Napoleone infatti ha creato e istituzionalizzato la scuola di stato così come tutto sommato ancora oggi noi in Italia la viviamo e la subiamo. Il disegno era ed è evidente: enucleare la Chiesa dal suo contesto pastorale e sociale. Togliere alla Chiesa le sepolture e quindi la memoria, le radici, il suo passato; togliere alla Chiesa l’educazione, i giovani, il suo futuro. Ricondurre la Chiesa e la fede a una dimensione individualistica e intima tale da non disturbare l’umanismo massonico nel quale, come affermava il compianto Del Noce, è consentita, fra le altre confessioni, l’esistenza di una sezione di rito cattolico. Si attacca quindi la Chiesa anche attraverso la scuola. L’attacco alla scuola cattolica è un attacco alla Chiesa, ogni limitazione alla libertà della scuola cattolica è una limitazione alla libertà della Chiesa e quindi, in ultima analisi, un atto lesivo degli stessi accordi concordatari.

Nella miope ottica di molti opinionisti intossicati da un falso concetto di laicità, che per loro è sinonimo solo di anticlericalismo, difendere la scuola cattolica è un sintomo di neoguelfismo, o peggio di risorgente temporalismo papista. Ma quello che resta della scuola cattolica oggi in Italia, il 6/7 per cento contro il 94/93 per cento della scuola di stato, deve essere difeso in un’ottica strettamente laica perché rappresenta in termini culturali l’unica alternativa praticabile in questo paese rispetto al monopolio statale dell’educazione. Ma difendere la scuola cattolica oggi non è più sufficiente. La crisi dovuta al calo delle vocazioni religiose, al calo demografico, all’aumento dei costi di gestione, colpisce le realtà più deboli e più genuinamente popolari, ed un sempre maggior numero di famiglie non è in grado di sostenere i costi di frequenza ed è di fatto impedito ad esercitare liberamente la propria scelta educativa. Occorre quindi passare dalla difesa della scuola cattolica a una fase di promozione dei diritti civili della famiglia.

È chiaro che non siamo qui per sparare sulla scuola di stato; essa a noi preme perché anche i nostri figli la frequentano, perché anche noi come cittadini e come contribuenti la finanziamo, perché crediamo in un sistema misto ove una sana emulazione tra le varie proposte educative possa produrre un servizio scolastico adeguato ai tempi. Occorre riformare l’intero sistema scolastico nazionale, dando spazio alla fantasia, alla professionalità, all’iniziativa di chi ha veramente a cuore la sorte delle nuove generazioni. La criminalità, le devianze che si diffondono, nascono anche da un’insufficiente azione culturale preventiva della scuola che istruisce poco e poco educa. Il crollo del muro di Berlino e dei regimi dell’Est ha provocato un’onda d’urto che si è propagata per tutta l’Europa ed è giunta pare anche fino a noi. Le nuove energie liberate dalla caduta dei falsi miti, dei falsi riferimenti si indirizzano verso una volontà di rinnovamento della società, si respira un diffuso desiderio di riforme delle regole della convivenza civile perché le persone possano contare di più e più liberamente esprimersi. Si è aperto quindi nel nostro Paese un largo dibattito sulle riforme istituzionali.

Noi dell’AGeSC abbiamo già osservato in altra sede che la prima riforma sarebbe quella di attuare la Costituzione senza riserve mentali. La libertà di educazione nel nostro Paese è prevista e sancita dalla Costituzione, ma in questo quasi ormai mezzo secolo i nostri legislatori non hanno trovato il modo di tradurre queste garanzie in provvedimenti di legge.

Il presunto ostacolo deriva da una lettura parziale dell’art. 33 della Costituzione, il famoso inciso "senza oneri per lo Stato". In realtà si tratta di un alibi pietoso perché qualsiasi giurista di buon senso, al limite qualsiasi studente di giurisprudenza, si rifiuterebbe di interpretare una norma giuridica semplicemente enucleando una frase dal contesto della norma stessa e dall’intero corpus costituzionale. In realtà l’art. 33 non è un articolo isolato ma si correla a numerosi altri articoli della nostra Costituzione. Dall’interpretazione coordinata ed onesta di queste norme emerge un’ampia tutela culturale ed economica della famiglia e del suo ruolo educativo, tutela che attende ancora oggi di essere recepita in legge dello Stato.

Ma se nonostante il supporto giuridico della Costituzione e il supporto morale del costante magistero della Chiesa in tema di libertà, non siamo riusciti ancora ad ottenere un risultato, questo è imputabile alla nostra insufficienza. Per anni ci siamo cullati nella delega politica e nella delega educativa. In Italia stenta ancora a farsi strada il principio di una dimensione comunitaria del momento educativo nel quale i genitori siano protagonisti nel proprio ruolo e primi coeducatori, insieme ai docenti, dei propri figli. Occorre sviluppare la collaborazione tra le componenti scolastiche perché questa frattura penalizza socialmente gli uni e gli altri impedendo che la scuola, intesa come luogo di dialogo, di confronto tra le famiglie, i docenti e gli alunni possa affermarsi anche come luogo di critica e riflessione sulla realtà circostante, come occasione di stimolo riformatore, come momento progettuale della futura evoluzione sociale. Il Palazzo si incunea in queste illogiche divisioni prevaricando le aspettative di tutte le componenti, chiudendo gli spazi di libertà e di autonomia, trasformando di fatto la scuola in una potenziale cinghia di trasmissione del regime e del proprio potere.

La storia anche più recente ci ha fornito numerosi esempi di Stati totalitari che hanno usato la scuola come puntello culturale e ideologico per il loro potere. Ancora oggi nel nostro Paese sono fortissime le tentazioni totalizzanti che di fatto sostengono la tesi del monopolio dello Stato nell’educazione. Appare sconcertante verificare che mentre in gran parte dell’Europa, anche dell’Est, viene gettata tra i rifiuti una concezione statalista, nella repubblica italiana, democratica e pluralista, la parola libertà di educazione fa ancora paura. Ed in nome di questa fobia si preclude l’autonomia scolastica, l’effettivo rinoscimento della professionalità dei docenti, la possibilità per le famiglie di scegliere per i propri figli la scuola con il progetto educativo più conforme alle proprie aspirazioni e convinzioni culturali, etiche e religiose. Anni luce ci separano dalla vicina Francia che qualche anno fa scese compatta in piazza a difendere la propria scuola cattolica, costringendo il Presidente della Repubblica a licenziare il primo ministro che aveva osato attentare ad una libertà che in quella nazione, pur giacobina, è considerata essenziale: la libertà di educazione.

Vedete dunque come la presenza e la partecipazione delle famiglie nella scuola abbia una valenza che va oltre l’aspetto strettamente didattico ed educativo ma ha in sé una potenzialità di riforma del sistema sociale e di garanzia e tutela delle libertà.

In Italia abbiamo bisogno di una scuola diversa, non di una scuola centralizzata, ma al contrario diretta emanazione delle comunità dalle quali promana e le quali è chiamata a servire, una scuola viva, legata alla società reale, al mondo del lavoro, vicina ai problemi e alle speranze della gente. Allora la battaglia per la libertà di educazione non è una battaglia confessionale, ma è una battaglia veramente laica. Non andiamo a rivendicare privilegi ma affermiamo un diritto civile per aprire uno spazio di libertà e di autonomia a tutti, cattolici e non cattolici. Ma a chi spetta pretendere e gestire il cambiamento se non a noi? Non dobbiamo aspettarci soluzioni e panacee dall’alto. Il Santo Padre nella Familiaris consortio ha chiaramente indicato quale deve essere il ruolo dei genitori, affermando che le famiglie devono essere protagoniste della cosiddetta politica familiare ed assumersi la responsabilità di trasformare la società, diversamente saranno le prime vittime di quei mali che si sono limitati ad osservare con indifferenza. In questa raccomandazione paterna c’è tutto un programma di impegno sociale da protagonisti e non da subalterni, un impegno ad essere presenti nella realtà, a saper giudicare ed assumersi le relative responsabilità. È un compito grave ed impegnativo, ma è da questa difficoltà che nasce l’esigenza dell’associazionismo dei genitori. L’associazione occorre per dare consistenza al dialogo e al confronto, per dare continuità storica all’esperienza ecclesiale e alla proposta culturale che transitano necessariamente attraverso le diverse generazioni di famiglie.

Per quanto ci riguarda, il tempo della sterile denuncia è finito, com’è finito anche il tempo delle promesse da parte dei politici. Basta con le chiacchiere, ora occorrono i fatti. Siamo tutti chiamati a costruire questo grande movimento di opinione in favore della scuola libera. Vogliamo costruire un nuovo soggetto, attivo, presente nella società, capace di essere aggregativo, propositivo e reale interlocutore del Governo e delle istituzioni.

Il prossimo anno sarà un anno speciale perché precede le elezioni politiche. Saremo chiamati ad eleggere un nuovo parlamento, quello che anche in omaggio alle scadenze comunitarie dovrebbe introdurre la libertà di educazione nel nostro Paese. Ulteriori rinvii non sarebbero giustificati ed ulteriori discriminazioni soprattutto nei confronti delle famiglie a più basso reddito non sarebbero tollerate. I parlamentari uscenti e i baldanzosi aspiranti verranno a chiederci il consenso. Ebbene, sappiano fin d’ora che non avranno il nostro voto al buio ma dovranno impegnarsi a darci le leggi che andiamo chiedendo. Il nostro congresso nazionale non sarà solo l’occasione per riaffermare con forza i diritti civili delle famiglie italiane, ma servirà per individuare concrete strategie che costringano tutte le forze politiche e sociali ad assumersi le loro responsabilità. Ognuno di voi tornando a casa deve essere consapevole che la soluzione dei problemi è nelle proprie mani e nella propria volontà. Occorre riconsiderare la propria realtà di insegnanti e genitori, operare un riconoscimento culturale che dia luogo all’interno della scuola a una presenza organizzata. Solo con il contributo di ciascuno di voi potremo realizzare le nostre aspettative.

Mi appello al vostro senso di responsabilità per ricordarvi che se otterremo quanto ci spetta sarà una vittoria di tutti e per tutti, per i cattolici, per i non cattolici e per la democrazia, ma se saremo sconfitti ognuno di noi sarà sconfitto, la famiglia sarà perdente e con essa la libertà e l’intero Paese.

 

NOTE

(1) Marx, sempre lui, pensatore irrecusabile, almeno per il tema che ci occupa, spiega come sono nate queste franchigie, privilegi e libertà: nei Comuni "armati e autonomi", scrive ancora Marx, approvato, nel 1890, dal suo compagno di lotta, Federico Engels, i Comuni inglesi, fiamminghi, italiani, svizzeri, spagnuoli, tedeschi, francesi (pensiamo a Bologna e al suo motto: "libertas") la borghesia, cioè gli abitanti di un "borgo", nel senso medievale della parola (vuol dire di una città libera, non dipendente né da un principe né da un vescovo) ha affermato il suo potere, tanto economico quanto politico, nel senso della conquista di un’autonomia sempre meglio assicurata, di un potere di intervento nelle decisioni del potere, sia civile sia ecclesiastico, sempre più affermato, di una protezione sempre più minuziosa e rigida dei diritti della persona, attraverso una rete, sempre più fitta, di organizzazioni e di corporazioni, provviste di innumerevoli privilegi.