Aspettando una scuola felicemente pubblica

Martedì 23, ore 15

Relatori:

Paolo Sciumè

Elena Ugolini

Francesco D’Onofrio

 

Paolo Sciumè, presidente Fondazione "Sacro Cuore", Milano

Sciumè: Da tempo abbiamo maturato dall’esperienza la consapevolezza che fare scuola implica una responsabilità che giunge fino ad elaborare le ragioni per cui si sceglie da imprenditori di fare una scuola, da genitori di andare in una scuola invece che in un’altra, da insegnanti di motivare il proprio mestiere fino a collaborare fino in fondo con l’esigenza degli uni e degli altri. Siamo consapevoli che il doppio binario scuola statale-scuola non statale che in questi cinquant’anni ha caratterizzato la scuola tradendo le esigenze della gente, deve essere superato, non più per la difesa di un particolare settore ma perché la condizione per la sopravvivenza di questo settore è il cambiamento dell’intero sistema affinché tutti i nostri ragazzi che sono i soggetti dell’itinerario formativo possano arrivare alla maturità ed essere consegnati alle università e alla società come cittadini e, prima, come persone. Questo è il contesto del dibattito di oggi: la coscienza di un diritto che comporterà degli obblighi sicuramente ma la capacità di portare un contributo al sistema scolastico italiano. Se il sistema scolastico non trova una evoluzione che preveda una competitività e non distingue tra pubblico e statale esso muore e rischia di trascinare tutti in questa dolorosissima vicenda che riguarda la scuola e il nostro Paese dal 1945 in poi.

Elena Ugolini, insegnante

Ugolini: Il mio intervento parte dalla riflessione sull’esperienza di dieci anni di insegnamento, sull’esperienza dei miei anni a scuola e sul fatto che sono madre di due figlie che stanno incominciando ad andare a scuola.

Una mia amica, una ragazza che si è maturata nel Liceo Classico più prestigioso di Bologna l’anno scorso, mi ha detto: "Mi raccomando, dì al Ministro della Pubblica Istruzione che la scuola invece di farci crescere ci distrugge umanamente". Questo inizio drammatico calza bene sulla situazione della scuola perché il problema non è tanto scuola statale o non statale, ma della scuola italiana tout court. La situazione sintetizzata dalla frase di questa ragazza ci apre alla realtà di una scuola in cui la normalità è costituita dalla noia. C’è una frase di Peguy che dice: "C’è qualcosa di molto peggio che avere una anima cattiva o un’anima malvagia: è avere un’anima da tutti i giorni". La scuola italiana non è una scuola malvagia, ma è una scuola da tutti i giorni, cioè una scuola in cui la regola è la noia, la ripetitività. Si insegnano tante cose senza farne capire il nesso; i ragazzi fanno l’esperienza di una mancanza di senso e questo ha come effetto la perdita del gusto nello studio, e il disimpegno verso la realtà.

Questa situazione di disagio è avvertita anche dagli insegnanti i quali spesso sono demotivati, non sono contenti dei ragazzi, perché non rispondono come vorrebbero, non sono contenti del loro lavoro perché sono sottopagati o perché pensano che ci sarebbe stato qualcosa di molto meglio, di più gratificante per loro. È una situazione di disagio infine per le famiglie, perché normalmente entrano in gioco solamente quando ci sono delle situazioni gravissime, cioè quando il figlio sta per essere bocciato, per intenderci, per il resto, delegano il pacchetto educativo del figlio alla scuola, senza sapere a chi lo affidano. Perché la scuola dovrebbe essere il luogo in cui un ragazzo viene educato (e l’educazione, secondo una definizione appropriatissima, è l’introduzione alla realtà nella sua totalità, cioè la possibilità per un ragazzo di essere aiutato a crescere in tutte le sue possibilità e ad entrare dentro la realtà, quindi anche ad acquisire delle abilità che gli serviranno per creare, per essere lui costruttore all’interno della realtà), nei fatti è un luogo in cui normalmente avviene il contrario.

In una recente intervista del Corriere della Sera (10 agosto) il decano dei pediatri italiani, il professor Bernardi, delinea il motivo di questo disagio che tutti i ragazzi, insegnanti e genitori, vivono nei confronti del problema educativo. Egli sostiene che alle malattie fisiche, morbillo, varicella, ecc. si sono sostituite le malattie psichiche. I bambini oggi sono molto più intelligenti, ma sono colpiti da nuove malattie psichiche, psicomatiche e comportamentali. Sono i disagi del linguaggio, del sonno, dell’apprendimento indotte da disturbati rapporti interpersonali e con l’ambiente. Non si sa se prima non c’erano o se venivano coperte dalle normali malattie fisiche, dietro le quali, in un certo senso, si nascondevano. O se semplicemente non eravamo in grado di diagnosticarle, troppo occupati a curare le febbri e le infezioni. Questi mali non sono congeniti, essi si manifestano dopo i tre anni. Da quando sono iniziati a cambiare i bambini? Da quando sono iniziati a cambiare i grandi, quando è iniziata la caccia al benessere, frenetica e forsennata. Questa descrizione punta l’indice su una questione fondamentale: i ragazzi sono lo specchio degli adulti, il problema educativo è il problema di che cosa gli adulti comunicano ai ragazzi.

Se noi ricordassimo insieme il nostro iter scolastico ci ricorderemmo di poche persone, perché tra tanti insegnanti sono pochi i maestri, cioè sono poche le persone che ci comunicano qualcosa di pertinente alla nostra umanità, che ci aiuti a guardare la realtà in un modo diverso e ad interessarcene. Il dramma di questa situazione in cui siamo è il venir meno di maestri, di persone in grado di comunicare un senso positivo nei confronti della realtà, dentro l’insegnamento di cose specifiche. Theillard de Chardin diceva: "Il pericolo maggiore che possa temere l’umanità non è una catastrofe che venga dal di fuori. Non è né la fame né la peste. È invece quella malattia spirituale, la più terribile perché il più direttamente umano dei flagelli, che è perdita del gusto di vivere". Non avere più maestri vuol dire non avere più nessuno che comunica un’ipotesi positiva da cui partire nel rapporto con la realtà cosicché l’individuo resta in balia delle proprie emozioni e del potere. Si chiedeva Bernardi: "Come si può uscire da questa situazione in cui, già a 3 anni, un bambino è omologato, non è più aiutato ad essere se stesso, anzi è aiutato ad alienarsi, a fare quello che gli altri vogliono?" E rispondeva: "Occorrerebbe una conversione dei genitori. Dovrebbero tentare con tutte le energie di essere se stessi, di collocarsi al servizio altrui, di scegliere l’essere invece che l’avere. E non credano di cavarsela con qualche tipo di educazione, l’unica educazione possibile è basata sull’esempio", cioè sul tono con cui uno dice una cosa e sul modo che ha di rapportarsi a te.

Se è vero che ciò che conta è quello che viene comunicato attraverso l’umanità dell’insegnante che insieme alle nozioni indispensabili comunica un’ipotesi con cui guardare la realtà e con cui è possibile confrontarsi, guardiamo com’è la scuola per capire da cosa nasce il disagio.

In base a che cosa vengono scelti gli insegnanti? A caso, in base a una graduatoria. Alle elementari i bambini si trovano davanti tre maestre. Che queste tre maestre in tre momenti differenti dicano tre cose contraddittorie tra loro è possibile perché è assolutamente casuale che ci sia una maestra piuttosto che un’altra.

La scuola italiana così come è concepita va contro un principio educativo fondamentale, che non è indifferente il volto di chi mi trovo davanti e quindi non si può lasciare la scuola al caso. Io come madre insieme al diritto di scegliere l’auto devo anche avere il diritto di scegliere chi avranno davanti come insegnanti le mie figlie. E questo non perché io voglio che le mie figlie siano una copia di me, ma perché le mie figlie, oltre ad avere il diritto di essere nutrite, hanno anche il diritto di ricevere da me la possibilità di incontrare un’ipotesi esplicativa della realtà, cioè un senso con cui guardare le cose. Che poi loro, vivendo, facendo un’esperienza in quel senso che io gli propongo, prima in casa e poi a scuola, accettino o rifiutino, questo non dipende da me.

Vorrei concludere leggendo una lettera che dimostra l’importanza anche dal punto di vista psicologico, di crescita umana, della possibilità di scegliere per i propri figli una scuola in cui ci siano dei volti non casuali avanti ai propri figli e quindi la possibilità per i ragazzi di avere davanti delle persone che facciano loro una proposta positiva sulla realtà.

È una ragazza che scrive raccontando di sé. "Mi ricordo che fin da molto piccola i miei genitori per lasciarmi la massima libertà non mi hanno mai detto: 'devi far questo, devi fare quello, fai in questo modo o in quell’altro, questa cosa è giusta, questa è sbagliata, quello ha torto, quell’altro ha ragione'. Dovevo essere libera di scegliere e di decidere su tutto senza che vi fossero interferenze degli adulti, dovevo fare soltanto quello che mi piaceva e che mi sentivo di fare e non dovevo preoccuparmi di ciò che volevano gli altri. Loro hanno agito così a fin di bene. Ma io senza delle indicazioni in realtà poi non sapevo cosa fare. Cercavo di ispirarmi a loro, di capire cosa pensavano e come si sarebbero comportati al mio posto, ma il più delle volte non sapevo cosa fare, cosa scegliere e quindi mi comportavo a caso, a capriccio, senza sapere se la mia scelta fosse buona o cattiva. Lasciandomi così indiscriminatamente 'libera', loro mi attribuivano una maturità, un’esperienza che ancora non avevo, e che non potevo avere a quell’età, insomma io avrei preferito che mi dicessero che cosa era bene per loro, come si sarebbero comportati al mio posto e anche che cosa si aspettavano da me. Poi crescendo, facendo esperienza, mi sarei fatta delle opinioni personali, ne avrei avuto tutto il tempo. Invece non so se è dipeso soltanto da questo, ma sono stata sempre molto indecisa, molto dibattuta e anche forse troppo concentrata su di me, sui miei bisogni e troppo poco sugli altri, sulle loro esigenze. Una delle frasi che i miei genitori mi ripetevano spesso era: 'tu appartieni solo a te stessa'. Ma ogni volta che loro mi dicevano queste parole io mi sentivo ansiosa, sola, senza un’appartenenza". Qual è l’impostazione da cui nasce la scuola italiana il cui esito è un giovane solo e sperduto di fronte alla vita? Una scuola in cui ci sono dei volti che di fatto non hanno volto, in cui tutto è casuale, interessa ad un potere che vuole adeguare a sé la società civile, che vuole avere delle persone che non hanno una propria ipotesi e un proprio giudizio sulla realtà.

Allora diventa urgentissimo che effettivamente in Italia ci sia libertà di educazione, cioè che ci sia la possibilità che nascano e che crescano delle esperienze educative a cui tutti possono mandare i propri figli. Adesso in Italia c’è formalmente la libertà di educazione, cioè la libertà di fare delle scuole. Ci possono andare i ricchi. Allora io chiedo che ci sia la libertà in Italia di poter scegliere una scuola piuttosto che un’altra, per il tipo di proposta che vi si fa.

Francesco D’Onofrio, Ministro della Publica Istruzione

D’Onofrio: Una delle ragioni per le quali la parità prevista nella Costituzione non si è attuata è dovuta al modo con il quale l’Italia ha vissuto la propria esperienza democratica dal ‘48 al ‘92. Una esperienza complessivamente significativa, ma priva di un autentico regime liberale dell’alternanza al governo di schieramenti politici portatori di progetti culturali, economici e sociali distinti. In tutta la storia nazionale italiana, dall’Unità in poi, la scuola è stata il terreno dello scontro ideologico, della conquista della coscienza dei più giovani, per i diversi progetti politici, tendenzialmente totalitari. Il secondo dopoguerra poteva essere una grande occasione di libertà per la scuola, ma la guerra fredda ha fatto della scuola italiana per oltre quarant’anni un terreno di conquista delle coscienze dei giovani per i diversi ed alternativi progetti politici. Siamo in grado oggi come cattolici di fare della parità della scuola una grande battaglia di libertà per tutti, anziché una battaglia di distinzione e di separazione delle scuole cattoliche rispetto alle altre scuole? Questa è la domanda di fondo. Io ho visto la parità essere caratterizzata dal diritto dei genitori di scegliere la scuola, diritto sostenuto prevalentemente dai genitori che sceglievano la scuola cattolica, come se la parità fosse qualcosa che riguardava la scuola cattolica fuori dalla scuola statale e non fosse un principio e dovesse valere per la scuola tout court, senza aggettivi. Questa è la rivoluzione alla quale io sto chiedendo che concorrano tutte le forze perché la battaglia per la libertà non venga vissuta come la battaglia di uno schieramento di maggioranza rispetto ad un altro, ma venga vissuta come una nuova unità sulla scuola a prescindere dalle divisioni politiche.

Oggi noi abbiamo la possibilità di dare vita ad un tipo di riforma culturalmente visibile che abbia un asse di fondo diverso dalla riforma Gentile. Si tratta di sostituire al mondo verticale nel quale i saperi erano collocati nella scuola di Gentile la orizzontalità nella quale i saperi sono di pari dignità, perché la pari dignità dei saperi nulla ha a che vedere con la maggiore difficoltà di alcuni rispetto ad altri ed è la pari dignità dei saperi che dà vita alla pari dignità dei lavori, che dalla base dei saperi si ottengono.

Il fondamento culturale di questo mio modo di approccio alla riforma della scuola, lo trovo nella Laborem Exercens, che pone il lavoro come attività liberante per l’uomo, qualunque sia il lavoro, e rende dignitoso lo studio per qualunque lavoro. In tale contesto la parità fa parte del potenziamento complessivo della scuola, come servizio pubblico per gli italiani, soprattutto per le nuove generazioni.

Io ho la fortuna di poter dire queste cose non come è stato fatto dai miei predecessori, tutti capaci di dire che la parità non si sarebbe fatta. Io mi trovo nelle condizioni di poter dire se una cosa siamo in grado di farla, come maggioranza di governo.

So di avere davanti a me poche settimane per rendere visibile e concreto il programma dalla grande riforma. L’impegno che io prendo anche con voi oggi non è un impegno dei 43 anni, ma neanche dei 4 anni e 3 mesi, ma neanche dei 3 mesi; l’impegno che prendo con voi oggi e che confermerò negli altri incontri che avrò tra la fine di agosto e gli inizi di settembre, è il Consiglio dei Ministri di venerdì prossimo. Per la prima volta in una storia recente del nostro Governo ci sarà una relazione sugli obbiettivi di una riforma organica della scuola italiana al passo coi tempi cioè capace non solo di alfabetizzare come avveniva per il passato la lingua italiana, ma anche almeno una lingua straniera, prevalentemente l’inglese, l’uso dei computer, una scuola che deve insegnare la cittadinanza fiscale del nostro paese ed educare alla mondialità.

In questo Consiglio dei Ministri del 26 agosto, gli obiettivi di una riforma radicale saranno indicati in questa mia relazione, in modo che si avvii il dibattito del Consiglio dei Ministri su questo. E in un secondo Consiglio dei Ministri, prima della riapertura delle Camere, quindi prima del 13 settembre, sarà deliberato il piano triennale che deciderà quali degli obiettivi hanno priorità per essere perseguiti. Di questi obiettivi strategici della scuola italiana la parità fa parte. Io ho detto ripetutamente dall’inizio del mio incarico che il principio di parità è una premessa delle altre riforme. Io mi auguro che i fratelli separati del Partito Popolare, che per quarantacinque anni hanno detto di volere la parità e di non averla potuta conseguire perché il contesto politico non lo consentiva, oggi si rendano conto che c’è una maggioranza che lo desidera e che quindi facendo la loro parte si rendano corresponsabili di una scelta per la parità, assicurando a queste maggioranze di governo il consenso anche al Senato in modo che la parità possa comunque passare, trascinando sul principio di parità quella parte della sinistra che si vuole candidare a governare in alternativa a questa maggioranza, in nome di una diversa libertà, non di una illibertà. E se la sinistra vuole candidarsi a governare l’Italia in alternativa a questa maggioranza, in nome di una più ricca, più piena, più garantita libertà, cominci a dimostrare di avere il senso della libertà in riferimento alla scuola e allora sarà credibile anche la candidatura in alternativa a questo Governo sul piano di altre libertà. Questa è la sfida di altissimo profilo che da qualche settimana abbiamo posto ai Popolari e alla sinistra nel Parlamento.