Da Bergman a "Kristin Lavransdatter": l’arte di un cuore innamorato della realtà

Lunedì 19, ore 16.30

Relatore:
Liv Ullmann,
Attrice e Regista

 

 

Ullmann: In questo incontro non intendo parlarvi di Bergman o dei film, anche se parlerò dell’arte e vi spiegherò perché l’arte è importante; cercherò invece di parlarvi delle mie convinzioni, dei miei pensieri.

Mio padre morì quando avevo sei anni: fin da allora, ho sempre pensato che mi avrebbe protetto dall’alto. Oggi è la prima volta che parlo dopo che anche mia madre mi ha abbandonato (due giorni fa), e in un certo modo sono felice perché finalmente i miei genitori si sono riuniti. C’è anche qualcun altro che ho amato moltissimo nella mia famiglia: mia nonna. Quando ero una ragazzina, stavo seduta sul suo grembo ad ascoltare le storie meravigliose che mi raccontava. In tutta la mia vita di adulta ho sempre ricordato il suo respiro e il profumo della sua pelle.

Forse solo un’altra volta ho incontrato una persona che aveva questo stesso profumo. È stato venti anni fa: avevo ceduto tutti i soldi raccolti dagli attori di un mio spettacolo a Broadway ad una colletta per un’organizzazione che si occupava di profughi, e questa organizzazione mi aveva chiesto di andare in Thailandia per incontrare i profughi della Cambogia e vedere come i nostri soldi sarebbero stati utilizzati. Mi recai anche a Macao, in una parte molto isolata di questa isola, dove c’erano delle persone affette da lebbra. Ero terrorizzata per la paura del contagio, ma riuscii a superare il timore e mi avvicinai. C’era una persona anziana su un materasso, in posizione quasi fetale, e piangeva molto forte. Sono riuscita a piegarmi, ma non riuscivo ad accarezzarla o a stringerla perché avevo troppa paura della lebbra. Una suora che lavorava proprio in quel campo mi superò e mi disse di occuparmi di quella persona anziana: allora, mi piegai e la presi tra le braccia – lei smise di piangere –, e ricordo che incontrai lo stesso profumo di mia nonna.

Fu proprio in questa stessa circostanza drammatica che mi ritrovai a chiedermi: ma cosa voglio fare nella vita? Il mio lavoro ha un posto in questa vita, con così tante esigenze, in questa realtà drammatica così lontana dalla mia vita? Mi sono così accorta che il teatro, i films, il cinema, non sono un lusso, non sono qualcosa che si può sottovalutare, ma qualcosa di cui abbiamo bisogno. Non parlo certo dei Rambo o delle immagini sensazionali e crudeli... ma credo veramente che la cosa di cui abbiamo bisogno siano buoni films, che ci colpiscano riuscendo a raggiungere la nostra anima e a ricordarci chi siamo. È una ricerca che si svolge all’interno, nel nostro cuore, e che mira a tutto l’universo: se io non ho la verità dentro di me, come potrei portarla fuori?

Permettetemi ora un altro aneddoto. Quando ero in Colombia per l’UNICEF, a Bogotà, incontrai dei bambini che vivevano per la strada: avevano più o meno otto anni, e dovevano fuggire da casa perché i loro genitori erano sempre ubriachi. Appartenevano alla vita della strada, dove c’erano tantissimi trafficanti di droga, spacciatori che aspettavano questi bambini e che naturalmente li utilizzavano per cose inenarrabili. Una persona che aveva a cuore questi bambini li convinse a venire a mangiare con noi. Volevano delle ali di pollo da mangiare, ma quando arrivavano sul tavolo, la prima cosa che ogni bambino faceva era di offrire la sua ala di pollo a me anziché mangiarla. Ricordo anche che uno dei bambini faceva finta di essere molto stanco, per poter appoggiare il suo capo su una spalla di un adulto; un altro bambino mise la sua piccola manina nella mia... poi, tutti dissero che erano stanchi e che per tutta la notte avevano trascinato una tela sporca. Siamo andati a casa loro – l’angolo della strada – e mi hanno chiesto di aprire quel telo e di metterglielo sopra, per coprirli. A questo punto fecero quello che faceva mia figlia quando era piccola: hanno aperto le loro braccia e volevano che gli baciassi la fronte per dar loro la buona notte. Allora, capii che essere genitore non include soltanto il fatto di avere una figlia, ma è qualcosa che comprende tutti i bambini.

Questi bambini abbandonati sono persone che non hanno conosciuto l’infanzia, e che sfuggono all’orrore e alla miseria soltanto nei loro sogni. L’isolamento dal resto del mondo troppo spesso alimenta in loro amarezza e sospetto verso il prossimo. Ma noi non siamo solo testimoni di questi fatti, ne siamo parte attiva; le scelte che noi oggi facciamo per conto e in nome di questi bambini descrivono noi stessi, indipendentemente da quanto belle possano essere le nostre vite. Non esistono gli altri: io sono l’altro. I piccini che vediamo in televisione con gli occhi e le bocche coperti di mosche, il bambino disperato che scappa dal suo oppressore... questi sono anche i nostri bambini. Al di là di ogni l’organizzazione, dobbiamo anzitutto permettere a questi bambini di raggiungere i nostri cuori e la nostra coscienza.

Sappiamo che i bambini muoiono per arma da fuoco, per malattie, per fame negli angoli più poveri del mondo, ma stiamo anche imparando che perfino nelle parti più ricche del mondo, i bambini si suicidano, non per fame fisica, ma per una denutrizione spirituale, per lo sgomento e per la disperazione di non riuscire a capire chi sono. Non sanno cosa significa essere umani e come lo si diventa, e neanche i loro genitori lo sanno. Mio nipotino di sei anni si sente dire tutte le sere dalla mamma: "non ti preoccupare, non c’è niente di cui temere, ci siamo qui noi". Ma questo non potrà durare per sempre, un giorno si rivolgerà verso i genitori e chiederà: "perché il bambino in televisione piange?". Cosa gli si potrà rispondere? Le parole che i suoi genitori sceglieranno per spiegargli queste cose non so quali saranno, ma so che queste sono realtà che non possiamo eludere: anzi, la nostra responsabilità è proprio quella di trovare le giuste parole e la giusta modalità per salvare le loro anime. Non solo; la nostra responsabilità come genitori è proprio quella di rifiutarci di ricorrere a menzogne o a slogan, come se fossero dei rimedi per affrontare la realtà o medicine per annientare la sofferenza. Non possiamo più vivere con la vecchia retorica, che conosciamo fin troppo bene, fatta per apparire buoni per l’imminente Consiglio di Amministrazione o per l’imminente campagna elettorale.

Non dirò mai a mio nipotino che tutti i bambini sono simili, perché un giorno, quando crescerà e diventerà adulto, potrebbe coltivare timore e intolleranza e allontanarsi da tutti coloro che non gli assomigliano: dico questo perché solidarietà non significa necessariamente condividere i medesimi pensieri, convinzioni, abbigliamento, religione o colore. Solidarietà vuol dire unirsi per celebrare le differenze, celebrare tutto e tutti, tutti coloro che onorano la vita. Noi siamo qui proprio per unire le nostre forze e per dimostrare quanto sia importante questo. Se io penso solo a me stesso chi sono? Dobbiamo sempre chiederci quali possono essere le conseguenze e i riflessi per la nostra vita di tutte le parole che sentiamo. Non accontentiamoci delle risposte che ci danno le notizie flash o i guru della televisione, anche perché l’informazione non coincide necessariamente con la conoscenza o con la verità. Capire, conoscere, vuol dire porsi domande e soprattutto tenersi sempre in stretto contatto con i propri sentimenti, assumere rischi, anche a costo di dover soffrire, ed essere abbastanza coraggiosi per dire "non so, ma forse col tempo saprò". La vera conoscenza significa prendere atto della presenza di altre persone, e riconoscerle per quello che veramente sono. C’è sempre un maggior divario tra l’informazione e l’esperienza; non dobbiamo attenderci di capire la fame nel mondo, possiamo solo imparare il fatto che la fame fa male, che le grida di un bambino affamato che muore di fame non hanno neanche più rumore o suono.

L’arte non può rendere il mondo migliore – mi piacerebbe molto che così fosse! –, però può servire da stimolo per noi, può togliere per un istante e alleviare il dolore, o comunque rammentarcelo. Attraverso l’arte, sia attraverso coloro che ne hanno esperienza che coloro che la fanno, è possibile portare consolazione ed anche ispirazione, perché è possibile conoscere la realtà di questo mondo in modo da non trincerarci dietro un muro di indifferenza. La creazione artistica aiuta ad avere fierezza e a rafforzare la nostra anima e questo potrà sfidare le pallottole e combattere l’indifferenza, potrà aprire delle porte chiuse. Credo anche che l’arte sia comunque importante quanto meno per il decoro e la dignità degli esseri umani, per i loro ideali e per i loro cuori, per la loro pace.

Voglio ora raccontarvi brevemente l’esperienza creativa che ho avuto realizzando il film Kristin figlia di Lavrans, il mio secondo film. Credo sia il racconto più meraviglioso mai raccontato nella lingua norvegese, una storia d’amore veramente bellissima. È una storia di passione, passione tra genitori e tra genitori e figli, passione tra persone di mezza età, passione tra tutte queste persone e le forze della natura, ed anche la passione che si scatena tra le persone e il Signore. Volevo riuscire a far entrare tutti questi elementi nella realizzazione del mio film e via via che scrivevo la sceneggiatura veniva fuori praticamente un film di quattordici ore, ed infatti quando ho finito le riprese, il film risultava cinque ore, quando in Norvegia il record era di tre ore e dieci minuti.

Più della metà della popolazione norvegese si è recata a vedere questo film, e di ciò sono molto contenta; purtroppo, un film così lungo è difficile da trasmettere, e quindi da vendere anche ad altri paesi. Per questo, i produttori mi hanno detto di editarlo nella versione che avete voi nelle vostre mani, la cui durata è di due ore e mezza. Ho dovuto cambiare la sceneggiatura con questa nuova esigenza, sottolineando altri aspetti, anche se non ho mai eliminato il concetto della passione per Dio e della passione tra gli anziani e i giovani cristiani.

Gli attori provengono tutti dall’ambiente teatrale: le persone che interpretano gli anziani o i genitori non erano mai riusciti ad interpretare dei film in Norvegia, cosa che è molto triste data la loro bravura. L’interprete di Kristin è invece una debuttante, ed ha avuto molto successo.

Perché ho scelto di fare un film ambientato nel Medioevo? Sigrid Undset disse che i tempi cambieranno, ma non i cuori degli esseri umani, che non cambiano mai. Tante volte, quando vediamo qualche cosa che ci sembra così lontano da noi e dalla nostra realtà, riusciamo a coglierne meglio la verità.

Dopo Kristin figlia di Lavrans, ho realizzato un altro film, Confessioni private, il cui copione aveva scritto Ingmar Bergman, consegnandomelo perché io ne fossi la regista. Credo che lui non abbia voluto dirigerlo perché temeva ancora una volta di avvicinarsi troppo a Dio. Il film è molto religioso, anche se Bergman diceva che raccontava semplicemente di un marito e della moglie che litigano sempre, e dell’amante in mezzo... come se avesse dimenticato quei venticinque minuti del film che non fanno altro che descrivere l’unicità dell’essere umano, nonché il miracolo dei discepoli di Gesù che, dopo la Sua morte, non sapevano cosa fare. Pietro disse: usciamo, e annunciamo il suo messaggio d’amore. E così fecero, e in due anni divulgarono quel messaggio in tutto il mondo, quanto meno in Europa. Ingmar ha scritto questo copione, ma faceva finta che fosse un semplice racconto; me lo consegnò perché sapeva che io vi avrei visto qualcos’altro. Quando vide come lo avevo realizzato fu infatti molto contento. La cosa strana di questo regista straordinario è che per tanti anni ha rinnegato la presenza di Dio nella sua vita e nella sua professione, quella di cineasta. Con questo copione, ancora una volta è tornato a credere, pur non avendo voluto realizzare il film.