Giovedì 26 agosto 1981

L'UOMO EUROPEO E LA SUA VITA

Partecipano:

Prof. Alexander Van Der Does de Willebois:

neurologo;

Dott.ssa Tatjana Goritcheva:

fondatrice in Russia dei Movimento Cristiano di liberazione della Donna.

Moderatore:

Dr. Robi Ronza.

A. Van Der Does De Willebois:

Cari amici, vorrei dapprima esprimervi quanto sono riconoscente a tutti voi di essere stato ricevuto qui. Tutto sommato sono semplicemente un povero medico di uno di quei paesi selvaggi dei Nord-Europa che si chiama Paesi Bassi. Non so esprimervi quanto sia lieto di essere ricevuto qui e di poter prendere questo cosiddetto bagno di calore e di cordialità italiana. Mi è stato chiesto di parlare dei problemi fondamentali relativi alla vita quotidiana dell'uomo europeo. Direi che il problema fondamentale nella nostra società moderna e secolarizzata è la perdita del senso del sacro. L’accento nella nostra vita comune è stato trasposto dall’Essere all’Avere. Voglio spiegarmi. Chi si rivolge al significato sacrale della vita e al valore simbolico delle cose è una persona che mira anzitutto a raggiungere l'essere e soprattutto l’Essere Assoluto. Cerca innanzi tutto ciò che esiste realmente, ossia ciò che esiste eternamente nelle forme temporanee di questo mondo che passa. Portato - come lo dice Eliade - da una vera e propria sete ontologica, cerca in ogni cosa la realtà sacrale per avvicinarsi all'origine divina del mondo e comunicare, nella misura del possibile, con l’Assoluto. Così nelle cose elementari della vita come il pane quotidiano, la coltura della terra, la sessualità, riconosce dapprima il loro valore simbolico come di cose che lo aiutano ad integrarsi in ogni momento nell'ordine divino della creazione, per dissetarlo nella sua sete dell'Essere. Contrariamente, per chi ha scelto per l'ordine temporale, per chi vuoi vivere soltanto nello spazio profano, ciò che conta è soprattutto e innanzi tutto il fatto d’avere, perché deve procurarsi il senso stesso della vita, non attraverso ciò che è, ma attraverso ciò che ha, che possiede. In altri termini, attraverso ciò che può procurarsi nell'ordine, nel mondo materiale, per ciò che può strappare di bellezza, di salute, di piacere e di successo, di potere e di denaro, e di cose. Ciò che conta per lui è la quantità e l'aspetto tangibile. Quando mangia, quando lavora, quando ama non cerca soprattutto di continuare la creazione e di parteciparvi, ma la sua prima preoccupazione è piuttosto di trarne un massimo di benessere e di contentezza fine a se stessa. Partendo da ciò tutte le nostre attività prendono una strada errata e cominciano ad esprimere l'odore, anzi la pestilenza di questa malattia moderna, di questo male del secolo che è la noia; perché la noia è l'espressione di ciò che potremmo chiamare il Vacuum esistenziale, il vuoto esistenziale, il vuoto interno, l'assenza dell'anima quindi questo vuoto che c’invade quando lasciamo la via sacra dei divenire, l'aspirazione dell'Essere per perderci sul cammino nel vicolo cieco dove siamo spinti dall'avarizia e dalla brama del possedere. D'altro canto non è sempre con malafede che uno prende quella direzione che uccide l'anima. Spesso è invece per ignoranza; semplicemente ci si sbaglia nella strada, quando si crede che la vita, cioè il divenire, possa essere sostituito dalla sensazione di vivere; la sensazione d’essere e d’essere qualcuno. Questa sensazione, ad esempio, uno se la procura accumulando ricchezze o potere su un altro, o altresì con esperienze sensazionali nell'ambito sessuale, nell'ambito della violenza, delle droghe o dell'alcool. Si tratta effettivamente in questa materia di un vicolo cieco, di una morte dell'anima. Lo si riconosce appunto da questa caratteristica: da un lato che ci vogliono sempre più cose e dall'altro che bisogna senza sosta ripetere le esperienze sensazionali, questo ripetersi monotono e mortale che indica appunto la noia, che indica la fermata, l'arresto dei divenire della persona. In parole povere, uno non progredisce più. Ci si muove, ma sono gesti sterili senza senso, che non portano a nulla. Si produce sicuramente un certo effetto, ma in realtà non si realizza nulla e certamente non c'è nessun realizzarsi dell'individuo, della persona. Così qualcuno che si è abbandonato a questo sogno d’onnipotenza alcolica si ritrova dopo con le mani vuote. Nulla d’essenziale è avvenuto, nulla è cambiato. Se si tratta di avere, per essere precisi, ciò che conta non è tanto il fatto di avere in sé o per sé, bensì soprattutto il dinamismo o la contentezza i quali, una volta acquisiti. rapidissimamente mostrano la trama dei vuoto e della noia. La gioia di una nuova macchina dura, ad esempio, qualche settimana e per sentire nuovamente l'eccitazione di un tale acquisto rapidamente ci vuole una nuova macchina, con i nuovi ritrovati tecnologici e così via. Altro esempio: colui che regna su un paese, e per il quale il fatto di esercitare il suo potere è diventato un fine in sé invece di mirare al bene dei suo popolo, costui si stanca rapidamente. Quindi ogni volta gli ci vogliono nuove conquiste per rinnovare quel senso acuto dell'avere che dà quell'illusione di essere. Lo stesso vale per le conquiste sessuali e le illusioni tossicomani. Da lì nasce quell'inquietudine ansiosa e la ricerca frenetica di stimoli sempre più forti. E lì la morte si fa passare per la vita, perché dopo ognuno di questi eventi ripetuti, quando nulla è avvenuto, nulla poi si è realizzato, s'incontra ogni volta e in modo doloroso il proprio nulla che è poi il nulla della morte. Tutto ciò può essere riassunto nelle parole di Beaudelaire che leggo: "0 morte, vecchio capitano, il tempo è venuto, salpiamo. Questo paese ci annoia, o morte, salpiamo! Versaci il tuo veleno affinché ci aiuti e ci conforti. Vogliamo, tanto ci brucia questo fuoco, andare fino in fondo all'abisso. Inferno o cielo: cosa importa? Fino in fondo al paese sconosciuto per ritrovare il nuovo". Viceversa quello che cammina sulla via stretta, ma sacra dei divenire, dato che tende verso la pienezza dell'essere, comincia necessariamente a spogliarsi dell'avere. Ad esempio, seguendo i consigli evangelici sull'obbedienza, la povertà e la castità. Per lui l'avere non è uno scopo in sé, ma ciò che è acquisito, ciò che gli è stato dato, riconosce di averlo ricevuto per darlo al servizio degli uomini; e questo contemporaneamente è come servire la realizzazione di sé, dell'io. Insomma è la vecchia verità che quello che vuole guadagnare un senso alla sua vita deve perderla; quello che perde la sua vita la guadagna. In parole povere potremmo dire che la civiltà secolarizzata, che ha scelto per l'ordine profano, ha sostituito l'essere con l'avere. La "cultura. dei narcisismo", com’è stata chiamata anche la nostra epoca, predica che la realizzazione dì sé, il dispiegarsi letteralmente della persona, si ottiene con la ricerca di sé e, quindi, non con il dono di sé. Forse possiamo ora cercare di applicare ciò che abbiamo detto ai due pilastri della vita quotidiana, ossia l'amore e il lavoro. Dapprima il lavoro. Per quanto riguarda il lavoro non c'è dubbio che è inutile glorificarlo troppo e presentarlo in modo un po' centrale, come lo scopo più nobile, oppure l'espressione sublime dell'uomo, anche perché il lavoro, tutto sommato c’è stato dato come castigo. E' un aspetto questo che non dobbiamo mai dimenticare. Detto ciò è evidente che non si tratta necessariamente qui di un castigo puro e semplice, di una vendetta, per così dire, bensì di un castigo che può servire all'espiazione dei nostri sbagli, dei nostri errori, per purificarci. Esaminato nell'ottica dell'essere, mi sembrano che siano possibili due atteggiamenti nei confronti dei lavoro. Si può dire, seguendo il giovane Marx, che l'uomo deve potersi esprimere "nei" e "per" il suo lavoro. In altri termini l'uomo non dovrebbe lavorare come uno schiavo o una macchina di produzione. Così facendo, non avendo nessun rapporto vivo e l’autentico con i prodotti dei suoi sforzi, che servono esclusivamente al profitto di un altro dal qual è sfruttato, egli diventa con il suo lavoro alienato da se stesso. D'altro canto è facile immaginare che se il lavoro serve unicamente al profitto individuale, ricade, come ricerca di sé, facilmente sotto il dominio dell'avere, dei possedere. Sotto un'altra angolazione possiamo usare la parola "espressione", non per caratterizzare l'azione espressiva, creativa, individuale dei lavoratore, ma al contrario per riservarla all'azione di formazione che scaturisce da ciò che è fatto bene e che può avere un'azione di formazione sulla nostra vita interiore. Il termine "espressione" che ho voluto usare, tradisce l'influenza sull'uomo degli oggetti che ha costruito. In fondo questa sembra una posizione meno presuntuosa. della prima. Non scaturisce dall'idea che ogni uomo individuale è un creatore e meglio si accorda con l'idea di integrarsi all'essere della creazione. Sembra affermare che l'uomo non è nulla in sé, che è stato creato e, per così dire, è stato plasmato dalle forme che trova nella natura e poi dai cambiamenti che lui apporta; perché tutto ciò che possiamo fare aiutando il nostro ambiente con il lavoro e plasmandolo con le arti significa. trasformare la natura e trasformarla in modo che il risultato ci serva poi ad elevarci e trasformarci a nostra volta. Ora se prendiamo l'esempio dell'architetto, egli può accontentarsi, per costruire una casa, o un edificio pubblico, di servire l'utile, l'efficiente, di pensare soltanto al benessere. Aggiunge un pizzico di gusto personale e nulla di notevole è stato creato. Le persone educate dicono che è comodo, originale; poi tutti alzano le spalle e nulla di nuovo o di sostanziale è stato aggiunto. Nulla che, per così dire, possa informare, dare forma alla vita dell'uomo. Questa è la laida monotonia della noia. Ma l'architetto può anche, contemporaneamente al funzionale, servire la bellezza, senza finire in uno sforzo sterile d’originalità, può, per così dire, rientrare nella tradizione della creazione, ascoltare coi proprio cuore, con la propria intelligenza e studiare le regole da seguire per ritrovare bene le proporzioni e portare la misura, la struttura nel l'omogeneità dello spazio informe. Allora costruisce non futili pareti, bensì delle mura, che sono fiere dei loro sassi, mostra nello spessore necessario, mostrano che c'è l'equilibrio con le misure degli spazi dove l'anima può anche respirare. Allora artigiani, operai, gente di passaggio lavorano e guardano con piacere. Si sentono a loro volta edificati dal risultato che tocca il loro cuore e la loro intelligenza. Lo stesso vale per i vestiti, per l'arredamento, per qualsiasi cosa. Quando le cose sono fatte bene, cioè funzionali ed espressione dei loro valore di civiltà, servono alla formazione della comunità che li produce e li usa. Il grosso problema che si pone qui, e ovviamente come per qualsiasi campo, ambito della vita, è la domanda seguente: come addomesticare la tecnologia affinché da sola non si crei le proprie leggi e rafforzi ulteriormente su di noi questa caratteristica dell'uomo-macchina, ma affinché sia messa a servizio dell'artigianato e quindi della dignità dell'uomo? Dopo queste indicazioni sulla natura di ciò che noi facciamo, dovremmo ancora discutere della natura dei lavoro stesso, ossia il "come" del lavoro; e soprattutto come integrare il lavoro nella totalità della vita quotidiana. Si ha spesso l'impressione, attualmente, che la nota nascosta spinga la gente progressivamente a non più approfondirsi "nel" e "per" il lavoro che compie; anzi dato che la necessità del divertirsi vige ovunque e cammina di pari passo con una svalutazione dei lavoro, svalutazione strisciante, si ha spesso l'impressione che le ore di lavoro non siano più viste se non come un tempo morto, un deserto da attraversare tra due fine settimana, tra due vacanze, due ferie. Il tempo che si trascorre al lavoro è quindi dominato dal senso dei possedere e ridotto al suo valore-denaro. Mentre è sottinteso che la vera vita inizia soltanto col tempo libero e questo tempo libero è un'illusione, perché e commisurato alle promesse della nostra immaginazione e dell'industria dei cosiddetto tempo libero. Ciò che manca qui, quindi, è la dimensione dei tempo sacro, che segnerà il divenire dell'uomo trascendendo il tempo profano, la dimensione orizzontale dell'avere, dove si snodano le ore di lavoro per guadagnare denaro e si snodano altresì le ore dei tempo libero per spendere questo denaro cosi accumulato. Ora facilmente diciamo che la natura stessa dei lavoro, nelle fabbriche e negli uffici, è noiosa, date le sue caratteristiche proprie. Lo si dice a prima vista non senza motivo. Allora è ovvio che la gente tende a fuggire i luoghi dei lavoro. Ma qui non dobbiamo giudicare in modo superficiale. In un recente articolo del "Time" l'autore cita uno psicologo, Maslow, che dichiara, con una simpatia mai riposta, che per lui sarebbe difficile. sentirsi felice e contento di sé, amarsi e rispettarsi, se dovesse lavorare ad esempio in una fabbrica di gomma da masticare. Ebbene recentemente una tale fabbrica a Long Island è stata chiusa. Gli operai, che avevano lavorato per anni in questa fabbrica, certo non ne sono stati felici. Anzi uno di loro diceva: "Era un bel posto per lavorare: si stava come a casa propria". Quindi in un secondo momento dobbiamo chiederci se spesso piuttosto che il carattere dei lavoro in sé, non sia l'atteggiamento che noi prendiamo nei confronti dei lavoro che tutto sommato decide se si trova questo lavoro noioso o meno. In tal caso è certo che si può mettere qualcosa di personale in un gran numero d’attività. persino quelle più semplici. Basta lavorare con umiltà; in altri termini basta non concentrarsi esclusivamente su ciò da cui si può trarre profitto, beneficio. E' sufficiente ad esempio guardare ad una comunità di frati contemplativi. L'ordine dei giorno è ritmato da intervalli regolari dei tempo sacro, e questo contribuisce a che compiano il loro lavoro profano con l'amore e l'applicazione di un gesto liturgico. Inoltre sembrano trarre una vera e propria soddisfazione dalle loro attività, perché non si tratta di un servizio necessario alla comunità semplicemente, ma anche perché per loro lavorare è un modo di pregare, essendo qualsiasi opera al servizio di Dio, "opus Dei"; e in fin dei conti perché hanno imparato ad amare, a far bene le cose, anche le cose più insignificanti. Sembrerebbe quindi, che, per mettere qualcosa di personale in ciò che abbiamo da fare e per trarne una certa soddisfazione e una certa formazione, ciò che conta non è soltanto la natura dei lavoro in se, bensì anche l'atteggiamento interno con cui facciamo questo lavoro. Ciò non toglie che sarebbe interessante discutere sul come togliere a tanti lavori il loro aspetto monotono e addirittura degradante, cercando di riavvicinarli, nella misura dei possibile, a ciò che è la dignità dell'uomo. Fra l'altro mi sembra che i sindacati qui potrebbero apportare un contributo. Per ora invece si ha spesso l'impressione che s’interessino quasi esclusivamente alle condizioni dei lavoro, all'importo della paga, alle ore di lavoro nella settimana, ecc. (questo già sottintende che, tutto sommato, qualsiasi lavoro è nocivo); sarebbe forse meglio preoccuparsi delle possibilità di nobilitare il lavoro in se affinché diventi non solo il modo di guadagnare il proprio denaro, ma anche scuola di formazione dello spirito. Dovremo anche preoccuparci dei problema seguente: come organizzare la società in modo che appaia più unità fra la vita della famiglia, la vita professionale e quella dei tempo libero, in modo che la vita intera tenda nelle varie sue sfaccettature verso un unico scopo di civiltà, forse potremo dire verso la città di Dio? Vorrei aggiungere che viaggiando per venire a Rimini nel treno leggevo un articolo sempre di "Time" intitolato "Perché l'Italia lavora?" e ho scoperto che in Italia avete già risolto largamente questa difficoltà di integrare il lavoro e la vita familiare, come si dice appunto, prendendo com’esempio gli imprenditori di Prato e Firenze. Quindi ciò che ho detto forse non è completamente valido per l'Italia che è già sulla strada giusta. Cerchiamo ora brevemente di analizzare il significato della sessualità. Anch'essa nella nostra civiltà secolarizzata è largamente definita dal senso dell'avere. E', in questa società dei consumi con la sua contraccezione artificiale, capita e vista dapprima come il modo di soddisfazione e di benessere corporale e, per questo motivo, è dissociata dall'amore coniugale e persino dall’amore e dalla fecondità. Generalmente la si è ridotta alla sua funzione genitale e mi sembra che per la prima volta nella storia avvenga una tale cosa o almeno su tale scala. Comunque all'origine le cose non andavano così. Sicuramente l'abuso della sessualità, la concupiscenza e la crudeltà sessuale sono esistiti da sempre. Ciò non toglie che, fino alla nostra epoca materialistica e meccanicistica, si è sempre concepita la sessualità (secondo l'espressione d’Eliade) come una Hierofania, ossia la manifestazione dei sacro. Era partecipazione dell'Essere e, come tale, una ricapitolazione dell'atto creatore, anche se così il suo scopo primordiale era la procreazione. Eliade racconta come nella tradizione indù lo sposo, nell'Upanishad, quando stringe sua moglie, dice: "Sono il cielo, sei la terra". Così l'amore sessuale s’iscrive "d'emblée" nella prospettiva divina e cosmologica dei matrimonio esemplare fra il dio cielo e la terra madre: la Hierogamia all'origine della creazione. L'unione sessuale fra l'uomo e la donna è così valorizzata come una riattuazione dell'atto creatore. Il deprezzare l'amore coniugale o persino la desacramentalizzazione e l'imborghesimento dei matrimonio, ovviamente, ha una sua storia, il cui culmine è stata la sfida dei romanticismo nelle parole di Byron: "L'amore è il cielo, ma il matrimonio è l'inferno". Così dopo tanta visione cieca della sessualità, di falso pudore e di moralismo opprimente possiamo anche capire una reazione di libertinaggio. Ciò non toglie che se la reazione come tale è comprensibile si sia imboccato un altro vicolo cieco. Dopo Freud il segreto, l'alcova ha lasciato il posto al mercato e alla piazza pubblica, punto e basta. Nulla di fondamentale è cambiato. Ma per raggiungere veramente una sessualità integrata evidentemente ci vuole l'educazione verso una vera padronanza delle nostre pulsioni d'istinto. Non dobbiamo ricacciare dentro di noi oppure scatenare queste forze, bensì educare questi istinti. E questo con la nuova libertà egocentrica viene tralasciato come lo era prima. Se ora vogliamo orientare la sessualità nella dimensione dell’essere, credo che comunque sia bene far riapparire in una nuova luce la trinità originale, la trinità sacramentale della fedeltà coniugale. dell'amore erotico e della recondita. Perché. tutto sommato. io penso che le uniche funzioni valide della sessualità siano la procreazione da un lato e l'unione tra l'uomo e la donna dall'altra parte. Nella prospettiva religiosa il carattere elevato dell'unione sessuale viene ancora sottolineato quando ci si rende conto che il primo aspetto, quello della procreazione, implica una nostra partecipazione immediata all'atto creatore e che il secondo aspetto, l'unità degli sposi, dato che si può realizzare solamente all'interno di una alleanza permanente, ci consente di avvicinarci all'unione di Cristo con la propria Chiesa per il tramite dell'immagine mitica fra lo sposo divino e la sua sposa, la Chiesa, che sarebbe la terza funzione, la sua funzione simbolica e sacra. Sottoscrivendo questo punto di partenza ci sì libera subito dal caos nel quale la sessualità isolata dal processo di realizzazione della persona e della fecondità, diventa un fine a sé invece di essere un fenomeno, un epifenomeno dell’amore. Come gesto vuoto senza significato viene ricercata per soddisfacimento egoista, in modo che può necessariamente disconoscere la persona dell'altro. In questa costellazione si diventa oggetto di piacere oppure strumento per sfuggire alla noia e alla solitudine. Ma seguendo questa via si arriva alla tristezza di una sessualità sterile e avara. Viceversa un'alleanza d'amore guadagna tutto in profondità e infecondità, nella misura in cui nel mutuo riconoscimento l'uno serve il divenire dell'altro. Ma questo è opera di una vita. Non è un'avventura che s’inizia per abbandonarla a metà strada, in modo che l'essenza di una tale alleanza è la fedeltà, che è l'angelo guardiano dell'amore. Fedeltà, mutua fedeltà, anche per rispetto nei confronti dei propri bambini. La mia tesi, per concludere, è che la sessualità può occupare il suo vero posto soltanto laddove è centrata sul divenire e sulla fecondità; ossia laddove, nel senso anche figurato, suscita la vita e non la lascia più. Conseguentemente e in linea di massima, la sessualità non ha il suo posto fuori dal matrimonio, dove questi legami non presentano alcuna garanzia di durata e non si prestano al divenire dell'uomo nuovo che nasce dall'uomo e dalla donna quando si fondono in un'unica carne. A maggior ragione, e data la loro natura temporanea, non si prestano alla creazione di un nuovo bambino. Direi che l'unione carnale prima dei matrimonio più o meno significa festeggiare la fine delle nozze, come qualcuno che spreca l'avvenire e spreca anche la sua notte di Natale sprecando le candele e bruciandole tutte. Grazie della vostra attenzione.

T. Goritcheva

Due anni fa a Leningrado ha visto la luce il primo giornale femminista indipendente "La donna e la Russia". La rivista ebbe l'effetto di una bomba: per la prima volta in 60 anni di regime sovietico le donne incominciavano a parlare di sé e lo fecero con una forza tale che tutto il mondo si accorse che per le donne sovietiche il Gulag non si riduce alla prigione ed ai manicomi, ma è la stessa vita quotidiana ad essere un Gulag. Seguì immediatamente la reazione dei KGB, e incominciarono gli arresti, le perquisizioni, gli interminabili interrogatori, i ricatti. Ma non era così facile spezzare delle donne che per tanto tempo avevano taciuto. Alle persecuzioni rispondemmo dunque creando un'altra rivista femminista intitolata "Maria", e il primo club femminista dell'URSS, anch'esso dedicato alla Vergine Maria. La condizione della donna russa è estremamente difficile, molto più difficile di quanto non fosse prima della Rivoluzione, prima della famigerata emancipazione, tanto conclamata dalla Rivoluzione stessa. Certo, la nostra donna è estremamente "emancipata", cioè è doppiamente schiava. Alla pari dell'uomo, fa i lavori più pesanti, ma più pesanti ancora di qualsiasi altro lavoro sono i lavori domestici. Tutto il peso delle incombenze tradizionali, come le faccende domestiche, il fare la spesa, tirare su i figli, grava sulle sue spalle. In un paese come il nostro, dall'economia a pezzi, c'è la fame. Per comperare le cose più necessarie, una donna è costretta a stare 3 o 4 ore in coda. Se poi a tutto questo aggiungiamo l'atmosfera di villania, irritazione, malacreanza che la circonda ad ogni passo, se pensiamo all'alcoolismo imperante fra gli uomini sovietici, il quadro che ne risulta è decisamente spaventoso. La semplice sopravvivenza fisica delle donne, in queste condizioni, è già di per sé un miracolo. La donna russa è la martire della nostra epoca. E tuttavia è lei oggi che invita ad una rivoluzione sociale e politica. Invita alla trasfigurazione spirituale ed al pentimento. Il nostro movimento femminista è composto da donne che hanno diverse visioni dei mondo. Tuttavia il novanta per cento di queste donne è ortodosso. Oggi noi in Russia siamo sull'orlo di un completo tracollo fisico, morale e spirituale. Il male ha superato ogni limite. Tutti gli uomini migliori finiscono in prigione, la vita affoga nella paura, nella menzogna, e nell'immoralità. L'alcoolismo è una catastrofe ormai nazionale. Abbiamo compiuto una mostruosa rivoluzione, cercando con spaventosa arroganza di uccidere Dio e dì costruire il Regno di Dio in terra con i soli sforzi umani. Oggi, la stessa parola "rivoluzione" c’è diventata odiosa. E' venuto il tempo del pentimento. L'intelligencija russa che aveva preparato questa sanguinosa rivoluzione, oggi fa ritorno alla Chiesa. Nella Chiesa si raccoglie l'élite intellettuale dei paese. La Chiesa riacquista una nuova capacità di magistero e di guida. I giovani e gli intellettuali non tornano alla Chiesa per fuggire dalla vita e dalle responsabilità, ma per essere autenticamente liberi. Ci sono voluti anni di prove e di sofferenze perché i cuori degli uomini potessero aprirsi a Cristo liberamente e senza costrizione. Noi tutte, io e le mie amiche dei Movimento Femminista, siamo cresciute nell'atmosfera dell'ateismo sovietico. Di Dio sapevamo solo che non esiste. La nostra conversione avvenne in età adulta, quando già avevamo fatto sulla nostra pelle ogni tipo d’esperienza; avevamo percorso la strada di una libertà distruttiva e nutrita d'odio, la strada della disperazione e dei nichilismo. Ed ecco che quando molte di noi già erano alle soglie dei suicidio, apparve inattesa la salvezza, si manifestò il Dio vivo. Poteva capitare, spesso, leggendo per la prima volta il Vangelo, a venti o trent'anni, o entrando per la prima volta in una Chiesa, o facendo conoscenza con dei cristiani o semplicemente grazie ad una rivelazione. Per me è stato cosi. Fino a ventisei anni non credevo in Dio per il semplice fatto che non ne sapevo niente. Passai attraverso diversi interessi intellettuali, tra cui l'esistenzialismo e lo yoga. Cercavo la verità dappertutto tranne che nel marxismo, che avevo studiato alla facoltà di filosofia a Leningrado. Per me ed i miei amici, il marxismo non aveva più alcun fascino, perché questa filosofia c’era costata troppo cara. Il marxismo è morto e sepolto sotto l'enorme edificio dell'arcipelago Gulag ed in Russia non ho mai incontrato un solo marxista convinto e vivo. Mi sono molto meravigliata quando ho trovato il primo marxista qua in occidente. Si può dire che oggi la Russia sia praticamente l'unico paese nel quale il marxismo sia stato definitivamente superato. Un giorno, pur senza crederci minimamente, ho recitato il Padre nostro, com’esercizio di meditazione yoga, e ad un tratto mi fu chiaro che Lui, H Padre celeste, esiste; non solo, ma che mi ama. Ed ama anche tutto il mondo che ha creato e che mi circonda. Allora mi chiesi che cosa mi era successo. E mi risposi che ero diventata cristiana. Il mio non è un caso eccezionale. In Russia ci siamo convinti che il Signore può far sorgere figli d’Abramo anche da una pietra. Noi non abbiamo Bibbie né un'educazione cristiana, ma evidentemente Dio ha scelto il mezzo più diretto per condurci a sé. Infatti è Lui stesso che si presenta a noi. E questa è la prova migliore della Sua esistenza. H cristianesimo non è per noi una tradizione né un'abitudine, ma piuttosto qualcosa di infinitamente nuovo ed allo stesso tempo d’eterno. La nostra Chiesa russa, esteriormente prigioniera e sottomessa, vive interiormente tutta la pienezza della vita spirituale. Quante preghiere, oggi, in Russia! Fervide d'espiazione, bagnate di lacrime. La Chiesa è l'unica oasi di purezza e di verità nel morto deserto della vita sovietica. E' il cielo in terra. Alla fine della liturgia le nostre Chiese, di solito, vengono subito richiuse. E mi ricordo che mi era penoso strapparmi da quella bellezza. Quando uscivo di Chiesa mi sembrava di essere stata scacciata dal Paradiso e di dover tornare all'inferno. Almeno esteriormente la nostra vita è in rovina e tutto va male, ma a noi, che oggi ci convertiamo a Dio, e chiaro che questo mondo è già stato vinto. Il Signore ha vinto il mondo, lo ha vinto con la Croce. E questo sentimento di vittoria ci rende felici e senza paura. Abbiamo chiamato la nostra rivista ed il nostro Circolo con il nome della Regina celeste e terrena della Russia, la Vergine Maria. I monaci russi dicono che oggi la Vergine percorre la nostra terra e vede ogni lacrima, ascolta ogni sospiro. Oggi è più vicina che mai al cuore della donna russa. La nostra vita si sostiene nella preghiera a Lei, grazie alla sua protezione e al Suo incommensurabile amore. Secondo la tradizione Ortodossa, la Vergine scende all'inferno per salvare i peccatori. Così oggi, scende nell'inferno della vita sovietica e salva i più disperati, quelli che non hanno più speranza. Non è un caso che da noi la chiamino "salvezza di quelli che si sono perduti", non di quelli che stanno per cadere, ma di quelli che sono già condannati. Ed è questo il suo miracolo: "la gioia inattesa", la speranza là dove non c era più speranza. La Vergine ha percorso il cammino della sofferenza e dei sacrificio. Dietro a Lei, per lo stesso cammino, vanno oggi le donne russe. Il Circolo "Maria", dal punto di vista politico, era l'organizzazione non ufficiale più coraggiosa e decisa di Leningrado. Nella nostra città, le donne sono state le uniche a protestare apertamente contro la guerra in Afganistan. Le donne organizzavano dimostrazioni e sostenevano tutti i perseguitati. E tuttavia non hanno scelto la via dell'odio e dell’aggressione, ma quella dei sacrificio. Se non fossimo state pronte a sacrificare la nostra vita, se non avessimo avuto l'eroismo dell'amore, non saremmo riuscite a far nulla. Soprattutto non saremmo riuscite a vincere la paura, questa paura che incatena ogni aspetto della vita sovietica e che è diventata ormai un'abitudine, una seconda natura. In questa società totalitaria, chi imbocca la strada della lotta, deve essere pronto al sacrificio fin dall'inizio. Sarà un reietto, un rinnegato. Perderà inevitabilmente il lavoro, la famiglia, la libertà, e spesso anche la vita. Un alto concetto dei sacrificio ha illuminato a nuovo la nostra vita, giacché nelle nostre condizioni (e forse, in tutte le condizioni) senza spirito di sacrificio non si può nulla. La Vergine ha scelto la via dell'umiltà. Le femministe occidentali ci criticano con particolare acredine perché predichiamo l'obbedienza e l'umiltà. Per le donne russe questa è la cosa più importante. Abbiamo dedicato un'intera conferenza al tema della "umiltà". L'umiltà non è una schiavitù, come affermano le femministe occidentali. Al contrario l'umiltà è un coraggio impavido. Noi affidiamo, liberamente e con fiducia, la nostra volontà perché sia fatta la volontà di Dio. L'umiltà significa essere sempre pronti a sopportare tutto ciò che Dio e la Chiesa possono esigere da noi. Umiltà, pentimento e croce sono le "forze motrici" della nostra vita, ne sono il cuore. Attraverso di loro viene a noi lo Spirito Santo, si comunica la moltitudine dei suoi doni, sì crea una nuova cultura cristiana, una nuova società cristiana. "Acquista lo Spirito Santo e migliaia attorno a te si salveranno" queste parole di San Serafino di Sarov sono sempre con noi. La Vergine è il primo essere umano compiutamente deificato e illuminato. E' il tempio dello Spirito Santo. Il compito cristiano oggi è deificare se stesso e il mondo intero, il cristianesimo è creatività suprema e supremo coraggio nutrito d'umiltà. I Padri della Chiesa dicono che "Dio si è fatto uomo, perché l'uomo diventasse Dio". Una concezione così alta dell'uomo non la possiamo trovare in nessun umanesimo moderno. Il nostro scopo è scoprire Dio in noi stessi, la sua immagine e somiglianza. Nella. Russia contemporanea, il matrimonio è un'istituzione in pieno sfacelo ed in via d’estinzione. Il marxismo non è in grado di dare un fondamento psichico e spirituale all'amore ed al matrimonio. Da noi, ormai, ci si sposa raramente per motivi seri, lo si fa per avere un appartamento o per potersi trasferire. Secondo le statistiche, ufficiali un matrimonio su due finisce con un divorzio. E poi è difficile tenere unita una famiglia stando in coabitazione con altri, con uno stipendio basso, con una immoralità sempre crescente. Eppure sta sorgendo una nuova famiglia ortodossa. Il primo passo è costituito dall’uguaglianza fra uomo e donna ti cristianesimo per primo ha parlato dì quest’uguaglianza: "In Cristo non c'è più né giudeo né greco, né schiavo né libero, né uomo né donna". Ma l'uguaglianza è solo il primo piccolo passo nel matrimonio cristiano. Per noi infatti il matrimonio cristiano si fonda sull'obbedienza, un'obbedienza governata dall'amore. Ormai la donna oggi è pienamente persona e non può più obbedire ciecamente come uno schiavo. L'obbedienza nel matrimonio non si fonda solo sull'amore ma anche sulla fiducia. Noi abbiamo una fiducia immensa nel matrimonio come sacramento perché abbiamo fiducia nella Chiesa come suoi figli. Ogni matrimonio cristiano prefigura le nozze dell'Agnello con la Chiesa ed è l'inizio della futura trasfigurazione e deificazione dei mondo. Questo è quello che pensano oggi le donne dei nostro movimento. Il nostro scopo non è l'emancipazione, infatti noi siamo già fin troppo "uguali" ma la de-emancipazione. La propaganda sovietica esalta il fatto che da noi la donna ha volato nello spazio. Ma chi è venuto a chiederci se volevamo volare nello spazio? Ogni giorno ci troviamo di fronte alla donna sovietica emancipata: funzionari di partito, amministratrici, giudici o guardie carcerarie. Strumenti ciechi della volontà altrui, queste donne si trasformano da vittime in carnefici. Non perdono soltanto i tratti femminili, ma anche quelli umani. Diventano crudeli, disumane, autentiche streghe. Nella nostra società, altamente burocratizzata, si ha più paura di un'amministratrice che non di un amministratore uomo. Il frutto dell'emancipazione sovietica oggi è la demonizzazione della persona ed una maggiore schiavitù. Noi vogliamo essere autenticamente libere, e questa libertà la troviamo solo in Dio. Oggi, come duemila anni fa, la donna russa segue Cristo, lo segue là dove nessuno lo ha seguito, sul Golgota dell'esistenza russa. E su questo Golgota incomincia la nostra resurrezione.

R. Ronza:

Tatjana Goritcheva ha ancora qualcosa da dirvi.

T. Goritcheva:

Vorrei chiedere di fare un appello in difesa d’Igor Ogurtsov, un cristiano che già da 13 anni è in prigione per solo fatto di aver creato un progetto di trasformazione della società in senso cristiano. Ha una salute molto rovinata. E’ in pericolo di morte. Vorrei raccoglie firme in suo favore, perché ciò potrebbe aiutarlo molto e forse si fa ancora in tempo a salvarlo. Grazie.