Lunedì 21 agosto, ore 21.15

OMAGGIO ALLA CHIESA DELL'EST

Partecipano:

Andrej Bessmertnyj, Jan Chrapek, Basilio Losiczko, Vladimir Rudolf, S.E. Mons. Asztrik Varszegi.

Modera:

Don Francesco Ricci.

F. Ricci:

Se qui ci sono dei ricercatori di paradossi, questa sera potranno fare un’abbuffata. Ci sono i paradossi della vita, del pensiero, della filosofia, della storia, c'è il paradosso della fede. L'omaggio che intendiamo rendere alla Chiesa dell'Est è l'omaggio a quello che è, oggi, il più paradossale dei paradossi, lo dico mentre sta accadendo che un cattolico diventa primo ministro di un governo come quello polacco e nello stesso tempo, a Praga, la mummia del regime sta pesando col tallone d'acciaio su una popolazione che dopo ventun anni non ha ancora trovato un respiro per vivere. Un applauso per questa nazione nobile. Il Meeting è sempre stato attento a questa realtà paradossale dell'Est ; non a caso sono passati di qui alcuni dei più autorevoli testimoni della cultura, della fede, della vita di questa paradossale parte orientale dell'unica Europa. Ma se abbiamo dovuto prendere atto, dalla loro testimonianza, del paradosso dell'esistenza di una realtà che era programmata come in corso di estinzione, e proprio qui abbiamo incontrato le tracce e le testimonianze di una Chiesa viva, non nonostante, ma nella persecuzione, questa sera noi potremmo pensare di rendere omaggio a una Chiesa che ha vinto. Un nemico che aveva avuto l'orgoglio e la presunzione di considerarsi invincibile, si trova oggi in stato comatoso, incapace ormai di rendersi conto della realtà e disposto solamente a gesti non del tutto controllabili. Ma, paradosso nel paradosso, questa Chiesa che ha sconfitto un nemico, ha saputo vincere una battaglia, si trova oggi di fronte a un nemico nuovo, questa fantomatica alleanza tra socialismo e capitalismo, tra potere politico ed economico, questa specie di abbraccio che si sta realizzando e che va a determinare un nuovo orizzonte. Vorremmo questa sera cogliere il paradosso della Chiesa dell'Est in questo momento di transizione. Non una transizione al socialismo, ma una transizione da un socialismo che non è mai esistito a un'altra società di cui non sappiamo prevedere pressoché nulla, ma di cui conosciamo i pericoli che vengono dalla nostra esperienza di questo neocapitalismo... Più che un omaggio, dunque, è un dialogo, un ascoltare le testimonianze di coloro che in prima persona portano sulle spalle il peso e la responsabilità di realizzare una nuova presenza di Chiesa, in una nuova situazione di società e di storia. Per questo sono qui presenti uomini che vengono dall'Unione Sovietica, dall'Ungheria, dalla Polonia e dalla Cecoslovacchia, il quadrilatero del cambiamento, il quadrilatero dove si sta formando il futuro dell'Europa e del mondo. Ci introdurrà in questo ascolto del nuovo che accade all'Est, il coro polifonico "Schola Hungarica" di Budapest, riprendendo qualche cosa che appartiene stupendamente alla tradizione della cultura europea, il canto gregoriano ungherese, che ci darà il respiro dello spirito per cogliere poi le voci di coloro che ci parlano. Per la prima testimonianza abbiamo dovuto ricorrere a un trucco tecnologico. Proprio questa sera del 21 agosto, ventun anni fa, si compiva un delitto storico: vogliamo dare la parola a chi, per primo, di questo delitto è stato non solo vittima, ma soprattutto un combattente per la verità. I più giovani non lo conoscono, noi vecchi abbiamo con lui una lunga amicizia, Josef Zverina, il teologo di Praga che anche a noi, nel '68-69, ha insegnato, con le parole e con la testimonianza, il coraggio di essere Chiesa. Ed ora a voi il coro.

Segue la registrazione filmata del messaggio che Josef Zverina ha inviato espressamente al Meeting '89.

J. Zverina:

Cari amici, vi saluto tutti nella comunione fraterna e vi porto i saluti di quelli che avete conosciuto, e ancora di molti altri anonimi, come si dice paradossalmente, poiché nessun cristiano è anonimo, perché abbiamo tutti un nome chiaro e preciso e ne godiamo. Oggi presentate voi altri nomi, Socrate, Sherlock Holmes e Don Giovanni, certo curioso, ma noi siamo abituati a paradossi più strani ancora. Noi ci congiungiamo a queste grida del vostro e anche del nostro Meeting: tre personaggi, alla ricerca di cosa? Per noi potrebbero essere il simbolo di quello che manca nei nostri Paesi. Socrate, l'autore della sapienza dialettica, Sherlock Holmes, servitore della giustizia, e Don Giovanni, l'uomo tragico che ha sbagliato strada cercando un amore che non trova. Noi viviamo in un mondo di attesa, perciò questi personaggi hanno un significato diverso. In questa situazione Socrate sarebbe per noi l'uomo della saggezza umana nella prospettiva della sapienza cristiana (…). Sherlock Holmes sarebbe da noi il maestro gradito del buonsenso, ricercatore ostinato della verità e della giustizia, nemico del male e modello di condotta gentile per la nostra polizia. E Don Giovanni il modello negativo della vita sbagliata, vittima dell'inquietudine (…).Cari amici, vi porto la parola del silenzio affinché parli al piccolo cuore dell'Europa, il cuore dei vostri amici qui. La nostra prima parola sarà naturalmente la parola di comunione e di carità, la parola antica e pertanto nuova, come dice San Giovanni. Oggi si parla molto del modo di pensare nuovo, però più che mai è necessaria la nuova carità. Giovanni Paolo II parla dell'Europa nuova, Gorbacev della casa unica, ma l'Europa nuova ha bisogno di nuove fondamenta. Nella casa unica non devono restare stanze chiuse, dice Bush, sa, ma ci vuole anche un nuovo arredamento. Ci si chiede lo spazio per il silenzio, per la preghiera, insomma per lo spirito che riempia e rinnovi tutto. Ecco la grande sfida del mondo a venire: siamo capaci di comprendere questo momento storico, di sfruttare i segni dei tempi, di abbracciare il mondo intero? Vi prego di aprire le orecchie ed i cuori ad alcuni punti del nostro messaggio. Non dimentichiamo che siamo Chiesa universale. Oggi è in voga il culto della Chiesa locale, giusto a condizione che la particolarità non soverchi l'universalità. Alcuni rappresentanti delle chiese locali si dichiarano adulti, ma gli adulti divengono ben presto vecchi, ci vogliono piuttosto cristiani maturi di una maturità che non si misura con l'età ma si acquista nelle sofferenze. Si parla inoltre del bisogno di cambiare corso, ma dove?... Non siamo né progressisti né tradizionalisti: i tradizionalisti possono diventare traditori, i progressisti aggressori, stiamo a lato della verità, interroghiamoci sui frutti dei rispettivi atteggiamenti. Nel passato abbiamo sentito spesso predicare che il nostro sistema, che di fatto non è nostro, è il più moderno, il più progressivo, il più democratico etc. Ma oggi, osservatelo: è reazionario, totalitario, violento, ritardato. Perché alcuni non vogliono capire questa lezione? Sono d'accordo con la signora Thatcher quando dice che la Rivoluzione francese non ha portato niente di nuovo, oltre l'insolita brutalità, così come le altre rivoluzioni. Il mondo si vanta sempre della sua modernità, ma è solo apparenza del momento, noi conosciamo invece la novità radicale, la novità di Cristo. Perciò non perdiamoci nei dettagli, ci sono molti problemi seri, ci sono grandi mali, malaugurati fenomeni (…). La cosa più importante è il coraggio di avere la fede, di vivere la carità e di essere Chiesa in missione, come dice il documento "Christi fideles laici", però la nostra missione comincia con la liberazione dalla fame, dalla povertà, dall'ingiustizia, dai mali morali, dal nichilismo etc. Poi viene il compito positivo: creare la vera libertà, non solo la liberazione, assumere la responsabilità. Ci vuole in fin dei conti il cristianesimo eroico, quello mediocre non serve a niente, è come il sale che perde il suo sapore (…). Contro lo pseudomisticismo, troveremo un'ascesi solida e vera nello spirito; contro la nuova gnosi, la epignosis paolina dei misteri divini e umani (…). I fedeli non saranno sudditi ma figli della luce. I teologi, finalmente, finiranno con la contestazione e diventeranno maestri umili, servitori del popolo di Dio. E troveremo il vero, ampio ecumenismo. Questa è la fiduciosa attesa che nutriamo anche per il nostro Paese. Che il mondo ci riconosca di nuovo secondo la nostra carità, che arrivi il regno di Dio attraverso la vita nuova.

F. Ricci:

Invito ora a salire sul palco i partecipanti a questo omaggio alla Chiesa dell'Est: Sua Eccellenza Mons. Asztrik Varszegi, Vescovo Ausiliare di Ester con Budapest, il professor Basilio Losiczko della Chiesa Ucraina, il professor Vladimir Pores della Chiesa Ortodossa russa, padre Vladimir Rudolf, parroco di Praga e il padre Jan Urapek, Generale dei Padri Michaeliti di Bologna. Do subito la parola a S.E. Mons. Varszegi, che ci darà una testimonianza su quello che di nuovo accade nella realtà ungherese.

V. Varszegi:

Nel 1988 gli ungheresi hanno commemorato il 950° anniversario della morte del loro Santo Re, fondatore del regno e organizzatore della Chiesa. È stato lui a indicare la strada che il popolo ha cercato, per mille anni, di seguire, per restare fedele all'Europa e alla cristianità romana. I credenti, in Ungheria vedono, nell'anno mariano e commemorativo di Santo Stefano, il punto di svolta per l'inizio di quei cambiamenti tuttora in corso…Le varie comunità ecclesiastiche e chiese che finora stavano sotto controllo amministrativo, hanno riacquistato la possibilità dell'autonomia. Benché in Ungheria le chiese non siano mai state chiuse, al 96% degli ordini monastici è stato sottratto il permesso di funzionamento. Questi ordini monastici ora possono riorganizzare la loro vita, però la continuità nella maggioranza si è spezzata. E un'altra difficoltà è il fatto che gli ordini monastici non sono rientrati in possesso dei loro monasteri, che consentirebbero loro di riprendere una vita comune. Per lungo tempo non ci sono state condizioni e possibilità dell'insegnamento religioso nelle scuole, per cui tutta una generazione di ragazzi è cresciuta senza religione. A settembre l'insegnamento religioso riprenderà, però questa possibilità trova sprovvista la Chiesa che non può impegnare in modo soddisfacente i suoi catechisti. Benché anche il numero dei cristiani cattolici sia diminuito, molti sono coloro che si mostrano servizievoli ed impegnati per la loro fede. Non di meno manca nella Chiesa una struttura interna che potrebbe dare un quadro conveniente alla loro attività. Le comunità di base ed i nuovi movimenti spirituali nella Chiesa, dopo un lungo periodo di attesa, si sono manifestati pubblicamente durante il febbraio scorso. Con tutto ciò poche sono le comunità capaci di rappresentare davanti al pubblico la concezione e il modo di pensare della Chiesa. Malgrado il fatto che nel 1952 la metà dei Seminari fossero soppressi, nei decenni scorsi anche quelli che erano rimasti sembravano troppi, a causa della mancanza di vocazioni. Quest'estate ci ha riempiti di speranza il numero crescente dei candidati nei seminari, così come negli ordini monastici ricostituiti. È vero che la stampa cattolica ormai ha via libera, sono stati pubblicati giornali e periodici a livello nazionale delle varie comunità ecclesiastiche, nonostante ciò noi non siamo abbastanza attivi nel campo sociale. Conformemente alle sue tradizioni storiche, la società ungherese ha bisogno della presenza di scuole cattoliche, però noi non possiamo raccogliere questa sfida (…).Le nostre speranze sono confermate da alcuni segnali positivi. Quest'anno c'è stato internazionale dei giovani, nel nostro Paese, organizzato dalla comunità di Taizè. È stata la prima volta che i giovani dei vari paesi limitrofi hanno avuto l'occasione di incontrarsi. La solidarietà fraterna del nostro popolo e delle nostre chiese si manifesta nell'aiuto che viene dato ai profughi rumeni e ungheresi della Romania, così come ai profughi tedesco-orientali. Il nostro Primate, il cardinale Poszay, è riuscito a Pentecoste a prendere contatto con i fedeli dell'Ucraina carpatica, dove da quarant'anni non vengono consacrati né vescovi né preti. Conformemente alle indicazioni del Meeting '89 volevo presentare la Chiesa ungherese attraverso questi paradossi.

F. Ricci:

Abbiamo avuto dunque una prima informazione sull'edizione ungherese del paradosso, passiamo direttamente dall'Ungheria all'Ucraina, altro paradosso nel cuore del paradosso orientale. Ce ne parla il professor Basilio Losiczko.

  1. Losiczko:

La Chiesa Ucraina di rito orientale conta circa 5 milioni di fedeli. Fu soppressa nel 1946 dal regime stalinista di Mosca. Questo atto illegale avvenne con lo pseudo Sinodo di Leopoli, indetto da una violenza negatrice dei diritti fondamentali dell'uomo che incorporò la Chiesa Cattolica Ucraina nella Chiesa Ortodossa Russa. Tale avvenimento fu preceduto dalla sistematica distruzione della Chiesa Cattolica Ucraina come unità giuridica. L'11 aprile '45 venne arrestata tutta la gerarchia cattolica ucraina, la maggior parte del clero più attivo e i massimi esponenti del laicato ucraino. I beni ecclesiastici furono confiscati e le chiese chiuse al culto. La Chiesa Cattolica Ucraina scese nelle catacombe. Dopo il 1946 in Ucraina seguirono gli anni bui della repressione staliniana, della persecuzione e dell'annientamento della Chiesa Cattolica Ucraina. Il martirologio di questa spietata eliminazione fisica è ancora tutto da scrivere. I vescovi, i sacerdoti e migliaia di fedeli morirono per la fede nei campi di concentramento della Siberia, del Kazakistan e della Polaria. Per oltre quarant'anni la stampa sovietica non cessò di definire i cattolici, ucraini come traditori della patria e al servizio dello straniero, persone da bandire, una volta per tutte, dal suolo ucraino. Il potere politico usò tutti i mezzi a propria disposizione per annientare del tutto questi odiati traditori della comune patria sovietica. Ma la Chiesa Cattolica Ucraina non si scoraggiò né si perdette d'animo, predicò la buona novella nelle terre della Siberia e del Kazakistan, soffrì per Cristo nei suoi membri e lavorò nella clandestinità, non soltanto assistendo il popolo, ma anche educando e formando le nuove leve del clero. Sacerdoti, monaci, suore e laici, come operai galeotti suscitarono l'ammirazione anche tra gli atei e fiorirono le nuove vocazioni. Attualmente la Chiesa Cattolica Ucraina è costretta ancora a vivere nella clandestinità. Da notizie sicure risulta che essa ha in Urss 6 vescovi, circa 750 sacerdoti diocesani, 110 sacerdoti religiosi, 550 suore, tutti e tutte ovviamente clandestini. Per quanto riguarda i fedeli, circa 5 milioni incorporati forzatamente al Patriarcato di Mosca con il cosiddetto Sinodo di Leopoli del 1946, si possono dividere in tre categorie: quelli che restano cattolici nel cuore ma frequentano la Chiesa Ortodossa Ucraina, quelli delle catacombe che, fermi nella loro fede, svolgono vita religiosa in modo clandestino, assistiti e serviti da vescovi, sacerdoti e suore clandestini; un terzo gruppo, nato negli anni '50 sotto il nome di "Pokùtnyky" (penitenti), in modo radicale e ufficiale reclama la legalità della Chiesa Cattolica Ucraina e viene represso dal regime sovietico con la durezza delle condanne a lunghe pene di detenzione. Dopo i primi cambiamenti politici in Unione Sovietica circa la libertà di coscienza e i primi timidi passi. In tale direzione, pare che le autorità governative sovietiche siano disposte a discutere della libertà di religione e di culto anche nei riguardi della minoranza cattolica ucraina di rito orientale, a cui finora era severamente vietata qualsiasi espressione esterna di culto, controllata e perseguita penalmente con estremo rigore.Ora, in attesa della sua legalizzazione e del riconoscimento giuridico, si nota una certa tolleranza e comprensione da parte delle autorità sovietiche locali. Per adesso non c'è ancora nulla di concreto, si tratta soltanto di voci e di attese. Esiste ora un fatto concreto di cui si è parlato diffusamente negli ultimi tempi, tanto in Ucraina che nella diaspora, cioè che le autorità clandestine della Chiesa Cattolica Ucraina hanno dichiarato pubblicamente di voler uscire dalla clandestinità e hanno chiesto la piena libertà di culto per la loro Chiesa. Da parte del governo centrale dell'Urss non ci sono state prese di posizione o di repressione nei loro riguardi. Anche il governo della Repubblica Socialista Ucraina, come pure gli organi di polizia, hanno mostrato negli ultimi tempi una certa tolleranza e comprensione verso manifestazioni e celebrazioni pubbliche fatte dai vescovi e sacerdoti ucraini in varie località e nei celebri santuari nazionali dell'Ucraina occidentale ancora chiusi, specialmente durante la celebrazione del millennio del Cristianesimo della Rus' di Kiev. In alcuni casi si è trattato di grandi masse di popolo che provenivano da diverse regioni dell'Ucraina per manifestare la loro fede, l'attaccamento alla Chiesa cattolica e al Vicario di Gesù Cristo in terra, il Papa di Roma. Un altro fatto di immensa importanza è stato concedere il permesso di inviare in Unione Sovietica e in Ucraina libri liturgici, libretti di preghiere, la Bibbia ed altri libri di contenuto religioso in lingua ucraina. Un fatto di portata storica. In vista di possibili ulteriori cambiamenti e anche di una concessione di libertà alla Chiesa Cattolica Ucraina è necessario tenere conto di alcuni fatti molto importanti che sono avvenuti negli ultimi anni nell'opinione pubblica mondiale ed anche di ciò che sta avvenendo in Unione Sovietica. Qua e là si odono voci cattoliche e ortodosse che pubblicamente esprimono la loro solidarietà alla Chiesa cattolica ucraina, dichiarando apertamente che essa ha il pieno diritto di esistere e di esercitare la sua missione pastorale ed ecclesiale tra il proprio popolo anche in virtù della dichiarazione dei diritti umani. Ultimamente lo scienziato Andrej Sacharov, durante una conferenza stampa al Ministero degli Esteri a Mosca, ha parlato in favore della delegazione della Chiesa cattolica ucraina che veniva a Mosca per perorare la causa del suo riconoscimento ufficiale. Si hanno anche altre numerose testimonianze scritte, da parte del clero e dei laici in Ucraina, che parlano delle giuste aspettative di libertà per la loro Chiesa. Essi si attendono dei passi ufficiali da parte della Sede Apostolica per studiare i modi e le possibilità per ottenere dalle autorità dell'Urss almeno la legalizzazione, ovvero la registrazione delle singole comunità di questa Chiesa e del suo insieme come entità giuridica. La Chiesa Cattolica Ucraina chiede la libertà e null'altro che la libertà religiosa. Ci sia consentito di esprimere il nostro sincero ringraziamento alla Sede Apostolica e al Santo Padre Giovanni Paolo II che tanto ha fatto in difesa della Chiesa Cattolica Ucraina, quando i suoi legittimi diritti erano stati vilipesi dalle oscure forze della tirannia. Egli è stato veramente il "Defensor Ecclesiae et Nationis Ucrainae". Non possiamo non ricordare qui l'angelica figura di Papa Pio XII che, nelle sue due Encicliche: "Orientales Omnes", "Orientales Ecclesias" e nella Lettera Apostolica "Novimus Vos", rievoca le sofferenze e le persecuzioni della Chiesa Cattolica Ucraina di rito orientale. Un cordiale ringraziamento va dalla Chiesa Cattolica Ucraina a voi tutti del "Meeting per l'Amicizia fra i popoli", che ci permettete di far udire la nostra voce ad una platea vasta ed attenta ai problemi della libertà fra le genti.

F. Ricci: Grazie alle informazioni precise e chiare che ci ha dato il professor Losiczko, adesso capiamo meglio perché la strada del Papa di Roma su Mosca non può che passare per l'Ucraina, e ci associamo al voto espresso dal professore che presto questa nobile Chiesa possa ricevere le libertà di cui ha diritto. Ma la voce della Russia non si conclude con la testimonianza del professor Losiczko. Abbiamo la gioia di avere tra noi il professor Vladimir Yurevic Pores da Leningrado. Egli fa parte con Ogorodnikov, di quel gruppo che ha così intensamente lottato, anche pagando personalmente - gli anni passati dal 79 all'86 in prigione dal professor Pores - per la libertà della coscienza e della cultura religiosa, per la libertà della Chiesa in Unione Sovietica. Lo ascoltiamo sentendo risuonare nella sua voce la testimonianza di tutti coloro che in Russia hanno versato lacrime e sangue per la loro fede.

V. Pores:

In una breve relazione posso dire soltanto alcune parole su un argomento così complesso come la Chiesa Ortodossa Russa durante la perestrojka. Innanzitutto questa perestrojka ha confuso le carte, ha fatto perdere la bussola a tutti. Durante la cosiddetta stagnazione, ci sembrava di conoscere bene la situazione della Chiesa, ne parlavamo con sicurezza, dicevamo che la situazione della Chiesa era difficile, che però la fede non era morta e che sarebbero venuti tempi migliori, che noi avremmo in ogni modo affrettato. Si sentivano affermazioni eroiche, che in fondo dimostravano che la gente non si sentiva così sicura di sé. Ma i tempi erano veramente difficili, la gente finiva in prigione o in manicomio. Per parole, e sottolineo parole, che oggi si scrivono liberamente su tutti i giornali. Però nel nostro ambiente cristiano c'era molto entusiasmo, molta energia, molta fede nel futuro, raramente ci sentivamo vittime, piuttosto soldati, e soldati all'attacco, mai in difesa. Bisogna premettere che quando parlo di 'noi', intendo un gruppo di persone piuttosto ristretto sul piano sociale. Ma molti di noi sono finiti in prigione, sono stati intimoriti ed è cominciato il periodo della stagnazione. Questo tempo è passato ed ora siamo alla glasnost, alla perestrojka. Oggi potrei affermare con certezza che la vera situazione della Chiesa nessuno la conosce, perché in una società penetrata dalla menzogna a nessuno si può credere: si è guastato lo strumento stesso della comprensione, cioè l'uomo e la sua coscienza. E questo è il fatto fondamentale della realtà sovietica. Il totalitarismo ha provocato un danno enorme alla stessa possibilità dell'uomo di vedere e di comprendere la verità. Questa situazione ha danneggiato la stessa coscienza ecclesiale. A questo è legato strettamente il secondo punto della situazione del movimento cristiano. Oggi si dimostrano superflui quei discorsi eroici che prima erano potenti ed oggi sono impotenti. Oggi è inutile indignarsi e protestare, ci servono nuove iniziative, nuove idee, bisogna assimilare le possibilità che, pur con tutte le riserve, si stanno aprendo. E qui scopriamo che non ci sono entusiasmo ed energia sufficienti: ci vuole un'intelligenza nuova sulla situazione della Chiesa nel nostro mondo e della stessa natura dell'uomo che sta cambiando. Una comprensione dell'uomo contemporaneo è legata in modo decisivo situazione della Chiesa, ma la carenza di questa intelligenza, la mancanza di un significato universale della Chiesa, si sono manifestati nella confusione del nostro movimento religioso, nella quantità di gruppi che sono in rapporti difficili, se non ostili, gli uni con gli altri... E ciononostante si tratta sempre di vita, di una vita abbastanza ricca e variegata. Poi, a quanto sembra, nella Chiesa ci sono degli uomini responsabili, in modo particolare, del significato globale della Chiesa stessa, i Vescovi e il clero. E qui arriviamo al terzo punto, la posizione dell'Episcopato. È necessario sottolineare con forza una cosa: questa posizione dei vescovi è rimasta, nella sostanza e nel significato più profondo, esattamente quella che era prima della perestrojka, nonostante tutte le dichiarazioni e nonostante la riapertura di più di mille chiese, una goccia rispetto alle esigenze reali e aperte, per di più, non per desiderio dei vescovi ma per l'insistenza dei parrocchiani. Nel periodo prima della perestrojka, erano gli stessi vescovi che schiacciavano il movimento cristiano attraverso la loro autorità episcopale. Farò un esempio. Il direttore di una scuola di Leningrado si è rivolto a un parroco di Leningrado chiedendogli di andare nella sua scuola per parlare ai bambini della religione, ma il sacerdote si è difeso dicendo che aveva bisogno del permesso del suo Metropolita, anche se in linea di principio era d'accordo. Ha telefonato al nostro Vescovo che gli ha negato il permesso. E allora sorgono tre domande: la prima è che tipo di sacerdote sia quello che va a chiedere il permesso per fare una cosa così semplice; la seconda è che tipo di vescovo sia quello che proibisce di fare una cosa così semplice e la terza: se il permesso fosse stato dato, che cosa mai avrebbe insegnato questo sacerdote ai bambini, forse il Vangelo ma con uno spirito da schiavo? Nonostante tutto, una via d'uscita c'è: innanzitutto si è trovato alla fine un uomo che andasse in quella scuola a insegnare ai bambini, anche se non era un sacerdote. Il nostro tempo ci insegna che niente e nessuna obbedienza ecclesiale, nessuna disciplina, ci esime dalla necessità di pensare con la nostra testa, dall' assumerci il rischio di prendere delle decisioni, perché Cristo chiama l'uomo alla pienezza della libertà e alla responsabilità, cioè alla pienezza della vera umanità dell'uomo. Recuperare il valore di questa umanità costituirebbe l'autentica liberazione della nostra Chiesa. Perché quando non c'è una libertà interiore nell'uomo, c'è forse una religione ma non c'è cristianesimo. All'uomo non serve una religione dove l'uomo è cancellato.

F. Ricci:

Dopo questa formidabile testimonianza che ci avvicina alla Russia e al problema russo più di qualunque abbattimento di frontiera mercantile o somiglianza di sistema politico, passiamo ad ascoltare la testimonianza di padre Vladimir Rudolf, parroco a Praga, che si presenta con le immagini di una stupenda Via Crucis che copre per intero le pareti della sua grande chiesa parrocchiale. Prima di essere fatto parroco e di aver potuto costruire la chiesa, è stato uno dei protagonisti della primavera di Praga nel 1968-69, dando vita ad una delle più brillanti riprese di vita cristiana con l'opera del rinnovamento conciliare. Vorrei richiamare l'attenzione su una strana, paradossale coincidenza: questa notte del 21 agosto noi vediamo la Cecoslovacchia attraverso le immagini della passione di Cristo, non è una coincidenza casuale, è, anche questo, un paradosso dentro il paradosso.

V. Rudolf:

Care sorelle e cari fratelli in Cristo, sono lieto che qui mi venga data occasione di spendere alcune parole su noi, cristiani nel nostro Paese, sul nostro lavoro, sui nostri progetti. Non dobbiamo soggiacere alla tentazione di considerare superficialmente la nostra situazione, così come abitualmente viene fatto in relazione ai diritti dell'uomo. Ho iniziato la mia vita di prete negli anni '50, cioè in un periodo in cui la vita religiosa nella nostra patria era molto difficile. Le strutture di base cessarono di esistere nel breve giro di una notte. La fede venne sottoposta ad una ben dura prova, si diffuse lo scetticismo, la fede che fino a quel momento era rimasta attaccata ad esteriorità divenne sempre più debole, la speranza morì e tutta la vita religiosa in qualche modo cominciò a scorrere senza nessun progetto, fino a cessare del tutto. Molti riposero le mani in grembo e si rassegnarono ad attendere tempi migliori, convinti che non ci fosse niente da fare. Molti cessarono anche di vivere secondo i dettami della loro fede, si ponevano affannosamente domande e non trovavano risposta. Contemporaneamente, dando ragione al ben noto dato di fatto per cui il sangue dei martiri produce nuova vita, questa situazione di dolore incommensurabile ci rende oggi testimoni del fatto che i cristiani nella nostra patria hanno vissuto soltanto del nutrimento della fede, anche se in piccoli gruppi, e dobbiamo sempre avere davanti agli occhi che questo è stato soprattutto il merito di coloro che sono riusciti a sopravvivere, che hanno patito e che hanno offerto in sacrificio la loro vita. I cristiani che vengono a trovarci da occidente sono sempre positivamente impressionati, quasi entusiasti, per il fervore che manifestiamo durante i riti liturgici, cioè incontrano nella nostra fede una fede cosciente di sé, che ha superato molte dure prove. Oggi che lo spazio per la vita religiosa si amplia, noi cerchiamo noi stessi, cerchiamo il nostro posto, vorremmo rimediare alla situazione. Le Diocesi ricevono nuovamente i nuovi Vescovi, il numero dei teologi aumenta di anno in anno, le monache dei vari ordini possono accogliere nuove leve: questa è la buona realtà dei nostri giorni (…). Una questione rimane tuttavia aperta: riusciremo a realizzare davvero una vita cristiana in questa nuova situazione? Nel nostro Paese i cristiani vivono in una specie di diaspora, questo è un dato di fatto che non possiamo far finta di non vedere. Dobbiamo imparare a lavorare in concomitanza con questo dato di fatto e quindi credere, con Francesco di Sales, che una sola anima immortale può costituire una diocesi sufficientemente ampia per qualsiasi vescovo. Non dobbiamo soggiacere alla tentazione di voler avere potere e influenza, dobbiamo impegnarci completamente a perfezionare soltanto la nostra conoscenza di Dio. I giovani si interessano di religione, si fanno battezzare, ma ricevono sempre una risposta corrispondente alle loro affannose domande? Questo è il grande rischio, il grande pericolo: che noi possiamo offrire loro un cristianesimo non vero ma artefatto (…). Noi dobbiamo annunciare il Vangelo puro e questo significa vedere Cristo tra noi, presente nei nostri fratelli: è la ragione che ha portato alla creazione di questa Via Crucis (…). Papa Paolo VI, dopo la Via Crucis al Colosseo, ha detto: "Fratelli, lasciate che questo meraviglioso mistero susciti in noi sentimenti contrastanti, di ammonimento, di speranza. Le ferite di Cristo ancora sanguinanti non sono un'indicazione, sono un simbolo di tutti gli atti di violenza, della barbarie, dell'odio e della mancanza di scrupoli di cui è capace l'uomo moderno. Certo, quest'uomo è dotato di tutte le conquiste della nostra civiltà tecnica, ma è anche troppo miope per riconoscere come utilizzare queste invenzioni in modo giusto. Perciò, lasciateci dire, basta con l'offesa della dignità dell'uomo e della vita, basta con i delitti, basta con questo sangue freddo e disumano che impone tanti sacrifici alla vita inerme, basta con una strategia che cerca negli armamenti la sua affermazione". Questo elenco potrebbe continuare fino a che dura l'umiliazione dell'uomo. Cristo continua a morire negli uomini che ogni giorno soffrono e muoiono, in essi egli offre instancabilmente la propria vita al Padre per la salvezza del mondo. Ma Cristo è anche la via della vita, non dimentichiamolo: a tutto questo deve fare riferimento la via Crucis della nostra chiesa...

Padre Vladimir Rudolph passa ad illustrare le stazioni della Via Crucis.

F. Ricci:

Le immagini che abbiamo visto mi sembrano sufficienti a farci venire il desiderio di andare a vedere direttamente la Via Crucis a Praga, che ormai è dietro l'angolo. La parola a Jan Chrapek, generale dei Padri Michaeliti in Polonia ... uno degli specialisti mondiali nella scienza della comunicazione.

J. Chrapek:

Molte volte negli ultimi anni, e in particolare oggi, gli occhi dell'Eu ropa e del mondo intero si sono rivolti verso la Polonia, che sta cercando, attraverso il dialogo e nello spirito della "solidarietà" che racchiude il modello etico della vita sociale elaborato in Polonia nel corso degli ultimi anni, di ricostruire un'immagine sociale, economica e politica, che sia radicata nella sua storia millenaria e che sia allo stesso tempo il più vicina possibile ad una futura Europa unita, fondata sui valori del cristianesimo incessantemente riproposti dalla Chiesa cattolica, fondamento della cultura e della civiltà europee. I cambiamenti politici che stanno avvenendo in Polonia sono il frutto del profondo cambiamento avvenuto nella coscienza politica e sociale dei polacchi durante gli ultimi anni, e testimoniamo l'esistenza nei paesi dell'Est, e non solo in essi, di un profondo interesse per i problemi della civiltà contemporanea, che si sta consumando nelle sue opzioni razionalistiche. Tutti conoscono il ruolo straordinario svolto dalla Chiesa cattolica in Polonia, e il suo peso nella vita sociale e politica del popolo polacco. Occorre dire subito a questo proposito che è profondamente inesatto il giudizio che spesso si incontra in Occidente, che riduce il ruolo della Chiesa polacca alle sole dimensioni politiche. Spesso si cerca anche di vedere nella Chiesa polacca una forza che raccoglie sotto le sue ali tutti i gruppi dell'opposizione al partito comunista che finora ha gestito da solo il potere politico, portando il Paese ad una situazione di totale sfascio economico. Questa è una valutazione parziale ed unilaterale. Guardando la situazione nel suo complesso, bisogna dire che il grande e straordinario ruolo della Chiesa cattolica in Polonia non deriva solo dalla situazione politica creatasi dopo la guerra, né da una volontà di influire sul potere o di favorire le tendenze e i movimenti d'opposizione alle forze ateistiche del partito comunista. La Chiesa cattolica polacca, malgrado numerose difficoltà, limitazioni e persecuzioni, nel corso di tutta la sua storia millenaria ha sempre cercato di essere al fianco del popolo, condividendone gioie e sofferenze, sempre preoccupata per il suo destino, il suo presente e il suo futuro, ma soprattutto avendo a cuore la sua fede in Gesù Cristo. In particolare, durante la guerra e il dopoguerra, la Chiesa si è posta a difesa del popolo, quando il sistema comunista cercava di piegarlo all'idea dell'internazionalismo totalitario marxista e di privarlo dei diritti umani e soprattutto di quei valori morali e trascendentali che sono il fondamento del pieno sviluppo della persona e della costruzione di autentici rapporti sociali. Dopo la seconda guerra mondiale, che dapprima ha provocato la distruzione materiale della nazione e poi ha introdotto un'ideologia estranea alla mentalità dei polacchi, la Chiesa ha voluto essere per il popolo innanzitutto una forza spirituale: forte della fede in Gesù Cristo, ha fatto di tutto per alimentare la speranza e per difendere con ogni mezzo tutti coloro che, volendo conservare le proprie convinzioni e la propria dignità personale, non accettavano il nuovo sistema politico e sociale imposto con la forza. Inoltre la Chiesa ha cercato di mantenere nella vita della nazione il posto e il ruolo che le venivano dalla missione affidatale da Gesù Cristo. Lo ha fatto senza cedere mai, nonostante le prove e le persecuzioni. In questo modo è riuscita a guadagnarsi la fiducia del popolo e a trasmettergli la propria ricchezza, accogliendolo sotto la speciale protezione della Madonna nera di Czestochowa, regina della Polonia. Quest'opera spirituale e allo stesso tempo di unificazione nazionale, si è svolta da un lato nel clima della ricostruzione del Paese distrutto dalla guerra, e dall'altro nel clima di confronto continuo con il carattere fortemente antireligioso del comunismo. Questo confronto senza tregua ha costretto i cristiani a ripensare e rivedere continuamente il proprio modo di vivere la fede. Soprattutto perché il comunismo combatteva contro una falsa immagine di Dio: un'immagine deistica, astratta dalla realtà. La Chiesa allora doveva difendere la vera immagine di Dio, che in Cristo è Redentore dell'uomo, è solidale con lui, cammina al suo fianco. La profonda e ferma fede in Gesù Cristo vittorioso, nell'Uomo Dio sempre solidale con gli uomini, premuroso per il loro destino, era costantemente presente nei cuori dei polacchi, ed oggi questa coscienza sta crescendo anche nei cuori di molti nostri fratelli degli altri paesi dell'Est. Questa stessa coscienza teneva viva la speranza e spingeva a continue ricerche di soluzioni sociali conformi allo spirito cristiano, senza far uso della violenza che è strumento della dialettica marxista. Nella seconda fase del confronto con il comunismo, la Chiesa polacca ha cercato di creare uno spazio di libertà per tutti coloro che in nome del vero valore dell'uomo desideravano essere presenti nel campo della cultura, delle iniziative sociali, dell'economia. Al tempo stesso, li ha sostenuti nel loro cammino per raggiungere una adeguata esperienza democratica e li ha incoraggiati nel prendere concrete iniziative socio-politiche. In altre parole la Chiesa, in questo periodo, svolgendo il proprio lavoro pastorale, ha teso soprattutto a risvegliare la coscienza di soggetto della nazione, liberandola dalla violenza della paura e della schiavitù ed invitandola ad essere concretamente responsabile del proprio destino. In questo periodo molte iniziative sociali, culturali e politiche hanno avuto luogo all’interno della Chiesa, per esempio, le Settimane della Cultura cristiana, le lezioni sulla vera storia, sulla vera storia, sulla vera letteratura e sulla vera tradizione polacca, o i corsi di etica sociale. Oggi la situazione è assolutamente nuova. Siamo testimoni della totale crisi del comunismo come filosofia, ideologia e sistema politico. L'Oriente europeo ha sperimentato una cosa sconvolgente: la caduta del cosiddetto mito dei progresso che avrebbe dovuto trasformare il mondo nel paradiso della giustizia, dell'uguaglianza, della libertà e del benessere. Pur chiamandosi progressista, il sistema di potere comunista ha fermato la storia; introducendo al posto della proprietà privata capitalista la proprietà totalitaria dello stato governato dal monopolio di un solo partito, ha alienato la società. In nome della cosiddetta libertà di coscienza è stata introdotta la più grande delle schiavitù, e il dogmatismo ideologico unilaterale ha congelato lo sviluppo di un pensiero indipendente e creativo. La dialettica vista come modo per conoscere il mondo e come forza motrice del progresso è divenuta violenza e gioco politico, ed ha eliminato il dialogo che è unico fattore di costruzione della comunità umana e di responsabilità nel rapporto con il mondo. L'ideologizzazione di tutto cioè la strumentalizzazione, e la menzogna come strumento di propaganda, hanno non solo distrutto i rapporti interumani, ma hanno soprattutto reso impossibile conoscere obiettivamente la realtà. Quindi siamo testimoni della lenta caduta del comunismo, che ha prodotto enormi devastazioni soprattutto nel campo dell'etica sociale e personale. A mio parere, inoltre, questa caduta indica qualcosa di estremamente importante. Siamo testimoni non solo della caduta del comunismo, quanto di tutto un modo di pensare di cui il comunismo era la diretta conseguenza, tradotta nel linguaggio delle formule filosofiche, delle iniziative sociali, delle strutture economiche e dei sistemi politici.L'epoca che sta morendo era caratterizzata dal razionalismo illuminista pieno di ottimismo, che poneva l'uomo al centro del suo campo visivo e cercava di comprenderlo e renderlo felice staccandolo dalla trascendenza, l'unico orizzonte entro cui si può capire l'uomo e che può dare la giusta direzione alle sue ricerche e al suo sviluppo. Come ho già detto, il comunismo come sistema filosofico-politico è in un certo senso una diretta conseguenza di questo modo di pensare. La sua crisi, che deriva dalla sua impotenza a realizzare le promesse, è un importante messaggio per tutto il mondo contemporaneo. La Chiesa in Polonia, oggi, non solo vede la devastazione prodotta dal comunismo nel Paese e nella nazione, soprattutto per quanto riguarda il campo dei rapporti sociali e dell'etica, ma sente anche la necessità di iniziative concrete. La Chiesa è costretta a rivedere il suo metodo di presenza a causa delle contraddizioni sociali e della nuova soggettività degli uomini che vogliono essere presenti creativamente nella vita sociale. È vero che la cosa più devastata è l'etica dei rapporti interumani: questo rende più difficile lo sforzo pastorale nel contesto della crisi economica totale. Tuttavia fa la sua comparsa oggi, come questione di primaria importanza, non tanto il problema etico-morale, quanto piuttosto quello di un'adeguata visione di Dio che in Gesù Cristo, Redentore dell'uomo, ha rivelato la Sua amorevole cura per gli uomini e la sua solidarietà con loro. Siamo quindi testimoni del lento nascere di un'epoca in cui la necessità di Dio diviene grido, un grido più forte ogni giorno. Per questo, oggi, la questione più importante è annunciare Gesù Cristo Redentore dell'uomo, che lo salva qui ed ora. Dobbiamo imparare a vivere la fede in Cristo, creativamente, qui ed ora. Chi usa le cattedre teologiche o le responsabilità ecclesiastiche riducendo la Chiesa a morale o a valori, non solo è contro la Chiesa, ma impoverisce la civiltà contemporanea che ha bisogno innanzitutto di Cristo Redentore. Questo è il messaggio più importante che ci viene dalla caduta del comunismo.

F. Ricci:

(…) Ci è sembrato necessario concludere questo omaggio alla Chiesa con un uomo, una quercia attorno al quale si va determinando una cosa impressionante: se vent'anni fa dicevamo 'attenzione alla Polonia', oggi diciamo 'attenzione, qualcosa succede a Praga'. Il segno di quello che succede a Praga, dunque nel cuore dell'Europa, è rappresentato soprattutto da questa figura, non solo simbolica, di vecchio, 90 anni, Frantisek Tomasek, Cardinale di Praga (…). Questa sera vi presentiamo un samizdat televisivo fatto a ciclostile, abbiate pazienza con le immagini ma ascoltate con venerazione, perché si tratta realmente della testimonianza di uno dei più gloriosi Pastori della Chiesa cattolica del nostro tempo (…).

Viene trasmessa un'intervista fi1mata a Sua Eminenza Card. Tomasek realizzata dal Meeting a Praga, per il precario stato di salute del Cardinale.

Domanda:

Eminenza, i giovani sono sempre più interessati alla religione, a Dio. In che cosa vede le ragioni di questo fatto?

F. Tomasek:

La domanda è di grande attualità. Infatti si può vedere come in un Paese in cui testimoniare la fedeltà a Cristo e alla Chiesa costa sacrifici, cominci a destarsi un interesse straordinariamente vivo per la religione. Non è solo un fenomeno di protesta a carattere politico, si tratta di qualcosa di ben più profondo: la fame e la sete di Dio che si manifestano in particolare, fra i giovani. L'essere testimoni di come chi crede faccia sacrifici per la propria fedeltà alla Chiesa e a Cristo li porta a riflettere. E pensano che deve trattarsi di un valore grande, se porta ad affrontare qualunque sacrificio. È una situazione diversa, ad esempio, rispetto all'Occidente, dove sono, invece, proprio i giovani le vittime del modo di vivere consumista. Lo dico a chiare lettere: c'è fame di Dio, fame della vita con Dio. E questo si manifesta soprattutto nel fatto che abbiamo un numero crescente di giovani che chiedono di venir preparati al Battesimo e che poi ricevono in piena consapevolezza questo sacramento che è il primo e il più necessario della fede e che poi diventano persone che ardono per Cristo o la diffusione del Suo regno. Questa è una grande prospettiva anche per il futuro della Chiesa in questo Paese. Ci sono dei confini, dei limiti per quanto riguarda la piena libertà della Chiesa, ma laddove ci sono dei giovani pronti a servire il futuro è garantito. La prospettiva del nostro futuro è chiara e questo porta anche coloro che non sono nelle nostre file a riflettere e a trarre delle conseguenze. Nell'autunno del 1987 ho partecipato a Roma al VII Sinodo ordinario sulla missione dei laici nel mondo contemporaneo dopo il Concilio Vaticano II. Come parte attiva, sono testimone che la missione dei laici è di estrema urgenza per quanto concerne il ridestarsi dell'interesse per la religione. C'è realmente bisogno di aiuto ed è importante che venga dai laici, perché la stragrande maggioranza dei credenti è costituita dai laici. Anche qui da noi è aumentato il bisogno della loro attività, soprattutto ora che, come è noto, in certe aree c'è penuria di sacerdoti. Ma in questo sta la principale ragione del loro agire: in linea di principio ogni credente deve essere consapevole che crede, non solo per sé, ma per gli altri. In questo spirito il nostro Salvatore Gesù Cristo, nella preghiera al Padre, ci ha insegnato a dire: "Venga il Tuo regno", non solo per me, ma si dilati intorno a me. Questa è l'opera a cui ognuno deve collaborare, non solo con i sacrifici, ma coinvolgendosi attivamente nell'ambito in cui vive e con i mezzi di cui dispone. (…) E usi al massimo questi mezzi. È molto importante essere cristiani non solo per sé, ma anche per gli altri. Questo è il massimo comandamento dell'amore a Dio e al prossimo.

Domanda:

Notiamo con grande gioia, soprattutto negli ultimi anni, che Lei dice apertamente quello che ha nel cuore.

F. Tomasek:

La questione è molto importante. Infatti ho sperimentato che non basta ricordare che cosa è necessario per la diffusione del regno di Dio: occorre esprimersi con chiarezza, in modo sempre più netto e conciso, perché ognuno capisca e arrivi a trarre le conseguenze e non si fermi alla superficie. Come ci ha detto il nostro Salvatore, "il vostro parlare sia sì-sì, no-no". Io mi sforzo sempre di essere conciso affinché ognuno colga il nocciolo della questione. Quando si fa uso di molte parole, i più perdono di vista l'essenziale e si attaccano a cose marginali. Proprio la mia esperienza mi porta a dire che bisogna esprimersi in modo conciso e deciso allo scopo di interpellare ciascuno e far sì che ciascuno si senta chiamato a quello che deve fare. Per eseguire il mandato di Cristo: "Siate miei testimoni".

Domanda:

Che cosa Le da la forza di portare il peso dell'ufficio episcopale in questo tempo così difficile?

F. Tomasek:

Quello che vale per gli altri successori degli apostoli: la profonda unità con Cristo, così ben espressa dalle parole di San Paolo: "Tutto posso in Colui che mi dà forza". Questa forza scaturisce proprio dalla profonda comunione con Cristo in questa vita, nella profonda unità con Cristo. Per compiere il mandato che Cristo ha affidato a tutti i credenti e in particolare ai successori degli apostoli: "Siate miei testimoni".

F. Ricci:

Un vescovo, un popolo, una fede, una speranza cambiano le situazioni, le circostanze si accavallano, sorgono regimi e imperi, ma quell'uomo resta col suo popolo. Con gli occhi si vede, con la mente e il cuore si intende, il senso di questo messaggio. E con queste immagini, con queste parole, concludiamo questa serata di Omaggio alla Chiesa dell'Est (…). Per dare voce a ciò che la testimonianza degli amici che sono intervenuti questa sera ha suscitato in noi, ascoltiamo come una preghiera il canto del Credo rumeno. Lo esegue il coro "In terra viventium".