EDUCARE PER COSTRUIRE. CICLO DI INCONTRI PROMOSSO DALLA COMPAGNIA DELLE OPERE

Tutti ne parlano nessuno la vuole.
La strana sorte della sussidiarietà

In collaborazione con Unioncamere

Venerdì 27, ore 11.30

Relatori:

Francesco Gentile,
Ordinario di Filosofia del Diritto e Teoria Generale del Diritto presso l’Università degli Studi di Padova

Dario Velo,
Preside della Facoltà di Economia presso l’Università degli Studi
di Pavia

Luigi Mastrobuono,
Segretario Generale Unioncamere

Gentile: Ho sempre nutrito un’enorme ammirazione nei confronti di chi trova l’aforisma con cui si identifica un Meeting. Quest’anno trovo che sia stato particolarmente felice nella sua ricerca, proprio per aver accostato "ignoto" e "Mistero" e, nello stesso tempo, averli distinti con i termini "paura" e "meraviglia". La scelta va a pennello con il tema della sussidiarietà perché di essa parlano tutti, ma non è sicuro che intendano la stessa cosa quando ne parlano; ecco perché, in modo sintetico, intendo riproporre tre considerazioni a questo proposito. Nel titolo del Meeting avrete notato che mentre ignoto è scritto con la "i" minuscola, Mistero è scritto con la "m" maiuscola. Credo che anche questo valga per la sussidiarietà. In realtà noi siamo dei lotofagi, avrebbe detto Platone, perché come i mangiatori di loto non riusciamo più a stabilire un giusto rapporto tra la parola e la cosa che con la parola vogliono designare; tra i lotofagi che trattano della sussidiarietà vorrei introdurmi.

Un primo modo d’intendere la sussidiarietà è quello di considerarla una formula burocratica di gestione del potere. Non c’è dubbio che alcuni negoziatori del trattato di Maasttricht e di Amsterdam hanno pensato di introdurre la sussidiarietà come strumento per difendere la sovranità degli Stati membri nei confronti della Comunità. Per i meccanismi dell’Unione Europea le disposizioni normative della Comunità sono, infatti, immediatamente vincolanti i cittadini, tanto che i giudici dei diversi Stati devono applicare queste disposizioni anche quando sono in contrasto con le leggi nazionali; costoro quindi hanno considerato la sussidiarietà come strumento per mantenere il potere dello Stato nazionale; costoro, ebbene, il loto lo hanno proprio mangiato tutto. La sussidiarietà è tutt’altra cosa.

Un’altra versione della sussidiarietà in un certo senso è anche quella dei giuristi, degli amministratori locali i quali sono impegnati ad ampliare il potere degli enti locali minori nei confronti del potere dello Stato nazionale. Sulla base della constatazione, ineccepibile, del cattivo funzionamento dell’amministrazione centrale del potere, dell’amministrazione del potere al centro, un più diretto controllo dell’amministrazione da parte degli amministrati viene visto come una garanzia di una migliore amministrazione, più economica e insieme più adeguata alle esigenze degli utenti dei servizi pubblici. In realtà costoro sono convinti che i trattati debbano garantire che le decisioni siano prese il più vicino possibile ai cittadini, conformemente al principio di sussidiarietà. Nonostante questa visione rischi di moltiplicare i centri di potere, qui siamo ad un livello di approssimazione all’idea piena di sussidiarietà molto superiore alla precedente: non è solo una questione amministrativa quella che riguarda, o alla quale si vuole dare una risposta con il principio di sussidiarietà. In questo modo si pone il problema di come la sussidiarietà costituisca in realtà una grande innovazione politica, tendente a superare quella lontananza tra paese reale e paese legale che costituisce, in fondo, il grande problema politico dei nostri giorni. L’astensione al voto in Europa, ha un significato diverso di quello che accade negli Stati Uniti; in America ci si astiene dal voto perché va tutto bene nella gestione dell’affare pubblico. L’astensione del voto in Europa è invece un voto contrario alla politica in generale. La sussidiarietà è certamente uno strumento per ovviare a questa crisi.

Dirò ora qual è lo scopo vero della sussidiarietà: riavvicinare la vita delle istituzioni alla vita dei cittadini. Ha estrema importanza, quindi, riprendere uno studio di chi, in questi ultimi cento anni, ha introdotto l’idea della sussidiarietà nel discorso sociale e politico, cioè il magistero pontificio. Sono stati Papi come Leone XIII; ecco alcune sue parole: "Non è giusto che il cittadino, non è giusto che la famiglia, siano assorbiti dallo Stato; è giusto invece che si lasci a uno o all’altra tanta indipendenza di operare quanta se ne può, salvo il bene comune e gli altri diritti". È importante soffermarsi su due metafore: assorbire e aiutare. Quella dell’assorbire spiega benissimo l’idea della politica e del diritto emersa proprio dalla Rivoluzione francese, dai circoli giacobini, dal Codice napoleonico, cioè l’idea del dominio e del controllo come unica condizione per tenere ordine all’interno delle relazioni intersoggettive. Dall’altra parte la metafora dell’aiutare è invece tipica della tradizione europea bimillenaria del diritto e della politica, cioè del sostegno, dell’incremento e, al limite, dell’integrazione come piena realizzazione del personale nel sociale. C’è da fare un’osservazione a questo proposito: la Chiesa dopo aver formulato il principio di sussidiarietà lo ha lasciato cadere nel dimenticatoio. Il compito dei laici e della gente di cultura di ispirazione cristiana è quello di ricominciare a parlarne come, negli ultimi tempi, ha fatto la Compagnia delle Opere.

La sussidiarietà non è, quindi, solo una formula burocratica, anche se ha dei riflessi burocratici, non è nemmeno solo un modello politico anche se è un modello rivoluzionario; oggi richiama la necessità alla struttura individuale del soggetto e alla sua organizzazione naturale in comunità più piccole, le comunità naturali: un problema di statuto personale dell’uomo. Ecco perché bisogna rendersi conto che è necessario che il discorso si faccia più radicale; la richiesta di riportare il più vicino possibile ai singoli le decisioni istituzionali non può non andare di pari passo con l’impegno di ciascuno di attuare la disposizione personale all’autodisciplina. A partire da questo nuovo statuto della persona si avranno grandi risultati per il recupero della dignità personale dei singoli e anche per un recupero della dignità istituzionale dello Stato, delle regioni e di tutte le istituzioni che, liberate da funzioni minori, seppur necessarie, potranno dedicarsi a quello che è il loro compito specifico di direzione, di sostegno e di controllo. In qualche maniera, ci si deve rendere conto che l’organizzazione politica è un’organizzazione della società fatta di altre società.

Velo: Se può essere vero che in Italia la sussidiarietà non è garantita, lo stesso discorso non può essere fatto per l’Europa: nella Costituzione Europea c’è un disegno preciso per sostenere la sussidiarietà ed è una maggioranza che si sta coagulando attorno ad idee radicate nella società e nella cultura europea a volerlo. A me sembra che l’Europa abbia fatto negli ultimi anni una rivoluzione con aspetti positivi e aspetti negativi. La vera rivoluzione è stata passare dalla guerra alla pace, ottenere un’integrazione di cui siamo debitori ad alcuni padri fondatori ed, infine, raggiungere l’unione monetaria. L’unione monetaria non è solo un problema economico, è un problema costituzionale, è l’esito di un processo che ora spinge verso la sussidiarietà. L’Europa con l’unione monetaria ha infatti tolto agli Stati il potere più grande di centralizzazione: la moneta; l’altro potere è l’esercito. È stato tolto agli Stati e non è stato dato a nessuno. La Banca Centrale Europea è un grande organo costituzionale che vuole evitare che la moneta diventi uno strumento di centralizzazione e quindi è un grande notaio del processo di decentramento, di incrementazione della sussidiarietà in tutta Europa. Oggi siamo di fronte ad un bivio, il vecchio ordine è saltato, dobbiamo andare avanti. Dal momento che alcuni Stati vorrebbero tornare indietro, anche se non si può, siamo in una situazione di stallo. Se durasse a lungo questa crisi sarebbe un vero guaio.

Abbiamo dato un forte colpo al centralismo, ma dobbiamo fare oggi un balzo in avanti verso la sussidiarietà, a tutti i livelli. Quanto a livello nazionale? Quanto a livello locale? Quanto a livello europeo? Quanto a livello mondiale? Forse non ha nemmeno senso porsi queste domande perché il termine stesso sussidiarietà indica che bisogna muoversi a tutti i livelli. Mi sembra che a livello europeo abbiamo una grossa chance.

L’Europa, fatta l’unione monetaria, deve andare avanti. Qual è l’Europa del dopo unione monetaria? I grandi temi che sono sull’agenda del Parlamento Europeo e della Commissione Europea e quindi dei nostri Stati, delle nostre comunità locali sono: la Costituzione europea che deve stabilire innanzitutto il ruolo del notaio menzionato e la centralizzazione dell’esercito con annesso tutto il problema della difesa.

Queste non sono soltanto indicazioni su ciò che è opportuno, ma anche su ciò che è inevitabile. Questi due temi sono in scadenza inevitabile perché riguardano la società intera. Il fatto che un Ministro della Giustizia vada all’aeroporto ad accogliere una persona che appena scesa dichiara di essere un delinquente e di non essere pentito, indica inesorabilmente che è saltata la società, che sono saltati i parametri fondamentali del convivere sociale. Significa che quel politico è senza bussola, non che è un comunista, ma che non sa più dove vive. Questo ci fa anche dire che allora è tutta la società che si sta chiedendo qual è la direzione giusta. Il compito è veramente politico, costituzionale, cioè di rifondazione di un grande disegno che non è di ciascuno di noi, non è ideato da una persona più intelligente di altri, ma è di tutti, dell’Europa, dell’Italia, delle regioni, di Padova, di Rimini.

Il secondo aspetto che dovrà essere dibattuto è la difesa. Quale difesa? Oggi in campo europeo l’iniziativa, guarda caso, è stata presa dall’Inghilterra, il paese più antieuropeo, che insieme agli USA sta decidendo la Costituzione europea, sta dettando all’intera Europa la strategia: una difesa modello NATO che adotta la misura della forza in campo internazionale o comunque una politica aggressiva. L’alternativa è una politica estera di aiuti, fondata sulla sussidiarietà, aperta al mondo, col ruolo di affermare il diritto a livello internazionale. Quest’ultima è una visione della tradizione europea, della tradizione cattolica cristiana dell’Europa, fondata sull’affermazione di valori di sussidiarietà, di fratellanza, di aiuto reciproco, di solidarietà, di opposizione alle concentrazioni di potere, qualsiasi esse siano, statuali ma anche private.

Il principio della sussidiarietà applicato a tutti i livelli, in particolare a quello economico, di che cosa ha bisogno per potersi realizzare? Quali sono le regole, sia pure minime, ma necessarie, perché il principio di sussidiarietà non venga interpretato nei termini sostanzialmente di un’anarchia? Va detto che anche liberali i più liberali della nostra tradizione di pensiero, Adam Smith e chi la pensava come lui, non hanno mai pensato il mercato al di fuori dello Stato. Il mercato è stato considerato sempre un luogo in cui una cornice fondamentale rimane la regola stabilita dallo Stato. Quello che noi stiamo vivendo oggi è proprio la rifondazione dello Stato, è la definizione di una nuova statualità: le nuove regole fondamentali del convivere. Uno dei campi fondamentali per la ridefinizione dello Stato è la difesa; noi dovremmo discutere cos’è la difesa. La difesa è l’esercito odierno o un esercito professionale con un servizio civile obbligatorio? Se ci fossero mille Comuni che sanno cosa fare del volontariato, che sanno cosa fare del servizio civile obbligatorio, c’è una possibilità di rafforzare la società con una nuova generazione di giovani: scuola di sussidiarietà radicata nel territorio e nelle associazioni. Questa è una visione positiva chiaramente diversa dalla Folgore.

Nella società capita che ci siano due forze che si stanno confrontando e ciascuna è giusto che sostenga la dimensione che ritiene corrispondere meglio alla visione del mondo e della società. Restando nel settore della "realpolitik", potremmo fare un altro esempio che riguarda la politica estera. Nel momento in cui scoppia la guerra, la NATO rompe con Belgrado, rompe con Mosca, e manda i propri bombardieri… Un uomo a Roma manda i propri messi a Belgrado e a Mosca. Si tratta di una personalità molto importante, il Papa, che in quell’istante non ha bombardieri, non ha la forza, ma ha un’idea. L’idea si rivela vincente. Se guardiamo gli ultimi vent’anni il Papa ha sostituito una politica estera europea latitante e senza progetti. È oggettivo; può essere scomodo, può non piacere a qualcuno, ma è così. La NATO e la politica del Vaticano sono due prospettive che vanno valutate con grande serietà e che rendono attuale la discussione sulla sussidiarietà.

Mastrobuono: Tra il trattato di Maastricht e il trattato di Amsterdam, la norma sulla sussidiarietà è rimasta identica, ma sono successi dei fatti importanti che hanno portato, soprattutto per spinta del comitato delle regioni, ad un protocollo aggiuntivo con alcuni criteri che riguardano l’obbligo di motivazione delle iniziative legislative e la misurazione degli effetti. Nel processo giuridico, e non soltanto in quello monetario, c’è quindi un movimento che mi induce ad un certo ottimismo perché c’è maggiore apertura verso l’accettazione del criterio di sussidiarietà.

Basti pensare al disegno di legge Bassanini: è la prima volta che in un ordinamento giuridico italiano viene inserito il criterio di sussidiarietà e viene inserito citando le formazioni sociali come soggetti fondamentali per la costruzione sociale. È un documento molto interessante anche se non ha dato esito positivo perché faceva parte dei lavori preparatori della Commissione Bicamerale. Quando nella Commissione che ha tentato di riscrivere una parte della Costituzione si è discussa questa parte della sussidiarietà è emersa un’evoluzione positiva anche del pensiero del cosiddetto legislatore costituito da tutti gli orientamenti parlamentari. L’esperienza dice che questo tema è trasversale rispetto alle parti politiche, ci sono sostenitori della sussidiarietà nella sinistra come nel centro destra, ci sono oppositori della sussidiarietà in entrambi gli schieramenti: un concetto di su cui ci si interroga al di là delle differenze.

I punti su cui misurare l’avanzamento della sussidiarietà sono soprattutto due: la traduzione del concetto della legge Bassanini da parte delle regioni con il decentrato amministrativo e il dibattito sulla riforma costituzionale. Prendendo in considerazione la Costituzione si capisce che essa è inadeguata a recepire la nuova situazione economica del paese. Nel momento in cui fu scritta l’impresa era associata al concetto di proprietà; in Italia esistevano circa 600.000 attività, mentre oggi ne esistono 5.500.000. Un primo impatto del sistema economico nel momento in cui incontra le istituzioni è l’imbattersi con una concezione del rapporto con l’economia essenzialmente verticale. Le aziende di Stato costituirono sicuramente una soluzione adeguata nel dopoguerra; ora però occorre introdurre nella carta costituzionale termini assenti come mercato e consumatori. Questa stessa inadeguatezza costituzionale la si costata parlando di privatizzazioni: occorre riconoscere che alcuni servizi non possano essere più solo retaggio dello Stato; questi servizi possono essere prodotti meglio e con migliore efficienza anche dai privati salvo dare regole e modalità precise per la gestione e l’erogazione. È un tema molto caldo su cui si scontrano opinioni politiche; se fosse interpretato con un concetto di sussidiarietà avremmo probabilmente una logica diversa. Potremmo per esempio dire che molto di più lo Stato deve occuparsi di abbattere le barriere, regolare i rapporti tra soggetti privati, favorire l’ingresso di nuovi soggetti e di nuove imprese, stabilire tariffe o fare altre attività. Il concetto dello Stato che norma tutto, tipico dell’800, per fortuna è stato spodestato in parte dall’Unione Europea.

Questo è un percorso che andrebbe riflettuto e ripercorso. L’esempio tipico è quello della legge sulla subfornitura: un contratto che ha sempre regolato i rapporti tra una azienda ad altre nel suo processo produttivo. Un caso in cui probabilmente l’auto regolazione funzionerebbe meglio, tanto è vero che nessuno applica questa legge oggi perché è contraria ad un concetto di sussidiarietà, perché regola fino nell’intimo il rapporto tra due imprese.

Un altro esempio è il peso dell’apparato pubblico sulle imprese stimato in 23/24.000 miliardi. Si impedisce così a certe attività di nascere perché il costo della burocrazia costituisce una barriera di entrata. Bisognerebbe eliminare parti di diritto amministrativo, cioè parti di diritto che regolano i rapporti, e consentire che una serie di servizi che oggi vengono ancora gestiti da parte pubblica possa essere gestita da privati. Oggi, dopo una lunga fatica legislativa, si arriverà per esempio, nei servizi municipalizzati dei comuni, a iniziare un avvio di privatizzazione. Un processo faticosissimo in Parlamento durato tre anni, ma importante sul piano della sussidiarietà, perché consente la gestione di servizi ai privati; certo che se poi l’ente pubblico non fornisce regole certe, non è detto che il servizio privato sia migliore.

Il pericolo è che la sussidiarietà venga utilizzata, come è stato fatto molto in Europa, per decentrare le gestione più rognose, per dare al livello più basso le cose che in qualche modo impedivano al livello più alto di esercitare altre funzioni. La Bassanini parla anche del principio di sufficienza, un processo dal basso verso l’alto, ma non si è quasi mai applicato. Si è fatta maggiore attenzione alla distribuzione di competenze che non al riconoscimento di formazioni sociali.

In tutto questo come si sono mosse le regioni italiane nell’attuale Bassanini? Intanto alcune regioni non hanno nemmeno menzionato il principio, altre invece hanno almeno recepito il concetto di sussidiarietà nella sua forma perlomeno esteriore. Alcune hanno inserito nel concetto di sussidiarietà soltanto i soggetti istituzionali, qualche volta altri enti locali come le comunità montane; altre regioni, due in particolare, hanno parlato esplicitamente di soggetti sociali, di diritti degli individui e delle persone: Lombardia e Emilia Romagna. Infine alcune l’hanno concepita come un criterio in base al quale assegnare compiti al soggetto che era più vicino alla funzione da regolare o per promuovere la concertazione. Si potrebbe andare avanti per molto: le varie regioni hanno un quadro molto eterogeneo e interessante. Cosa manca ancora? Manca un riconoscimento costituzionale della sussidiarietà; per ora la Repubblica italiana come ente superiore si limita a riconoscere le regioni e gli altri soggetti come soggetti inferiori; manca ancora il capovolgimento di questo concetto che aiuterebbe molto di più, non solo la legislazione regionale, ma anche il ricorso alla corte costituzionale. A questo proposito occorre sottolineare che a livello comunitario una delle gravi carenze è che un cittadino non riesce a fare un ricorso per violazione del principio di sussidiarietà. Lo possono fare soltanto il Parlamento, la commissione, gli Stati membri: questo è uno dei punti decisivi. Il poter ricorrere alla Corte di Giustizia per i principi di sussidiarietà sarebbe una conquista fondamentale.

Le battaglie possibili, oltre a quest’ultima, sono molte. Mi pare molto importante quella che riguarda gli ordini professionali. Lo Stato dovrebbe concedere ai privati alcune funzioni amministrative di rilevanza pubblica come la garanzia della qualità del servizio. Questo consentirebbe l’accesso di nuovi soggetti; la liberalizzazione del commercio ha già scardinato un sistema chiuso che non permetteva ai giovani l’ingresso in questo settore. Una seconda battaglia è il riconoscere pieni diritti al non profit privato. Una terza battaglia è spingere lo Stato ad aiutare lo sviluppo delle piccole imprese all’estero, invece di occuparsi disperdendo inutili risorse sul versante nazionale. Un’ultima battaglia è far sì che le imprese non vengano trattate singolarmente, ma che abbiano più peso nel rapporto con lo Stato le libere associazioni d’impresa.