Cultura e verità. Contrasto o dialogo?

Seminario con Julien Ries

mercoledì 27 agosto, ore 11,30

Relatore:

Julien Ries, direttore del centro di Storia delle Religioni dell’Università Cattolica di Lovanio

Fiodor Mikhailovitch Dostoevskij (1821-1881) è uno dei grandi geni della letteratura universale, grande romanziere e pensatore profondo la cui opera ruota tutta attorno al problema dell’uomo e di Dio, del male e della libertà. Pone il problema e vede la sua soluzione in Cristo, che egli incontra nella sua fede di cristiano ortodosso russo. La sua antropologia è un’antropologia cristiana poichè, ai suoi occhi, la rivelazione del Cristo non è solamente una rivelazione di Dio ma anche una rivelazione dell’uomo. Il Cristo porta in sé e nella sua parola l’ideale della bellezza e l’uomo esiste per essere simile a Dio.

Nell’ottica del Meeting 97 incentrato sulla modernità del pensiero di Dostoevskij, ho scelto due temi di seminario: dapprima Cultura e verità, poi L’Occidente alla ricerca di senso. Nel primo seminario ricercheremo un cammino di verità per l’uomo al centro della cultura di massa creata dai media, al centro anche dell’incontro fra culture oggi. Cosa diviene la Verità in una società che proclama "a ciascuno la sua verità"? Ecco il quesito centrale sotteso nel primo seminario.

Prima parte: piccola raccolta di nozioni.

I. LA VERITÀ

La questione della verità è una delle domande essenziali della vita umana sotto tutti i suoi aspetti: conoscenza e azione, uomo, donna, cosmo, validità della conoscenza tramite la percezione del reale e della realtà.

1. C’è una filosofia della verità nata dal desiderio dell’uomo di conoscere ciò che è affidabile, ciò vuol dire conoscere i riferimenti nel mondo sui quali riposa la conoscenza della realtà: bisogna che la conoscenza coincida con il reale. La verità attiene alla relazione di coincidenza tra l’essere e il sapere, tra l’essere e il pensiero: questa la filosofia di Aristotele, di Platone e di San Tommaso. Il nominalismo e le filosofie moderne, Cartesio e Kant hanno messo questa dottrina in dubbio introducendo l’io. Più tardi è stata introdotta tutta la questione del linguaggio e recentemente lo strutturalismo. Per questi moderni, è impossibile trovare un fondamento filosofico assoluto della verità. Il nostro seminario si rifà a questo vasto problema ma non è consacrato ad esso.

2. Il fenomeno della verità religiosa. Hans Urs von Balthasar ha consacrato un libro alla Fenomenologia della verità, trad. fr. Beauchesne, Parigi, 1952. Ha interrogato il fatto religioso, fenomeno soggettivo proprio all’uomo, struttura dello spirito nella sua totalità. Secondo Sant’Agostino si tratta di un desiderio-inclinazione verso l’assoluto tramite il quale l’uomo si impossessa dell’origine e dello scopo dell’esistenza. L’uomo allora si rappresenta il divino come un archetipo dell’umano e tende all’unione con il divino. Nelle diverse religioni si assiste a un tentativo di sintesi tra il religioso e il culturale: è il caso dell’India e del buddismo con gli avatara o metamorfosi del divino, che sono una pseudo-incarnazione del divino nell’umano, ma non sono mai una riuscita perché questi avatara non sono una realtà divina. Essi sono il prodotto di una proiezione trascendentale del desiderio dell’uomo così che la rappresentazione del divino e l’unione del divino con l’uomo non diviene una realtà.

Per contro, dice Balthasar, nel cristianesimo Gesù Cristo parla in quanto uomo con l’autorità dell’assoluto ed egli è questo assoluto. Dio si china verso l’uomo nella creazione e nell’Incarnazione. Con l’eucaristia e con la resurrezione resta presente all’uomo e al cosmo. Gesù Cristo regnerà sul cosmo intero. Così il desiderio umano non ha bisogno di produrre dei progetti trascendentali. Riceve la verità religiosa intera dal Cristo.

3. L’aspetto antropologico della verità religiosa. Il nostro Trattato di antropologia del sacro ha messo in evidenza un altro aspetto della verità religiosa legato al pensiero simbolico che l’uomo arcaico ha manifestato nella creazione della prima cultura, quella di Olduvai2. L’homo habilis era già un homo symbolicus e, come tale, in marcia verso la scoperta della trascendenza. Quando nella sua crescita arriva allo stadio di homo sapiens fa l’esperienza del sacro, è un homo religiosus a cui è rivelata la trascendenza. Questo aspetto antropologico della verità religiosa è molto importante poiché conferma l’aspetto fenomenologico della coscienza, del desiderio, della verità del fatto religioso sottolineata da Sant’Agostino e sviluppata da von Balthasar. Non riprenderò qui tutta la questione dell’homo religiosus già sviluppata nel Trattato e nei precedenti Meeting.

4. La verità in senso biblico. Il Padre de la Potterie ha consacrato due volumi (più di mille pagine) alla verità nella Bibbia3. Nell’Antico Testamento émét significa nello stesso tempo verità e fedeltà e la parola amen afferma che è così. La verità corrisponde alla storia umana e alla storia della salvezza e designa ciò che è utile: essa è d’ordine pratico. All’avvicinarsi dell’era cristiana la verità prende maggiormente il senso di rivelazione del disegno di Dio, di dottrina della salvezza, di mistero della salvezza.

Nel Nuovo Testamento la verità è la grande affermazione di Giovanni. La verità è una realtà storica: "la rivelazione di Gesù Cristo nella nostra storia". Questa rivelazione è interiorizzata dallo Spirito di verità (Gv 14,17; 15,26). Per i credenti diviene il principio di una vita nuova. La verità diviene allora un dono della rivelazione portata da Gesù Cristo. È identificata con la sua persona storica che è venuta tra noi poiché Gesù si è proclamato Verità. La verità ha conosciuto un reale divenire storico. Non esiste nel mondo che dopo l’Incarnazione (Gv 14,6). Il Cristo è la verità e lo Spirito di verità esercita la sua azione nei credenti in vista dell’approfondimento della loro fede e nel loro confronto con il mondo. Realtà della rivelazione in Gesù Cristo, la verità è dinamica; si dispiega tra i credenti e si inscrive nella storia degli uomini. L’approccio dei fedeli di Gesù sarà di fare la verità (Gv 3,21), di farla propria per arrivare alla luce e alla piena comunione. Il tema della luce è sovente legato alla nozione di verità.

II. LA CULTURA

Goethe definiva la cultura come "l’insieme dei modi di vivere e di pensare che un popolo ha creato durante la sua storia".

La costituzione Gaudium et Spes del Concilio Vaticano II ha dedicato un intero capitolo alla cultura. Vi troviamo una eccellente definizione: "Con il termine di cultura si vogliono indicare tutti quei mezzi con i quali l’uomo affina ed esplica le molteplici sue doti di anima e di corpo, procura di restituire il potere del cosmo stesso con la conoscenza e il lavoro, rende più umana la vita sociale, sia nella famiglia che in tutta la società civile, mediante il progresso del costume e delle istituzioni; esprime, comunica e conserva infine nelle sue opere con l’andare del tempo, le grandi esperienze ed aspirazioni culturali dell’uomo, affinché possano servire al progresso di molti, anzi tutto il genere umano (c.2, n. 53)".

Questa definizione illustra i vari aspetti della cultura. Il primo aspetto è di ordine antropologico; la cultura è ciò che distingue l’uomo e lo separa dagli altri esseri viventi sin dalla fase di homo habilis: cultura di Olduvai. Il secondo aspetto è di ordine umanistico; insiste sulla dignità dell’uomo e sulla sua missione di re della creazione, esercitata attraverso la conoscenza e il lavoro. Il terzo aspetto è di ordine sociale, mette l’accento sulla trasformazione della vita sociale, familiare, civile, attraverso il progresso costante del costume e delle istituzioni. Il quarto aspetto concerne la cultura come patrimonio dell’uomo, di gruppi di uomini, dell’umanità. Incorpora le esperienze storiche, estetiche e religiose, artistiche e musicali, sacre e profane, artigianali e tecniche, morali e sociali e dimostra che queste esperienze danno luogo alla costituzione di un capitale simbolico al servizio delle generazioni successive.

Seconda parte: le religioni e culture

1. Prendiamo come fondamento della nostra visione questa definizione, poiché la cultura vi appare come la dignità dell’uomo e come il suo bisogno profondo: antropologia, umanesimo, società, patrimonio si trovano inglobati nella definizione. C’è un fatto culturale fondamentale e specificatamente umano, ma con delle varianti legate ai tempi e ai luoghi. L’aspetto antropologico sottolinea l’importanza dell’esperienza umana nella creazione della cultura, di ogni cultura e delle diverse culture. È a partire dall’aspetto antropologico, cioè dall’esperienza vissuta dall’uomo, che possiamo parlare di una esperienza del sacro e dell’homo religiosus nella cultura. Abbiamo già trattato di questa questione e del patrimonio religioso delle culture. Si veda il Meeting 1990, L’ammiratore, Einstein, Thomas Becket, l’uomo religioso e il suo patrimonio culturale nel seminario Fede cristiana e cultura oggi (pp. 142-147)4.

2. L’homo religiosus creatore di cultura. I lavori della scuola di Gaston Bachelard e di Gilbert Durand, in Francia, hanno mostrato la funzione capitale del simbolo nella creazione della cultura. Non solamente la funzione simbolica ha giocato il ruolo di elemento motore e di legame tra il concepimento di ogni progetto e la sua realizzazione, ma è anche essenziale all’ominazione che accompagna in ogni passo. Ora il simbolo è per l’uomo rilevatore arcaico già della trascendenza. Ciò che Mircea Eliade scriveva nel suo Trattato è veramente stabilito scientificamente dalle scoperte paleoantropologiche recenti5.

Per comprendere il funzionamento dell’immaginario umano e il ruolo del simbolo nella creazione della cultura, bisogna sempre far riferimento alla teoria di Gilbert Durand sulle strutture antropologiche dell’immaginario. Egli ha messo in evidenza il tragitto antropologico, cioè lo scambio permanente a livello dell’immaginario tra le pulsioni soggettive dell’uomo che assimilano sia le influenze esteriori del ambiente cosmico sia quelle dell’ambiente sociale. C’è dunque uno scambio permanente tra lo psichismo e l’esteriore6. In tale prospettiva si comprende l’importanza dell’influenza dei grandi simboli (volta celeste, sole, luna) come rilevatori dell’invisibile e della trascendenza, come dice Eliade.

La scoperta della varietà delle identità culturali come delle identità religiose non data da oggi, ma la spiegazione del fenomeno di questa varietà di identità è un problema attuale. Cominciamo così a comprendere veramente a quale punto le religioni siano vicine alle culture così come l’importanza dei fattori culturali nelle diverse religioni del mondo.

3. Religione e cultura. Dalla più lontana preistoria elementi religiosi sono intrecciati con fatti culturali. I riti funerari dell’Homo sapiens e le incisioni delle grotte ornate del Paleolitico superiore rivelano una cultura, ma non possono spiegarsi che con dei gesti dell’homo religiosus. Nel vicino-Oriente, dopo il 12.000, con la sedentarizzazione delle popolazioni e la creazione dei villaggi si sviluppa la cultura natufiana che darà inizio alle prime rappresentazioni delle divinità verso il 10° millennio: la dea-madre e il toro. A partire dalla cultura neolitica arte e religione sono sempre più legate con la costruzione di santuari e di templi, la creazione di statue divine, la formazione di rituali, i culti solari e lunari. I Sumeri e i Semiti danno al sacro delle nuove dimensioni: luce e splendore delle statue divine, aloni luminosi attorno alla testa, architettura sacra dei templi, abbondanza dei rituali. L’invenzione della scrittura provocherà una vera esplosione religiosa e culturale.

In Egitto la religione è la sorgente di ogni cultura: arte, letteratura, scienza, medicina, architettura, astronomia, geografia, linguistica, politica, diritto. La nozione di potenza degli dei - 753 in tutto - è espressa con lo scettro reale. La vita è un mistero, simbolizzata dal segno ankh. Ogni tempio è una replica simbolica della volta celeste. L’India svilupperà l’eredità indo-europea, dapprima in una mitologia copiosa, poi nel sacrificio, per arrivare alla grande epoca della bhakti, la devozione, che darà al paese una ricchezza culturale straordinaria con la costruzione di migliaia di templi. Pur rinnegando le dottrine dell’India vedica e braminica, il buddismo si lancia nella creazione di una nuova cultura con i suoi templi, le sue stupa, i suoi monasteri. Le religioni di tradizione orale hanno, anch’esse, sviluppato una cultura affascinante con i suoi riti, i suoi miti, le sue danze, i suoi culti. Dal XIX secolo gli etnologi e gli storici delle religioni hanno raccolto o ricostituito un copioso patrimonio religioso e culturale delle etnie africane, australiane, americane, asiatiche. Nelle religioni arcaiche, nelle grandi religioni antiche, nelle religioni dei popoli senza scrittura, vediamo all’opera l’homo symbolicus e l’homo religiosus; religione e cultura sono legate nell’arte, nell’adorazione delle divinità, nella rappresentazione del divino, nella preghiera, nella concezione del cosmo e della vita, nel calendario e nella concezione del tempo, nel culto dei defunti. Lo scopo del nostro Trattato di antropologia del sacro è precisamente di mostrare questo legame della cultura e della religione nella vita dell’uomo, della società, di mostrare anche ciò che rappresenta la rottura di questo legame.

Bisogna anche considerare il legame tra religione e cultura nell’ambiente giudaico-cristiano, poiché qui intervengono degli elementi nuovi: l’alleanza tra Dio e l’uomo attraverso l’intermediazione di Abramo e Mosè; la fede in un Dio unico con esclusione di ogni idolo; i profeti annunciatori del Messia; l’Incarnazione del Verbo di Dio e l’annuncio della Trinità, la morte e la resurrezione di Gesù Cristo; la Chiesa. L’Alleanza abramica e mosaica con la fede in un Dio unico non esclude né la cultura né le tradizioni culturali che noi ritroviamo di pagina in pagina nella Bibbia attraverso la celebrazione dei riti, delle feste, dei pellegrinaggi, del culto attorno all’arca dell’alleanza e poi al Tempio di Gerusalemme. A modo suo il giudaismo della diaspora ha continuato le tradizioni culturali degli antenati. Fin dai primi secoli, dopo un momento di esitazione, la Chiesa cristiana ha compreso l’importanza dell’inculturazione del messaggio evangelico che porterà al cuore della cultura ellenistica. Ventimila anni di storia ci fanno contemplare la ricchezza unica della cultura cristiana, frutto della fede in Cristo e del suo messaggio.

Terza parte: cultura e verità

E adesso siamo attrezzati per affrontare il tema centrale del nostro seminario e la questione essenziale: in questa diversità delle culture, frutto delle diverse credenze religiose, dove è la verità? Si può dire come lo starets di Dostoevskij che tutto è verità?

Un breve richiamo si impone: noi non siamo nel campo della verità filosofica che cerca dei riferimenti affidabili per la conoscenza del reale e che studia la relazione di coincidenza tra l’essere e il sapere. Il nostro problema è la verità religiosa che da un lato ruota attorno all’uomo, alla sua esistenza, al suo destino e dall’altro attorno al problema della trascendenza che l’uomo scopre. Non si tratta dell’uomo e del problema della sua conoscenza, ma dell’uomo e del problema del suo destino.

I. L’UOMO ALLA RICERCA DELLA VERITÀ NELLE CULTURE

1. Le culture arcaiche. Questa questione è nuova e deve essere oggetto della nostra attenzione nel momento dell’incontro delle culture. Essa è legata alla ricerca dell’antropologia e della simbologia del sacro. Possiamo prendere come punto di partenza il fenomeno soggettivo analizzato da Sant’Agostino e da Hans Urs von Balthasar come desiderio-inclinazione verso l’assoluto e che noi troviamo nella creazione delle prime culture da parte dell’Homo habilis e dell’Homo erectus come una coscienza creatrice sottesa e formata dalla funzione simbolica. L’Homo sapiens ha piena coscienza di essere creatore e si afferma come un homo religiosus che fa un’esperienza del sacro, poiché nel culto dei defunti esprime la sua credenza di una vita al di là della vita: ha coscienza del mistero della vita, della morte e della sopravvivenza dopo la morte. Con l’arte franco-cantabrica vediamo l’Homo sapiens sapiens prendere coscienza di una storia sacra delle origini; siamo in presenza dei rudimenti di una memoria religiosa ed è così che si prepara il grande salto dell’epoca della sedentarizzazione, la rappresentazione del divino all’alba del Neolitico. La cultura è il segno delle relazioni dell’uomo con la divinità, il testimone dei primi gesti di preghiera che apriranno la vie verso la costruzione dei santuari e dei templi in Mesopotamia e in Egitto. Durante queste decine di millenni le culture mostrano la ricerca dell’uomo alla scoperta della verità che esplode nella luce abbagliante delle statue divine sumere e babilonesi e nel culto solare dell’Egitto.

2. I rituali d’adorazione. Nelle grandi culture, nelle quali si esprime l’uomo religioso, siamo colpiti dai riti d’adorazione delle divinità. In Mesopotamia il mondo divino è concepito come un mondo celeste nel quale le divinità luminose sono incaricate del cosmo e degli uomini, loro creature, di cui essi fissano il destino e che devono eseguire i loro ordini. È il re, scelto dagli dei, che è incaricato dei sacrifici e delle offerte. In Egitto le divinità sono potenze che devono salvaguardare la vita. Il faraone è il pastore del suo popolo e il costruttore dei templi, case degli dei e luogo della celebrazione quotidiana del loro culto. La dea Maat, verità divina, dirige gli dei e il faraone affinché l’Egitto viva in pace e il armonia.

3. I riti di iniziazione costituiscono in tutte le culture antiche un passaggio dall’infanzia all’adolescenza o alla vita adulta. Essi implicano una simbologia della creazione che riattualizza l’avvenimento primordiale della cosmogonia o della creazione dell’uomo: in questi riti c’è una vera variazione dello stato religioso che dà al neofita la coscienza della sua dignità e delle sue responsabilità e lo orienta verso una vita nuova.

4. I riti funebri sono onnipresenti nelle culture dal medio Paleolitico. Tutti sono orientati verso il rispetto del defunto e verso la vita post mortem: posizione del cadavere in direzione del sole, conchiglie incastonate nelle orbite oculari; ocra rosso sostituto del sangue, corpo deposto su un letto di fiori; utensili del defunto deposti nella sua tomba; libro dei morti messo sul cuore della mummia in Egitto; cremazione in India con la dispersione delle ceneri nell’acqua del Gange; riti dell’acqua e del fuoco, ecco alcuni esempi che illustrano la credenza nella sopravvivenza nell’aldilà.

Fermo qui questa serie di esempi prelevati nelle antiche culture e nelle culture legate alle grandi religioni. Mostrano una ricerca della verità dell’homo religiosus alla scoperta della trascendenza e del suo destino.

II. LA PROSPETTIVA BIBLICA E CRISTIANA

1. I tre monoteismi abramici. Dobbiamo trattare a parte le tre grandi culture derivate dalle religioni discese dalla fede d’Abramo in un Dio unico: tre libri, l’Antico Testamento, il Nuovo Testamento e il Corano; tre comunità di salvezza che sono anche tre comunità culturali divenute mondiali con delle grandi diversità: il popolo eletto salvato da Mosè portato verso la Terra promessa, la Chiesa di Gesù Cristo, l’umma fondata dal Profeta Maometto; tre luoghi di incontro e preghiera: Tempio e sinagoga; cattedrali, basiliche, chiese; moschee; e per ognuna di queste tre comunità le feste, giudaiche, cristiane, musulmane, che emergono dall’attività della preghiera e dell’adorazione di Dio. Nella cultura creata da ognuna di queste tre religioni si trova il tema di una verità centrale che dirige la vita: la rivelazione di un Dio creatore del cosmo e dell’uomo, che chiede all’uomo di essergli fedele e che gli darà la ricompensa dei suoi atti dopo il giudizio finale.

2. Verità cristiana e cultura cristiana. Per i cristiani la verità è la rivelazione storica e progressiva del disegno salvifico di Dio, che culmina in Gesù Cristo, la Verità nel senso totale della parola. Dalla nascita dell’arte cristiana, l’eredità culturale antica porta il segno della nuova fede: Gesù, il buon pastore, Lazzaro, il battesimo di Gesù, il miracolo di Cana e altre immagini fanno la loro apparizione nell’iconografia cristiana. Con la pace della Chiesa le immagini si fanno lussuose nelle basiliche e sulle tombe. L’Impero sceglie il Cristo glorioso come guida e supporto. Un vasto programma di cultura cristiana si mette in moto dal V secolo: costruzioni di basiliche, decorazioni e sculture, sviluppo delle icone. La liturgia e la pietà hanno bisogno della visibilità dell’invisibile giustificata dalla storicità del mistero dell’Incarnazione del Verbo di Dio. L’icona è l’immagine santa che permette la comunicazione con il mistero, un cammino di verità.

È nel XII secolo che la cultura cristiana realizza veramente la sua sintesi e che l’universo è considerato come una armonia sacra alla quale niente sfugge. Le chiese sorgono dappertutto: la casa di Dio è tappa per i pellegrini e per tutti, poiché essa è il luogo della manifestazione divina. Architetti, muratori, miniatori, concorrono alla sua bellezza in vista della contemplazione e della preghiera. Il simbolo gioca un ruolo capitale poiché è strada del sacro e scoperta della bellezza dell’universo. Il simbolo manifesta anche una presenza divina. L’uomo è immagine di Dio, immagine dell’immagine perfetta che è il Cristo. Nel XII secolo il Cristo è soprattutto rappresentato nella gloria e nella maestà sul portale della cattedrali. È il tema della trasfigurazione che realizza in mezzo agli uomini e alla cultura. Per l’uomo del XII secolo egli è la Verità.

Erede di Sant’Agostino, il Medio Evo tenta di ordinare la città terrestre alla città di Dio per darle unità e stabilità: Tommaso d’Aquino e Dante ne hanno raggiunto i vertici. Ma a partire dal Quattrocento comincia la scoperta dell’Antichità e la crisi della cultura cristiana medioevale. Un tappa nuova si prepara con la scoperta dei nuovi mondi, delle nuove culture e l’incontro della fede cristiana con queste nuove culture.

3. I cristiani tra le culture. Arriviamo al termine del nostro seminario7. Ciò che ho detto mostra che in tutte le culture l’uomo è alla ricerca della verità e che nella cultura cristiana, nel corso dei secoli, i cristiani hanno tentato di costruire la cultura sul fondamento della verità del Cristo. Ogni opera umana è imperfetta, ogni cultura cristiana è un’opera umana segnata dall’imperfezione.

Oggi il cristiano si trova in un mondo planetario al centro di numerose culture che sono portatrici di germogli di verità e lui stesso è cosciente di essere un figlio adottivo del Dio unico e trino, Padre, Figlio e Spirito, creatore, redentore e salvatore dell’uomo e del mondo. Con la sua fede vive l’adesione a Gesù Cristo, Verbo di Dio incarnato, nuovo Adamo, che è venuto a restaurare la creazione e l’uomo. Il cristiano guarda al mondo con occhi nuovi, ha uno sguardo fraterno sull’umanità. Per il cristiano tutta l’attività umana si colloca nello sguardo di Cristo, e quindi per lui la cultura cristiana è un dato basilare della sua vita.

4. Il cristiano e la città terrestre. Il cristiano prende in carico la città terrestre per renderla più giusta, più abitabile sapendo comunque che non sarà mai perfetta. La città temporale e la Chiesa non si confondono. Nella città terrestre il cristiano sarà il testimone, sarà l’attore dei valori umani trasformati dal Vangelo: giustizia, lavoro, collaborazione all’edificazione dell’ordine sociale, rispetto della libertà, della vita, rispetto dei diritti di Dio e dell’uomo.

Il cristiano, da cristiano, deve partecipare in modo attivo a tutti i livelli alla vita della città, deve farlo affermando la propria visione umanistica cristiana. Il Concilio Vaticano II ha ricordato le responsabilità dei cristiani nel campo delle scienze e delle arti, nel campo della letteratura e del pensiero: rimanere all’ascolto dei bisogni e promuovere con tutte le loro forze i mezzi culturali. In questa missione saranno gli attori di un umanesimo cristiano autentico ma in stretta unione con tutti

5. L’inculturazione del Vangelo. Nella sua Enciclica Slavorum Apostoli (2 Giugno 1985), Giovanni Paolo II parla di inculturazione del Vangelo nelle culture: c’è la penetrazione del messaggio di Cristo in una comunità culturale in cui affonda le proprie radici. Sulla scia del Vaticano II l’evangelizzazione delle culture è considerata l’asse principale della missione della Chiesa oggi. Le zone di evangelizzazione non sono più zone geografiche ma zone culturali. L’inculturazione avvia, mette in opera la potenza del messaggio di Cristo in grado di trasformare gli uomini e le comunità umane. Non è un atto socio-culturale, bensì un atto ecclesiale che si colloca nel mistero dell’annuncio del Vangelo. Il ruolo principale spetta allo Spirito Santo che fa germogliare la Parola. L’inculturazione si colloca al crocevia dell’incontro e del dialogo, dell’antropologia e della teologia. Inaugura il discorso moderno sulla missione della Chiesa.

NOTE

1 Hans Urs von BALTHASAR, Phenomenologie de la verité, Beauchesne, Paris, 1952.

2 Julien RIES (a cura di), Trattato di antropologia del sacro (5 vol.), Jaca Book, Milano, 1989-1995.

3 Ignace De La POTTERIE, La verité dans Saint Jean, 2 tomes, Analecta Biblica, n. 73-74, Roma, Inst. Press, 1977, 1128 pp.

4 Emanuela LONGHI e Meris MONTI (a cura di), Il libro del Meeting 1990, Ed. Meeting, Rimini, 1991.

5 Fiorenzo FACCHINI, Le origini. L’uomo, Jaca Book, Milano, 1990.

Julien RIES, Le origini. Le religioni, Jaca Book, Milano, 1993.

Mircea ELIADE, Trattato di storia delle religioni, Boringhieri, Torino, 1986.

6 Gilbert DURAND, Les structures anthropologiques de l’imaginaire, Dunod, Paris, 1992, 11a ed.

7 Si veda Julien RIES, I cristiani e le religioni, Queriniana, Brescia, 1992 e nota 4, Il libro del Meeting 1990.

 

 

Parole chiave: Dostoevskij, verità, filosofia, cultura, Balthasar, religione, Concilio Vaticano II