Economia e società nei Paesi dell'Est

Tavola rotonda promossa da Compagnia delle Opere

e da Unioncamere

Domenica 20, ore 16.30

Relatori:
Anatoly Chubais,
Vice Primo Ministro della
Federazione Russa
Gabriele Gatti,
Segretario di Stato per gli Affari Esteri della Repubblica di San Marino

Moderatore:
Giorgio Vittadini

 

 

 

Gatti: Il Meeting, tra i suoi tanti meriti, ha quello di sapere individuare argomenti di grande attualità e di grande interesse, e di sapere trovare dei relatori e degli interlocutori di altissimo livello, che sappiano veramente portare l'attenzione su questi argomenti così importanti. Abbiamo appena verificato questo merito, perché i paesi dell'est e l'internazionalizzazione dell'economia è uno degli argomenti più importanti del momento attuale.

Io sono il responsabile della politica estera di un piccolissimo paese, di un microstato, e di fronte al vice primo ministro di un grandissimo paese non posso che occupare un minuscolo spazio. Approfittando di questo piccolo spazio, vorrei esprimere una riflessione che è propria del compito dei piccoli stati e dei piccoli paesi. La Repubblica di San Marino è un paese che non ha una forza né economica, né politica e neppure militare: ha solo, nelle ragioni della sua esistenza, una forza morale, che gli deriva dalla certezza del diritto. Credo che i piccoli stati debbano, oggi più che mai, svolgere un ruolo molto forte dal punto di vista morale, devono saper portare dinanzi agli organismi internazionali alcune problematiche che molto spesso a livello internazionale sono trascurate. Qualche anno fa, con la caduta del muro di Berlino, c'erano state tante speranze in tutti noi, tante attese e tanto ottimismo: ricordo che a Parigi, alla conferenza dei capi di Stato e di governo della CSCE, quando si firmò la carta per una nuova Europa, tutti pensavano che fosse iniziata una nuova epoca. Era caduto il muro di Berlino, era finita la guerra fredda, praticamente senza spargimento di sangue: sembrava una cosa straordinaria, che doveva riempire di speranze il cuore di tutti. Sicuramente, ci sono stati cambiamenti importanti, come abbiamo ascoltato dal vice primo ministro russo, ma è anche evidente che la comunità internazionale non è riuscita a fare questo salto alla nuova Europa. Oggi, l'opinione pubblica è estremamente preoccupata di quello che può succedere in futuro, proprio perché organismi importanti come le Nazioni Unite stanno perdendo completamente quel ruolo e quell'importanza che dovrebbero avere, specialmente in seguito ai rivolgimenti avvenuti in Europa. Quello che sta succedendo nella ex Jugoslavia, ma anche in altre parti del mondo, testimonia proprio che, forse, i signori della guerra stanno avendo il sopravvento su coloro che operano per la pace.

Voglio approfittare di questo microfono per lanciare un appello a quei paesi che possono far sì che la speranza di tutti noi non vada completamente delusa. Credo che la federazione russa possa fare molto in questo contesto: come ha saputo fare molto al proprio interno, attraverso un cambiamento incredibile, così può fare molto in Europa. Per questo credo che la Russia possa e debba entrare quanto prima all'interno del consiglio d'Europa, proprio perché può svolgere un'azione determinante nell'Est, questa parte dell'Europa martoriata, non per stabilire di chi è la colpa o di chi è la ragione, ma per garantire i diritti umani, cominciando dal diritto alla vita e dal diritto di un popolo a vivere in pace.

 

Chubais: Vi racconterò la mia idea di quello che sta avvenendo in Russia: proprio oggi si compiono quattro anni da una data importante del destino della Russia, la vittoria (il 4 agosto 1991) contro un tentativo di restaurazione comunista. Abbiamo motivi per guardare indietro, considerando questi ultimi quattro anni, e giudicare quello che siamo riusciti a fare e quello che non siamo riusciti a fare.

Sono stati quattro anni difficili per la Russia: la situazione che avevamo nel '91, ha rappresentato uno dei momenti più difficili della storia russa, innanzitutto per quanto riguarda l'economia. In quel momento, in Russia era crollata quasi del tutto l'economia pianificata, e le direttive dall'alto avevano perso completamente ogni forza di stimolo per le imprese; il piano del centro non aveva più alcuna valenza direttiva. Anche il rublo come strumento finanziario non aveva più nessun ruolo; le imprese erano ancora costrette a vendere la propria produzione ai prezzi statali, ma i prezzi statali erano di 5 o 10 volte inferiori ai prezzi di mercato, e quindi ogni tipo di produzione era una perdita per qualsiasi impresa. Non funzionava il rublo, non funzionavano i prezzi, quindi non funzionava, dal punto di vista economico, nessuno stimolo.

Era non solo difficile, ma impossibile gestire questa situazione. Non avevamo tempo per discussioni teoriche: il paese era al limite di un completo crack finanziario ed economico, ed infatti i titoli dei giornali erano quasi tutti del tipo: "Riuscirà la Russia a superare l'inverno del '91?". L'unica via di uscita per salvare il paese era una riforma di mercato immediata e decisa. Dopo un mese e mezzo dalla nascita del nuovo governo russo, alla fine del '91, è stata fatta la totale liberalizzazione dei prezzi, è stata riformata la struttura delle tasse, ed è stato completamente riorganizzato il budget statale. Ci si rendeva però conto che con le sole tasse e con le sole finanze non si poteva guarire una struttura economica morente, bisognava risolvere alla radice qualsiasi problema economico e di potere; era la questione della proprietà.

In quel periodo quasi la totalità della proprietà in Russia apparteneva allo Stato, che però, di fatto, non era in condizione di gestirla. Nella società si discuteva in modo molto tormentato: in che modo bisogna privatizzare? A chi appartiene e a chi deve appartenere l'ex proprietà statale? Come si farà a sapere chi è l'effettivo proprietario? Il governo non aveva tempo da perdere in queste discussioni: dopo quaranta giorni dalla nascita del governo, il presidente ha formulato il primo piano di privatizzazione della Russia, secondo un nostro progetto. La risposta del nostro piano era questa: se si vuol sapere a chi appartiene questa impresa o questo negozio, bisogna venderlo, e al momento della vendita si metterà in chiaro chi è il reale pretendente a questa proprietà. Capivamo molto bene che l'unica alternativa ad un programma statale di privatizzazione era il furto della proprietà statale — che di fatto statale non era —, e che l'unico modo per fermare tutto questo era una civile vendita massiccia della proprietà privata statale in mano ai privati.

Così, già nel marzo è iniziata la prima vendita massiccia. Il primo stadio della privatizzazione è stato chiamato "piccola privatizzazione": si trattava di privatizzare i negozi, i servizi, il commercio, le piccole aziende... Ricordo bene che nel primo gennaio del '92, in Russia c'erano 12 aziende private, ma dopo un anno e mezzo il numero delle aziende private in Russia aveva toccato le 100000 unità.

I nostri avversari ci dicevano: "È impossibile riuscire a fare questo in Russia!", oppure "In Russia non capiranno la proprietà privata!", e anche "Forse riuscirete a farlo capire a Mosca, ma in Siberia, in estremo oriente, al nord della Russia è assolutamente impossibile". Invece, ora che il tempo è passato, devo riconoscere che l'unica città che ha costituito un grosso problema è stata proprio Mosca, mentre in Siberia, nell'estremo oriente, nel nord della Russia, la privatizzazione di massa è avvenuta con successo.

Finita la piccola privatizzazione, senza perdere neanche un giorno, abbiamo subito posto mano alla seconda fase del progetto, cercando di privatizzare le colossali imprese russe, in alcune delle quali lavorano anche cinquantamila, centomila, addirittura cinquecentomila operai; anche queste imprese dovevano essere vendute. C'erano molti pretendenti a queste privatizzazioni: i direttori delle imprese privatizzate, i collettivi di lavoro, alcuni imprenditori privati stranieri che avevano cominciato ad arrivare in Russia in quel periodo.

Quando abbiamo proposto la nostra idea di privatizzazione, nel paese è cominciata una grossa discussione. I direttori dicevano: "Questa concezione di privatizzazione trasmette tutta la proprietà in mano ai collettivi operai, e agli investitori che arrivano da fuori: non è assolutamente accettabile, noi siamo categoricamente contro". Ma anche i collettivi operai e i sindacati che ne rappresentavano gli interessi, dicevano di essere categoricamente contro, perché la proprietà sarebbe stata in mano ai direttori di fabbrica e agli investitori esterni. Infine, anche gli investitori, dicendo che questa concezione di privatizzazione avrebbe dato tutta la proprietà in mano ai collettivi operai e ai direttori di fabbrica, erano contro. Noi, allora, abbiamo detto: "Benissimo, abbiamo raggiunto il perfetto equilibrio sociale. Abbiamo infatti raggiunto, a proposito della privatizzazione, un perfetto scontento di tutte le parti sociali: vuol dire che c'è un compromesso sociale e che si può iniziare una reale privatizzazione". E infatti, l'abbiamo iniziata immediatamente; la prima grande impresa russa è andata in vendita nell'autunno del ‘92, alla fine del ‘93 già venticinquemila grosse imprese russe non erano più statali, e l'anno scorso, nel ‘94, 64 imprese ex statali avevano prodotto una produzione che non era più statale. In Russia son comparsi quaranta milioni di piccoli azionisti, e dunque tutte le chiacchiere sul fatto che non ci sarebbe stato alcun sostegno concreto alle privatizzazioni, si sono rivelate vuote.

Il motivo fondamentale grazie al quale la privatizzazione russa ha avuto luogo è che milioni di cittadini, tutte le forze sociale trainanti, hanno approvato e sostenuto questa idea. Bisogna distinguere l'azione sociale dei gruppi sociali realmente esistenti dall'azione politica dei vari gruppi che pretendono di esprimere la società. Noi non ci siamo basati sulla voce dei nostri oppositori politici, tanto più che l'elenco dei nemici mortali della privatizzazione in Russia era lunghissimo. Tutti i vari ministeri erano categoricamente contro — avrebbero perso una grossa fetta della loro libertà di gestione —; quasi tutta l'amministrazione locale e i dirigenti locali erano contrari; anche tutti i comunisti erano assoluti nemici della privatizzazione, e così pure il parlamento che dopo il ‘92, si è spostato a sinistra. Centinaia di giornali, decine di stazioni televisive, ogni giorno hanno combattuto strenuamente contro la privatizzazione, che, nonostante queste opposizioni, ha avuto luogo, soltanto perché sostenuta dal popolo russo. Oggi, domani, fra un anno, fra cent'anni, nessuno potrà togliere alle migliaia di piccoli proprietari russi quello che hanno acquistato, e questo significa che la Russia non sarà più dominata dalla tirannia, come per settant'anni della sua storia.

Nel frattempo, ci sono stati da risolvere i vari problemi prodotti dalla privatizzazione: se prima trasmettevamo la proprietà gratuitamente ai cittadini, tramite il vaucer che ricevevano, adesso invece seguiamo i modelli standard di una privatizzazione monetaria. Nell'autunno di quest'anno, saranno venduti dei pacchetti statali di azioni di tutta la produzione di energia elettrica russa, del sistema russo di telecomunicazioni, e della maggioranza delle compagnie petrolifere. Il volume delle vendite, fino alla fine di quest'anno, si misura nella cifra di 2 miliardi di dollari.

Naturalmente, una riforma di queste dimensioni non può avvenire senza problemi: in particolare, c'è la questione legata al fatto che la privatizzazione è la difesa della proprietà privata, e in uno stato non è possibile creare questo sistema di difesa finché il proprietario privato non si conta su scala di massa. Questo vuol dire che prima compare la figura del proprietario privato, e poi si pensa a come difenderlo in base alla legge. È quindi inevitabile che avvengano delle violazioni dei diritti del proprietario privato, che ci siano delle campagne massicce di appropriazione indebita o di concussione. Accanto a questo e a tutti gli altri problemi generali, c'è un problema principale: fermarsi e tornare indietro non è più possibile, è possibile soltanto muoversi in avanti, e in questo senso le prospettive della Russia sono indipendenti dalle prospettive politiche.

Pur avendo risolto il problema della privatizzazione, non siamo ancora riusciti a risolvere il problema che è di ogni economia, ovvero il problema della stabilizzazione finanziaria e del blocco dell'inflazione. Quando, alla fine dell'anno scorso, sono stato reso responsabile di tali questioni, l'inflazione in Russia era del 18% al mese: per questo, abbiamo elaborato un programma rigido e senza precedenti di stabilizzazione nel mercato finanziario. Abbiamo rivisto la politica del budget statale, rinunciando a versare ingenti somme a vuoto in imprese che non davano niente, ed abbiamo proibito il credito centralizzato della banca centrale. Il risultato è stato che in 6 mesi il livello dell'inflazione è diminuito di 3 volte e mezzo, si è molto rinforzata la valuta nazionale e il valore reale del rublo è aumentato del 50% in 6 mesi. Inoltre, sono aumentate di 6 volte le riserve di valuta della banca centrale. Oggi, la Russia è vicina come non lo è mai stata ad una reale stabilizzazione finanziaria. Siamo convinti che solo sulla base della proprietà privata e di una stabilità finanziaria, si possa incominciare una politica di reali investimenti privati, russi ed anche stranieri. Infatti, oggi noi diamo il benvenuto a qualsiasi vero investimento, e invitiamo anche dall'estero tutti gli imprenditori e gli investitori.

Quale lezione abbiamo tratto da questi quattro anni di privatizzazione in Russia? Ci siamo convinti che la strada dall'economia comunista e dal sistema totalitario, è molto difficile, e per questo dovremo superare problemi difficili e dolorosi. Più volte in questi quattro anni la politica russa si è trovata al limite del disastro, ma questo cammino è l'unico possibile, l'unica via che porta ad un fiorire reale della civiltà nel benessere. Su questa via, la Russia arriverà al suo scopo.