La fede e le libertà. 1500 anni di Scozia cattolica

Presentazione della mostra

 

 

Martedì 25, ore 11.30

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Relatori:

Adolfo Morganti, Coordinatore dell’Associazione "Identità Europea"

Paolo Gulisano, Scrittore

 

Morganti: Vorrei anzitutto leggere l’intervento inviato da Franco Cardini in occasione di questo incontro:

"Chiedo scusa a tutti gli intervenuti se non riesco ad essere personalmente presente a questa prima presentazione che l’associazione Identità Europea ha organizzato grazie all’ospitalità del Meeting. Purtroppo alcuni aspetti del mio lavoro non conoscono né date né riposo, anche se mi sento presente in spirito e se sarò con voi nei giorni prossimi, anche per ritornare sui temi della Scozia cattolica, e particolarmente dell’insegnamento della storia nella scuola italiana.

Si parla molto di riforma della scuola, e si discute con giustificata preoccupazione sul ruolo che all’interno di essa verrà attribuito alle scuole private, alla scuola privata cattolica in modo speciale. Già la stessa espressione ‘scuola privata’ per le scuole parificate è giuridicamente discutibile, e sostanzialmente impropria: si dovrebbe semmai parlare di una scuola pubblica di gestione non statale. Non è affatto una sfumatura: pubblico e statale non sono propriamente sinonimi. E i cattolici all’interno delle loro scuole dovrebbero procedere poi a una vera e propria riforma, anzi ad una rivoluzione: quella dell’attuare sul serio nelle loro scuole un insegnamento cattolico. La Costituzione e il nuovo rapporto concordatario lo consentono. Gran parte di coloro che mandano i figli alla scuola cattolica, spesso con duro sacrificio, lo esige. Ciò per rimediare a un grave problema che rischia di travolgere il mondo cattolico: i cattolici non hanno cultura, quindi non hanno identità. Dall’indomani del Vaticano II hanno gradualmente smarrito anche la coscienza sacramentale, liturgica e devozionale. Non meraviglia se molti di loro si lasciano affascinare dall’ambigua paccottiglia spiritualista degli esoterismi d’accatto e del New Age, contro cui mi sembra, giustamente, che la preoccupazione di questo Meeting si rivolga.

Giovanni Paolo II ha insegnato a tutti noi a chiedere perdono, anche del passato, anche delle cose delle quali noi non siamo personalmente responsabili. Perdono a Dio, innanzitutto, e anche al genere umano, perché chi offende un essere umano, sempre e comunque, offende un tempio vivente della divinità di Cristo. Ma c’è chi ha confuso questa forza, questa chiarezza, questa onestà, con la debolezza, e ha cominciato a chiedere a gran voce alla Chiesa di chiedere indiscriminatamente perdono di tutto, anche di quello che non è errore, anche di quanto essa non ha mai fatto. È giusto che la Chiesa chieda perdono, non è importante, anzi è irrilevante che anche gli altri lo facciano: la società laica in particolare non ne ha bisogno, è sufficiente che prenda atto con chiarezza e fermezza dei propri errori. Ma è appunto quanto non vuole fare, e quando lo fa, sempre a malincuore, ci sono sempre degli Hitler e degli Stalin su cui scaricare le proprie colpe. È un vecchio e un po’ indecoroso escamotage che deve cessare.

Anni fa avemmo il coraggio di denunciare le persecuzioni anticattoliche della rivoluzione francese: da più parti gridarono allo scandalo, ma accusarono il colpo. Abbiamo additato, più di recente, le violenze anticattoliche delle invasioni napoleoniche del Risorgimento: un altro scandalo, e un altro frammento di verità riappropriata. Non abbiamo intenzione di fermarci qui. Ecco a voi quest’anno, con la mostra "La fede e le libertà. 1500 anni di Scozia cattolica", un altro tassello del mosaico delle vergogne nascoste della storia, un’altra corona dei misteri dolorosi della Chiesa. Ecco come è quasi scomparso il cattolicesimo dalla Scozia, ecco come un popolo cattolicissimo, da secoli membro orgoglioso e fedele della cristianità europea, o di quel che ne rimaneva, malgrado se stesso è passato alla riforma, ecco come i cattolici sono stati combattuti, massacrati, deportati, emarginati come cittadini di serie B, in un apartheid che non ha nulla a che invidiare alle tragiche di questa seconda metà di secolo.

Ma il sacco delle infamie nascoste dalla storia censurata e descritta ad uso burgensum non è ancora vuoto, ce ne sono ancora di sorprese dall’Irlanda al Messico e anche grazie al Meeting le tireremo fuori tutte, una per una, non per recriminare o per discriminare ma semplicemente per ristabilire la verità che unica rende liberi e per rivendicare in faccia ad un mondo distratto l’immenso valore della memoria. Qualcuno mi chiederà: "Ma come? Nessuna scuola ci ha mai parlato di questo?", al punto che gli studenti confondono spesso Oliver Cromwell, il puritano massacratore delle donne e dei bambini cattolici di Scozia ed Irlanda con un filosofo sensista".

Sono qui come coordinatore dell’associazione "Identità Europea", un’associazione culturale internazionale fondata da Franco Cardini, che ne è presidente, che si basa su un’intuizione: l’Europa in quanto tale ha una sua unità, che è prima di tutto spirituale, che va al di là di tutti i blocchi storici. È un’unità che si basa su due polmoni, come il Papa ha sottolineato, l’Est e l’Ovest, e ha come collante di fondo, come forza vitale, come sangue che scorre nelle sue vene, l’identità religiosa cristiana. L’Europa è questo, storicamente: si è costruita per mezzo di un doppio movimento di evangelizzazione: uno dai paesi celtici e uno dall’Italia, nei secoli immediatamente successivi alla caduta dell’Impero romano. Infatti, mentre i benedettini cominciavano a evangelizzare l’Europa salendo verso nord partendo dal centro-sud d’Italia, e lo stesso facevano i monaci irlandesi e scozzesi. Questi monaci, che parlavano queste lingue strane sono arrivati dappertutto, sono arrivati anche qui da noi: uno dei più grandi santi irlandesi, san Colombano, è morto nell’abbazia di Bobbio, in provincia di Piacenza.

Esistono numerosi legami storici con il popolo scozzese, un popolo che ha sempre tenuto importanti contatti con Roma come centro della Chiesa, e con l’insieme dei popoli d’Europa. Lo scopo fondamentale del nostro lavoro, per mezzo di queste mostre che restituiscono un frammento di verità occultata, è proprio quello di fare diventare storia la verità, per rimediare all’osservazione del cardinale di Bologna, monsignor Biffi: "La storia normalmente si regge sulle menzogne". In particolare, nella storia d’Italia le menzogne sono due, il Risorgimento e la Resistenza. Ma la storia d’Europa non è diversa, anche in Europa noi assistiamo a delle campagne di disinformazione che hanno cambiato la percezione della realtà, cancellando tutto quanto faceva a pugni, con un’ideologia di tipo orizzontale, con l’ideale progressista e laicista.

Il recupero dell’identità profonda dell’Europa parte invece dal recupero dell’autentica cultura di questi popoli che era tutt’uno con la propria spiritualità, e con la propria economia concreta; quando si parla di spiritualità di questi popoli, di tutto l’ecumene cristiano-medievale, non si parla di qualcosa di astratto dalla vita. Al contrario, l’economia tradizionale di questi popoli celti vedeva una concezione comunitaria della proprietà, per la quale il proprietario non era un deus absolutus, che poteva fare della sua proprietà quello che voleva: il capo dei clan era invece il custode dei beni di tutti e tutti erano proprietari della terra del clan, ogni membro del clan era proprietario della sua terra. Da queste esperienze concrete sono nate nel corso dei secoli la concezione di sussidiarietà e la visione cattolica della proprietà come servizio. Cultura, religiosità, economia, sono un tutt’uno indissolubile, e recano il marchio in profondità di millenni di civilizzazione cristiana senza la quale nulla di tutto ciò sarebbe stato fatto, sui residui della quale noi ancora oggi continuiamo a muoverci.

Gulisano: Diceva Chesterton che qualche volta vale la pena di avere tanta immaginazione da disimparare: disimparare la menzogna, si potrebbe dire, avendo presente le parole che ha citato Morganti del cardinale Biffi.

Ci siamo resi conto, dedicando parecchi studi alla Scozia, che man mano certi temi uscivano dal dimenticatoio; in particolare l’impulso a organizzare questa mostra, a far conoscere questi avvenimenti che dal Medioevo in poi hanno contraddistinto la storia di questo piccolo paese, è venuta dal grande successo del film Braveheart, un bel film ma che non basta a capire che cosa è successo. Il successo di questo film ha dimostrato che c’è ancora bisogno di eroi, che c’è bisogno di avere tanta immaginazione, come diceva Chesterton, da farci percepire qualche cosa che vada oltre le menzogne, che ci faccia non sognare - la vita non è sogno - ma desiderare, che ci faccia provare la nostalgia di qualche cosa di più bello, di più vero della realtà che ci fanno vivere e che ci fanno credere essere il migliore dei mondi possibili. Se è sempre tempo di eroi, perché non potrebbe essere sempre tempo di santi? Il primo passo all’eroismo può infatti essere il primo passo per la santità, e la santità non è altro che l’esercizio eroico delle virtù cristiane: se abbiamo ammirato con piacere le gesta di un eroe perché non far conoscere le gesta dei santi? Così è nata l’idea di questa mostra, che ripercorre appunto il cammino di questa nazione sita all’estremità dell’Europa - anticamente veniva addirittura identificata con l’estrema Thule - e che ha dato molto all’Europa, non solo guerrieri o cavalieri ma anche monaci, come Duns Scoto o Riccardo di san Vittore.

Questa mostra ripercorre un cammino di fede e di libertà, facendo vedere come l’una sia strettamente legata all’altra: senza la libertà si può far fatica anche ad andare incontro all’uomo. La libertas ecclesiae, la libertà della Chiesa non è altro che permettere alla Chiesa di fare il suo mestiere, che è quello di andare incontro agli uomini e annunciare Cristo. La libertà religiosa è poter annunciare la libertà: quella libertà che gli scozzesi hanno avuto sempre a cuore, tanto da versare il proprio sangue, la libertà di seguire la verità, perché i monaci, gli evangelizzatori di questo paese avevano insegnato chiaramente che è la verità che ci fa liberi. Dalla storia della Scozia emerge con forza questo desiderio di libertà.

Tornando a Braveheart, chi l’ha visto non può non notare che, al di là della finzione cinematografica, la realtà dei fatti storici è ancora più viva e addirittura più commovente. Nel 1320, pochi anni dopo la vittoria di Robert Bruce, che aveva assicurato finalmente l’indipendenza al paese, davanti alla costante minaccia inglese, i nobili di Scozia, capi dei clan, rappresentanti del popolo di Scozia, si radunarono in un’abbazia benedettina, ad Arbroath, e stesero un manifesto che è un inno alla libertà e che non ha niente da invidiare alle moderne dichiarazioni dei diritti degli uomini tanto decantate. Questo manifesto era una lettera che gli scozzesi scrissero al Papa, firmandosi ‘la comunità di Scozia’, quindi non facendo appello a Stato o nazione, ma alla comunità, chiedendo di essere lasciati liberi e di poter vivere in pace in virtù della loro dignità di battezzati. "In verità non è per la gloria, non per le ricchezze, non per gli onori che noi combattiamo, ma per la libertà, per quella sola a cui nessun uomo retto rinuncerebbe anche a prezzo della vita stessa, perciò, reverendo Padre e signore noi supplichiamo la vostra Santità con le nostre più ardenti preghiere e con animo genuflesso che voi vogliate nella vostra sincerità e bontà considerare tutto questo. Dal momento che dalla venuta di Colui del quale siete il vicario in terra non c’è maggior importanza o distinzione tra giudeo e greco, scozzese o inglese, vogliate guardare con gli occhi di un padre le tribolazioni e le angustie portate dagli inglesi su di noi e sulla Chiesa di Dio. Possa piacere di ammonire e di esortare il re degli inglesi affinché sia soddisfatto di ciò che possiede, dal momento che l’Inghilterra un tempo era sufficiente per sette o più sovrani, e lascino gli scozzesi in pace, noi che viviamo in questa povera e piccola Scozia al di là della quale non vi sono terre abitabili e che non desideriamo altro che ciò che è nostro. Intendiamo fare tutto ciò che è necessario perché egli abbia rispetto per la nostra condizione così che possiamo procure la pace per noi stessi e i nostri figli". Questo commovente manifesto si fondava dunque unicamente sul diritto a essere liberi per il fatto di essere cristiani, per la dignità che viene dal battesimo. Il Papa scrisse al re d’Inghilterra dicendo di lasciar stare gli scozzesi, e la Scozia così la Scozia poté godere di quel periodo di fioritura in pace che diede una civiltà di monasteri, di castelli, di università: un paese così piccolo aveva quattro università, Glasgow, Edimburgo, Saint Andrews e Aberdeen in cui veniva elaborato un pensiero filosofico sorprendente per gente considerata poco più che barbara.

Tutto questo fino a quando non avvenne l’apocalisse della riforma, che non fu motivata da ragioni religiose: Enrico VIII infatti non era mosso da motivi religiosi, non aveva nessun anelito a riformare la Chiesa, a renderla più vicina alla radicalità evangelica originaria, e non era nemmeno mosso dalla questione del divorzio, come banalmente si dice nei manuali. Il motivo che spinse Enrico VIII a spaccare la cristianità era che l’isola britannica, la Scozia e l’Inghilterra, era, dopo la Francia e l’Italia, il paese in Europa con il maggior numero di abbazie cistercensi e benedettine, di monasteri e di case religiose francescane e domenicane. Tutte queste abbazie possedevano beni, terreni, animali, armenti, a disposizione delle comunità locali. Presso i monasteri i giovani potevano studiare, la gente poteva essere curata quando era malata, perché i monaci studiavano medicina ed erano farmacisti. Enrico VIII espropria queste grandi ricchezze alla Chiesa, e le tiene per sé o le distribuisce ai baroni che dovevano essere a lui fedeli. Il vero problema di un sovrano nel Medioevo era infatti che poteva sempre essere fatto fuori da qualche barone o principe ambizioso, quindi Enrico VIII facendo questi doni ai suoi fedeli baroni, che divennero immensamente ricchi, si assicurò il regno; da qui nacque però anche la grande discrepanza sociale che ha caratterizzato la Gran Bretagna fino ai giorni nostri.

La Scozia era rimasta ostinatamente cattolica, e per questo Enrico VIII cercò di realizzare il sogno dei suoi antenati del Plantageneto, e mandò dei predicatori prezzolati a seminare disordine in Scozia, muovendo contemporaneamente guerra al paese. Questo provocò la morte del sovrano e l’esilio della regina bambina Maria Stuarda, che aveva solo cinque anni, in Francia. Se William Wallace era un eroe, dopo la catastrofe della riforma nascono i santi e i martiri; dal sangue dei martiri la Chiesa è fecondata e vivificata. Insieme al martirio ci furono anche numerosi casi di apostasia, perché chi non se la sentiva di affrontare il martirio - e furono la maggioranza - lasciarono la Chiesa e diventarono protestanti o calvinisti: è triste ma necessario dire che i primi ad abbandonare la Chiesa furono i preti, il clero diocesano. Chi salvò la Chiesa furono le persone che adesso chiamiamo laici, il popolo di Scozia, i clan, le comunità, che preservarono nella clandestinità la propria fede e la mantennero ad ogni costo, rimanendo fedeli non solo alla Chiesa ma anche all’ideale di libertà e di indipendenza che progressivamente, con la protestantizzazione e quindi l’anglicizzazione del paese, veniva meno. Questa gente fu capace di dare la vita per una Chiesa dai cui vertici erano lontani: non c’erano più vescovi, ed infatti fino al 1878, poco più di cento anni fa, la Scozia fu affidata a Propaganda fidei, quello che oggi è il Pontificio Istituto per l’evangelizzazione dei popoli. Gli stessi scozzesi che volevano avviarsi al sacerdozio abbandonavano il paese, andavano a Roma a farsi ordinare preti e tornavano clandestinamente in Scozia come missionari.

Questa è quindi la grande epopea di un popolo che rimase fedele alla Chiesa e alla libertà, fino alla distruzione finale della cultura gaelica, avvenuta con l’ultima impresa sfortunata e tragica del popolo di Scozia, impresa legata a Carlo Edoardo Stuart, il principe Charlie. Il popolo infatti si sollevò a combattere per garantire il trono a questo principe cattolico, sovrano legittimo, nato in esilio a Roma e atteso per tanto tempo. Carlo torna per sollevare il proprio popolo, ma verrà sconfitto e definitivamente esiliato.

La Chiesa sopravvive in qualche modo nelle catacombe, non c’era nessun diritto civile per i cattolici, le Messe erano celebrate nei cimiteri, nei boschi, nelle case private, nel timore costante di spie che potessero informare il governo. Un sacerdote sorpreso a dire Messa aveva una prima opportunità che era l’espulsione, sorpreso una seconda volta veniva ucciso. I cattolici non avevano diritto alla proprietà, non avevano il diritto di frequentare le scuole, quindi dovevano rimanere una sorta di strato sociale servile; tutto questo fino al 1829, quando una grande figura irlandese - ancora una volta affiorano i profondi legami tra Scozia e Irlanda - Daniel O’Connell, grande avvocato e difensore dei diritti civili, riuscì nel 1829 a fare abrogare le penal laws, le leggi penali che obbligavano i cattolici a questo stato servile.

Dopo la grande e terrificante carestia di metà secolo gli irlandesi vennero in Scozia come emigrati, come forza di lavoro per la nascente rivoluzione industriale. Nel frattempo il nuovo potere si era sbarazzato degli antichi abitanti ed erano venute le cleanings il primo esempio di pulizia etnica della storia. Ma gli scozzesi delle Highlands, riottosi e ancora, nonostante tutto, ostinati a voler rimanere attaccati alla propria fede, vennero imbarcati a forza sulle navi e deportati in Canada, in Australia, nelle zone più ostili degli Stati Uniti, il Sud, le paludi della Georgia, il Sud e Nord Carolina. Migliaia e migliaia, decine di migliaia di highlanders vennero cacciati dalle proprie terre che vennero date ai nuovi padroni: il sistema unitario dei clan fu smantellato e le terre confiscate.

La fede è sopravvissuta, nonostante tutto, e la mostra si chiude proprio con quello che è stato forse uno dei momenti più commoventi di apoteosi di questo popolo, la visita di Giovanni Paolo II nel 1982, di questo Papa che ha ben presente cosa significhi lottare per la fede e lottare per la libertà senza cadere nella tentazione del nazionalismo.