Il senso della morte

di Paul Bourget

Martedì 20, ore 18.30

Relatore:
Luigi Negri,
Docente di Antropologia Filosofica
presso l’Università Cattolica di Milano

 

 

Negri: Voglio cercare di offrirvi una chiave di lettura che vi consenta un approccio a questo testo significativo: significativo per la coscienza che abbiamo della realtà e dell’esperienza umana, per la chiarezza della nostra identità cristiana, delle nostre idee e dei valori che sperimentiamo ogni giorno più corrispondenti alla nostra umanità. Il contributo fondamentale de Il senso della morte è che costituisce una lettura profonda dell’esperienza della vita: il problema della morte, che non appare teoricamente ma dentro precise circostanze nella vita dei protagonisti, giudica l’atteggiamento di fronte alla vita, perciò è il punto in cui lo sguardo sulla realtà dell’esperienza umana si fa più profondo e più radicale.

Quali sono i fattori fondamentali di questo romanzo? Innanzitutto il protagonista, un grandissimo medico che ha una coscienza profonda del proprio valore umano e che concepisce la vita come affermazione di sé, essendo un uomo riuscito, che si è affermato con una certa velocità diventando un personaggio chiave del mondo accademico scientifico e mondano di allora. Poi c’è il narratore: il romanzo infatti è scritto in terza persona da un allievo del medico, che diventa poi co-protagonista e che permette a ciascuno di noi di diventare co-protagonista. Il periodo in cui si svolge il romanzo è quello degli anni immediatamente precedenti la prima guerra mondiale, dal 1904-1905 fino al 1914.

Il protagonista fino allo scoppio della terribile malattia sembrava possedere anche l’eterna giovinezza: a 44 anni senza che nessuno si immaginasse di trovare ridicola quell’unione, aveva potuto sposare una fanciulla ventenne che a sua volta portava un nome illustre nella medicina. Il rapporto con la moglie, descritto in termini molto discreti ma profondamente teneri, è un rapporto che si esaurisce al proprio interno, autosufficiente, fondato su una sintonia profonda, sulla capacità di effusione e di tenerezza. Ma è anche un rapporto senza rimandi, senza riferimenti. Ed ecco la prima osservazione: il mondo di questo romanzo è un mondo senza senso religioso, senza inquietudini, totalmente dominato dall’uomo e dalla sua ragione intesa non come apertura alla realtà, ma come dominio. E infatti la scienza domina nel romanzo, anche perché si tratta del periodo in cui, soprattutto in Francia, domina il Positivismo. Il protagonista non a caso è uno scienziato che professa l’amore alla scienza intesa come unica e definitiva possibilità di conoscenza della realtà. È un mondo senza problemi e senza insuccessi, un mondo senza inquietudini, un mondo in cui sembra non ci sia niente fuori posto.

Ma – e arriviamo al secondo momento del romanzo – la realtà è più grande di questa volontà di autopossesso, si impone e in qualche modo tenta di sconvolgere questo quadro: due circostanze inevitabili si pongono nell’orizzonte di quest’uomo e di sua moglie, la guerra e la malattia tremenda che mina la salute del protagonista. Nei confronti di questi due fatti, soprattutto del secondo, essi reagiscono come di fronte a qualcosa che non possono negare, ma che non prendono mai direttamente in considerazione: infatti la malattia diventa qualcosa che si censura, di cui non si parla. Tutto il romanzo è dominato da un sottile giuramento: si sa, ma non se ne parla, si sa ma è come se non fosse... ma questo tentativo di eliminare o di non considerare questo fatto così duro, man mano che il tempo passa e le vicende della guerra trascorrono, emerge nella sua inconsistenza ultima.

Terzo momento: succede l’incontro, capita un avvenimento nuovo l’ingresso nella cerchia di questa vicenda, familiare e sociale. Si tratta di un personaggio nuovo, un tenente, cugino della moglie, che è stato ferito e che viene ricoverato nell’Ospedale Militare di cui è direttore il protagonista. Quest’uomo è diverso, è malato anche lui in modo incurabile, ma il modo con cui affronta le circostanze della sua vita e in particolare la malattia è radicalmente diverso da quello dei due protagonisti: non nega, non si nasconde, afferma e affronta il problema forte di una forza che è quella della fede. È la diversità caratterizzata dall’esperienza della fede, che si esprime come capacità di stare di fronte alle circostanze e di viverle con un senso, con una utilità.

Quarto passaggio: a questa diversità c’è una duplice reazione, quella del protagonista, la negazione della diversità che assume il volto violento della banalizzazione – il protagonista cerca continuamente di ricondurre la diversità dell’altro al fatto che è innamorato di sua moglie – e quella della moglie, che invece accetta la sfida e si apre alla diversità. La conseguenza impressionante dell’accettazione di questa diversità è che si modifica radicalmente il rapporto fra lei e il marito: l’amore non ha più la caratteristica esclusiva e autosufficiente che ha avuto per anni, e nel rapporto col marito è come se incominciasse a percepire qualcos’altro, un mistero. Questo riferimento della vita a un altro, che permette alla vita di diventare diversa, diventa una provocante proposta di bene anche per i due protagonisti: l’uno ha saputo accoglierla, l’altro non ha voluto accoglierla.

La diversità di quell’uomo cambia la cosa più grande e insieme più miserevole che lei aveva, il rapporto con suo marito: più grande perché aveva impegnato tutta la sua esistenza, più miserevole perché invece di realizzarla la dominava, non avendo alcun riferimento né alcun orizzonte. Questa diversità di atteggiamento si consuma fino alle estreme conseguenze, perché il protagonista rifiuta pervicacemente la possibilità di vivere in modo umano e senza disperazione la propria malattia, finendo così per suicidarsi; invece l’uomo di fede vive la morte come una trasfigurazione, un passaggio, un andare verso un altro, un di più.