Scuola: riforma impossibile

Venerdì 23, ore 18.30

Relatori: Mario Mauro, Moderatore:
Luigi Berlinguer, insegnante Luigi Negri,
Ministro della Pubblica Istruzione Docente di Antropologia Filosofica
presso l’Università Cattolica di Milano

Negri: Non da oggi siamo convinti che la politica si faccia sui problemi reali, confrontandosi lealmente fra forze realmente impegnate sui problemi, forze che possono avere posizioni diverse ma che le mettono in comune con estrema cordialità in vista di contribuire ad una risoluzione dei problemi.

L’incontro di oggi è tra un Ministro della Pubblica Istruzione e una realtà di gente veramente impegnata nella scuola, che a vario titolo, con esperienze diverse, anche appartenendo a generazioni diverse, vive la scuola con la preoccupazione che in essa possa esprimersi realmente il principio irrinunciabile della libertà. Partendo da una esperienza di educazione fatta nella scuola statale tanti anni fa, e poi crescendo la nostra compagnia e articolandosi, assumendo varie forme, abbiamo desiderato che a tutti i livelli, nella vita della scuola italiana, si potesse attuare pienamente il principio della libertà: innanzitutto la libertà dei genitori di determinare le scelte educative dei loro figli secondo il loro diritto e dovere, che derivano dalla natura e che sono riconosciuti dalla Costituzione; poi degli insegnanti, per una effettiva libertà di insegnamento; e infine degli studenti, perché crescendo e maturando fosse possibile una effettiva libertà di cultura nel suo senso fondamentale, quello per cui la cultura è l’insieme delle domande di significato, che devono trovare accoglienza e tematizzazione all’interno della scuola. Declinare questi diritti e questi doveri ci è sembrato significare una effettiva pluralità di presenze educative nella scuola statale e insieme un pluralismo di forme educative e scolastiche nel paese; mentre approfondivamo queste tematiche ci è sembrato di intuire come possibile una immagine nuova del servizio pubblico scolastico.

Ci aspettiamo oggi di confrontare con il Ministro alcune domande, domande su problemi reali che incontriamo nella nostra esperienza scolastica come insegnanti, come genitori e come gente che, in molte esperienze, ha cercato di creare strutture scolastiche libere.

Meroni (Presidente Nazionale di DIESSE): All’inizio de Il rischio educativo c’è un passo che dice che se anche avessimo la maggioranza assoluta in una scuola, ci batteremmo fino in fondo perché anche uno solo possa esprimere la propria cultura e la propria possibilità educativa. Il disagio nostro è questo: noi ci troviamo in una scuola completamente ingessata da questo punto di vista. La prospettata autonomia che da tanti anni ci perseguita non può essere la gestione di un Ministero in piccolo affidato ad una maggioranza, in una scuola che determina ciò che a maggioranza non può essere determinato, cioè la facoltà di educare e la libertà di insegnamento. Noi siamo disposti a discutere su tutto, dal classico alla manualità, dal tema all’esame di maturità, ma noi non siamo disposti in nessun modo ad abdicare ad una libertà di educazione e di insegnamento dentro la scuola. Non possiamo farlo perché questa libertà appartiene direttamente alla dignità del nostro lavoro; non è vero che gli insegnanti non vogliono lavorare, e proprio perché questo non è vero, non possono essere costretti continuamente a riempire il tempo pomeridiano con contenuti dettati da qualsiasi provenienza.

Vorremmo che lei ci chiarisse anzitutto dove va la cosiddetta autonomia, e dove va di conseguenza la scuola statale. Come questo tipo di autonomia garantisce ciò che ci sta a cuore, che è la ragione del nostro essere, cioè la libertà di educazione? Come è possibile che anche a fronte di un contratto che ci detta analiticamente tutti i passi per essere sottoposti a tutti i controlli, noi possiamo educare un popolo cui trasmettere una cultura ed una tradizione?

Berlinguer: Vorrei dire prima di tutto che sono riluttante a parlare di "riforma della scuola" o dell’Università, perché questa definizione induce una visione attendistica di quello che invece è un processo che si scandisce non in un singolo atto di governo o in una sola legge, ma in una serie di atti, nella creazione di un clima, nella promozione di un protagonismo e di un ruolo, senza i quali non ci potrà essere né la gestione dell’ordinario né i necessari cambiamenti prospettati ormai da tutte le parti. L’azione del Governo e mia personale, preferisce definire "le" riforme al plurale, preferisce definire i diversi interventi nei quali si articola un’azione scolastica. Questo, sul piano culturale ed anche ideale costituisce un’innovazione, almeno nell’atteggiamento. Sono convinto che bisogna introdurre dei cambiamenti nella scuola ma sono anche convinto che se questi cambiamenti funzioneranno avranno avuto un senso, se invece l’ansia di cambiare produrrà effetti non positivi non avranno avuto alcun senso. Non sempre purtroppo un grande desiderio di cambiare e la prospettazione di metodologie e di esigenze nuove riescono a produrre i risultati voluti, e, quando non hanno questo profondo senso della realtà, rischiano spesso di creare risultati distorti e contraddittori rispetto alle postulazioni iniziali.

Dopo questa premessa veniamo al problema dell’autonomia. Anche se autonomia significasse creazione di un nuovo microcentralismo totalizzante dentro la scuola, di un altro tipo di autorità che si sostituisca a quella centrale, è pur sempre meglio del centralismo vero e proprio; però se questo elemento totalizzante si afferma, l’esigenza di autonomia viene tradita, perché secondo me l’autonomia è uno strumento, non un valore. I valori sono altri: l’estensione della scolarizzazione a tutti i ragazzi, oppure la continua educazione, o l’offerta da parte delle strutture formative del costante rigenerarsi delle competenze e delle professionalità; i valori sono soprattutto quelli della cultura nazionale, della libertà, della tolleranza, del confronto. Un valore è la possibilità che oggi nella scuola si crei un senso del concreto e non soltanto una necessaria base di conoscenze, e che quindi si armino i ragazzi a stare nella vita.

Strumento di tutti questi valori è una organizzazione scolastica snella, non rigida, responsabilizzante: è questa l’autonomia. La scuola non deve più essere fatta di circolari, di orari rigidi, di una classe sempre uguale, sempre con lo stesso numero di studenti, di lezioni teoriche... questa è la struttura che andava bene nella scuola d’élite di 50.000 studenti quando Gentile faceva quel piccolo miracolo che è stata la sua riforma. Oggi la scuola non è più elitaria, è invece fatta per scolarizzare tutti, e quindi non può avere più quella struttura e non può avere più quel tipo di modelli.

Si potrebbe rispondere così alla domanda sull’autonomia: dobbiamo realizzare un equilibrio delicato. Fra i miei colleghi docenti l’invocazione alla libertà di insegnamento è costante, perché scolpita nella Costituzione: intaccare la libertà di insegnamento significa togliere il sale all’insegnamento e alla cultura. Essa però deve fare i conti con la responsabilità educativa, perché il docente ha nelle sue mani una creatura, non si limita a fornire informazioni, ma plasma idee e ha di fronte a sé il risultato educativo da conseguire. Il docente non è soltanto chi eroga informazioni e lezioni, il docente è membro di un collegio che alla fine dell’attività scolastica risponde dei risultati prodottti dalla sua attività. Il difficile crinale dell’equilibrio che è nella storia del pensiero da sempre, fra libertà e responsabilità, va sciolto, e va sciolto salvando il massimo della libertà nel metodo dell’erogazione dell’attività formativa; il massimo di libertà nel manifestare se stessi come portatori di idee e di valori, ma insieme nell’essere membri di un collegio, con cui valutare all’inizio, durante e dopo i risultati di quello che si è fatto. Quella che noi vogliamo non è soltanto l’etica della libertà, ma anche l’etica della responsabilità, che vogliamo spostare dai programmi totalmente precostituiti, dalle circolari che indicano persino ogni piccolo passo che si deve compiere, dagli orari rigidi, da un tipo assolutamente uniforme e totalizzante di programmi di insegnamento, a fuori dalla scuola, nelle strutture burocratiche centrali.

La grande novità sta qui: noi dobbiamo garantire in Italia standard culturali comuni per chi si diploma a Palermo e chi si diploma a Milano, non dobbiamo dare risposte iperpolitiche, ma dare una cultura nazionale. Se gli studi sono di alta qualità si può anche lasciare grande libertà, e anziché fare ogni anno, sempre identica, l’analisi testuale sui Promessi sposi, si può un giorno fare i Promessi sposi e un giorno il Re Lear di Shakespeare o leggere Cervantes... L’autonomia è ancora più libertà di quanto non sia adesso.

Per quanto riguarda gli insegnanti – altro problema della nostra scuola – la prima cosa che vorrei riconoscere ai docenti è il loro status docentis, che è patrimonio del paese: per questo, cercheremo nei prossimi mesi di incoraggiare i docenti a essere loro i protagonisti di un costante aggiornamento di cui nessuno può negare la necessità, e a cui possono accedere con il massimo di libertà, riconoscendo dove si possono arricchire, e non facendolo riconoscere dall’esterno, spesso con delle forme fiscali di valutazione esterna che raramente hanno il risultato che si vuole raggiungere. Il primo messaggio che ho lanciato come Ministro è il seguente: senza che i docenti siano convinti dell’autonomia della riforma, noi faremo fallimento, perché l’attività di insegnamento è altamente vocazionale. Ci sono due modi di insegnare: uno è di stare in classe, far fare un tema e leggersi un giornale, un altro è credere nel proprio lavoro e dunque faticare. Sono convinto che se noi non riusciamo ad avere gli insegnanti dalla parte di chi vuole cambiare in meglio questa scuola, noi falliremo. La cosa più bella è credere che noi possiamo creare una stagione in cui gli insegnanti credano nell’autonomia e nel fatto di dare ricchezza alla propria autoorganizzazione e creatività al proprio insegnamento, non con il burocratismo del PEI, ma in una forma attraverso la quale il contributo di tutti possa davvero arricchire l’insegnamento. Se affronteremo questa stagione ci sarà bisogno di poche leggi, pochissime, soltanto di alcune norme di sburocratizzazione, di decentramento, di smaltimento delle procedure.

L’obiettivo politico del governo è quello che nel prossimo anno finanziario la parte di investimento nella scuola relativa non agli stipendi ma alle attrezzature, cresca percentualmente rispetto al passato: se noi riusciremo a fare questo, sarà un’inversione di tendenza anche finanziaria, che consentirà di fare un’autonomia veramente reale.

Mauro: La realtà che rappresento è grande, anche se in fondo assomma non più di 200 scuole e non più di 30.000 alunni in tutta Italia. Questa realtà grande è nata dal fatto che alcune persone, una volta sposate, credendo in qualcosa di bello e di buono, e che questo qualcosa dovesse anche essere trasmesso ai figli, hanno pensato di fare le scuole. Ciò dimostra in primo luogo che le cose in cui credevano erano abbastanza importanti, perché altrimenti diventa difficile ad ogni 27 del mese far fronte alla possibilità di mandare i figli a scuola pagando di tasca propria, e in più pagando anche per le scuole di Stato; e in secondo luogo che queste cose in cui credevano andavano abbastanza bene anche per tanti altri, perché in queste scuole poi ci sono venuti in tanti.

Le nostre scuole si sono diffuse e noi siamo da anni alle prese con questo dilemma: la famosa questione della parità. Vorremmo porre questa questione in termini concreti, e ci sembra che possa esserci una strada in questo momento. Il professor Zamagni, Presidente della Commissione che sta affrontando la legge del non-profit, parlando qui al Meeting a nome del governo, ha indicato con chiarezza la scuola e più in generala l’istruzione tra i settori che dovrebbero avvantaggiarsi, seppure solo dal punto di vista fiscale, della legge che stanno preparando. Volevo chiederle se condivide questa affermazione, ma soprattutto se ritiene il percorso del non-profit, cioè delle società non a fini di lucro, un approccio plausibile per poter scardinare l’impianto giuridico che attualmente regola la scuola italiana, consentendo così di arrivare ad un unico sistema scolastico integrato, dove ciò che è vero e buono per tutti sia chiamato finalmente con il nome di pubblico e non subisca la discriminazione di statale e privato; un unico sistema scolastico all’interno del quale si possa capire se si riesce ad agevolare i tentativi fatti dai cittadini di affrontare con creatività e razionalità il problema dell’educazione dei propri figli.

Berlinguer: La questione sollevata con questa domanda ha percorso la storia scolastica e la storia politica di questo paese per decenni, nella più elevata inconcludenza. Questa inconcludenza ha pesato fortemente soprattutto, secondo me, sulla scuola pubblica: un 10% degli alunni italiani che studia nelle scuole non statali private, eridendosi del problema insolubile, ha sostanzialmente reso molto difficile, in molti casi impossibile, l’avvio di riforme radicali nel resto del sistema che riguardava il 90% degli studenti italiani. Costruendo l’alleanza dell’Ulivo fra forze politicamente diverse e di provenienza diversa, politica e culturale, ci si è domandati a lungo il perché di questo. Se voi fate una analisi dei programmi scolastici delle precedenti legislature delle forze politiche e di quello dell’Ulivo, spero che voi riscontriate quella che io ritengo la più sorprendente novità: non solo il fatto che la tematica scolastica è diventata di primo valore, ma anche che i termini di contenuto delle riforme proposte non sono comparabili con quelli precedenti. La discussione ideologica e astratta sul rapporto pubblico-privato o statale-non statale, è diventata un deterrente per risolvere il problema politico, soprattutto nei confronti delle altre più radicali e complessive riforme. Per questo l’Ulivo ha girato il problema, e la soluzione che ha proposta nel suo programma – alla quale io sono tenuto in quanto membro di un governo che ha quel programma come impegno con gli elettori – è quella prevista dall’articolo 33 quarto comma della Costituzione: la necessità di costruire un programma educativo integrato con finalità pubblica.

Il punto di partenza sull’argomento è dunque ora questo: un programma educativo integrato con finalità pubblica. Prima di tutto bisogna sostanziare il programma, con una serie di riforme che rapidamente elenco: l’aumento della scolarizzazione e della formazione culturale di base da otto a dieci anni di scuola; la tendenza a scolarizzare tutto fino ai diciotto anni; la soluzione del problema della formazione professionale e del post-secondario... dentro questo pacchetto di riforme, dovremmo realizzare la sburocratizzazione e l’autonomia. Ma questo programma e le sue mete di valori hanno bisogno di un altro strumento che è la legge sulla parità. Il quarto comma dell’articolo 33 fa obbligo al Parlamento di approvare una legge che detti norme di parità per il complesso delle strutture formative italiane, ivi comprese quelle non statali, e che non crei discriminazioni fra studenti. Questa è la sostanza dell’articolo 33 quarto comma: è una prescrizione costituzionale ed anche uno strumento necessario di natura politica per realizzare il programma dell’Ulivo.

Personalmente considero un obbligo morale tentare in tutti i modi di dare all’Italia una legge sulla parità, e mi auguro che questo fatto venga apprezzato da tutti gli ambienti interessati. Ho usato volutamente la parola obbligo morale perché c’è un elemento etico nella politica formativa: il fatto che questa norma di parità per gli studenti sia stata scolpita nell’articolo 33 quarto comma significa che quella norma diventa un imperativo per un governo, per un ministro, per un uomo di scuola. Questo significa prima di tutto creare la cornice normativa di quel sistema integrato con finalità pubblica, definendo così tutti i contorni e le condizioni di questa finalità pubblica stessa per non lasciare liberi i ragazzi di accedere a strutture formative senza che ne esistano gli standard e le condizioni generali. Questo crea anche un’alleanza di fatto sul fronte della qualità di tutte le scuole che vogliono essere scuole, creando un discrimine in materia di informazione, cioè di offerta culturale. In questa maniera si porrebbero finalmente gli standards che possono fare considerare una organizzazione informativa legittimamente all’interno del sistema informativo integrato: si tratta di creare delle regole, di creare un sistema italiano pubblico e non statale.

Il tema spinoso – di cui so che tutti vogliono sentirmi parlare – dei soldi statali a favore delle scuole private divide la maggioranza dell’Ulivo, e ha a che fare con un altra prescrizione costituzionale. Ho costituito una commissione privata, che sta studiando il rapporto costituzionale fra il terzo ed il quarto comma, aprirò nel paese una discussione su questi aspetti, avendo possibilmente acquisito la legge sulla parità. L’aprirò legittimamente, prima di tutto all’interno della maggioranza e poi nel paese; presenterò l’iter di un processo di riforma che mi auguro corrisponda alla volontà di cambiare questa scuola.

Sono convinto che quando il disegno di un sistema integrato e i problemi della vera libertà, che significa confronto e non isolamento, saranno compresi dalla maggior parte degli operatori scolastici, il tema sarà capovolto e l’approccio non sarà più rigidamente ideologico. Sarà motivo di grande orgoglio per me e per questo governo riuscire dove si è fallito per tanti anni.

Lombardi (Presidente Nazionale dell’Associazione Genitori delle Scuole Cattoliche): Se in questo paese non c’è la parità scolastica, la colpa non è solo di chi lo ha guidato per 50 anni, ma anche di chi – stando all’opposizione – negava la possibilità di portare avanti questo discorso. Sul tema della libertà dell’educazione l’inadempienza è di tutta la classe politica nessuno escluso.

In un momento così difficile che pare privo di punti di riferimento e di fondamenti etici condivisi, occorre riaffermare con forza la centralità della famiglia, che non è solo biologica o economica, ma soprattutto educativa. è il valore famiglia nel suo complesso che deve essere riproposto, non solo enunciato ma concretamente sostenuto con provvedimenti di politica sociale, fiscale, previdenziale, e scolastica. Il Magistero ci ricorda da sempre che la scuola in se non è un valore, ma è semplicemente uno strumento per sua natura sussidiario al ruolo educativo che è proprio della famiglia. La famiglia vive le sue patologie e sul concetto di famiglia vi sono addirittura delle posizioni diverse: io mi riferisco ad una famiglia banalmente normale, costituita dall’amore di un uomo e di una donna che nel rispetto di un progetto più grande di loro si vogliono bene e mettono al mondo dei figli che chiedono di essere educati. Ecco perché una Associazione di famiglie come la nostra esprime una preoccupazione che si rivolge a tutta la realtà della scuola italiana, statale e non statale, aspetti complementari e inscindibili di un servizio pubblico di istruzione propriamente detto.

Autonomia, parità, libertà di scelta educativa, riforma degli organi collegiali... credo che questi siano i binari condivisi ormai dalla maggior parte dell’opinione pubblica e delle forze politiche sui quali instradare una scuola nuova utile alle famiglie e al paese. Non le nascondo la nostra perplessità di fronte ai primi passi del Governo, la sensazione che l’autonomia sia intesa solo come un decentramento burocratico e amministrativo e non come la esaltazione della responsabilità educativa e gestionale delle diverse comunità educanti, e lo sconcerto per l’ipotesi di caricare le famiglie di ulteriori oneri finanziari, senza adeguate contro partite, agganciando la retribuzione al reddito in una prospettiva di riforma del fisco che farà emergere sempre più redditi forfettari e non analitici, quindi lontani dalla reale capacità contributiva.

Sulla parità debbo rendere testimonianza che questo governo è il primo che si prende la responsabilità di presentare un progetto di legge specifico dandosi una scadenza. Qualcuno dice che non dobbiamo farci illusioni, ma nelle attuali condizioni della scuola non statale, di quella cattolica in particolare, meglio una cattiva legge che nessuna legge. Sono convinto che la commissione da lei istituita – al di là di quello che sembra essere il solito vecchio trucco: in Italia quando non si vuole lavorare si nomina una bella commissione... – produrrà qualcosa di serio, anche se la sua composizione ci lascia perplessi, perché vi abbiamo letto i nomi di molti di quei cattolici che in tutti i questi anni ci hanno cristianamente sparato addosso. Ci saremmo sentiti più tranquilli se fosse stato richiesto il contributo di quegli esperti che alla parità credono davvero e da sempre: sarebbe stata l’occasione per confermare nei fatti che questo governo, pure espressione di una maggioranza politica, intende operare nell’interesse generale e con il contributo di tutti, tanto più su un tema come quella della scuola che non può essere patrimonio di una maggioranza o di minoranza, ma che appartiene a tutta la gente.

Berlinguer: Non ho voluto costituire una commissione di consulenza del Ministro mettendoci dentro tutte le forze perché non avrebbe prodotto niente. Presenterò un’idea, non una proposta, ma un’idea al confronto prima con tutte le forze, della cultura e della scuola, poi con il Parlamento. L’iter non sarà un iter semplice, ma la gravità del tema richiede un iter ponderato che sia inserito nel complesso del processo di riforma. La legge sulla parità si potrà fare se ci saranno in atto i passi verso le riforme, perché il sistema pubblico integrato di formazione e di educazione ha un senso se avanzano le riforme. Questa è la riforma che vogliamo noi, un iter che cammina, fatto di tanti passi: la legge sulla parità sta dentro questi passi e solo se ci sono gli altri passi lo scontro ideologico cesserà di avere quell’asprezza e sarà un confronto di idee, non di ideologie. È quello cui noi stiamo puntando.

Per quanto riguarda la questione della famiglia, prima di tutto desidero gloriarmi del fatto che quando ho fatto il capogruppo dei progressisti alle Camere del ’94 e ’96 abbiamo presentato provvedimenti sulla famiglia parziali ma importanti, che hanno invertito una tendenza: dagli assegni familiari alle questioni che riguardano le forme previdenziali e antinfortunistiche. Non possiamo tuttavia trascurare che sui problemi educativi in questo momento scuola e famiglia sono sottoposti ad una violenta concorrenza che ci rende quasi impari il compito, quella della televisione. Oggi infatti lo strumento educativo principe, soprattutto nella tenera età è rappresentato da quell’elettrodomestico, la cui influenza nella formazione delle coscienze è diventato enorme. La media oraria di presenza del bambino di fronte allo schermo è di 4 ore a testa, e 4 ore possono sostituire in vena e in circolo tante prescrizioni e tante forze educative della scuola e della famiglia. Per questo occorre un’azione combinata che ridia modernità alla scuola, capacità di amorare gli studenti, di conquistarli: se non faremo questo noi non vinceremo, perché l’elettrodomestico è diventato la baby sitter, è diventato influente in qualunque ora della giornata. Ecco perché noi nelle scuole primarie e persino nel liceo classico dobbiamo armare i ragazzi di un linguaggio multimediale, dobbiamo metterli in grado culturalmente di decodificare quel messaggio subliminale e quella forma di influenza che stanno completamente condizionando la vita sociale. Ci vuole un atteggiamento serio di alleanza delle due forze deboli in questa concorrenza, che sono la scuola e la famiglia.

Per quanto invece riguarda il problema dell’autonomia, nessuno ha mai pensato – come forse si è talora frainteso – che se l’autonomia è intesa come decentramento burocratico non c’è spazio per i genitori. Voglio ripetere qui con franchezza e fermezza che l’autonomia sarà in prevalenza quello che gli organi di governo realizzeranno, e se non ci sarà cultura dell’autonomia, in questi organi resterà soltanto un testo pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

Il Ministro della Pubblica Istruzione e dell’Università non intende procedere con un unico testo normativo di decine e decine di articoli, ma con provvedimenti snelli, molto ridotti numericamente, perché questo rende più facile l’iter parlamentare. Abbiamo bisogno di diversi approcci normativi spezzati: ad esempio, se i parlamentari vogliono presentare una proposta di legge per la riforma degli organi collegiali, sarà ben accetta, la riforma degli organi collegiali è decisiva, perché, come già ho detto, dipende da chi governa l’autonomia il successo della stessa, oltre che dalle norme generali. Anzi, sono convinto che il problema degli organi collegiali sia uno dei più gravi, anche perché su di esso si eserciterà una grande passione: tutti vorranno entrare in tutti gli organi, e in questo modo si rischierà di avere degli organi pletorici, mentre l’autonomia ha bisogno di organi che sappiano anche decidere ma che non siano oppressivi della libertà del singolo che deve svolgere la sua funzione educativa. Anche ai genitori, dovremo dare il peso che devono avere: se i genitori non giocheranno un ruolo importante, l’idea di autonomia di cui parlo non si potrà realizzare. Abbiamo bisogno di un coinvolgimento dei genitori perché essi sono spesso il tramite con la vita sociale, e il rapporto con una serie di strutture di cui la scuola avrà bisogno.

È una grande avventura quella che dobbiamo correre: se non si fa adesso la riforma, non so quando si farà, è una stagione che non possiamo perdere: se perdiamo questo treno, l’Italia nel confronto europeo avrà un neo che non le consentirà di correre veramente la grande avventura di entrare fino in fondo e compiutamente in Europa.

Negri: Mi sembra di grande importanza l’assicurazione che l’autonomia non è una forma di burocratizzazione, per certi aspetti più insidiosa di quella passata, ed anche l’assicurazione da parte del Ministro dell’impegno alla riforma della scuola paritaria, presentato come un impegno morale.

La scuola è un luogo di cultura nel senso fondamentale della parola; cultura come impegno dell’uomo con il proprio destino, come significato ultimo dell’esistenza, e come scelte di fronte alle grandi questioni della vita... e così, la cultura nazionale di cui il Ministro parlava non è fatta una volta per sempre, non è chiusa in un tavolino dal quale viene tirata fuori e in qualche modo proposta o imposta. La cultura nazionale nasce nel confronto, vibra nel fermento di persone che sono diverse come concezioni, come vita, come sentimento, e che trovano tutte le opportunità per un confronto, per un dialogo, per un reciproco arricchimento. Perché questo possa accadere occorre che queste differenze diventino consapevoli, diventino maturazione critica e perciò capacità di dialogo, di confronto e anche di reciproca correzione. Questo è il cuore di quello che noi chiamiamo libertà di educazione, e che dovrà essere il clima allo stesso modo dell’attuale scuola statale come della scuola non statale. Libertà di educazione vuol dire anche che sia possibile approfondire la propria differenza, che è una potenziale ricchezza, che la si possa mettere nel confronto con tutti per la creazione di una società che se è fatta di persone consapevoli e critiche diventa realmente più democratica. Per questo per noi la libertà di educazione è il primo e fondamentale problema politico, perché è da questo che dipende una democrazia non formale ma sostanziale. Abbiamo desiderato e voluto il confronto di oggi come il primo nostro contributo a entrare consapevolmente e criticamente in questa che lei ha definito una stagione nuova.