Miti fondamentalistici, religioni e violenza

Mercoledì 25, ore 11.30

Relatore:

Julien Ries,
Direttore del Centro di Storia delle Religioni presso l’Università Cattolica di Lovanio

Ries: La guerra in Europa, con tutto il suo contesto ideologico e culturale, lo slancio e il cammino della Chiesa verso il Giubileo dell’anno 2000 sono al centro delle nostre preoccupazioni. Proprio partendo da queste preoccupazioni, affronterò un tema che è al tempo stesso religioso, sociale e culturale e che, a partire da uno sguardo sul passato, cerca di spiegare il presente ed il futuro: "I miti fondatori visti come fonte di intolleranza e generatori di crisi e violenze nella società".

 

I. Il mito e i miti fondatori

1. I miti e la mitologia

Il termine "mito" è d’origine greca: presso i greci mythos si oppone a logos. Il vocabolo logos esprimeva ciò che viene considerato verità, mentre mythos designava ciò che è popolare, ciò che è considerato meraviglioso, nebuloso, oscuro. Il termine "mito", ancora oggi, viene utilizzato per la spiegazione non scientifica dell’universo, per la descrizione di fatti anteriori alla storia, per racconti relativi alle origini, per rappresentazioni collettive che hanno un certo impatto sulla vita sociale.

Nell’ambito religioso si comincia a parlare di mitologia a partire dal XIV secolo. Si tratta della rappresentazione degli dei, della loro natura, delle loro caratteristiche, della loro morfologia, dei loro attributi, oltre che della credenza dei popoli negli dei. Nel corso dei secoli, a partire dal Rinascimento, di scoperta in scoperta, si ritrovano i miti e le mitologie dei popoli antichi: greci, romani, egizi, germani, scandinavi, indiani, ecc. Oltre alla mitologia degli dei, vi è anche una mitologia favolosa e storico-leggendaria che si occupa di personaggi, dell’origine degli individui e delle istituzioni: ad esempio, l’origine mitica delle città, la mitologia solare, lunare, astrale. Ci troviamo di fronte ad un immenso capitale religioso e culturale. Lo storico delle religioni Georges Dumezil ha passato la sua vita a lavorare sulla mitologia comparata indo-europea cercando di evincerne il senso e di determinarne le funzioni in seno alla società. Claude Lévi Strauss, nei suoi quattro libri intitolati Mitologici, ha studiato 800 miti degli indiani d’America del Sud e del Nord per mostrare le funzioni dei miti nelle società basata su tradizioni orali di questi indiani. Egli ha cercato altresì di fare ciò che aveva cercato Jean Jacques Rousseau: ritrovare l’uomo naturale e fondare un nuovo umanesimo. Georges Dumézil ha analizzato tutta la documentazione disponibile del mondo indoeuropeo arrivando ad estrapolarne tre funzioni principali, chiavi di volta di questa società: funzione del sacro, funzione della difesa e della gestione, funzione della fecondità e dell’alimentazione, della sussistenza della società.

2. I miti fondatori

Ci soffermeremo ora sui miti fondatori, prima di tutto i miti fondatori delle credenze. Prendo a titolo di esempio il mito di Osiris, dio della vita, della morte e della resurrezione nell’Egitto dei faraoni. Il mito racconta come Osiris sia stato ucciso dal suo avversario, il dio Seth, dio del male che, dopo averlo tagliato in pezzi, lo gettò nel Nilo. Isis, sua moglie divina, gli restituì il corpo conferendogli una nuova vita. Su questo mito si fonda il culto d’Isis e d’Osiris, il culto funerario con la mummificazione, la credenza nella sopravvivenza e la dottrina della presenza dei felici e fortunati presso Osiris dopo la morte, Così, il credere nella sopravvivenza e il fondare riti della mummificazione trovano la loro origine nel mito di Osiris. Vi sono miti fondatori di speranza in tempi di pace, di giustizia e d’abbondanza. In questo ambito si hanno i miti dell’età dell’oro: tempus aureum oppure aurea aetas che ritroviamo nella zona mediterranea. Alle origini dell’umanità ci sarebbe stata un’era dell’oro: mito di Dilmo a Sumer, mito dell’Eden in Israele, mito di Cronos in Grecia, mito di Saturno a Roma. In tempi di crisi, quando tutto sembra vacillare, risorge questo mito, e vi è tutta una letteratura che lo dimostra.

Vi sono poi i miti fondatori delle istituzioni. È il caso del regno antico, rappresentato dal modello ideale del regno faraonico d’Egitto. Sotto la prima dinastia, il faraone è figlio di Horus, la teologia di Memphis lo presenta come figlio del dio Osiris o del Dio Ptah, creatore di tutto, mentre la teologia reale d’Eliopoli sotto la quinta dinastia fa di lui il figlio di Râ, il dio solare. Nelle sue trenta dinastie, il faraone sarà considerato il rappresentante in terra della divinità celeste.

 

II. Il mito fondatore del culto imperiale romano e la persecuzione dei cristiani

1. Il culto imperiale

Il culto imperiale è cominciato con Ottavio Augusto, il nuovo Romolo considerato maestro del mondo. Alla fine del primo secolo, l’imperatore Domiziano (51-96) ha fatto adottare la formula dominus et deus noster, nostro Signore e nostro Dio, e ha fatto erigere sul monte Palatino un grandioso palazzo, la domus Flavia, che rivaleggiava con la maestosità del tempio di Giove capitolino. All’inizio del III secolo, l’imperatore Elagal (218-222) si fa venerare come un sovrano orientale considerandosi un’incarnazione solare e dandosi il nome di Eliogabalo. Nella seconda metà del III secolo, con gli imperatori, la teologia imperiale fa un nuovo passo in avanti: l’imperatore è divino per filiazione, in ragione delle sue funzioni. Nell’iconografia ufficiale le corona dai raggi d’oro fa del principe il vicario del dio solare. L’imperatore é proprio come il sole, sol invictus: egli è invincibile, raggiante come il sole che sorge e irradia luce in tutto il mondo. L’immagine dell’imperatore che riceve dalle mani del sol invictus il globo del mondo è significativa. Nel corso del III secolo, proprio all’epoca della crisi dell’impero in preda agli attacchi provenienti dall’esterno e minato dall’anarchia al proprio interno, l’imperatore si proclama invincibile, pius et felix e cerca di far sacralizzare sempre più la propria persona e il proprio potere. La teologia imperiale preoccupa tutto il III secolo: si cerca un vero fondamento al potere che è basato sui miti fondatori della religione romana, i mos maiorum. I soldati dovevano giurare sulle immagini sacre, delle insegne. Gli Augusti viventi vengono associati alle divinità delle città e ai grandi dei protettori dell’Impero. Diversi imperatori romani hanno compreso che l’unità dell’impero richiedeva un fondamento religioso e che detto fondamento era legato a quella che era la base del potere imperiale. Da ciò i tentativi dei culti della Roma eterna e del sol invictus. La celebrazione del millennio della città nel 247 era l’occasione di rilanciare, con il culto di Roma, l’universalismo imperiale.

Nel contesto storico di questa riattivazione di miti fondatori dell’impero e dell’imperatore divini dilagano due grandi persecuzioni dei cristiani: quella di Decio e di Valeriano fra il 249 e il 260, e successivamente, quella innescata dagli editti di Diocleziano all’inizio del IV secolo, mentre i tetrarchi Diocleziano, Galerio, Massimiano e Constanzo Cloro si spartiscono l’autorità imperiale.

2. Le persecuzioni

Quale ruolo hanno avuto la teologia imperiale e il culto imperiale in queste due persecuzioni?

Molti Atti di martiri attestano che, per rifiuto alla lealtà imperiale, furono uccisi anche cristiani. È un dato di fatto: la dottrina imperiale e la teologia cristiana erano incompatibili. I cristiani pregavano per l’imperatore ma non pregavano gli dei pagani, rifiutavano di sacrificare agli dei, di fare libazioni, di bruciare l’incenso davanti all’immagine imperiale, rifiutavano gesti religiosi pagani richiesti come atti simbolici di patriottismo, come gesto di civismo romano. È quanto avveniva soprattutto nell’esercito in cui il culto delle insegne comprendeva il culto dei Cesari. Agli occhi dell’autorità romana, la preghiera dei cristiani per l’impero e per l’imperatore non aveva alcun valore di lealtà civica. Gli imperatori esigevano l’obbedienza al rito pagano e questo, agli occhi dei cristiani, costituiva l’adesione alla fede religiosa pagana. I cristiani che adoravano Kurios Christos rifiutavano di proclamare Kurios Kaïsar poiché ciò significava mettere l’imperatore sullo stesso livello del Cristo. Essi rifiutavano di confondere verità cristiana e miti fondatori, proclamavano il Cristo lux mundi, luce del mondo, rifiutando quindi di depositare incenso davanti alla statua dell’Imperatore, l’Imperator Helios.

Ciò portò allo choc violento delle persecuzioni. Alcuni storici moderni ne parlano unicamente come tragico malinteso.

 

III. Il mito fondatore nazista dell’uomo ariano e la tragedia della persecuzione degli ebrei

Il XX secolo ha conosciuto un mito fondatore il quale è stato all’origine di una terribile tragedia: la guerra mondiale del 1940-45, con i campi della morte e l’olocausto. È il mito della superiorità della razza germanica che è stato trasformato in mito fondatore politico del nazismo. All’origine di questo mito si trovano gruppi esoterici germanici del diciannovesimo secolo. Cito alcune delle società segrete: la società del Vril o Grande loggia luminosa ispirata all’India che riprende l’idea del superuomo di Nietzsche; l’Ordine del nuovo tempio, fondato da un monaco laicizzato che prende il nome da Georg Lanz von Lisbenfelz e propone la teoria della razza pura con la svastica quale insegna e scrive il libro Ostara, che profetizza la fine della tirannia ebrea. Si tratto di un libro che Hitler lesse fino alla fine dei suoi giorni. Un altro gruppo è il gruppo Thulé, Ordine dei Germani, fondata a Berlino nel 1912, del quale entreranno a far parte Adolf Hitler e Alfred Rosenberg. Quest’ultimo scriverà Il mito del Ventesimo secolo, libro di base del nazismo e Hitler scriverà Mein Kampf, la mia lotta, il programma della sua lotta per dominare i popoli del mondo. Rosenberg verrà impiccato il 16 ottobre 1946 con i criminali nazisti. Il mito del Ventesimo secolo è la Bibbia del nazismo, che spiega il mito della razza e del sangue e dà una visione ariana della storia; disuguaglianza delle razze umane; disuguaglianza degli individui all’interno di una stessa razza. Al vertice si trova la razza ariana, nordica; gli altri sono schiavi; gli ebrei sono una razza di sotto-uomini. Il mito del sangue è l’elemento centrale della mistica germanica e della razza pura, che ci riporta ad una preistoria durante la quale la razza nordica ha popolato il mondo con le sue migrazioni dall’India alla Persia e poi all’Ellade. Ma con Roma cominciò la corruzione. Rosenberg nega il Vecchio Testamento, Gesù, san Paolo. Egli conserva le figure dell’insorto di Nazareth e di Giovanni lo gnostico, entrambi segni del rifiuto degli ebrei. Il messia atteso è Adolf Hitler.

Nella situazione catastrofica della disfatta degli anni Venti, le diverse società pangermaniche si raggruppano e esercitano una sempre maggiore influenza. Il mito fondatore delle rivendicazioni ariane, nel quale si ritrova anche l’antisemitismo, diventa un tema dominante. Nel 1925 Hitler e Rosenberg fondano l’organizzazione politica National sozialistische Arbeiters deutsche Partei (N.S.D.A.P., partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori, N.d.T.), abbreviato in "nazi", in seno alla quale essi creano un sistema di guardie del corpo dei dirigenti e dei capi, il Sicherheit Sturm, le SS, unità d’élite scelta in funzione dei criteri nordici della purezza della razza. Le SS formano l’Ordine Nero, di cui i documenti segreti sono stati per lo più distrutti e l’Ahnenerbe, ovvero il Patrimonio degli Avi, che fa capo a Rosenberg, incaricato di elaborare il profilo della religione dell’uomo nuovo. Una parte dei documenti è stata ritrovata e mostra in quale senso veniva elaborato il paganesimo germanico che i vincitori dovevano imporre all’umanità all’indomani della vittoria degli eserciti nazisti. Ho avuto l’occasione di essere il relatore di una tesi di laurea dedicata allo studio di una partita di questi documenti trovati in Germania: l’Ersatzreligion doveva porre fine a tutte le religioni e imporsi come l’unica religione nel mondo.

Vediamo le conseguenze di un mito fondatore basato sulla supremazia della razza germanica e delle razze nordiche, sulla presunta purezza del sangue all’origine della disuguaglianza fra gli uomini. Incarnato nelle forze politiche, di polizia e militari, le quali spingono agli estremi l’intolleranza, questo mito fondatore è sfociato su violenze sociali, organizzazione legale della tortura, assassinii ufficiali, creazione dei campi di concentramento trasformati in campi di morte, sterminio pianificato e realizzato del popolo ebreo e dei nomadi. Con la violenza nazista si raggiunge il parossismo dell’orrore.

Non disponiamo di tempo per fare una dimostrazione analoga dei miti fondatori del marxismo leninista e staliniano: le analogie con il nazismo sono eloquenti.

 

IV. I miti fondatori dei nazionalismi e le guerre nei Balcani

Da secoli, l’Europa si confronta con la realtà delle guerre nei Balcani. L’analisi di questa situazione tragica è la prova evidente della portata assunta dai miti fondatori.

Vi sono i miti fondatori della grande Albania ma vi sono soprattutto i miti fondatori della grande Serbia. Noi parleremo unicamente di questi ultimi poiché sono questi che hanno portato ai drammi della Croazia, della Bosnia e del Kosovo.

Nel XIV secolo, il grande impero serbo faceva capo allo zar Dusan (1331-1355). I turchi ottomani invadono il paese e, nel 1389, sul campo di battaglia di Kosovo Polje chiamato "il campo dei merli", nelle vicinanze di Pristina, l’esercito serbo viene vinto dal sultano Mourad. Il suo capo, il principe Lazar, muore in battaglia. Lo Stato serbo scomparirà dall’orizzonte per tre secoli. Nel 1690, l’esercito turco si impossessa di Belgrado e centinaia di migliaia di serbi lasciano Kosovo e Serbia, portandosi appresso le reliquie del principe Lazar, dichiarato eroe nazionale. La Chiesa serba organizza un vero e proprio culto in sua memoria. Si crea così il mito della grande Serbia, la battaglia di Kosovo Polje diventa un totem, il 30 giugno, data della sconfitta, diventa festa nazionale nell’ambito di ciò che viene chiamato "il giuramento di Kosovo". Il tema di una schiavitù e di una liberazione penetra così nella coscienza popolare. Nel 1878, al Congresso di Berlino, la Serbia acquista la propria indipendenza. La Germania di Bismarck, dopo aver vinto sulla Francia e sull’Austria, incorpora Albania e Kosovo alla Serbia. Con il Trattato di Londra del 1912, l’Albania diventa indipendente e il Kosovo resta in mani serbe. Riprendono intanto con violenza sui campi di battaglia le guerre, i massacri civili, gli incendi di interi villaggi e paesi. La guerra del 1911 scoppia perché un serbo ha assassinato l’arciduca Francesco Ferdinando d’Austria Ungheria. Conseguenza: otto milioni di morti sui campi di battaglia in Europa.

Con il trattato di Versailles del 1918 viene costituita la Jugoslavia, il paese degli slavi del Sud, nella quale i serbi intendono essere unici ed incontrastati padroni. Hitler bombarderà Belgrado, Mussolini occuperà Albania e Kosovo, Josip Broz (Tito) organizzerà la resistenza comunista e diventerà capo del paese grazie alla Russia. Dopo la sua morte, nel 1980, Slobodan Milosevic, insieme al suo entourage comunista, arriva al potere.

Comunista e ateo, egli manovra la folla, sposa il culto della personalità e nazionalismo serbo, manipola i miti fondatori della grande Serbia, e questo porterà alla guerra contro gli sloveni, contro i croati e contro i bosniaci. Il Kosovo possiede importanti risorse naturali, indispensabili all’industria pesante serba, ma l’85% della popolazione è albanofona e gli albanesi non vogliono più essere dominati dal 15% di serbi. Nel 1987, Milosevic riunisce un primo grande assembramento serbo davanti al monumento agli eroi del 1389 a Kosovo Polje e lancia minacce alla stregua del dittatore Hitler. Nel 1989, davanti allo stesso monumento, Milosevic raggruppa un’immensa folla di serbi per celebrare il seicentesimo anniversario della battaglia del 1389, decide di espellere dal Kosovo gli albanesi, di restituire ai serbi la terra sacra degli avi e di mettere così in moto la macchina infernale della persecuzione e della violenza: soppressione del Parlamento, soppressione dell’insegnamento dell’albanese, occupazione della provincia con la polizia serba e con le polizie paramilitari incaricate di realizzare la pulizia etnica. A ciò fanno seguito arresti, crimini e, dopo dieci anni di un regime di violenza fondato sul mito fondatore della grande Serbia e della pulizia etnica, l’intervento dell’Alleanza atlantica con i bombardamenti per porre fine a questo regime. Voi tutti sapete bene quanto è avvenuto recentemente.

 

V. I miti fondatori del neo-liberismo e l’oppressione della persona umana

La nostra società moderna esalta una serie di conquiste considerate grandi conquiste per la storia. Fra queste, vi sono i diritti dell’uomo e della democrazia. Dobbiamo rimanere vigili, sempre lucidi e critici nelle nostre analisi poiché scostamenti e deviazioni possono facilmente sfociare nell’istituzionalizzazione delle stesse. Il Professor Michel Schooyans dell’Università cattolica di Louvain-La-Neuve ha pubblicato un libro intitolato La dérive totalitaire du libéralisme (La deriva totale del liberismo, N.d.T.) (Paris, Mame, Emmanuel, 1991). Gli osservatori del mondo economico, della politica, del terzo mondo, hanno compreso l’impatto di quest’opera sull’opinione pubblica; infatti, alcune delle sue idee più fondamentali ci aiuteranno a sviluppare il nostro tema della violenza nel mondo moderno.

Figlia dei lumi, la tradizione liberale si fa portatrice di un’antropologia che esalta nell’uomo l’individuo, il suo diritto alla proprietà, le sue libertà individuali. Sulla scia di queste libertà, si considera l’uomo padrone assoluto della sua esistenza e, in definitiva, gli si riconosce il diritto di fare della sua condotta una norma morale. È in questa fase che si giunge al positivismo giuridico il quale consacra la forza dei più forti. La ragione umana non è esclusa ma ridotta unicamente ad essere la facoltà di paragonare vantaggi ed inconvenienti di tale decisione (p. 94) e di misurarne l’utilità. La ragione viene messa al servizio degli interessi individuali invece di aprirsi all’universalità. Per vivere insieme, gli uomini concludono convenzioni che essi potranno modificare a loro piacimento. Il liberismo diventa un’ideologia.

Passiamo ora al neo-liberismo attuale e alla sua dottrina di mercato nella società moderna, nell’economia di mercato.

Il mercato ha un ruolo normale nel quale la giustizia sociale deve svolgere un ruolo regolatore. Se il mercato cade sotto la legge liberale del "lasciar fare e lasciar passare" nel senso ideologico di una libertà totale, ci si ritrova confusi fra libera impresa e mistica del lasciar fare. In questa ideologia vengono meno i diritti e le libertà, elementi essenziali per tutti gli uomini. I rapporti diventano rapporti di forza nei quali le considerazioni di utilità e di efficacia diventano primordiali, viene rifiutato qualsiasi ostacolo alla libertà d’impresa e al controllo dei cartelli. È la sacralizzazione del mercato in se stesso che finisce per diventare un’impresa di natura violenta e totalitaria, che sfugge al controllo e a qualsiasi morale, che destina gli uni al successo e gli altri alla povertà. E questa perversione dei rapporti economici porta all’ingiustizia sociale. Eccoci quindi in presenza di un mito fondatore del mercato, ora, proprio ai giorni nostri. Questa dottrina è diventata un idolo per le multinazionali e ha permesso ai paesi sviluppati di accrescere in maniera spettacolare le proprie ricchezze. Ma questa dottrina, per contro – come ci dice Michel Schooyans –, è anche all’origine di una nuova categoria di poveri, dell’eccesso di libertà di cui si arroga una mafia di successo, dello spreco delle risorse, dell’inefficacia dello sviluppo, della disoccupazione, della distruzione dell’ambiente e della rovina dell’idea di universalità. E questo è un fatto molto grave. I diritti dell’uomo sono valutati in termini di avere e non in termini di essere. L’idea di solidarietà si è logorata ed è così che i paesi ricchi con i loro club e i loro clan neo-liberali fanno perdere ai cittadini di questi paesi il senso della responsabilità sociale e internazionale. La presunta democrazia neo-liberale giunge allo stesso risultato della dottrina marxista: l’uomo è ridotto ad una cosa, alla materialità del suo rendimento. Il valore dell’uomo è misurato secondo la sua utilità nel mercato. Si sceglie fra il bambino e il consumo. Si stanno conducendo degli studi di mercato per sapere se rende o meno prolungare la vita delle persone anziane, degli handicappati. La loro esistenza rende per la società? Procura posti di lavoro? Siamo in questo caso nella situazione del mito fondatore che è l’origine della violenza del più forte sul più debole, l’antico rapporto del maestro e dello schiavo proprio mentre si parla di libertà e di democrazia. Il mito dei permissivismo totale della rivoluzione del ’68 ci ha lasciato una serie impressionante di esempi. Michel Schoohyans cita altresì esempi eloquenti presi nel Terzo mondo (pp. 126-130); lo sfruttamento sistematico della popolazione da parte di una minoranza che detiene il potere e nella quale si ritrovano insieme personalità influenti d’Europa, degli Stati Uniti, del Giappone.

In una situazione di questo tipo, di supermercato planetario, sopraggiunge un altro mito fondatore: quello del pericolo della sovrappopolazione mondiale. Attraverso questo mito fondatore, i ricchi percepiscono i poveri quale minaccia alla loro sussistenza: "di ciò che l’altro ha, sono privato io stesso". A questo punto bisogna far intervenire la forza, a scapito di coloro che non hanno. Occorre eliminare i disoccupati dei paesi sviluppati e l’eccesso di abitanti del Terzo mondo. In virtù dell’utilità dei ricchi, la teoria liberale, diventata ideologia, chiede la soppressione dei poveri. L’idea di giustizia sociale viene eliminata: la forza fonda il diritto, secondo l’ideologia del mercato. La sicurezza diventa il fondamento del diritto. Oggi, l’ideologia del mercato conduce all’odio per la sicurezza demografica: per questa ideologia, occorre impedire la crescita demografica. Schooyans constata che, sotto il vessillo dell’ideologia liberista, "noi andiamo con forza e determinazione verso una società da cui i poveri e i deboli saranno esclusi" (p. 147) e mostra come questo avvenga in pratica. Nei paesi industrializzati, si ricorre soprattutto all’aborto e progressivamente all’eutanasia, camuffando i fatti sotto l’idea della depressione. Nei paesi in via di sviluppo, si lasciano agire da una parte i meccanismi della fame allo stato cronico e dall’altra parte si procede con campagne in favore dell’aborto e della sterilizzazione. Un intero capitolo mostra come nel terzo mondo si "curino i problemi sociali" nella lotta contro la fecondità (pp. 159-174). Insomma, i miti fondatori del neo-liberismo, ricoperti di apparenti libertà e falsa democrazia, sono, in realtà, dottrine totalitarie che riducono l’essere umano ad un prodotto di mercato, che violano la dignità della persona umana, sprezzando i poveri, opponendosi allo sviluppo dei popoli e rendendosi in parte responsabili della fame nel mondo. Si tratta di una regressione della civiltà.

Sintesi e conclusioni

Ogni anno i seminari del Meeting diventano aperture a ricerche ulteriori oltre che dare adito a nuovi atteggiamenti ed azioni nella vita. I miti erano mezzi regolatori delle società primitive e delle società antiche. Tutti i miti fondatori non conducono alla violenza. Ho scelto miti fondatori di violenza per sensibilizzare la vostra mente e mobilitare il vostro senso critico nei confronti dei media attuali e delle istituzioni che dirigono le nostre società. Ho cercato di mostrare i pericoli camuffati da miti, veicolati dai club e dai gruppi della nostra società moderna, scegliendo tre esempi del nostro secolo: il mito razzista hitleriano del nazismo, il mito ariano della superiorità della razza e del sangue che ha portato alla guerra mondiale del ’40-’45, ai campi di sterminio e all’olocausto; il mito della superiorità del popolo serbo che impedisce qualsiasi forma di dialogo nei Balcani e porta ad una spirale di violenza del dramma del Kosovo; i miti del neo-liberalismo che paralizzano lo sviluppo armonioso dei popoli e la pace mondiale.

I miti moderni veicolano l’idea e la pretesa di creare un ordine nuovo ed un uomo nuovo. La Chiesa presenta ai cristiani e al mondo un messaggio forte capace di creare un mondo nuovo, un ordine nuovo, un uomo nuovo. È il messaggio dell’incarnazione del Verbo di Dio. Non si tratta di un mito ma di un evento storico. Che prende posto nel cuore della storia umana. Questo messaggio presenta un salvatore, Gesù Cristo, intorno al modello dell’uomo nuovo. Sul Cristo è fondata l’antropologia cristiana che dà una visione straordinaria della persona umana, della sua dignità e del suo valore. A partire da questa dottrina centrale, la Chiesa annuncia al mondo il messaggio evangelico che è stato formulato in maniera adattata ai nostri contemporanei dal Concilio Vaticano II e che il Papa Giovanni Paolo II non cessa di ricordare punto per punto, settimana dopo settimana. La situazione del mondo d’oggi ci interpella. Siamo impegnati in un movimento che mobilita tutte le nostre forze in vista di lavorare per la costruzione di un mondo migliore. Missionari del Cristo, portatori del Vangelo di vita, attori della storia, il mondo vi attende.

 

 

Bibliografia

Robert Turcan, Culto imperiale e sacaralizzazione del potere nell’impero romano, in Julien Ries (dir.), Trattato di antropologia del sacro, vol. 3, Le civiltà del Mediterraneo e il sacro, Jaca Book - Massimo, Milano 1992, pp. 309-337.

Marie-France James, Les précurseurs de l’Ere du Verseau. Jalons du renouveau de l’ésotéro-occultisme de 1850 à 1960, Ed. Paulines et Médias-Paul, Paris-Montréal 1985.

Michel Schooyans, La dérive totalitaire du libéralisme, Mame, Paris, 1991, 1995.