La scoperta dello splendore della vita

Seminario con Julien Ries

 

 

Giovedì 27, ore 11.30

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Relatore:

Julien Ries, Presidente del Centro di Storia delle Religioni dell’Università Cattolica di Lovanio

 

Ries: Il problema della vita è diventato una delle grandi preoccupazioni del nostro tempo. Siamo arrivati alla fine del XX secolo, che con due conflitti mondiali, è indubbiamente il secolo più violento ed omicida di tutta la storia dell’umanità. Le nostre società si devono confrontare con un grande problema etico: la manipolazione della vita umana, nella sua origine e in tutto il suo svolgersi, fino alla sua fine. Un interrogativo di base si pone quindi: l’uomo ha il diritto di intervenire sulla vita, la propria vita, la vita degli altri?

Il nostro secolo è anche il secolo delle grandi scoperte scientifiche sulle origini della vita umana: la paleontologia e la paleoantropologia, ovvero, le origini stesse della vita e delle origini dell’uomo. Queste questioni legate alle origini, questioni che ci si pone fin dal XIX secolo, hanno trovato risposte nelle scoperte che sono state via via fatte. Le controversie però non cessano e si continua a ricercare risposte che possano meglio chiarire il mistero della vita. Nel corso di questo seminario affronteremo proprio la problematica della vita, per poterne meglio scoprire il mistero e lo splendore.

La scoperta del mistero della vita nella prima grande cultura dell’umanità, l’Egitto antico

L’uomo dell’Egitto antico viveva nel trasporto meraviglioso e stupito al centro della natura e della creazione. Per l’uomo dell’Egitto antico vi è un mistero fondamentale, quello della vita, che trova espressione a partire dal quarto millennio, in un segno che si legge anche in geroglifico e queck nella lingua dei cristiani. Questo segno è infatti diventato la croce dei cristiani nel Nilo, simbolo ripreso dall’Egitto dei faraoni per indicare la via per eccellenza. La religione egizia è una delle prime grandi religioni del mondo ed il pensiero egizio è all’origine di tutte le forme di umanesimo: per questo, cercheremo di seguire un approccio del mistero e del simbolo della vita in questa prima grande civiltà dell’umanità.

1. Il segno anche, il segno della vita

Gli egittologi hanno svolto numerose ricerche sul segno anche, il segno della vita. In esso gli egittologi hanno visto un nodo, un legame dotato di una forza misteriosa, un amuleto magico. Guardando alle diverse rappresentazioni di divinità, che tengono il segno anche sotto le narici del faraone, si è pensato ad un fluido divino. Anche è stato messo inoltre in rapporto al disco solare e all’acqua che dà la vita nella sua forma primordiale. Nella teologia regale anche sembra indicare il gesto divino che dà la vita al re. Il tema della vita è onnipresente nelle espressioni del pensiero, della meditazione, della preghiera, del culto. Il segno anche si incontra ovunque nella mano del prete, sui piloni e sui muri dei templi, sulle steli, e sulle iscrizioni, sulle colonne died, un simbolo per eccellenza della vita poiché si riferisce al Dio Osiris, Dio della vita e della sopravvivenza.

2. Il principio della vita

La vita umana suppone unione di un corpo e di un cuore. Gli egiziani hanno elaborato la teoria di un principio vitale a tre elementi, il Ka, il Ba e l’Aku. Il Ka è la forza vitale simbolizzata da due braccia alzate verso il cielo, con le mani aperte. È il soffio divino, parte della coscienza divina, sostegno per tutti gli esseri creati, principio di vita: è la parte vivente e divina dell’uomo. Il Ba è invece la coscienza individuale dell’essere. Questa coscienza comanda gli atti e ne fonda la responsabilità. Il terzo elemento, Aku, è il principio di immortalità, una forza divina che viene dal cielo.

Affinché l’essere umano viva, queste tre forze debbono trovarsi unite insieme: il soffio divino, la coscienza individuale ed il principio di immortalità. Queste tre forze vitali sono unite al corpo e permettono all’essere umano di vivere. È il cuore a ritrovarsi al centro della vita, l’organo indispensabile della vita fisica, della vita affettiva e della vita morale. E ciò spiega il motivo per cui nell’imbalsamazione il cuore del defunto non viene toccato. Il cuore deve essere salvato per la sopravvivenza.

3. Anche, segno della sopravvivenza

Per l’egizio la vita non deve cessare nel momento della morte, poiché la gioia di vivere è alla base di tutto. Questa gioia di vivere è proclamata da tutta la storia dell’Egitto, dalla sua architettura, dalla sua arte, dai suoi testi, dai suoi preti, dalla decorazione dei templi e delle tombe, dal libro dei morti. La mummificazione, il culto funerario sono creatori della sopravvivenza. Ai tempi dell’antico impero, i testi delle piramidi affermano che il re defunto vola verso il cielo oppure lo raggiunge per diventare o una stella o il compagno del Dio Sole, Re, per il viaggio quotidiano. Nelle tombe dei privati il defunto è rappresentato seduto a tavola mentre mangia, segno della sopravvivenza. Nel secondo millennio a.C. il libro dei morti contiene tutta la dottrina della sopravvivenza, mummificazione, pesatura dell’anima, giudizio davanti al tribunale divino, destino felice nel mondo degli immortali. Il papiro del libro dei morti viene arrotolato e posto sotto il corpo della mummia, così che possa accompagnarla in tutta la sua sopravvivenza. Come simbolo della sopravvivenza il segno anche è presente ovunque nelle tombe a partire dal periodo più antico fino al periodo romano, e sono 4000 anni.

Da quanto è stato esposto finora emerge che per l’egizio la vita è inseparabile dalla sua stessa fonte creatrice, la potenza divina. La vita è un mistero sacro al quale partecipano tutti gli egizi. Con il segno anche onnipresente vengono garantiti la permanenza dell’equilibrio cosmico, la piena del Nilo, il governo del paese, la pace sociale e familiare. I preti portano il segno della vita in mano, segno che viene inciso sulle steli, sui muri dei templi. In forma di amuleti, il segno della vita diviene compagno quotidiano dell’uomo e del popolo. Questa forma di religiosità popolare mostra fino a che punto il mistero sacro della vita era al centro di tutte le attività umane.

Alle origini della storia umana sulla base delle recenti scoperte africane: homo habilis

A partire dal 1959, nei giacimenti di Oldoway in Tanzania, e ad est del lago Turkana in Kenya, archeologi e paleoantropologi hanno rinvenuto resti di crani risalenti a più di due milioni di anni. Detti resti sono stati trovati fra ciottoli e sassi tagliati su una facciata oppure anche su entrambe le facciate. Armi da caccia, percussori, ossa di animali riutilizzati, strutture di capanne per abitazione e di grandi spazi e cortili di lavoro. Nel 1964 agli uomini creatori di questa cultura definita cultura di Oldoway, i paleoantropologi hanno dato il nome di homo habilis.

È la prima cultura dell’umanità, e mostra che l’uomo sa utilizzare un attrezzo con le sue proprie mani, che sono libere poiché egli è in piedi. Si regge sulle proprie gambe. L’uomo ha inventato lo strumento e ciò presuppone un’idea ed un progetto. Per tagliare un ciottolo egli ha dovuto fare una scelta e poi svolgere tutte le operazioni necessarie alla creazione del suo progetto. Ciò presuppone un intervento dell’intelligenza e della fantasia. L’uomo ha dovuto intervenire nei rapporti tra il suo lavoro e gli oggetti, poi con la sua fantasia l’uomo ha progettato questo schema all’esterno per realizzare il suo progetto. Il taglio bifacciale di certi attrezzi mostra che l’homo habilis possedeva la nozione della simmetria. Egli ha scelto certi materiali in base al colore, dimostrando di avere quindi coscienza estetica. Le scoperte si sono poi moltiplicate mostrando che a partire dalle prime realizzazioni l’homo habilis ha perfezionato le sue tecniche. Egli dimostra una coscienza che ha coscienza di sé: consapevole, egli sa di sapere.

1. Il mistero della coscienza dell’homo habilis

Da più di trent’anni centinaia di ricercatori in diversi campi si occupano dell’homo habilis, all’origine della specie umana. Si tratta di una delle più grandi scoperte del XX secolo, integrata nel corso degli anni da altre scoperte. È lecito formulare l’ipotesi seguente: due milioni e mezzo di anni fa vivevano in Africa, nostri vicini, gli australopitechi, i cui discendenti sono le grandi scimmie e l’homo habilis, fondatore della linea umana. Sei milioni di anni fa essi avevano un antenato comune di cui non abbiamo ancora tracce. In Tanzania sono state rinvenute orme umane che risalgono a tre milioni e 600 mila anni fa. Scimmie bipedi, e quindi di posizione eretta, elemento di fondamentale importanza per l’evoluzione fisica del cervello, così come per l’evoluzione psichica: ma la posizione eretta non è sufficiente per spiegare la nascita della coscienza e dell’intelligenza nell’uomo.

L’homo habilis è certo un essere intelligente e cosciente, creatore di cultura e continuatore della cultura che noi troviamo più sviluppata nel suo successore, l’homo erectus, a partire da un milione e 600 mila anni, con una accelerazione a partire da 150 mila anni fa con l’homo sapiens. Una accelerazione ancora maggiore avviene a partire da 150 milioni con l’homo sapiens sapiens. L’homo habilis è un uomo nuovo, un uomo che sa costruire attrezzi, organizzare luoghi di abitazione. Egli rappresenta un salto qualitativo misterioso nella sua organizzazione cerebrale e nelle sue espressioni culturali. Nuovo psichismo, nuovi comportamenti, frutto di un evento estremamente importante nella storia dell’evoluzione. Un evento misterioso ed irreversibile, che darà all’uomo una coscienza ed una capacità di creazione e di invenzione inesauribile. L’homo habilis è già un osservatore attento della natura, ha rapporti coscienti con il suo territorio, ha una vita sociale. Il fatto di scegliere i suoi ciottoli e i suoi sassi, di operare una scelta basata sui colori, di fare un taglio bifacciale simmetrico, dimostrano che in lui esiste un senso simbolico probabilmente ancora vago ma già reale, il quale gli consente di aprirsi alla bellezza della natura, della luce, della volta celeste, del mistero. Il cervello si sviluppa, e il percorso antropologico, questo andirivieni tra le pulsioni psichiche e le influenze cosmiche, determineranno via via il progresso della vita e della scoperta. L’homo erectus, il suo successore, sarà il creatore di una importante cultura della pietra tagliata e l’inventore del fuoco. L’homo sapiens avrà la coscienza della sopravvivenza e seppellirà i suoi morti e poi a partire da 40 mila anni prima della nostra era, l’homo sapiens sarà il grande artista dell’arte delle caverne.

2. La meraviglia della vita umana

Pierre Teilhard de Chardin, geologo, paleontologo, paleoantropologo, non ha assistito alla scoperta spettacolare dell’homo habilis, il quale sposta gli orizzonti dalla nostra visione dell’uomo. Ma le sue scoperte sull’homo erectus gli avevano consentito di elaborare una teoria fondata sull’ominazione e di dimostrare che il passo della riflessione e della coscienza era l’elemento specifico di questa meraviglia che è l’uomo. Al sommo della vita gli psichismi arrivano all’intelligenza e alla coscienza: è l’anthropos, l’uomo che trascende tutta la vita della natura e tutta la vita animale. L’accesso al pensiero rappresenta una soglia e questa soglia è stata raggiunta. Egli ci trasporta verso un livello di vita completamente nuovo. È un cambiamento di stato. E in questo stato l'individuo assume la consapevolezza della propria vita e dice io. Egli è una persona umana.

3. L’ominazione arriva allo stadio di personalizzazione

La cellula - dice Teilhard de Chardin - è diventata "qualcuno". Dopo la materia, dopo il granello di vita ecco il granello di pensiero che infine si è costituito. "È il salto dell’intelligenza", è la vita che continua ad espandersi, a moltiplicarsi. La Terra era già coperta di vita: la vita vegetale, la vita animale, ma ecco che l’uomo vi è entrato silenziosamente, arrampicandosi sull’albero della vita, facendolo in quanto specie. Noi sappiamo ora che è la specie dell’homo habilis in Africa, e sappiamo che questo uomo non ha lasciato l’Africa. Teilhard de Chardin ha conosciuto il successore di questo uomo, ovvero l’homo erectus, vissuto un milione di anni più tardi, grande viaggiatore, visto che lo si ritrova in Africa, in Asia, in Europa e in tutto il mondo antico.

Grazie all’homo erectus il pensiero copre la terra: è la realizzazione di ciò che Teilhard evoca nella "noosfera" - dalla parola greca noos, spirito -, la sfera dello spirito.

Attualmente la teoria dell’evoluzione di Darwin è stata superata. Tutti gli scienziati propendono per un processo di evoluzione e di crescita. Molto si è discusso e ancora molto si discute sulla questione dei salti, vale a dire dei cambiamenti bruschi nell’evoluzione: alcuni parlano di caso, di fatalità, o di altre ipotesi ancora. L’apparizione dell’homo habilis presenta un salto, e lo stesso dicasi per la comparsa dell’homo sapiens sapiens, il grande artista del Paleolitico superiore, il nostro antenato diretto. In un libro che ha fatto gran scalpore, L’evoluzione ha un senso?, Favard, Parigi, 1997, Michael Denton tenta di presentare una teleologia della vita. Specialista rinomato della genetica, egli mostra che l’evoluzione della vita è scritta nelle leggi della natura e che il posto dell’uomo al centro del cosmo non è un caso ma una finalità, inscritta nell’ordine dell’universo.

I cristiani e lo splendore della vita

1. Riflessione sulla vita

Si è ritenuto che la prima riflessione sulla vita sia stata fatta da Aristotele il quale ha parlato di organon nella sua opera De Anima. Noi abbiamo mostrato dal canto nostro che il segno della vita, 4000 anni fa, è stato al centro della riflessione, della cultura, della religione dell’Egitto antico, il primo a scoprire gli splendori della vita, a esprimere il suo entusiasmo davanti alla vita umana e a tentare di superare la prova della perdita della vita, vale a dire la morte, attraverso l’imbalsamazione. Riportiamo a termine un secolo contraddistinto in parte da una cultura della morte, cultura che si ritrova non soltanto nel suo passato di guerre e di genocidi, ma anche nella sua legislazione sull’aborto. Affronteremo queste gravi questioni con la visione dello splendore della vita nella tradizione giudaico-cristiana, che ci trasmette la rivelazione di vita. Fin dalle prime pagine della Bibbia, la vita appare con tutta la sua importanza ed il suo valore: la Genesi 2,7 dice che Dio soffiò all’uomo "un soffiò di vita". L’antico testamento mostra che il sogno di ogni uomo è di godere a lungo dell’esistenza presente "sulla terra dei viventi" (Sal 27,13; 52,7).

Dono di Dio, la vita è sacra. Il segno del valore che la Bibbia attribuisce alla vita è il nome che essa dona a Dio "Dio vivente", espressione che ritorna spesso. (Gs, 3,10, Sal 42,3). Questo Dio è anche il Dio dei viventi, il Dio che dà la vita è al di là della morte. È l’affermazione di Giobbe (19,25-27).

2. Il vangelo della vita

Nel vangelo di Giovanni, la vita non è soltanto un dono di Dio, la vita è Gesù stesso: "Io sono la via, la verità e la vita" (Gv 14,6). I miracoli raccontati dall’evangelista sono i gesti significativi, situazioni senza fine nelle quali Gesù fa sgorgare la vita. Più di una volta Gesù stesso dà il senso del segno che ha appena fatto: è la vita. All’ufficiale di Cafarnao dice: "tuo figlio è vivo" (Gv 4,50); dopo la moltiplicazione dei pani dice: "il pane di Dio è quello che viene dal cielo e dà la vita al mondo. Io sono il pane di vita" (6,33). E al momento della risurrezione di Lazzaro: "Io sono la resurrezione e la vita" (Gv 10,25-28).

Questa vita è un dono di Dio che sfugge a tutto. Gesù stesso come Messia è questa vita. Egli è venuto per dare la vita in sovrabbondanza. L’evangelista la concepisce come dono permanente che Gesù comunica a tutti coloro che vengono a Lui. Egli parla di due realtà viventi che fanno parte di questo dono, il pane e l’acqua. Giovanni pensa certamente al battesimo ed all’eucarestia. Per san Paolo la vita eterna è la fine dell’esistenza umana, la realizzazione, il frutto supremo dello Spirito. La vita è anche un’esperienza personale di passaggio dalla legge antica alla legge del Cristo, Colui che dà uno straordinario entusiasmo oltre che il coraggio di affrontare tutte le difficoltà per diffondere ovunque il messaggio e far conoscere il vangelo di vita.

Passiamo ora alla tradizione dei primi padri della Chiesa.

3. La gloria di Dio è l’uomo vivente

Questo testo di sant’Ireneo di Lione (Adversus Haer, IV, 20,7) ci pone nella prospettiva cristiana già enunciata nella Genesi, 1,26, "facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza" e ripresa da Gesù "io sono venuto perché vi sia la vita e affinché loro l’abbiamo in sovrabbondanza" (Gv 10,10).

Abbiamo poi il testo ammirevole sul senso della vita, l’enciclica del Papa Giovanni Paolo II, del 25 marzo 1995, Evangelium Vitae, il vangelo della vita di cui parleremo fra breve. L’uomo è immagine di Dio. Ecco il grande tema dell’antropologia cristiana nella Chiesa dei primi cinque secoli. San Paolo esortava i colossesi ad indossare i panni dell’uomo nuovo, il quale, proporzionalmente alla sua conoscenza, si rinnova incessantemente di fronte all’immagine di Colui che l’ha creato (Col 3,10), a partire dall’uomo-Dio e dalla trasfigurazione, dall’uomo-immagine di Dio. Giovanni scrive "Colui che mi vede, vede il Padre" (Gv 14,9). E ciò significa che la gloria del padre si manifesta sul volto di Gesù. Ai colossesi (1,15) Paolo scrive che Gesù "è l’immagine di Dio invisibile", "primogenito della creazione". È una espressione forte del mistero dell’incarnazione. In 1 Corinzi 11,7 si parla dell’ "uomo-immagine e riflesso di Dio".

Questa dottrina si ritrova fin dal primo secolo nelle parole di papa Clemente, il quale pensa al testo della Genesi sull’uomo come "impronta dell’immagine divina, forgiata dalle mani di Dio stesso" (33,4). Nel II secolo, Ireneo di Lione deve difendere la dottrina cristiana dagli attacchi degli gnostici, e mostra che il Cristo, il nuovo Adamo, è l’uomo completo e perfetto, modello dell’uomo nuovo, e non esita a dire che Dio ha creato l’uomo e l’ha formato con le sue proprie mani, che ha disegnato la sua forma "affinché anche nel suo aspetto esterno essa avesse la forma divina" (Pred. Apost. 11). Tertulliano arriverà a mettere in evidenza l’unità del composto umano e dell’uomo scolpito sull’effige divina. Per Clemente di Alessandria il Verbo incarnato realizza l’immagine perfetta e la somiglianza assoluta del padre che si è fatto uomo per insegnare a questo ultimo ad assomigliare a Dio (Protreptico 8,4). Dal III secolo, Attanasio d’Alessandria fa leva sul nuovo testamento per spiegare che il Verbo che assume la carne e la natura umana stessa costruisce e trasforma l’uomo completamente, corpo e anima. Per parlare della vita del cristiano, Attanasio usa parole come salvezza, filiazione, divinizzazione, grazia, incorruttibilità. In Occidente, nello stesso periodo, Ilario da Poitiers insiste sulla incarnazione, origine di una genesi nuova di cui la storia di Adamo è una figura profetica. In Adamo noi siamo terra, in Cristo noi siamo cielo. Soltanto il Cristo permette di discernere il mistero dell’uomo e dell’umanità.

4. Per una cultura della vita

"Nella situazione sociale attuale, contrassegnata da un confronto drammatico fra la cultura della vita e la cultura della morte, occorre sviluppare un forte senso critico il quale consenta di discernere i valori veri ed i bisogni autentici" (testo di Giovanni Paolo dell’enciclica Evangelium Vitae).

Il Papa comincia con lo scrivere che il vangelo della vita si trova al centro del messaggio di Gesù e che questo messaggio deve essere annunciato come buona novella per gli uomini di ogni tempo e di ogni cultura. Proprio perché l’uomo è chiamato alla pienezza della vita, il valore sacro della vita umana deve essere rispettato fin dal suo inizio e fino alla sua fine. Il vangelo dell’amore di Dio per l’uomo, il vangelo della dignità della persona e il vangelo della vita sono un vangelo unico ed indivisibile. Ecco il tema centrale dell’enciclica che sviluppa diversi punti della Gaudium et Spes del Concilio Vaticano II.

Dopo aver dedicato un capitolo alle minacce che pesano sulla vita umana, il Papa sviluppa il messaggio cristiano sulla vita, Cristo Verbo di vita, l’uomo creato ad immagine di Dio, la responsabilità dell’uomo, o la sofferenza. Il capitolo 3 si concentra sul comandamento non uccidere, il capitolo 4 traccia il percorso per una nuova cultura della vita, la vita umana per una mobilitazione della coscienze e una strategia al servizio della vita. Il Papa suggerisce che il rinnovamento della cultura nella vita comincia all’interno delle comunità cristiane: occorre scoprire il legame fra la vita e la libertà, fra la libertà e la verità, riscoprire la vera essenza della condizione di creatura e cominciare una vera azione educativa. La cultura della vita suppone un nuovo stile di vita in vista di un rinnovamento della città degli uomini. Nella sua conclusione il Papa evoca la donna dell’apocalisse, vale a dire il mistero di Maria e della Chiesa.

Conclusione

Fin dal momento in cui alla fine del Neolitico, durante il quarto millennio, emergono i primi elementi della cultura egizia, il segno della vita appare come una impronta misteriosa al centro della scrittura in formazione. A partire dalle prime dinastie esso segnerà i templi, le steli, le tombe ed in breve tempo tutta la vita dell’Egitto antico. Ci troviamo di fronte ad una vera cultura della vita.

La scoperta recente della prima cultura dell’umanità, a Oldoway in Africa ci porta ad interrogarci sull’autore di questa stessa scoperta, l’homo habilis, al fine di ottenerne un messaggio sulle origini della vita umana e della prima attività umana. Questo messaggio ci pone di fronte all’uomo creatore e cosciente di essere frutto di un evento misterioso, ma irreversibile, gli conferisce una capacità di creazione e di invenzione inarrestabile. Grazie alle vestigia che ci hanno lasciate, comprendiamo che il pensiero e la coscienza hanno permesso di raggiungere una certa soglia. L’evoluzione non si fermerà più e noi sapremo pesare la bellezza e la ricchezza della vita umana.

Dio ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza. Questo messaggio è confermato e rinnovato da Gesù di Nazareth: io sono la via, la verità e la vita. Noi possediamo un vangelo della vita trasmessoci dal nuovo testamento, che ritroviamo più che mai chiaro nell’antropologia dei padri della Chiesa. Ecco che l’enciclica Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II ci affida una missione speciale nel nostro mondo ferito da una cultura di morte: diventare creatori di una cultura di vita.