Il Trecento Riminese

Maestri e botteghe tra Romagna e Marche

Sabato 19, ore 17.30

Relatori:
Giuseppe Chicchi,
Sindaco di Rimini
Andrea Emiliani,
Soprintendente per i Beni Artistici e Storici di Bologna, Ferrara, Forlì e Ravenna

Daniele Benati,
Docente di Storia dell'Arte presso l'Università di Udine
Federico Zeri,
Vicepresidente del Consiglio Nazionale per i Beni Culturali e Ambientali e Accademico di Francia
Antonio Paolucci,
Ministro per i Beni Culturali e Ambientali

Moderatore:
Emilia Guarnieri,
Presidente Associazione Meeting

 

 

Chicchi: Consentitemi di esprimere anzitutto il compiacimento dell'Amministrazione Comunale di Rimini per una mostra che, dopo sessant'anni, ripropone una riflessione su questo episodio importantissimo della pittura italiana; l'Amministrazione Comunale considera questa iniziativa, così come le tante che sono state fatte e quelle che sono ancora in cantiere, come un passo importante verso quella città della cultura cui tendiamo. Rimini infatti guarda al proprio futuro come ad un futuro nel quale la cultura deve avere un ruolo superiore a quello del passato, anche perché la qualità e la ricchezza culturale di una città sono anche il presupposto della sua ricchezza economica.

La nostra città ha avuto nella sua storia momenti importanti e ha lasciato alla cultura testimonianze straordinarie: la Rimini romana, la Rimini della borghesia nascente (di cui questa mostra è in qualche modo un'espressione), la Rimini del Rinascimento e dei Malatesta, e, infine, più di recente la Rimini vista attraverso gli occhi e la fantasia di Federico Fellini. Tutti questi episodi sono segno di una provincia che cerca di esprimersi con linguaggi universali. Questa mostra è uno dei momenti in cui un linguaggio sa diventare universale.

Oggi Rimini è la capitale del turismo, della vacanza, del tempo libero; dipende dai sistemi istituzionali, dai sistemi economici locali e dalle istituzioni culturali se questo ruolo può anche essere occasione di incontro per la gente di tutta Europa, se questa capitale del turismo può essere riempita di pensiero e di cultura oppure se è destinata ad essere riempita solo di sottoprodotti della civiltà dei consumi. Dipende anche da noi cercare di spingere questa straordinaria città, in cui si incontrano gli Europei, verso la ricchezza della cultura.

Il mio ringraziamento va, naturalmente, all'Associazione Meeting che, con la sua professionalità, è riuscita a portare a compimento questa mostra straordinaria: quando tre anni fa la si cominciò a programmare, c'erano molti pessimisti, ma invece il risultato è andato molto oltre le aspettative. Ringrazio anche il Museo Comunale di Rimini che ha dato un contributo fondamentale a questa organizzazione, e la Società Gas Rimini che ha voluto essere sponsor principale di questa mostra.

Guarnieri: Questa mostra permette immediatamente di percepire che cosa sia la grandezza dell'arte e come valga la pena di lavorare affinché questa grandezza possa continuare a essere vista e compresa da tutti, e affinché ci si possa continuare a commuovere di fronte a manifestazioni artistiche come questa del Trecento Riminese. Tutto questo è possibile grazie alla lungimiranza dell'Amministrazione Comunale, alla collaborazione dei musei comunali, alla professionalità — come diceva il Sindaco — e all'entusiasmo che il Meeting mette sempre in queste cose, e specialmente, grazie al credito che a questa iniziativa hanno dato gli autorevoli componenti del Comitato Scientifico. Ringrazio, infine, il Ministro Paolucci, che fin dall'inizio della progettazione ha incoraggiato questa mostra.

Emiliani: Sessant'anni fa, esattamente in questi tempi, aveva luogo una prima mostra del Trecento riminese, organizzata da Cesare Brandi, e iniziavano in questa regione movimenti critici dettati da situazione diverse, per esempio da Roberto Longhi, che arrivò alla cattedra di Bologna e influenzò direttamente Brandi, attribuendo, per esempio, il crocefisso del tempio malatestiano, alla cui conoscenza Federico Zeri ha dato un importante contributo.

Dal 1765 in avanti, i restauri avevano accompagnato l'opera di conoscenza critica e storica delle opere artistiche di Rimini, realizzando così un perfetto parallelismo tra le due strade della conoscenza, una delle quali si esprime in opere pratiche, quali i restauri, l'altra invece in opera di scienza e di storia. Ma negli anni 40-45 la città è stata toccata dalla guerra, e così atrocemente che quanto è sopravvissuto è stato frutto di un coraggio, e dell'opera compiuta nel dopoguerra dalla sopraintendenza dello stato, di Ravenna e di Bologna.

La storia di questi restauri si è recentemente fregiata di tre operazioni di largo respiro: il recupero degli affreschi — mai, finora, sufficientemente indagati — delle storie di San Francesco in San Francesco a Bologna; i restauri nella chiesa di Sant'Agostino a Rimini — che appartengono ai restauri di manualità e non di chirurgia —, e infine il restauro degli affreschi di Santa Chiara, a Ravenna.

Benati: Questa mostra è frutto di un notevole lavoro.

Questi dipinti sono tornati a Rimini dopo 600 anni: per questo sono stati fatti grandi viaggi, a cominciare dai musei americani (Washington, Denver, New York..). Le istituzioni, straniere e italiane, si sono prodigate ad aiutare tutto questo lavoro.

Il vescovo di Rimini in particolare ha avuto una ampia consapevolezza di questa manifestazione; ma ora solo il pubblico potrà capire se il nostro sforzo è stato giusto o se, viceversa, siamo stati degli spericolati, e potrà, eventualmente, apprezzare quello che abbiamo fatto.

Zeri: Devo dire che quando questa mostra è iniziata, ero molto scettico, perfino contrario: in primo luogo perché credevo che nessuno ci prestasse i quadri, e in secondo luogo perché penso sempre alla spesa che comportano queste mostre. In questi casi ragiono da massaia rurale, e, pensando alla quantità di monumenti che va in rovina e alla quantità di mostre inutili che sono state fatte in questi anni in Italia, sento un certo brivido. Volevo vedere se anche questa mostra era riuscita ad amplificare la fatica e la spesa, ma mi sono dovuto ricredere. Si sono ottenuti dei prestiti inverosimili: ad esempio, sono rimasto stupefatto nel vedere la Madonna della galleria nazionale di Washington, che io chiamo la "Madonna della Cavalletta" (l'altare del quadro era dedicato a S. Giovanni Battista e il Bambin Gesù, per questo la Madonna tiene in mano una cavalletta, per ricordare il deserto).

La scuola di Rimini ha una caratteristica singolare: si evolve fino al 1350, e in questo stesso anno si ha l'impressione che si concluda quasi in contemporanea con la grande epidemia del 1348, che pare abbia eliminato l'80% della popolazione di Rimini. Quando la scuola muore, già mostra di essersi esaurita, curiosamente.

La scuola ha origini improvvise, e ce ne rendiamo conto se esaminiamo quella che era la pittura del Trecento prima della scuola, non tanto qui a Rimini, quanto nei dintorni: la scuola locale non ha niente a che vedere con quello che accadrà nel Trecento. La scuola riminese del Trecento nasce grazie a tre "fonti": anzitutto, la presenza di Giotto a Rimini, in secondo luogo l'influsso degli affreschi della Chiesa di san Francesco di Assisi, e, in terzo luogo, le tracce dell'arte tardo-antica.

Questa terza componente è rappresentata dalla straordinaria capacità cromatica, che è sempre stata spiegata invocando la vicinanza dei mosaici bizantini di Ravenna, mosaici di colore lapideo. Ma a Rimini stessa c'era una chiesa — demolita nel 1820-1830 —, del tardo impero, con dei mosaici: era la chiesa di San Girolamo, di cui abbiamo dei disegni molto precisi nella biblioteca Gambalunga, che ne rappresentano non solo la pianta, ma anche l'alzato ed alcuni mosaici. Questo edificio doveva essere molto simile, per alcuni aspetti, al museo di Galla Placida, e non escludo che fosse proprio un mausoleo imperiale, costruito a Rimini per ragioni che a noi sfuggono. Purtroppo, è stato completamente distrutto, perché in cattive condizioni, ma il mosaico nel Trecento doveva essere in buone condizioni.

Queste tre componenti, gli affreschi di Assisi, la presenza di Giotto, l'arte tardo-antica, creano questa scuola, che ha delle caratteristiche straordinarie, e che è una specie di campione dell'evoluzione non solo del Trecento italiano, ma in alcuni casi anche del Quattrocento e dei periodi più tardi. Abbiamo prima una attivizzazione generica delle figure, che lentamente diventano delle specificazioni fisionomiche; c'è poi una accademizzazione di questo periodo, un ritorno arcaistico, e infine il declino. C'è proprio una composizione perfetta nell'evolversi di questa scuola, e si potrebbe evocare un parallelo con alcuni episodi — che però sono discontinui — dell'Umbria o degli Abruzzi.

Cosa ha provocato questa fioritura? La presenza dei Malatesta, un padronato particolare, che sicuramente conosceva la pittura e la cultura veneziana. In particolare, con Sigismondo Mandolfo Malatesta, abbiamo un momento di grande fioritura artistica, che scompare alla sua morte, quando infatti tutte le maestranze da lui raccolte vengono date alla corte di Urbino di Montefeltro.

Un ultimo aspetto molto importante della scuola, che però la mostra non contempla, è quello che succede dopo il 1348, quando la scuola chiude i battenti: alcuni pittori, da Rimini, portano il linguaggio della pittura riminese in Italia e in Europa. Forse questi artisti non possono essere chiamati riminesi puri, ma sono di maestranza di Rimini, e giungono fino ai Balcani (per esempio a Zagabria) e nelle montagne della Slovenia. Il linguaggio di questi pittori ha così avuto una grande importanza per importare i metodi riminesi in regioni che ne erano completamente sprovviste, ad esempio nel mondo ortodosso o in quello mussulmano.

Paolucci: Come ormai abbiamo capito tutti molto bene, questa mostra è una delle più importanti e significative degli ultimi anni. Il mio compito, quindi, dovrebbe esaurirsi nei ringraziamenti, ma aggiungerò qualcosa, con la soddisfazione e con l'orgoglio di un ministro dei beni culturali che ha anche il privilegio di essere riminese.

Sono nato nel 1939, quindi questa mitica mostra del 1935 si collocava già nella memoria, nei discorsi sentiti a casa mia su quegli anni Trenta che allora, dopo la guerra, venivano trasfigurati fino a sembrare anni mitici. Devo dire che io stesso penso a come doveva essere bella Rimini nel ‘35: chi veniva a Rimini doveva passare per i due grandi monumenti romani. Se infatti proveniva da Roma, doveva passare dall'arco di Augusto — dove finiva la via Flaminia e cominciava l'Emilia —, se invece proveniva da Milano, attraverso il Borgo san Giuliano, passava dal ponte di Tiberio. Entrato in città, o dall'arco di Augusto o dal ponte di Tiberio, avrebbe potuto capire in modo percettivo e immediato come questa città fosse molto nobile e antica, e quindi come fosse potuta essere naturale sede di una grande scuola pittorica. Le domande che poneva prima Zeri sulla eccezionalità e originalità della scuola riminese, possono avere un avvio di risposta proprio nella percezione stessa della città che si colloca al limite fra le due grandi strade consolari, proprio dove finisce una e inizia l'altra, fra la collina e la grande pianura. È difficile pensare una posizione più perfetta, più suggestiva: certamente oggi chi arriva a Rimini, in macchina, nel traffico infernale, non ha più una simile percezione, anche se bisogna riconoscere che, nonostante le devastazione della guerra e gli errori della ricostruzione, nonostante il turismo che ha cambiato tanti aspetti di Rimini, molto della città antica resta ancora.

Questa mostra — come altre occasioni precedenti, quali la bellissima mostra sul Cagnacci o le grandi mostre archeologiche — testimonia chiaramente che Rimini non è andata perduta, perché inevitabilmente risorge sempre la consapevolezza di essere un laboratorio di cultura e una città d'arte. Rimini, come già diceva il sindaco Giuseppe Chicchi, è la città dell'accoglienza e del divertimento; è anche questa una componente a cui non si può rinunciare, la stessa cultura è qualcosa di spiritualmente vivo, e fra i caratteri distintivi della Romagna, e di Rimini in particolare, c'è questa allegria nei confronti della vita, che dunque include sia le cose piacevoli, "materiali", sia la visione culturale.

Permettetemi infine di dire, e con molta soddisfazione di ministro, che questa mostra è stata possibile anche grazie alla presenza efficace dello Stato: i nostri sopraintendenti hanno offerto tutta la loro disponibilità. In quest'ottica, c'è anche la già citata minuziosa politica di recuperi e di restauri, ad esempio a Santa Chiara di Ravenna, dove abbiamo ripristinato la pittura di Pietro da Rimini, che è un altro tassello della pittura dei riminesi.