Assemblea Nazionale della Compagnia delle Opere: diritto di cittadinanza delle non-profit in Italia

Sabato 27, ore 11

Relatori:

Anders Hultin

Carol Keehan

Antonio Rastrelli

Giulio Tremonti

Moderatore:

Giorgio Vittadini, presidente nazionale della Compagnia delle Opere

Vittadini: Vorrei introdurre questa assemblea rileggendo e commentando il secondo comunicato del Meeting, che insieme al primo ed al comunicato finale, dà l’interpretazione autentica di questo Meeting.

"Lo scopo che ci muove è educare la gente ad una maturità di vita personale. Ciò non può verificarsi senza che sia vivo e presente un senso religioso fondato sulla ragione. Simile maturità è indispensabile a che nella società esista gente che lavora con coscienza". Due sottolineature: ci interessa la persona, non le collettività, le prese di potere ed i gruppi, ma la persona, "unica ed irripetibile". Ci interessa la maturità della persona: questo è lo scopo del Meeting e di tutto quello che facciamo, che ciascuno prenda coscienza del motivo per cui sta al mondo. La citazione del senso religioso individua anche il metodo grazie al quale avviene questa maturità: noi siamo cristiani, cattolici, ma essendo cristiani e cattolici amiamo tutto l’umano che c’è in noi e negli altri. Proprio perché cristiani e cattolici abbiamo le domande di tutti, del significato della vita, del desiderio della bellezza, della verità, della giustizia e per questo siamo amici di tutti quelli che desiderano in questo modo. "Senso religioso fondato sulla ragione": la ragione – l’abbiamo imparato da don Giussani – è apertura all’essere, è la struttura dell’uomo proprio come apertura all’essere, come esigenza di significato, che tramite la realtà trova il suo risveglio.

Noi vogliamo educare noi stessi e la gente attraverso la rinascita del senso religioso e in questo ci troviamo fratelli, amici di tutti quelli che desiderano un significato per la vita. Questo Meeting ha il suo significato profondo in questo risveglio del senso religioso che non fa notizia, sembra una cosa che non esiste, ma che in realtà accade in ciascuno di noi. In chi ha partecipato a questo Meeting, a chi partecipa alla nostra vita, è qualcosa che si risveglia, in tutti i suoi aspetti; diversamente non si capirebbe perché gente cattolica, come noi, descritta in un certo modo, fa una mostra sulle "Antiche genti d’Italia" visitata da 70.000 persone, perché si interessa di queste cose, delle cose più strane, perché si appassiona ad un concerto sulla musica popolare napoletana, se non perché il nostro essere cristiani ci fa aperti a tutto il mondo, ci fa desiderare tutto ciò che di buono, di vero, di giusto, di bello c’è nell’uomo.

Quindi questo è il nostro scopo, l’educazione al senso religioso, la riscoperta, anche come parola, di questo termine che è sconosciuto all’epoca moderna, che non va sulle prime pagine dei giornali, ma che indica la struttura profonda di ciascuno di noi.

La seconda parte del comunicato dice: "Un’interpretazione riduttiva e distorta in direzione politico-partitica di quello che siamo, in passato ha subdolamente frainteso le nostre intenzioni. Oggi sembra che tale giudizio malevolo vada allentandosi. Ma forse è eccessivo sperare che la nostra passione per l’uomo incamminato verso il suo destino venga unanimemente compresa". Siamo stanchi di essere ridotti a qualcosa di correntizio; noi siamo molto di più. Noi siamo dentro la realtà, mossi da un significato che ci apre a tutto, anche alla politica, ma come una parte della vita. Ma bisogna essere liberi per capire la nostra passione per l’uomo incamminato verso il destino come ciò che ci interessa. Chi avesse capito questo avrebbe seguito con interesse la scoperta della tomba di S. Pietro fatta dalla Guarducci o si interesserebbe alla storicità dei Vangeli e alla nascita del popolo cristiano che è la risposta storica al desiderio di felicità dell’uomo. Avrebbe interessato molto di più la storia dei monasteri medioevali, avrebbe interessato il percorso del Meeting.

Prosegue il comunicato: "Vogliamo ancora sottolineare che soltanto la solidarietà è garanzia per la pace e per quell’armonia fra gli uomini che è condizione irrinunciabile per costruire" (tutto questo lo facciamo per vivere nella società, ma l’unico modo per vivere una solidarietà è la passione per il destino dell’uomo, non il dubbio, come hanno messo addirittura sui diari scolastici, ad esempio Smemoranda).

Se si desidera un significato si costruisce e allora si capisce che "per la formazione di personalità mature la stima sincera per il lavoro è il punto di partenza fondamentale e quindi è necessario che ognuno, istituzioni comprese, si sacrifichi al fine che si creino possibilità concrete di lavoro e di formazione".

A questo problema cruciale si collega quello altrettanto pressante della libertà educativa, senza la quale anche la fantasia e la ragione, che sono ingredienti indispensabili dell’impegno e del sacrificio, svaniscono nel nulla". Noi in questo modo lavoriamo dentro la vita quotidiana di più, più capaci di fare i sacrifici della vita civile, quella a cui invitano i governi che non sono mai ascoltati, perché nessuno trova la ragione per sacrificare se stesso: la stima del lavoro di tutti i giorni e una scuola che educhi, che dia una ragione, che non può essere data con il dovere, deve essere dato con un gusto ed un significato soprattutto ai giovani. Per questo abbiamo voluto in questo Meeting certi ministri, per dare delle risposte; si dà lavoro a tutti? è una società che va in questo senso? si vuole fare una riforma della scuola?

Conclude il comunicato: "È inoltre necessario che lo Stato manifesti una posizione chiara e non ambigua nel favorire ogni iniziativa aperta alla realtà ed ai rapporti internazionali che assicurano al popolo il benessere; quando esso è minacciato uno Stato tradisce la storia e la natura del popolo stesso. Non si può di conseguenza affermare un principio di giustizia distruggendo il tessuto della vita di un popolo né perseguire valori primari della persona, come la libertà, in nome di un sottile disegno politico". Innanzitutto più società e meno Stato: uno Stato giusto che valorizzi la società che è qui presente al Meeting, che la senta amica, l’idea di una società che costruisca e quindi anche di Stati che collaborano. Fra di noi c’è gente che è andata in Rwanda a tentare di dare risposta, è andata in Jugoslavia, a suo tempo è andata in Iraq, nel disinteresse dell’autorità ministeriali di allora e di adesso. Per questo abbiamo fatto polemica sulla cooperazione internazionale, perché non è possibile che della gente vada, in nome dell’Italia a fare questo e ci sia un menefreghismo totale; per questo abbiamo parlato di politica estera in questo Meeting.

Ultimo tema la giustizia, una giustizia "giusta", perché non si può in nome della giustizia distruggere il benessere di un popolo. Affermare un principio giusto e farne un altro ingiusto, mettere in galera la gente, anche innocente o non garantire la libertà dei diritti umani in questo processo, perseguire alcuni e non altri, non può portare, magicamente, ad un paese libero.

I temi sociali fanno parte di questa costruzione dell’umano di cui abbiamo detto sopra. C’è una profonda unità nel Meeting che trova il suo vertice nella domanda sul popolo cristiano, sulla nascita di un popolo, ma anche nei temi sociali ed è per questo che siamo veramente contenti del riconoscimento pubblico al valore della nostra esperienza che, dopo il Presidente Scalfaro l’anno scorso, porta un’altra importantissima carica istituzionale dello Stato, il Presidente della Camera, Irene Pivetti, in visita ufficiale a questo Meeting(1).

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Le organizzazioni non-profit sono al centro del nostro interesse sociale. Con questo termine si indicano tutte quelle organizzazioni costituite da soggetti privati che intendono rispondere a un bisogno di natura pubblica. Esse incarnano la nostra visione "più società meno stato". Quando noi diciamo che non è necessario, indispensabile che sia lo Stato a gestire beni di interesse pubblico, le scuole, gli ospedali, le opere di assistenza, persino le fiere, le università veniamo tacciati di integralismo vetero-cattolico. Con questa assemblea vogliamo innanzitutto dimostrare che Paesi che di solito vengono qualificati a socialità più avanzata, hanno già attuato almeno in parte questa legislazione. Quindi il dibattito non è tra cattolici e laici, ma è tra una impostazione moderna ed una statalista. Si parla di rinnovamento, ma questo è il vero rinnovamento.

Anders Hultin, consigliere politico del Ministero per l’Educazione - Svezia

Hultin: Parlerò della libera scelta della scuola e dei diritti e delle condizioni delle scuole private. Vorrei tuttavia cominciare collocando la scuola in un contesto più ampio. Risalendo il cammino della storia, giungiamo alla conclusione che buona parte del benessere e delle istituzioni dell’Europa occidentale moderna, sono stati creati nella seconda metà dell’Ottocento e all’inizio del nostro secolo. Durante queste decadi, molte delle società, organizzazioni, giornali, circoli sportivi e partiti moderni hanno visto la luce. È stato un tempo di cambiamenti fondamentali e rivoluzionari, che ha tracciato un solco così profondo che ancora ne rimangono le tracce. La Svezia e l’Europa occidentale hanno fatto un balzo che li ha allontanati dalla società agricola tradizionale, con il suo reticolo cristallino e la sua struttura rigida, verso la società industriale. Oggi possiamo a buon diritto parlare di un nuovo analogo balzo, con cambiamenti parimenti sconvolgenti, un balzo che ci condurrà dalla società industriale alla società dell’informazione. Il lavoro industriale semplice non specializzato sta scomparendo, come stanno scomparendo le mansioni della produzione in linea, monotone. Nuove mansioni con un livello di competenza più elevato vengono a galla. La diffusione e la velocità dello sviluppo aumentano, la tecnologia dell’informazione avanza e scompaiono le frontiere tra le nazioni e i confini tra i continenti. Questa tendenza è inequivocabile, come è inequivocabile che la conoscenza della gente, la loro competenza acquistano sempre più significato rispetto al costo e all’importanza della fornitura di materie prime, di macchinari, tecnologie e trasporti. Questo è il panorama della nuova società ed è davanti a questo scenario che dobbiamo considerare le questioni discusse in questo Meeting: libertà di educazione, libertà nella scelta della scuola e come esse possono essere migliorate. Similmente a ciò che è avvenuto nell’industrializzazione dell’Europa occidentale, la scuola incomincia ad avere un ruolo importante nella trasformazione della società, stavolta forse più importante di quanto lo sia mai stato. Può non essere esatto parlare di società dell’informazione, forse dovremmo piuttosto parlare di società della conoscenza, competenza e tutto questo ci conduce alla domanda: la scuola è pronta a raccogliere queste nuove sfide, il nostro sistema scolastico è capace di soddisfare alle esigenze della nuova società?

Non posso parlare della situazione negli altri Paesi, neanche nei Paesi europei, posso parlare solo del mio Paese, la Svezia. Il che mi porta alla conclusione che pronti non siamo. In Svezia la scuola si è andata irrigidendo con l’età e ora, come una persona anziana, stenta a mantenere il passo dello sviluppo o della maggior parte delle altre attività pubbliche: mancano la dinamica, la capacità di sviluppo e la volontà di rinnovamento. La mancanza di concorrenza, l’amministrazione centrale rigorosa e l’influenza politica fin nei minimi dettagli oltre che l’isolamento dal resto della società, sono stati fattori negativi e dannosi per il sistema educativo. È assai probabile che questa sia una situazione del tutto generale, ma forse essa è più intensa in Svezia. Per molti aspetti la Svezia è stato un Paese socialista dopo più di cinquant’anni di governo socialdemocratico, ininterrotto. Permettetemi di fornirvi alcuni esempi. Fino a pochissimo tempo fa, appariva quasi ovvio che lo Stato e il sistema pubblico avessero la responsabilità totale dell’assistenza e della educazione dei bambini. In Svezia tutte le scuole erano statali e meno dell’uno per cento degli allievi frequentava la scuola privata. La posizione degli allievi e delle famiglie era molto debole. Il diritto di influenzare l’andamento della scuola era del tutto assente, mentre la possibilità di scegliersi una scuola era riservato ad un piccolo numero di famiglie ad alto reddito. La possibilità delle minoranze di asserire ed affermare le loro caratteristiche nei confronti del resto della società e di curare essi stessi l’insegnamento e l’educazione dei loro bambini era praticamente inesistente. I programmi scolastici svedesi erano stabiliti a livello nazionale come lo era la legislazione che reggeva il contenuto dell’insegnamento, le forme di lavoro e la pedagogia, in ogni minimo dettaglio. Il governo svedese limitava la crescita delle scuole private e cercava di ottenere il controllo e l’uniformità nell’educazione dei bambini. È in questo scenario che il Governo liberal-conservatore attuale in Svezia ha promosso un certo numero di riforme, volte a rafforzare i diritti delle famiglie e a creare delle nuove possibilità per le scuole private. Ma questa non è tutta la verità. Perché bisogna tener conto anche del problema di creare una protezione adeguata per le famiglie che sono state in realtà costrette ad assegnare i propri bambini alla cura altrui. I genitori insoddisfatti della scuola frequentata dai loro bambini per qualsiasi ragione, non hanno diritti in una società che pure esige da loro una buona parte dei loro introiti, in tasse, sottraendo così loro l’indipendenza che avrebbero col denaro. E nega dunque loro il diritto di prendere le decisioni circa quale sia la scuola che i loro bambini devono frequentare come scuola dell’obbligo. Il diritto delle famiglie di scegliere la scuola per i loro bambini è un modo di rafforzarle, perché diversamente esse sono lasciate nelle mani delle decisioni politiche. In altre parole se le necessità ed i desideri degli allievi e delle famiglie differiscono troppo dalle caratteristiche della scuola alla quale sono stati assegnati, dovrebbero avere le famiglie il diritto incondizionato di ritirare i loro figli da quella scuola. È una questione di sicurezza legale e in definitiva di morale.

Durante questi ultimi due anni qualcosa di assai simile a una rivoluzione della libertà è scoppiata nel sistema scolastico svedese e desidero descrivervela brevemente. Il numero delle scuole private è triplicato. E l’interesse per fondare queste scuole supera ogni previsione. Il numero di allievi delle scuole private è raddoppiato, e il numero dei genitori e allievi che hanno compiuto una scelta attiva sulla scuola aumenta anno dopo anno. A Stoccolma un allievo su quattro sceglie una scuola diversa da quella di quartiere, per l’anno scolastico appena iniziato vale questo dato. Tutto ciò è accaduto in meno di due anni. E la ragione di questo celere sviluppo è, in parte almeno, quella di aver introdotto nuove condizioni e più semplici per l’approvazione delle scuole private. Per averla devono essere soddisfatte quattro condizioni. Primo: la scuola deve seguire i programmi nazionali, nelle loro linee direttrici fondamentali. Secondo, la scuola deve impiegare degli insegnanti competenti e qualificati. Terzo, la scuola dev’essere aperta a tutti gli allievi. Una persona o un gruppo di persone ad esempio, non possono esserne esclusi per via del loro credo religioso, per la loro eventuale mancanza di credo. Quarto, l’insegnamento impartito agli allievi deve essere pluralista e non può fornire unilateralmente notizie o conoscenze su un credo o su un convincimento politico. Ogni scuola che adempia a queste condizioni, ha diritto all’approvazione di Stato e, di conseguenza, al sostegno pubblico dai comuni di residenza dei suoi allievi. Il risultato più sorprendente di questa riforma della scuola privata è forse il gran numero di scuole che sono state fondate. Vi sono scuole cattoliche, ebree e anche mussulmane; alcune hanno una caratteristica ambientale, altre invece hanno come specialità le lingue straniere. Molte di esse sono state fondate in campagna e cioè in una delle aree con la più bassa densità di popolazione in tutta Europa, altre scuole ancora hanno lo stesso orientamento delle scuole pubbliche e sono state fondate solo grazie al desiderio dei genitori di prendere parte più attivamente nella crescita e nell’educazione dei loro figli. La ragione più importante dell’accoglienza così favorevole che ha avuto questa riforma sta forse nel fatto che le scuole private sono diventate un po’ delle scuole di tutti. L’idea che i cittadini paghino un certo servizio attraverso le tasse, ma possono decidere in prima persona dove questo denaro delle tasse debba essere speso, è diventata una realtà in Svezia. Inoltre un livello minimo dei sussidi alle scuole private è stato stabilito in tal modo che nessuna scuola privata riceverà un appoggio statale inferiore a quello delle scuole municipali. Ciò ha fatto sì che le rette scolastiche siano diminuite. In altre parole, l’iscrizione in una scuola privata sarà gratuita, o meglio pagata con le tasse. Di conseguenza la segregazione economica che è esistita tra le scuole private e le scuole pubbliche, sta scomparendo in Svezia. È questo l’aspetto più importante per la favorevole accoglienza che queste riforme hanno ricevuto in Svezia. Parliamo di principio di uguaglianza, intendendo dire che non bisognerebbe fare nessuna discriminazione nei confronti di una scuola solo perché la sua proprietà o il suo ordinamento sono di un certo tipo. Non importa se la scuola è privata, cooperativa o municipale. Ciò che conta è ricevere l’apprezzamento dei genitori e che la qualità e i contenuti dell’insegnamento rispettino certe condizioni. Tuttavia questo modo di vedere non è condiviso da tutti i partiti politici. Fra tre settimane in Svezia ci saranno le elezioni e il programma del partito socialdemocratico comporta svantaggi economici per la scuola privata e una riduzione delle libertà ad esse relative e ciò è introdotto con nuovi regolamenti e nuovi divieti. Per questa ragione il futuro della scuola privata è uno degli argomenti principali della campagna elettorale. Il diritto dei genitori e dei bambini di scegliere la loro scuola aumenta la loro partecipazione, ciò che conduce ad una maggiore sensibilità nei confronti delle necessità e degli interessi dei genitori e degli allievi. Un ampio ventaglio di diversi tipi di scuole nascerà, ognuna con il proprio specifico orientamento, con la propria personalità e con la propria competenza. Il risultato non sarà quello di una scuola unificata, uguale per tutti, ma di singole scuole che si rivolgono agli interessi e alle capacità di singoli allievi.

Osservando in questo meraviglioso Meeting, vediamo che vi sono molte persone che malgrado tutto continuano la loro attività. All’inizio sono stato un po’ sorpreso, dopo mi sono reso conto che qualunque sia il limite che si pone alla nostra libertà, qualunque siano gli ostacoli che si oppongono al nostro cammino, e per quanto ci venga sottratta la nostra personalità, la società continua ad essere più grande dello Stato.

Carol Keehan, presidente del Providence Hospital di Washington

Keehan: Cent’anni fa, nel 1894, gli Stati Uniti adottarono la prima moderna normativa fiscale a livello federale concernente lo stato degli ospedali come enti senza fini di lucro. Ciò costituiva la codifica di una visione dell’assistenza sanitaria che era sempre esistita. Nel 1856, il nostro servizio fiscale pubblicò un regolamento noto come il 56/185. Per la prima volta venivano definiti i requisiti che le organizzazioni non-profit dovevano soddisfare per poter godere delle esenzioni previste dalla normativa fiscale. I requisiti principali erano tre: innanzitutto l’organizzazione e l’attività dell’ente dovevano proporsi unicamente dei fini filantropici; in secondo luogo, l’ente ospedaliero poteva soltanto molto limitatamente essere coinvolto in materia di approvazione legislativa e non poteva assolutamente in nessun modo sostenere o contrastare l’elezione di chiunque ad una carica pubblica. In terzo luogo nessuna quota del suo utile netto poteva essere distribuita all’azionariato privato. Oltre al soddisfacimento di questi tre requisiti di base, vi erano altri elementi come ad esempio lo svolgimento di attività di ricerca e/o di formazione che concorrevano all’attribuzione di ente senza scopo di lucro. L’Internal Revenue Service, l’organismo fiscale, stabilì che ciò non significava che l’assistenza fornita dovesse essere erogata gratuitamente, né significava che l’ospedale non potesse conseguire un utile, significava piuttosto che l’ospedale dovesse operare, entro i limiti delle sue possibilità finanziarie, a favore dei soggetti che non erano in grado di pagare l’assistenza ricevuta e non quindi solamente per gli utenti paganti.

La volontà dell’organismo di operare a fini morali si sostanzia anche nell’acquisto di nuove attrezzature, nell’attività formativa in campo medico e nei programmi di ricerca e di assistenza di base. Negli Stati Uniti essere un ente senza scopo di lucro riveste una notevole importanza per un ospedale, ciò presenta infatti quattro principali vantaggi tra cui innanzitutto l’esenzione dall’imposizione fiscale sul reddito, sui consumi e sugli immobili; in alcuni casi gli ospedali godono di redditi operativi o d’investimento che possono essere molto scarsi, in altri casi sono invece piuttosto elevati; su questi redditi non vi è imposizione fiscale. L’esenzione dall’imposta sul consumo costituisce ogni anno un notevole risparmio considerando il milione di dollari spesi per forniture, attrezzature, generi alimentari ed energia. Infine l’esenzione dalle imposte sugli immobili costituisce una costante forma di risparmio, soprattutto per gli ospedali di maggiori dimensioni, localizzati nelle aree urbane, in cui il valore dei terreni è elevatissimo. Il secondo vantaggio dell’immunità fiscale consiste nel fatto che incoraggia delle donazioni dirette all’organismo ospedaliero a fini filantropici. Effettuando queste donazioni, i donatori possono detrarre l’importo dell’imposta dovuta dal proprio reddito e questo ovviamente incentiva notevolmente le donazioni da parte di individui o di enti. Il terzo utilizzo fondamentale dell’esenzione fiscale è legato ai finanziamenti finalizzati all’acquisto di strutture e attrezzature. Le istituzioni non-profit, in collaborazione con gli enti locali, possono godere dei cosiddetti "prestiti obbligazionari" esenti, che forniscono appunto agli ospedali la possibilità di reperire delle grosse somme di denaro a tassi di interesse vantaggiosi, poiché i sottoscrittori del prestito, pur non ricevendo interessi elevatissimi, non pagano su di essi alcuna imposta. Ecco quindi che si tratta di un investimento estremamente vantaggioso e sicuro, soprattutto anche quando una forte amministrazione locale si impegna ad assicurarne la restituzione. In quarto luogo, l’esenzione fiscale permette ad alcune organizzazioni di offrire ai propri dipendenti delle agevolazioni che gli enti a fini di lucro non possono offrire. I dipendenti in questo tipo di organizzazioni hanno delle possibilità che le loro controparti non hanno; esistono infatti dei programmi che permettono ai dipendenti di effettuare dei risparmi che verranno caricati fiscalmente soltanto al momento in cui smetteranno di lavorare, momento in cui il loro reddito sarà inferiore e quindi l’imposta dovuta sarà anch’essa inferiore.

Abbiamo esaminato un po’ l’andamento di questa legislazione, i vantaggi che essa costituisce per un ospedale, ma forse è ancora più interessante analizzare qual è il vantaggio che questa esenzione porta alla comunità. Il vantaggio più evidente è la fornitura di un’assistenza ai meno abbienti. Negli Stati Uniti ci sono più di 39 milioni di persone che non hanno un’assicurazione sanitaria o qualsiasi altro modo di poter usufruire a pagamento di prestazioni sanitarie, poiché non esiste un’assistenza sanitaria per tutti. Probabilmente non si riuscirà ad ottenere questa assistenza per tutti entro la fine del secolo. Nel solo ospedale di Providence, negli ultimi tre anni si sono spesi più di 24 milioni di dollari per l’assistenza gratuita. Questa è soltanto una piccola parte delle nostre spese effettuate per l’assistenza a coloro che non pagano od hanno una forma assicurativa parziale. Gli ospedali come quello di Providence nelle aree urbane con un alto grado di povertà, con le condizioni sanitarie scarse, con delle minoranze e con molte persone che non sono nemmeno registrate all’anagrafe, dovranno sempre avere un’assistenza fornita in forma caritatevole. Altri ospedali anche nella città di Washington, a causa della loro localizzazione e/o delle loro politiche, possono offrire ben poco da questo punto di vista. Possono comunque essere esentati dalle tasse al fine di agevolare la comunità. Un altro vantaggio che l’utente trae dall’esenzione fiscale è legato alla formazione del personale medico e infermieristico. Molti ospedali collaborano e spesso finanziano anche l’attività di centri sanitari per i meno abbienti, associati ad ambiti formativi per medici e infermieri. E anche la ricerca è un altro ambito che spesso rappresenta un vantaggio per la comunità, finanziata dagli enti senza fini di lucro. Si va dalla ricerca di base sulle diverse patologie, alla ricerca clinica. Inoltre la promozione della salute della comunità attraverso diversi programmi, come lo screening, programmi di educazione alla salute, programmi per accrescere il benessere psicofisico, come corsi di esercizio fisico, di rilassamento, o l’acquisto di mezzi per l’assistenza sanitaria mobile, servizi per gli anziani, sono tutti vantaggi, benefici per la comunità e costituiscono delle forme di investimento esentasse. Molte iniziative rivolte alla comunità sono finanziate dagli ospedali, come la prevenzione delle tossicodipendenze nelle scuole, incontri di confronto tra soggetti con problemi comuni, come l’alcolismo, il diabete, l’infarto; iniziative rivolte ai giovani, come il lavoro estivo, il volontariato, o i pasti a domicilio forniti dalle cucine degli ospedali. Tutte queste costituiscono altre forme di utilizzo del denaro risparmiato dagli ospedali stessi attraverso l’esenzione fiscale, a vantaggio della comunità. Molti ospedali hanno anche programmi di sostegno, e di terapia palliativa, programmi per assistere le famiglie dei pazienti incurabili, servizi di trasporto per coloro che non possono raggiungere autonomamente i centri di assistenza sanitaria, tra cui gli indigenti, gli anziani, gli handicappati, o ancora la fornitura di vestiario ai meno abbienti. Molto spesso gli ospedali finanziano dei programmi di assistenza sanitaria che lavorerebbero in perdita o riescono a metterli a disposizione di coloro che in tutto o in parte non sarebbero in grado di pagare l’assistenza ricevuta. Tra questi vanno annoverati i programmi per la terapia dell’alcolismo, delle tossicodipendenze, degli ustionati, i centri traumatologici, o quelli per il trattamento di patologie particolarmente debilitanti come la talassemia, l’Aids, etc. È evidente che l’esenzione fiscale consente il risparmio di somme ingenti ogni anno, partendo dal presupposto che queste somme potrebbero rivelarsi più utili impiegate direttamente a vantaggio delle comunità locali che versandole all’erario statale o federale perché vengano da essi ridistribuite. Per dirla in altri termini significa destinare i fondi disponibili alla struttura sanitaria direttamente a vantaggio della propria utenza. Per poter godere di un’esenzione quindi una struttura sanitaria ha un obbligo giuridico e morale di operare attivamente e di utilizzare le proprie risorse per la comunità. Negli anni passati in alcuni ospedali non era esattamente questo quello che avveniva; sia l’American Hospital Association e la Catholic Health Association (associazione cattolica di assistenza sanitaria) hanno cercato di fare il possibile per evitare che queste cattive abitudini si espandessero a macchia d’olio. Entrambe queste organizzazioni hanno operato per accrescere la consapevolezza di quest’obbligo nell’ambito della gestione ospedaliera, incoraggiando anche la pratica di una sorta di bilancio annuale dei risultati ottenuti. Ambedue questi gruppi utilizzano fondamentalmente un meccanismo che si propone di valutare l’entità annuale del risparmio fiscale confrontandola poi con una valutazione dei servizi erogati. Le Figlie della Carità che gestiscono il più esteso gruppo di ospedali senza fini di lucro degli USA, hanno sviluppato questi modelli ed i loro organi direttivi hanno stabilito che annualmente ogni ospedale debba compilare una relazione sull’assistenza erogata ai meno abbienti. Il valore aggregato di questa assistenza è comparato a quella dell’esenzione fiscale ottenuta, il fine è quello di accertarsi che il servizio erogato alla comunità sia sempre largamente superiore a quello della esenzione richiesta.

Un fattore importante perché un ospedale possa veramente servire la comunità è la definizione della sua missione; quando l’obiettivo che l’ospedale si propone viene ad essere modificato dall’impiego di uno di questi tre strumenti, potrà poi essere confermato o abbandonato. Attualmente negli Stati Uniti ci sono vari tentativi di eliminare o di modificare drasticamente il diritto degli ospedali senza fini di lucro all’esenzione fiscale, per tre motivi principali. Innanzitutto i gravi problemi finanziari esistenti a livello locale, statale e federale, problemi che assillano quasi tutti gli enti governativi. A livello federale o a livello di piccola città la prospettiva di accrescere le entrate attraverso il prelievo fiscale operate sulle strutture sanitarie appare attraente. La seconda motivazione insita nella richiesta di modificare la legislazione fiscale è sollevata da numerose piccole aziende che si trovano a competere con gli ospedali, incluse aziende farmaceutiche, produttori di apparecchiature medicali, etc. Infine i più strenui oppositori dell’esenzione fiscale sono gli ospedali che non operano senza fini di lucro; di ciò si è avuta prova innumerevoli volte negli ultimi 25 anni negli Stati Uniti. Un paese in cui la sanità rappresenta un settimo dell’economia nazionale, la posta in gioco è molto alta. Le strutture di assistenza a pagamento hanno dato ampia dimostrazione che fornendo un’assistenza a coloro che possono permettersi di pagarla, tralasciando il più possibile la formazione e l’assistenza gratuita, e mantenendosi alla larga da quei servizi che non sono redditizi, come i centri ustionati o i programmi per l’AIDS, nell’ambito della sanità si possono veramente far soldi. Confrontando gli ospedali con e senza fini di lucro negli Stati Uniti appare chiaro che sono i secondi a fornire la stragrande maggioranza delle attività di formazione, di assistenza gratuita e dei programmi specialistici privi di introiti come i centri ustionati e centri traumatologici, etc. Nonostante i notevoli utili conseguiti negli ultimi anni, gli ospedali che operano con fini di lucro auspicano una modifica legislativa che elimini quello che vedono come un ingiusto vantaggio competitivo, di cui godrebbero gli altri. Ovviamente tutti possono fare soldi fornendo un servizio a chi può pagarlo, ma la natura stessa del servizio sanitario non dovrebbe permettere di trasformarlo in un puro e semplice business, la sua natura richiede piuttosto che assuma con più forza la forma di uno sforzo da parte della società di tutelare chi è più è vulnerabile, di offrire una risposta all’esigenza dei singoli nei momenti più difficili. Negli Stati Uniti 39 milioni di persone non hanno una assicurazione sanitaria o ne hanno una che copre solo parzialmente i costi dell’assistenza, e costoro sono esposti ad un grave rischio. Inoltre chi contrae delle malattie poco redditizie per chi le cura perché richiedono un’assistenza intensiva sarebbe lasciato in balia di se stesso da un sistema che si regga totalmente sulle regole di mercato. Negli Stati Uniti sta prendendo piede un movimento secondo il quale se si potesse assicurare a tutti una qualche forma di assicurazione sanitaria verrebbe a mancare il motivo di un’esenzione fiscale per gli ospedali; ciò significa che non si è capito cosa sia il bene per la comunità. Mi auguro che vi rendiate conto che ci sono molti altri motivi oltre a quello di tutelare chi non ha un’assicurazione, per cui è importante mantenere l’esenzione fiscale negli Stati Uniti, utilizzando quei fondi a vantaggio diretto della comunità in cui l’ospedale in questione ha sede. Né si può dimenticare che l’erogazione di tutta l’assistenza di organismi con fini di lucro cancellerebbe, e la situazione degli Stati Uniti lo dimostra, ogni forma di assistenza ai malati più gravi. Molti dei servizi più essenziali non verrebbero mai erogati se ciò dipendesse dalla loro redditività, se l’azionariato della sanità fosse costituito da un gruppo di investitori anziché dalla comunità, si modificherebbero profondamente gli approcci e le scelte operati dagli organi gestionali e dal governo, in relazione ai servizi da erogare e all’utenza da servire. Il cittadino medio americano ha molto a cuore i bisognosi e i deboli e stima profondamente coloro, uomini od organizzazioni, che se ne occupano fornendo loro assistenza e le risorse di cui necessitano. Questo vale per una persona economicamente svantaggiata così come per una persona affetta da demenza precoce, una persona con una grave ustione, con un tumore maligno. Negli Stati Uniti questa visione ha motivato il sostegno fornito a molte strutture sanitarie. Se permetteremo al nostro sistema sanitario di trasformarsi in un’industria che rincorre un utile perderemo ben più che qualche servizio attualmente fornito. La prima domanda che verrà spontaneo rivolgere ad un malato non sarà più: "Come posso aiutarla?", ma piuttosto: "Quanti soldi ha nel portafoglio?". Per la nostra cultura questo costituirebbe una perdita incolmabile.

Vittadini: Mi sembra che questa relazione risponda anche a chi dice che introdurre un sistema basato sul non-profit voglia dire penalizzare i poveri, al contrario diventa un fattore di aiuto per i poveri.

Antonio Rastrelli, sottosegretario di Stato al Ministero del Tesoro

Rastrelli: La Compagnia delle Opere è una realtà civile, ma non vanno trascurati il movente, la finalità, lo spirito che ha creato questa struttura e su questo piano anch’io vorrei portare un contributo ai vostri lavori.

Due concezioni dell’uomo, dell’universo e della storia oggi, come ieri, dividono e contrappongono gli uomini ed i popoli. La prima, l’uomo che si riconosce debitore di una causa trascendente, a cui si deve riferire, inserendosi in una collaborazione cosciente, libera ed attiva, e l’uomo che rimuove ogni domanda sulla propria origine e sul proprio fine e limita la sua coscienza a cogliersi come fatto personale, attivo che tende ad identificarsi con ciò che fa. Oggi questa concezione immanentistica è alla base del diffuso laicismo. La opposta concezione che inquadra l’uomo e la storia nel trascendente è alla base da sempre dell’apertura e dell’impegno religioso. Il diritto positivo elaborato dalle nazioni e che tende ad uniformarsi a livello mondiale codifica nella Legge il bene o il male, quali risultano dalle opposte concezioni dell’essere e della storia. Le leggi codificate tendono a normare a livello di conscio e di inconscio collettivo determinando un ambito della percezione della realtà che per il laicismo sarà necessariamente limitato al soggettivo o soggettivo individuale, per gli aspetti aperti invece alla trascendenza sarà sul piano omnicomprensivo della oggettività reale. Sul piano antropologico, filosofico e storico apertura al trascendente o chiusura laicista determinano due opposte realtà della coscienza e dell’uomo, due visioni diverse del bene e del male. Per il laicismo la fonte della razionalità e della certezza è tutta nella sensazione e nell’esperienza e nel conflitto e nella scelta tra il dovere utile e l’utile. Per le concezioni aperte al trascendente la fonte della razionalità e della certezza è nella riflessione filosofica aperta a tutte le esigenze del principio di ragione sufficiente e di visione integrale del bene ed in questa linea sulla rivelazione, obiettivamente certa. Per il laicismo il possesso di ogni bene è in quel mio che si contrappone al tuo, con effetti apparentemente costruttivi dell’io, ma avulso e contrapposto ad ogni altro io e quindi distruttivo di ogni altro io, ed ultima analisi del proprio stesso io. Espressione economica del laicismo è quel capitalismo assoluto ed ateo che genera al suo interno la mina vagante della propria distruzione anche economica. Per quanti si responsabilizzano verso il trascendente ogni possesso è aperto all’altro. Infine le due opposte concezioni configurano la giustizia ed il diritto in due ambiti per se stessi eloquenti: sul piano retributivo il laicismo, sul piano della gratuità quanti aperti alla trascendenza sanno molto bene in assoluto che tutto deve essere gratuitamente dato perché tutto è stato gratuitamente ricevuto. Sul piano mondiale solo nell’orizzonte dell’assoluta gratuità può essere giusta e stabile la relativa retribuzione, l’opposizione reale del conflitto è tra amore ed egoismo. L’egoismo ha prodotto, produce e produrrà nella storia una legge miope, generatrice di ingiustizie sostanziali e quindi di guai. L’amore, quello che ha generato l’uomo, che ciascuno di noi è, può ispirare la legge giusta, quella che colmerà il vuoto ed il profittare con la dedizione del non profittare. Nel bisogno presente di vedere riconosciuto nel diritto positivo le opere non profit resta vero che non sarà una norma stabilita dai governi a creare una coscienza della fraternità fra gli uomini, ma all’opposto, sarà la coscienza della gratuità a sollecitare la legge positiva che dovrà riconoscerla e promuoverla. Quando le opere non-profit sono operanti nel tessuto sociale nazionale gli apporti tecnici al fine del riconoscimento del diritto non potranno che determinarsi. La Compagnia delle Opere può svolgere un compito storico, quello di aggregare a livello di società civile tutte le istanze che sono necessarie attraverso una forma collettiva che assorba non soltanto le organizzazioni di tipo ecclesiale o di orientamento religioso, ma anche quelle di orientamento civile, un arcipelago infinito di possibilità che bisogna ricondurre all’unità. Il compito che io vedo proprio nella Compagnia delle Opere è quello di fare di questa istanza sociale, della gratuità contro il profitto, la battaglia frontale di civiltà e di avvenire.

Giulio Tremonti, Ministro delle Finanze

Tremonti: Ho selezionato per il mio intervento tre temi di riflessione: il tempo rubato, la catena spezzata, i corpi intermedi.

Il tempo rubato. L’azione di solidarietà sociale esce dai domini della pura filantropia e comincia a diventare oggetto di azione politica e sociale non molto tempo fa, più o meno alla metà del secolo scorso. Ma queste macchine create per intrecciare un tessuto più solido di solidarietà sociale lavorano un po’ come la tessitura della tela di Penelope, quello che danno di giorno in termine di prestazioni sociali, tolgono di notte in termini di solidarietà sociale. Quello che danno sul piano materiale, distruggono sul piano morale e sociale. Gli antichi vincoli di solidarietà sociale distrutti dall’unico vincolo di morale legale di solito è un caso in cui l’aggettivo cancella il sostantivo come se chi assolve i doveri fiscali si sentisse liberato dai doveri verso se stesso, verso la famiglia, verso la società. Non è così e non può essere così. L’uomo del secolo scorso e l’uomo di qualche decennio fa nelle aree meno sviluppate dell’Europa, aveva ben presente il senso del tempo: lavorava per sé per quando sarebbe diventato vecchio, lavorava per i suoi figli. Le macchine burocratiche di solidarietà sociale hanno rubato all’uomo la dimensione del tempo. L’assolvimento del vincolo fiscale e parafiscale lo hanno come liberato in modo artificiale, fittizio dai doveri di solidarietà sociale, quelli reali, continui, quelli non formali, ma sostanziali. Queste macchine hanno un costo sociale molto elevato, hanno un costo economico non più tollerabile, sono inefficienti, perché hanno insieme troppo ruolo e ormai troppa poca forza. Troppo ruolo, perché avendo promesso a tutti di tutto hanno progressivamente distrutto il ruolo sociale della famiglia, troppa poca forza perché sono sempre più costose e sempre meno facili da gestire. Da noi il fenomeno è in qualche modo patologico, ma è un fenomeno che riguarda la riduzione dello stato sociale burocratico, dei suoi presupposti economici, è un fatto che riguarda tutto il mondo.

E questo è il secondo punto, la catena spezzata. È una riflessione apparentemente economica, in realtà filosofica e cerco di renderla in qualche modo pratica. La struttura classica dello stato nazionale moderno si regge sulla catena stato-territorio-ricchezza. Lo stato, controllando il territorio con mezzi fisici (le dogane) o con mezzi giuridici (il monopolio dei cambi, il principio dell’uso limitato della moneta), controlla la ricchezza. Controllando il territorio, lo stato controlla le ricchezze e controllando queste esercita il suo monopolio politico: batte la moneta, riscuote ed esercita la giustizia. Questa catena ha cominciato a spezzarsi e poi il fenomeno progressivamente si è accelerato negli ultimi anni. Lo Stato non ha più il controllo del territorio, non ce l’ha per fatti materiali e per fatti politici (la caduta delle dogane in Europa è un caso tipico). Non controllando più il territorio o avendo sempre meno forza nel controllo del territorio, lo Stato riesce sempre meno a controllare le ricchezze e non controllando queste registra progressive erosioni della sua forza politica. Gli stati sono sempre meno forti perché non controllano i territori e se anche controllano il territorio, non controllano più la ricchezza che tende a volarci sopra, libera dagli antichi vincoli che la legavano al territorio. Volete un esempio banale? Guardate la legge finanziaria che ogni Stato deve fare. Qui noi verifichiamo come l’originaria autonomia e sovranità degli stati e dei parlamenti titolari del potere autonomo di scelta politica su cosa prelevare e su come spendere, è fortemente condizionata da fattori esterni, dai mercati che sono sovranazionali, parlamentarmente irresponsabili, ma che sono fondamentalmente un fattore di scelta imposta ai parlamenti nazionali. Dobbiamo prenderne atto, è la realtà come è, non possiamo evitarla, perché la ricchezza non circola perché vale, ma vale perché circola e se facessimo finta che è possibila bloccarla al territorio, registreremmo una progressiva riduzione della nostra ricchezza, saremmo più poveri e non più ricchi. E non possiamo neanche demonizzare questi fatti, è la realtà per come è e dobbiamo prenderne atto, però dobbiamo tenere conto che gli stati sono sempre meno ricchi e sempre meno forti. Ne deriva una riduzione delle politiche. La fine della politica delle socialdemocrazie di massa deriva dal fatto che sono politiche stataliste, che presuppongono una forza crescente degli stati. Il fenomeno a cui noi andiamo incontro e che registriamo è la riduzione della forza degli stati. Un tempo il pendolo andava verso le nazionalizzazioni, ora va verso le privatizzazioni. Giuste o sbagliate che siano, queste sono le tendenze in corso. La fine dell’ideologia statalista è anche la fine della parte di sinistra che confonde la sinistra con lo Stato. La riduzione dello Stato è riduzione degli strumenti politici, fondamentalmente legislativi, interventisti e statalisti che è tipica delle socialdemocrazie. Non possiamo fermare il movimento del pendolo, ma possiamo almeno intervenire sul pendolo, non possiamo cambiare la filosofia, ma possiamo cambiare il filosofo.

E questo è il terzo e ultimo tema di riflessione: i corpi intermedi. Dobbiamo cambiare filosofo, dobbiamo passare dalla supremazia autoritaria teorizzata da Hegel, al contrattualismo liberale teorizzato da Kant. L’azione sociale, politica, solidaristica non può essere più verticale, discendente dallo Stato sull’individuo nella logica della supremazia autoritaria, deve essere trasverale, orizzontale, contrattualistica, deve passare attraverso il corpo sociale. La rottura dello schema hegeliano verticale libera spazio per i governi intermedi, che sono la nuova forma dello stato moderno, il federalismo. Libera spazio per i corpi intermedi che stanno tra lo Stato e l’individuo, ed è la nuova forma dello Stato sociale, dalla famiglia alle organizzazioni di volontariato, dalle organizzazioni di previdenza e assistenza privata in generale; secondo la formula dei lavori di questo convegno, sono le organizzazioni non-profit. Questo è il nuovo modello di Stato, che non è presente nell’architettura dello Stato sociale italiano, che è invece come principio il più autoritario che si possa immaginare, perché è basato sulla separazione tra Stato sociale e Stato fiscale. Da una parte la macchina dello Stato fiscale che preleva ricchezza e dall’altra parte la macchina dello Stato sociale che distribuisce e ormai disperde ricchezza. La separazione tra i due stati è la caratteristica negativa tipica in Europa e rispetto al mondo occidentale, tipica del sistema italiano. Noi dobbiamo cercare di superare questa separazione, di cercare di identificare un’area di mercato comune di interfaccia fra lo Stato sociale e lo Stato fiscale. Dobbiamo trovare un punto di equilibrio, le relazione che hanno preceduto la mia sono state in qualche modo emblematiche: in Svezia la reazione ad un eccesso di stato, negli Stati Uniti ad un eccesso di mercato. Noi dobbiamo trovare il punto di equilibrio tra mercato e Stato, tra organizzazione burocratica e organizzazione contrattualista e liberale privata.

Il punto di passaggio si trova nella organizzazione del sistema di deduzione fiscale a favore di soggetti non-profit. È questo il passaggio più difficile perché noi siamo indietro innanzitutto sul piano sostanziale poi sul piano fiscale. Sul piano sostanziale la nostra legislazione non è assolutamente adeguata alle esigenze della organizzazione non-profit. Un tentativo nel senso della liberizzazione è stato fatto – e questo è un merito del Governo Ciampi – dal Ministro Cassese che ha definito un buon regolamento di semplificazione delle procedure di acquisizione della personalità giuridica da parte di organizzazioni private. Il Consiglio di Stato ha bloccato il regolamento svelando, come è tipico di molti corpi pubblici dello Stato, una occhiuta mentalità di polizia fino all’estremo di immaginare che corpi di questo tipo possono essere sedi di riciclaggio di denaro. Merito il tentativo di semplificare le procedure di acquisizione della personalità, demerito quello di averle bloccate in nome di una logica burocratica. Noi dobbiamo prima di tutto semplificare e legittimare l’acquisizione da parte dei corpi intermedi delle non-profit di uno status giuridico; secondariamente dobbiamo sostenerli con le deduzioni fiscali. Corpi intermedi da sostenere con detrazioni e deduzioni sono come ho premesso: la famiglia, le organizzazioni di volontariato, la scuola, le organizzazioni di ricerca, di assistenza sociale e fondamentalmente i fondi di previdenza di assistenza privata in alternativa liberale e contrattualistica alla macchina burocratica dell’INPS "kafkiana". Il passaggio è molto complesso ma fondamentale, ed io ho una qualche esperienza di organizzazione in fatto di passaggio. Qualche anno fa contribuii in modo abbastanza significativo alla definizione del sistema di finanziamento fiscale della Chiesa, l’8% e le deduzioni. Il secondo passaggio per cui mi sono impegnato è quello alla liberalizzazione dei fondi di previdenza e assistenza, infine una riforma fiscale che tenga conto della famiglia e delle organizzazioni non-profit. In tutto questo io spero di avere almeno la vostra comprensione perché, come diceva Carlo Marx, l’egoismo va bene dappertutto, è la solidarietà sociale che trova qualche difficoltà di ambientamento.

 

NOTE

(1) Il Saluto del Presidente della Camera dei Deputati, Irene Pivetti, è riportato a p. 13, nella sezione Messaggi e Saluti (n.d.r.).