Scuola luogo d’impresa

Mercoledì 25, ore 19

Relatori:

John E. Coons

Giancarlo Lombardi

Paolo Sciumè

Rosa Jervolino Russo

Moderatore:

Mario Dupuis

Incontro patrocinato dalla Fondazione Sacro Cuore

 

Dupuis: In questo incontro non vogliamo affrontare per l’ennesima volta il tema della libertà e del finanziamento della scuola privata. Il problema reale del nostro Paese è la qualità del sistema scolastico: per questo, occorre ridisegnare complessivamente il ruolo dello Stato e i diritti e i doveri dei cittadini nella gestione stessa dei servizi, e quindi anche della scuola. Lo Stato ha avuto il grande merito di aiutare la scolarizzazione di massa: oggi però bisogna voltar pagina.

Professor Coons, è possibile un sistema dell’istruzione che premi la capacità di intrapresa della società – delle famiglie, degli studenti, degli insegnanti, dei presidi – e ponga fine ad un sistema guidato in termini rigidi e centralistici?

John E. Coons docente all’Università della California-Berkeley

Coons: Nel mio Paese non abbiamo un sistema pubblico a livello di istruzione, questo significa che esiste una scelta per le classi più abbienti che hanno il monopolio dell’istruzione.

La proposta che viene dalla popolazione della California è di affidare sussidi raccolti attraverso il prelievo fiscale scolastico nelle mani delle famiglie sotto forma di buoni. La famiglia, quindi, può decidere se indirizzare il bambino verso una scuola di tipo pubblico o privato. Se le scuole private infatti vogliono prendere parte a questa proposta, dovranno anch’esse partecipare all’onere dell’istruzione dei bambini. Le tariffe della scuola privata devono basarsi sui redditi delle fasce familiari.

Le scuole private, fino ad ora hanno funzionato con migliori risultati e con un impatto migliore rispetto alle scuole pubbliche. Questo, in parte, è dovuto all’effetto salutare della concorrenza, che non esiste a livello di sistema di istruzione pubblica, nel quale il genitore si sente quasi impotente nelle mani dello Stato. Il sistema dei buoni consentirebbe a tutte le famiglie di poter scegliere il sistema di istruzione che meglio si confà ad essa. L’impatto del sistema attuale sulle fasce reddituali meno favorite, è quello di fomentare la conflittualità, perché queste famiglie hanno la sensazione di essere oggetto di un sistema istituzionale quasi militare, obbligatorio. Per ottenere tolleranza e fiducia tra classi che hanno razza, fasce reddituali, religioni e confessioni diverse, bisogna innanzitutto dar loro fiducia. Nella mia società ci sono moltissime categorie di persone che hanno diverse opinioni e visioni sull’educazione dei loro bambini. Queste differenze sono assolutamente legittime, per questo è paradossale che venga imposto a tre quarti della popolazione di studiare in una determinata scuola, seguendo un insegnante che è stato designato dallo Stato.

Dupuis: Lo slogan di questa tavola rotonda è il tema del finanziamento della scuola, anche della stessa scuola non statale laddove dimostra di essere scuola di qualità. Ing. Lombardi, dal punto di vista della sua esperienza, vede una soluzione a questi problemi?

Giancarlo Lombardi, Responsabile del Settore Scuola e Formazione per la Confindustria

Lombardi: Dobbiamo innanzitutto chiederci cos’è l’impresa-scuola e qual è la sua finalità. Lo scopo principale della scuola è quello di aiutare le nuove generazioni a crescere, a renderle più umane. Nella nostra società, non sappiamo bene perché si va a scuola: non lo sanno i ragazzi, non lo sanno le famiglie. Spesso non lo sanno neanche gli insegnanti, i quali non fanno il loro lavoro con lo spirito di impresa. Per poter parlare della scuola come luogo di impresa, dobbiamo innanzitutto recuperare la coscienza dell’importanza della scuola. I ragazzi hanno il diritto di avere la scuola migliore possibile, ed è compito della classe politica, im primis del governo, di cercare di offrire loro questo.

Siamo tutti interessati al successo della scuola per due ragioni, perché vogliamo essere giusti e dare a tutti la possibilità di accedere al mondo del lavoro con un livello formativo adeguato; perché il futuro dell’Italia dipende dal livello di formazione delle nuove generazioni.

Ci sono vari problemi: l’innalzamento della scuola dell’obbligo, la riforma della secondaria superiore, la flessibilità dei curricula. I presupposti per affrontarli sono: un alto livello di autonomia della scuola, la formazione dei formatori, l’investimento nella formazione degli insegnanti, offrendo a loro delle occasioni rilevanti perché possano crescere professionalmente, l’innovazione didattica. Come segno di serietà, dobbiamo eliminare gli sprechi, recuperare tutte le risorse possibili che però devono restare all’interno della scuola per migliorare il livello didattico e l’edilizia scolastica, per pagare meglio i professori, per fare la formazione dei formatori.

In base a questo lavoro, possiamo definire l’impresa: essa ha un obiettivo (l’umanizzazione delle nuove generazioni), cerca le risorse adeguate, si impegna per il migliore livello di qualità e di produttività sapendo che la produttività consiste nell’aiutare i ragazzi. Infine si deve accettare la verifica dei risultati. Gli insegnanti, i presidi e i provveditori devono saper rispondere del loro comportamento.

Paolo Sciumè, Presidente della Fondazione Sacro Cuore

Sciumè: Libertà di impresa, o scuola come impresa, significa la possibilità di utilizzare in un campo così delicato come la crescita dei nostri ragazzi, le ricchezze prodotte dagli individui liberi e dalle comunità. La scuola statale – sottolineo la parola statale, contrapponendola in qualche modo alla parola pubblica – per anni ha privilegiato anziché la qualità gli interessi corporativi di consorterie ed innanzitutto quella del personale. In due grandi settori, quello tributario e quello dell’istruzione, il proliferare continuo di leggi e circolari ha stratificato una realtà in cui i privilegi si aggiungono ai privilegi. Molto spesso si pensa che la legge sia una panacea, perché risponde all’esigenza di programmazione, e attui di per sé la riforma che si vuole attuare. Se almeno una percentuale dello spazio che è stato dedicato alla produzione di leggi e di circolari, come volontà di modificare, fosse stato dedicato alla amministrazione dei fatti gestionali, oggi la scuola avrebbe la possibilità di essere più efficacemente misurata. Ciò è documentato da questi fatti:

1) non è vero che la scuola italiana sia gratuita, anche se lo è istituzionalmente. In Italia, ciascun lavoratore spende più di tre milioni per la scuola gratuita, circa 61 mila miliardi nel 1991 esclusa l’Università. La scuola ha tentato di essere uguale per tutti, ma di fatto ha penalizzato le famiglie meno abbienti, in cui tre milioni annui pesano di più che in famiglie più abbienti.

2) La maggior parte del denaro è spesa per pagare gli stipendi degli insegnanti e del personale. Il costo del lavoro, cioè del personale incide nella scuola italiana per il 98.7%. Quindi, il margine di autonomia di chi amministra la scuola, tenuto conto che ci sono le spese di manutenzione, e gli altri costi fissi, è lo 0,5 %. Se la gestione delle risorse e in particolare, del personale non è variabile, non si può privilegiare la qualità, perché in una scuola la qualità è data dagli insegnanti: se gli insegnanti rappresentano un costo invariabile, non si potrà mai avere una scuola efficace. In una recente indagine tra tutto il personale docente, l’80% ha affermato di essere d’accordo di avere stipendi meritocratici.

Un altro dato impressionante viene dalla scuola elementare, nella quale, dal 1981 al 1991 sono stati assunti 100.000 insegnanti, i bambini diminuivano del 30% o anche del 40%. Più del 45% di questi docenti sono entrati ope legis. Bisogna anche valutare la situazione della scuola privata in Italia, che vive di una situazione di crisi analoga alla scuola pubblica: nel 1992 hanno chiuso 47 scuole gestite da congregazioni religiose. Il sistema delle scuole private, il cui 80% è gestito da enti cattolici, è un sistema di imprese estremamente negletto; il rapporto del personale religioso impiegato rispetto a quello laico sta cambiando, perché il costo del personale laico è insopportabile, e quindi è inevitabile la riduzione anche della presenza di questo tessuto di imprese, gestito parallelamente e lasciato vivere in tutti questi anni.

In tutti questi anni ha dominato l’illusione che una continuità della tutela della scuola statale, basata su contributi meramente migliorativi del sistema e non su un cambiamento alla radice, potesse cambiare la scuola statale facendola diventare pubblica. L’ultima grande riforma della scuola basata sulla qualità – quella della scuola media superiore – è degli anni venti, che si basa su linee culturali pregresse. Dopo di questa, abbiamo avuto due riforme: quella della scuola elementare e quella della scuola media.

I due binari della scuola statale e della scuola alternativa o privata, hanno proceduto in parallelo, facendo coincidere lo statale col pubblico, e lasciando vivere la scuola privilegiata senza la dignità del sistema scolastico nazionale. Questa dicotomia, vissuta anche dal mondo cattolico, è stata di per sé anche la rovina della scuola statale. La ripresa di una possibilità di livello qualitativo di una scuola che non abbia la presunzione di educare, ma la coscienza di essere uno strumento, trova le sue origini in una ideologia che valorizza il libero pensiero.

Dupuis: L’autonomia della scuola è un problema di cultura: è un processo da avviare, non una panacea. Se l’autonomia è il primo gradino di una nuova riflessione sul rapporto stato-società, allora ci avviciniamo all’immagine di scuola come impresa; ma se invece l’autonomia è fine a se stessa, un puro decentramento con il quale si illude la gente di contare un po’ di più, siamo al punto di partenza. Questo governo può fare qualche passo; e questo nuovo partito popolare, in cui tutti parlano di onestà, di nuove regole democratiche, ha un programma veramente innovatore, che si rifaccia all’idea sturziana?

Rosa Jervolino Russo, Ministro della Pubblica Istruzione

Jervolino: Le idee che guidano il nostro lavoro sono molto semplici:

1) il diritto all’istruzione come diritto fondamentale di ogni persona umana, che va realizzato indipendentemente dalle condizioni economiche; 2) il principio espresso dall’articolo 30 della Costituzione, in base al quale ogni famiglia ha il diritto ed il dovere di mantenere, educare ed istruire i figli: questo implica anche il diritto di scegliere una scuola la più consona possibile al proprio progetto educativo. 3) La realizzazione di un modello di società imperniato sull’autonomia. Governare è l’arte di fare il possibile, quindi nel momento stesso in cui vi enuncio queste idee, vi dico anche che governare significa attuarle per quanto possibile nella realtà politica ed economica del nostro paese.

Siamo in un momento, nel quale sono aperte grandissime possibilità per la scuola; forse, sarò il Ministro che ha attuato la riforma della Secondaria Superiore e l’innalzamento dell’obbligo scolastico. Rispetto alla scuola, dobbiamo cercare ciò che unisce, perché se arriviamo alle riforme con il contesto scolastico lacerato, i ragazzi ne subiscono le conseguenze.

Tre settimane fa, è stato presentato, in base all’art. 8 del legislativo 35, un disegno di riforma globale della scuola, che ha come suoi cardini l’autonomia, il sistema di valutazione, il rilancio degli organi di governo democratici della scuola. Non si può ritenere del tutto negativa l’esperienza degli organi di governo democratici della scuola: nel 1974, proprio quando la famiglia era contestata, le famiglie sono entrate nella scuola, in quanto titolari del diritto-dovere di mantenere, educare ed istruire i figli. Per questo ora il Governo ha intenzione di rilanciarli.

Le linee che il Governo sta seguendo hanno anche la funzione di camminare verso l’Europa. In questi mesi, abbiamo polemizzato con chi cercava di andare verso la regionalizzazione delle competenze legislative in materia scolastica, proponendo di sostituire l’unico sistema scolastico nazionale con 20 sottosistemi regionali. A noi questo approccio sembra sbagliato, occorre invece camminare verso una dimensione europea della scuola. Questo non deve essere il cammino verso un centralismo ulteriore, ma un cammino di raccordo di sistemi profondamente autonomistici. La Centesimus Annus parla dell’impresa come comunità di uomini che costituiscono un gruppo al servizio dell’intera società: sperando che si realizzi questa nuova scuola, possiamo impegnarci per costruirla insieme.