Incontro con Gabriele Belovejdoff e Simon Jubani

Venerdì 30, ore 15

Moderatore:

Maurizio Vitali

 

Vitali: Ascoltiamo oggi due grandi testimonianze di sacerdoti che hanno pagato con lunghi anni di carcere il loro attaccamento alla fede; persone per le quali la testimonianza resa alla libertà ha coinciso con il martirio. Di questi uomini noi non possiamo perdere la memoria di fronte ad un Occidente che invece tende a dimenticarselo, anche perché quando essi soffrivano il martirio era più preoccupato di patteggiare con l’altra parte del mondo, che di aiutare e di soccorrere la libertà, la vita, il diritto all’esistenza, i diritti umani di questi popoli e di queste chiese.

Padre Gabriele Belovejdoff è archimandrita della Diocesi Orientale in Bulgaria. Ha compiuto gli studi teologici alla Gregoriana in Roma. Tornato in patria, dopo poco tempo dall’avvento al potere del Partito Comunista viene incarcerato come spia e deportato in un lager bulgaro situato all’interno di un’isola nel Danubio. Per quattordici anni vive in condizioni incredibili, al limite della sopravvivenza.

Con la nascita del Tribunale Internazionale per i diritti umani molti cattolici vengono scarcerati ma costretti a vivere in condizioni precarie; fino a un anno fa, Padre Gabriele ha vissuto in una stanza di 3 metri x 1,50 nella sacrestia della Chiesa, senza i servizi più elementari e sempre sotto stretto controllo dei servizi di sicurezza. Alcuni preti tuttora sono in queste condizioni.

È un cattolico di rito bizantino. Da molti anni nonostante i rischi ha mantenuto i contatti con sacerdoti italiani, con il vaticano, con Russia Cristiana, e il Movimento di Comunione e Liberazione, con cui ha iniziato un’esperienza di amicizia che ha permesso l’espandersi di tale compagnia anche ad altri amici bulgari. È una figura di fondamentale importanza in questo momento in Bulgaria. Tramite le sue conoscenze e il suo acuto senso dell’opportunità, la Chiesa è stata riconosciuta soggetto giuridico, per cui avrà diritto alla restituzione dei beni sequestrati dal potere comunista.

Belovejdoff: Prima di esporre in tutta semplicità, attraverso il racconto della mia storia personale, le gentilezze che il regime comunista bulgaro riservò per più di 50 anni ai vescovi, ai sacerdoti, ai laici della Chiesa cattolica bulgara, stimo utile premettere alcune osservazioni.

Un ideale, anche se solo apparente, esercita una forte attrattiva e così il comunismo, presentato come l’ideale della giustizia, del progresso e della santa eguaglianza, ha esercitato un’attrattiva enorme. Per esercitare tale attrattiva il comunismo aveva bisogno di rimanere allo stato naturale puro. Appena, infatti, dallo stato ideale puro, è passato a quello applicato, si rivelò ben presto poco convincente. Gesù ha detto che dai frutti conoscerete se l’albero è buono o cattivo. I frutti furono così amari e avvelenati che la diagnosi venne facile: una ideologia idiota e utopistica. Purtroppo, fatta la diagnosi, fu impossibile applicare la terapia.

Il comunismo applicato rimase in vita mediante un sistema repressivo, poliziesco, di una violenza e crudeltà inaudita. Se il comunismo infatti non era quel sistema ideale che era in teoria, ciò si doveva non al fatto che fosse una ideologia sbagliata ed inapplicabile, ma perché vi erano dei "cattivi" che avevano una certa ruggine contro quell’ideale. Questi cattivi vennero presto identificati nel Vaticano e nella Chiesa cattolica. Di qui la persecuzione. Nessuno, nei paesi a regime comunista, credeva più ai valori del comunismo. L’ ideale era caduto anche nella mente dei capi. Solo la gioventù subì, non direi che vi aderì, l’influsso di quell’ideale, non avendo alcun termine di confronto e di critica. Resta da considerare il comunismo come merce per l’estero e qui bisogna dire che non furono pochi, in Occidente, quelli che si lasciarono suggestionare dal "comunismo reale" dei paesi satelliti dell’Unione Sovietica.

La disinformazione sulla realtà staliniana e poststaliniana, che dominò a volte in modo quasi assoluto in Occidente, è una cosa per noi misteriosa. Ci si chiede: il sistema chiuso, la persecuzione contro la Chiesa, non erano elementi sufficienti per far dire che il comunismo era una realtà tenebrosa e oscura? E i figli della luce che cosa facevano? Certo anche il capitalismo è per noi una realtà tenebrosa, oscura. Ma se si rifiutava il capitalismo, perché aderire così stoltamente al comunismo, che è, nell’applicazione, il sistema più iniquo e inumano che mente d’uomo abbia potuto escogitare?

Non possiamo scusare i visitatori venuti in certe occasioni a vedere la realtà del socialismo reale! Possibile che non si accorgessero che erano "visite guidate"? Questa strana simpatia verso il socialismo reale cresceva a vista d’occhio. Molti uomini di pensiero cattolici, e, mi vergogno a dirlo, perfino ecclesiastici, ritenevano che il comunismo fosse inarrestabile, anzi irreversibile e che bisognasse venire a patti. Che modo cavalleresco per affrontare la realtà! Che bella solidarietà con i malvagi! Pensate un po’ alla nostra tristezza, e, tengo a sottolinearlo, alla nostra impotenza, davanti a un così grande e colossale errore!

Era ormai una malattia contagiosa e sarebbe stata inguaribile, se non fosse stato trovato un vaccino formidabile, portato soprattutto in Occidente da un conoscitore diretto e locale dell’ideologia comunista. Questo conoscitore diretto, ispirato da Dio, nel 1976 venne a Roma da Cracovia, per predicare gli esercizi al Papa Paolo VI ed invitava ad abbandonare la polemica contro il materialismo empirico, dicendo che era già tramontato e fallito(1). Il vaccino però non cominciò a funzionare subito. Ma quando il Cardinale di Cracovia divenne Papa, il vaccino finalmente trionfò su larga scala. Anche il trattato di Yalta, in cui Roosvelt aveva tradito la Polonia, e non solo la Polonia, e il muro di Berlino sono saltati in aria!(2)

Forse interessa il ‘decalogo’ che ha imperato per 50 anni nella mia patria bulgara sotto l’ideologia comunista. Primo: credere al partito e ai suoi infallibili dirigenti; secondo: affidarsi al partito senza riserva e non avere mai un giudizio proprio; terzo: posporre i propri interessi a quelli del partito; quarto: non avere gioie e dispiaceri in proprio, ma gioire solo quando il partito va bene; quinto: se uno è tentato nel desiderio di avere qualcosa in proprio, riferisca la cosa al partito; sesto: riferire al partito quello che uno nota nei suoi compagni; settimo: non attaccare e non criticare mai i dirigenti; ottavo: accettare pienamente le disposizioni dei capi, anche se sembrano irragionevoli e ingiuste; nono: una cosa tradizionalmente cattiva, è in realtà buona se giova al partito; decimo: essere convinti che un giorno il comunismo trionferà.

La bufera creata in Bulgaria da questo conflitto, aperto dal comunismo, è stata terribile e Dio risparmi il mondo da esperienze simili. E della mia esperienza personale, cosa vi posso dire? Sentite prima di che cosa ci accusavano, noi sacerdoti bulgari, e come i nostri giornali di allora preparavano la gente per credere e convincersi che noi, noi sacerdoti e vescovi, eravamo veramente gente criminale. È il giornale comunista Naroden Front che nel 1952 scrive: "I grandi crimini e la rabbiosa azione contro il popolo degli accusati hanno attirato centinaia di lavoratori della capitale i quali riempiono questa sala. Delle sale vicine, collegate attraverso la radio espressamente per questo processo, sono altresì piene di cittadini. Al processo assiste anche un grande numero di rappresentanti e di agenzie estere, della ‘Tass’, della ‘Pravda’, della ‘Isvestia’ ecc., dei paesi di democrazia popolare ed anche dei paesi capitalistici e così via... Sono chiamati a rispondere 40 accusati, membri della organizzazione spionistica dei congiurati cattolici in Bulgaria, per rispondere ai pesantissimi crimini compiuti da loro nei confronti del nostro paese: promuovere un’azione spionistica segreta e da congiurati, al servizio dello spionaggio del Vaticano e di altri servizi esteri; nascondimento di persone in clandestinità; aiuto a manifesti nemici del popolo; con denaro e provvigioni, compimento di propaganda ostile contro il potere del popolo, contro le sue iniziative e contro l’economia delle cooperative agrarie, senza fermarsi, nel proseguimento della propria mèta, davanti ad alcun mezzo e preparandosi, in caso di una nuova guerra, a prendervi parte, contro il popolo della Bulgaria, contro i paesi della Unione Sovietica e dei paesi democratici popolari e contro il fronte della pace".

Non è finita! Si scrive molto, si scrive bene. Ecco cosa facevano dire ad un testimone nostro e per di più cattolico e tutta la Bulgaria leggeva: "... noi cattolici di Bulgaria abbiamo piena libertà religiosa. (Figuratevi!) Però noi abbiamo visto di che cosa sono capaci i nostri sacerdoti. Approntano arsenali di mitragliatrici, bombe a mano, e stazioni radio per impedire al popolo di dirigersi audacemente verso il socialismo. Non c’è e non vi può essere alcuna misericordia verso i nemici del popolo!"

Io sarei stato il nemico del mio popolo! Compiuti i miei studi alla Gregoriana (con sette anni di filosofia si capisce un po’ di ideologia) ho fatto tutto il possibile per entrare nella mia patria.

Nel 1947, era il 15 ottobre, lo ricordo benissimo, arrivo al confine bulgaro; il treno si ferma ed entrano nello scompartimento due poliziotti. Mi dicono: "È da tanto tempo che ti aspettiamo". "Ma voi non mi conoscete, non sapete chi sono, sono fuori dalla mia patria da sette anni e non sapete neanche chi sono...". E lui: "Non è vero, scendi presto!". Mi hanno fatto scendere ed io chiedevo: "Adesso cosa faccio?" e loro "Stai qui!", "Cosa devo fare?", "Ti diremo cosa devi fare!". Aspetto, aspetto, viene la notte, ma dove si dorme quando nessuno ti propone un letto? E così tutta la notte sono rimasto all’aperto. Alla mattina vengono altri due poliziotti dietro a noi e saliamo su un treno che partiva per Sofia. Mi hanno fatto scendere alla stazione principale dove c’era un camioncino ben chiuso da cui non si poteva vedere dove si andava e mi hanno portato in un certo posto, in un luogo ‘acconcio’, come dicono gli italiani. Davanti a me un sacco di gente con certe facce un po’ stravolte, ho indovinato subito dove mi trovavo. Lì, senza chiedere cosa devo fare, mi hanno messo contro un muro e mi hanno detto: "Aspetti, aspetti!". Io aspetto. Ho aspettato alcune ore, appoggiato al muro. Vengono poi altre due persone sempre in divisa e mi caricano in un altro camioncino e mi portano in un’altra questura. Qui per trentasette giorni dietro fila mi hanno fatto scrivere quello che avevo imparato alla Gregoriana. Io scrivevo e loro leggevano e non capivano tutto quello che scrivevo: tutta la filosofia e tutta la teologia... Alla fine, non sapendo cosa fare, mi hanno accompagnato in un paese completamente comunista e lì, ogni quattro ore, dovevo presentarmi alla questura per firmare. Non conoscevo nessuno e la prima cosa che dovevo fare era trovare qualche sacerdote. Trovai due sacerdoti ortodossi che mi trattarono molto bene. Per sette, otto mesi, ogni quattro ore dovevo firmare per dire che non ero scappato. Alla fine il mio Vescovo riuscì ad andare da un pezzo grosso per raccontare la condizione in cui mi trovavo. Quel pezzo grosso fece alcune telefonate e dopo un quarto d’ora ero libero di andare dove si trovava la mia famiglia. Fu una gioia rivedere i miei genitori e tutti i miei parenti che erano ancora vivi. Incontrai tanta gente in parrocchia che aspettava un sacerdote che veniva dall’estero e una nuova forza. Così ho fatto un po’ il sacerdote a Sofia e in un altro paese per un anno e mezzo. Dopo un anno e mezzo, verso gli anni ‘50, cominciarono le persecuzioni contro la Chiesa; i sacerdoti furono messi in carcere. Io ed altri fummo processati, divisi in due gruppi. Del primo gruppo quattro sacerdoti, tra cui un Vescovo, furono condannati a morte e fucilati. Del secondo gruppo facevano parte sacerdoti e laici. Ai sacerdoti davano condanne più gravi e siccome ero il numero uno, chiesero la pena di morte. Visto che non trovarono niente, mi condannarono a vent’anni per ogni articolo di cui ero accusato.

Dopo la condanna ci misero in una cella. Sono celle di rigore e questo lo si fa apposta per far paura a chi entra per la prima volta in carcere. Siccome avevamo delle grosse condanne, dovevamo tacere per tutto il tempo che stavamo in carcere, non dovevamo fare rivolte o protestare e così via. La cella misurava 1,80x3,80 mt. Eravamo ventisette persone e perciò non potete immaginare come stavamo: in piedi, sdraiati... Sono stato fortunato anche perché vi sono rimasto solo un mese; nella cella vicina erano in sessantaquattro, una cella uguale alla mia, con le stesse misure; alcuni sono rimasti sei o sette mesi in quella terribile situazione.

Poi ci hanno trasferito in certe carceri sparse in tutta la Bulgaria, erano forse una ventina. In ogni carcere c’era non meno di un migliaio di condannati, tutti con condanne grosse, da undici fino a vent’anni. Dopo essere rimasto un anno in una di queste carceri, un bel giorno una cinquantina o sessantina di persone vennero caricate su dei vagoni dove mettevano anche le bestie, perché c’era scritto: otto cavalli o cinquanta persone. Dopo due o tre giorni di viaggio, naturalmente con le porte chiuse, ci siamo fermati su un’isola del Danubio, detta "isola della morte". È una bella isola, molto fertile come terreno, ma per la gente che deve stare lì è molto brutta. Misura dodici o tredici chilometri di lunghezza e tre o quattro di larghezza. C’erano due campi di lavoro, i più grossi. Nel secondo campo, che si diceva fosse il più numeroso, eravamo cinque/seimila prigionieri politici, nel primo campo due/tremila e, sulla riva, forse ancora tre/quattromila prigionieri politici. Nell’isola si faceva allevamento di bestiame, c’erano pecore, mucche, maiali. Le bestie erano in condizioni migliori di quelle in cui stavamo noi. Si viveva in capanne, veri e propri tuguri, piene di cimici, topi, sorci ecc.

Ho passato lì tre anni, poi mi sono ammalato. Mi hanno trasportato così in un altro carcere, al centro della Bulgaria, dove ho passato forse quattro o cinque anni. All’inizio non ci facevano lavorare, dovevano sempre stare chiusi, poi mi hanno fatto andare nelle cave di pietra. Lì il lavoro è il più difficile che una persona possa sopportare. Dovevamo fare il triplo della fatica di uno che lavorava fuori e non potevamo andarcene prima di avere terminato il lavoro assegnatoci. L’importante, quando si finiva un lavoro, era prendere un po’ più di pane di quello che toccava a testa. Con tre/quattrocento grammi di pane e un po’ di minestra non si vive. Il mestolo di minestra erano sei sette fagioli dentro ad un po’ di acqua diciamo calda. Sono stati i tempi più duri del carcere, ma la cosa più terribile era quando avevamo a che fare con le guardie che potevano fare tutto quello che desideravano di noi. Potevano imporci del lavoro supplementare e se si disubbidiva ci picchiavano e ci dicevano che non avevamo nessun diritto di protestare, perché non avevamo nessun diritto di vivere. Il carcere, comunque, non era la situazione peggiore. Lì più o meno avevamo il diritto di essere custoditi; in altri lager si era messi senza condanna e si poteva anche essere uccisi.

Uno si può chiedere che cosa fa un sacerdote senza preghiera e senza Messa in questi luoghi... Vi posso dire che io prevedevo certe cose, che sarei potuto entrare in carcere; allora ho chiesto un permesso speciale alla Congregazione Orientale dalla quale dipendevo, di darmi la facoltà di celebrare ovunque mi trovassi e con i mezzi a disposizione. Mi sono messo d’accordo con mia sorella, suor Cristina, perché dentro al carcere lei cercasse di portare, alla prima visita, una bottiglietta di vino, dove c’erano anche le ostie, per poter celebrare. Mia sorella portava sempre una bottiglietta di vino e una scatola di ostie. Per dieci anni sono riuscito a celebrare in carcere. Un bel giorno viene mia sorella e mi dice: "Ah, fratello, i due nostri vescovi proibiscono di celebrare la Messa in carcere perché in carcere non c’è un luogo adatto, non ci sono le candele, non c’è neanche un chierichetto che ti accompagna nella celebrazione", e me lo hanno proibito. Io ho chiesto: "Perché me lo proibiscono?" "Perché il Concilio lo proibisce". Io ho continuato a celebrare; in seguito mi hanno detto che ho fatto bene. Non è che non rispetto le indicazioni del Concilio, ma in certe occasioni, noi dobbiamo sapere cosa dobbiamo fare. Dovevo alzarmi la notte verso le due o le tre, quando nessuno vedeva cosa facevo in camera. Cercavo sempre di avere un amico, un sacerdote vicino a me che mi facesse da riparo, perché gli altri non si accorgessero che facevo qualcosa di strano la notte.

Bravissimi sacerdoti hanno sopportato il carcere con tutta la pazienza e tutta la decisione che doveva avere un sacerdote in carcere, ma dopo sono crollati. Vi posso raccontare di un santo sacerdote, amico mio, che si è buttato due o tre volte sotto un camion per essere ammazzato. Figuratevi cosa ha pensato e ripensato, cosa gli è venuto in testa, cosa gli ha causato il trauma di tutte quelle sofferenze; meno male che l’autista lo ha salvato, è morto poi in seguito. Ancora adesso, dopo anni che siamo usciti da queste carceri, ci sono amici sacerdoti che gridano ogni notte pensando alle cose che abbiamo vissuto.

Un vescovo è stato con me in quella cella dove eravamo in ventisette. Lui è entrato non per colpa sua ma perché i giudici hanno pensato: "come mai, lui che è a capo della Chiesa, sta fuori se i suoi sacerdoti sono dentro?". Alcuni dei nostri colleghi sacerdoti hanno avuto l’imprudenza di dire che lui era il nostro capo. Non chiesero altro. "Il Vescovo è il tuo capo?" "Si capisce che è mio capo". "Allora se i sacerdoti sono colpevoli, per forza quello che è il capo deve essere pure arrestato". Così fu arrestato questo santo vescovo. È stato con me un mese e poi è morto perché era più anziano e non poteva resistere a tutte quelle sofferenze, a vivere in una cella senza niente. Poi ci sono stati tanti altri sacerdoti ingannati da alcuni borghesi che venivano a chiedere l’elemosina.

Con la caduta del comunismo è venuta meno una delle cause più potenti dell’odio ed è curioso notare che quando sono sparite le classi, l’odio è rimasto; ad esso bisogna sostituire l’informazione vera e giusta, ai pregiudizi la verità, all’egoismo l’altruismo, l’amore e l’amicizia fra i popoli.

La Chiesa Cattolica ha tutte le carte in regola per realizzare questo ideale, perché ha il Vangelo e l’Eucarestia. Occorre eliminare dai cuori una strana propensione, ossia il fastidio della diversità. È solo con il dominio della nostra aggressività, dell’orgoglio e dell’invidia che arriveremo a convivere pacificamente, ossia solo con l’aiuto soprannaturale della Grazia, che sostiene i nostri sforzi e il nostro impegno. Adesso si dice che il comunismo se ne è andato e va bene, siamo rimasti noi per essere testimoni del vero.

Padre Simon Jubani, albanese, parroco a Scutari, nel 1964 è stato condannato per agevolazione e propaganda contro il governo popolare. Ha scontato 26 anni in carcere dal ‘64 all’89. Da circa due anni è tornato in libertà. Amnesty International si interessò della sua vicenda e lo definì un prigioniero di coscienza, perché l’unica ragione del carcere era l’inflessibilità della sua coscienza che non gli faceva rinunciare ad essere un cristiano e a testimoniarlo.

Padre Jubani è il primo sacerdote che dopo 30 anni ha celebrato una Messa in pubblico in Albania davanti a 50.000 cattolici nel vecchio cimitero di Scutari, che a più riprese era stato profanato e saccheggiato da comunisti che andavano addirittura a togliere i teschi dalle tombe per i denti d’oro dei cadaveri. In questo luogo, dopo 30 anni, è stata celebrata una Messa con 50.000 fedeli, armati perché dovevano difendere la loro vita in quanto ciò che compivano non era legale, ed erano attorniati da 5.000 poliziotti della polizia pubblica, anche loro armati, e inframezzati da centinaia o migliaia di agenti della polizia segreta, pure armati.

Jubani: Dieci mesi fa era una utopia pensare che un sacerdote albanese venisse all’estero per contatti religiosi oppure su invito di questo Meeting internazionale di fraternità, dove è rappresentata tutta la famiglia umana, membro della quale è anche la mia piccola Albania. Mi sento onorato di trovarmi in Italia che dalla storia è chiamata "maestra delle genti", dato che voi italiani siete stati battezzati per primi e naturalmente il processo della civiltà cristiana vi ha raffinato un po’ di più degli altri popoli. L’Italia dei Santi, come San Tarcisio, Santa Chiara, Sant’Agata, San Francesco di Assisi, Maria Goretti, l’Italia dei filosofi come Cicerone, San Tommaso d’Aquino, l’Italia dei grandi compositori come Verdi, Rossini, Bellini, l’Italia dei grandi autori come Manzoni, Dante, Boccaccio, Petrarca, l’Italia dei grandi inventori come Marconi, Meucci, l’Italia dei grandi navigatori come Colombo, Amerigo Vespucci. "Sole che sorgi libero e giocondo sul colle nostro, i tuoi cavalli doma, tu non vedrai nessuna cosa al mondo maggiore di Roma. Roma memento, Roma caput mundi...". Roma che sei destinata da Dio a guidare i popoli, dato che da questa Italia sono partiti tutti i missionari diffusi per il mondo a portare la luce e le nuove idee del vangelo.

Anche nella mia piccola Albania sono arrivati i primi missionari, ma sfortunatamente fra i vari Stati europei essa rappresenta il paradosso perché non ha voluto sottomettersi alle leggi universali dello sviluppo, cioè non ha voluto assimilarsi alla cultura greco-romana, perciò Dio ci ha castigati. Il Signore non è autore del male che si chiama peccato, colpa, il Signore è autore del male che si chiama castigo. E il Signore ci ha castigati come aveva castigato Lucifero per il suo peccato di superbia, come ha castigato Adamo ed Eva, i nostri antenati, per aver trasgredito la legge di Dio. E così anche la mia Albania. Siamo stati conquistati dall’Impero Bizantino per nove secoli, poi per cinque secoli dall’Impero Turco, e durante l’Impero Turco siamo sopravvissuti, come cattolici, soltanto il 10%. Noi, 10% di cattolici che ci troviamo in Albania, rappresentiamo l’Albania europea, dato che custodendo, conservando la religione, siamo stati fedeli a Gesù Cristo e siamo stati fedeli agli ideali dell’Europa Cristiana.

Durante i cinquecento anni dell’Impero Turco i miei antenati si sono rifugiati anche nelle spelonche, dove spesso sono venuti alla luce anche i neonati. E sono stati costretti per sopravvivere a mangiare la carne di topi, di gatti e perfino a bere le proprie escrezioni soltanto per restar fedeli agli ideali dell’Europa. Ma il colpo di grazia l’Albania lo ha preso dal Comunismo nel dopo-guerra. Il Comunismo in Albania non è stato come negli altri paesi, in Albania il Comunismo è stato specifico, dato che in Albania sono stati gli stessi albanesi a portarlo senza l’intervento dei carri armati sovietici come è avvenuto in Polonia, in Bulgaria, in Ungheria, in Germania Orientale, e negli altri paesi dell’est europeo. In Albania è stato applicato l’ateismo di Marx e di Engels, cioè è il primo paese, l’Albania, nella storia umana, che è stato promulgato come Stato ateo; è il primo paese che, in base alla Costituzione, condannava chi veniva sorpreso a professare la religione. È stato specifico anche economicamente dato che al contadino albanese non era lecito avere né galline, né maiali, né alcun altro bestiame. Come poteva il contadino vivere senza bestiame? Allora lo allevava di nascosto. Dato che le spie sono in abbondanza nei paesi comunisti, venivano gruppi di comunisti a controllare ogni famiglia. Quando la gente fiutava il controllo, se il maiale era piccolo, gli dava un po’ di grappa da bere, lo ubriacava perché non gridasse, lo metteva nella culla e lo copriva; se il maiale era grosso lo ubriacava lo stesso e lo metteva sul letto, quando veniva il controllo vedeva che c’era un uomo là, e andava via. Invece l’altro bestiame lo nascondeva nei boschi oppure nelle spelonche.

Ciò nonostante il popolo cattolico ha continuato a festeggiare la Pasqua, il Natale, gli onomastici, tutte le feste religiose nelle nostre case. Nonostante le minacce della polizia, nonostante le fucilazioni, gli imprigionamenti, le deportazioni che venivano fatte ogni giorno, il popolo cattolico si radunava ogni giorno sopra le macerie dei santuari rovinati, come, un giorno, Israele sopra le rovine del Tempio di Salomone e là pregava ad alta voce. Insieme a noi cattolici venivano anche i musulmani, gli ortodossi, abbiamo fatto una specie di ecumenismo. Ma quando hanno visto che la religione era più viva che mai, gruppi di comunisti sono venuti casa per casa per controllare e raccogliere tutti gli oggetti religiosi, come croci, figure e statuette. Ma anche qui hanno avuto la loro risposta, dato che quando uscivano fuori dalle case carichi di questi oggetti religiosi, la padrona della casa o il padrone li fermava dicendo loro: "Aspettate, aspettate un momento, avete dimenticato di prendere un’altra croce" "Ma dov’è questa croce?" rispondevano i comunisti. "Eccola! Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Potete prendere questa croce?". Immaginate i comunisti, bestemmiavano e lasciavano tutto lì.

"Lasciate ogni speranza voi ch’entrate!": queste parole del vostro Dante erano scritte sopra le porte dei campi di concentramento delle prigioni in Albania. Luoghi in cui sono stati seppelliti centinaia di albanesi onesti soltanto per l’unico crimine di avere professato la loro religione e di avere proclamato i diritti umani. Io sono stato arrestato, ho scontato ventisei anni, quando sono stato liberato dalla perestroika avevo ancora ventisei anni da scontare, invece mio fratello, sacerdote anche lui, è stato torturato per trentasei anni dal governo comunista; lo hanno fatto morire nel 1982 e come lui sono stati fatti morire con o senza processo, cento sacerdoti e cinque Vescovi.

È indescrivibile il trattamento, dato che le prigioni del comunismo sono stabilimenti di pena, fatti apposta per annientare la personalità umana e la dignità. Abitavamo nei capannoni o nelle camere, come i fiammiferi nella scatoletta, uno sopra l’altro. In quella stessa camera si mangiava, si dormiva, si beveva, si leggeva, si faceva anche il bagno, con gli occhi uno nell’altro. Naturalmente in questo stato di cose il sistema nervoso veniva rovinato, la dignità spariva, e molti si picchiavano ogni giorno, come quei galli del Manzoni, se avete letto il Manzoni, i galli che aveva Renzo in mano, e ogni tre mesi, uno riusciva ad impiccarsi nell’inferiata delle finestre che non avevano vetri.

Io ho affrontato queste prigioni con la lettura, la preghiera, ho dato lezioni di italiano e di altre materie ai giovani che stavano con me in questa miseria, e poi quando mi annoiavo prendevo una lettera e scrivevo al nostro crudele tiranno Enver Hoxa, e lui mi rispondeva con un altro castigo, dato che sono stato condannato otto volte. Sono sopravvissuto anche grazie alla mia costituzione fisica, dato che per dieci anni sono stato giocatore nella squadra di calcio e di atletica leggera nella mia città.

Se il mondo occidentale con un polo ha toccato il paradiso (naturalmente all’uomo non è stato dato da Dio di fare il bene assoluto, ma il bene, quanto lo può fare l’occidente) l’Albania con l’altro polo ha toccato l’inferno, ma grazie a Dio non è dato all’uomo di fare neanche il male assoluto. Oggi chi entra in Albania vede delle strade bucate, rotte, polvere d’estate, fango d’inverno, gente vagabonda senza mèta che guarda l’Occidente come se fosse il paese della cuccagna. Per le strade corre qualche vettura, qualche macchina, ma la maggioranza sono carri con cavalli e con asini; le librerie sono vuote, non vogliono riempirle con la stampa occidentale, i negozi sono vuoti, si vede qualche fila che sta prendendo il pane, quel pane nero pieno di ogni sporcizia (oppure qualche fila per prendere un chilo di carne di cui ciascuna famiglia ha diritto una volta al mese). Qualche volta ne prendono due chili, ma altre volte si passa il mese senza prendere neanche quel chilo di pane.

In questo stato di miseria, dove è morta completamente la vita politica, la vita culturale, la vita morale, la vita religiosa, non ci vuol star nessuno. Anche perché il governo centrale, che è un governo ancora comunista completamente è composto da gente che non sa governare. L’Albania è la più ammalata tra i paesi comunisti, dato che là vi è stato applicato fino all’esaurimento. Si dice in Albania che quando è morto Enver Hoxa ed è arrivato alle porte dell’inferno, gli è uscito incontro Lucifero, lo ha abbracciato e gli ha detto: "Bravo, tu hai sorpassato tutte le mie previsioni", poi ha tenuto un discorso al suo regno d’inferno e ha detto: "Io non sono più degno di essere vostro presidente, d’ora in poi vostro presidente sarà Enver Hoxa, con questa motivazione: ne ha ammazzato centomila, la maggior parte senza processo, con veleni ed incidenti organizzati, ha imprigionato cinquecentomila persone e ne ha deportato circa un milione, ha fatto quello che non ha fatto nessuno, ha promulgato il primo stato ateo nella storia umana".

Come vedete l’Albania è la più ammalata, ma è anche la più piccola, e il mondo occidentale che si è impegnato ad aiutare tutti i paesi ex comunisti, deve dare la precedenza alla mia piccola Albania per poter rinnovare le suore, i sacerdoti, e la nuova classe intellettuale, dato che mancano completamente. Faccio appello a tutti perché aiutate la mia Albania in qualunque modo, ma prima di tutto noi abbiamo bisogno di borse di studio, perché il pesce che ci darete lo mangeremo per un giorno, ma noi vogliamo imparare come viene pescato questo pesce, e ci vuole un’équipe intellettuale.

 

NOTE

(1) Karol Woytyla, Segno di contraddizione, 1976, pp. 18-19.

(2) Che dire degli occidentali suggestionati e malati per il comunismo? Dirò una sola cosa: ci sono dei nostri capi comunisti, primo fra tutti Gorbaciov, oppure Eltsin e tanti altri, che hanno apertamente fatto l’autocritica e hanno respinto il comunismo e le sue aberrazioni. Non conosco, almeno io, fra gli occidentali, pensatori cattolici ed ecclesiastici, che abbiano ammesso apertamente di aver sbagliato. E pensare che non solo si sono ingannati loro, ma hanno ingannato i loro seguaci! Che abisso! Un certo apostolo Paolo spiega questi abbagli dicendo di stare attenti perché "l’angelo delle tenebre si trasforma in angelo di luce".

 

In Albania nella diocesi di Scutari, dove è presente Padre Jubani, sono necessarie borse di studio, soldi, medicinali, alimentari a lunga conservazione, vestiario, ecc. Il punto di raccolta è la Caritas di Cividale del Friuli, alla quale si accede tramite la sede della Compagnia delle Opere di Trieste (aperta nel pomeriggio: tel. 040/307208). Per la Bulgaria, il punto di riferimento è la Compagnia delle Opere di Pesaro, via Vincenzo Rossi, 2 (tel. 0721/410088).