sabato 1 settembre, ore 15.00

OMAGGIO A SACHAROV

Partecipano:

Vittorio Strada

Ordinario di Lingua e Letteratura russa all’università di Venezia

Irina Alberti

Direttrice della rivista "La pensée russe"

Elena Bonner Sacharova

Esponente del Movimento per i diritti civili in URSS

Modera:

Paolo Liguori

P. Liguori:

Grazie anche a nome dei nostri ospiti, che sono molto colpiti da questa nostra accoglienza; ma il tema che vogliamo affrontare non meritava di meno, quindi ritengo sia giusto e importante che il Meeting viva un momento così. Lo dico in parte da addetto ai lavori, avendo seguito le vicende sui giornali e partecipato in qualche modo, in questi anni, a quello che era il difficile "omaggio a Sacharov", un uomo che ha avuto un'importanza straordinaria nella storia del suo Paese e del nostro mondo. Perché, per fortuna, le esperienze corrono e si scambiano, non solo quando sono negative, ma anche quando sono positive, come testimonianze di una vita e una realtà che si muove. Il tema è molto impegnativo, si tratta di un omaggio che forse non siamo in grado di fare. Qui con me c'è Irina Alberti, che da anni voi conoscete bene. E se rendere omaggio a Sacharov è difficilissimo, forse l’unica persona adeguata a tenere il livello di questo tema sarà Elena Bormer, che non vi parlerà di ciò che è stato suo marito ma di c’è oggi l’URSS, di che cos’è oggi la realtà per cui lui ha lavorato tutta una vita. Il tempo è poco perché ci sono tante persone interessanti da sentire, ma voglio introdurre riferendovi quello che Elena Bonner ha detto poco prima di venire qua, perché ritengo sia una sintesi brillante ed opportuna. Oggi noi abbiamo a che fare - al di là del mito, al di là di personalità come Sacharov o altri dissidenti, che hanno pagato di persona per difendere alcune libertà in un regime totalitario come quello dell’URSS - con una realtà diversa, di cui spesso il mondo occidentale non vuole rendersi conto. Il mondo occidentale preferisce continuare nel mito; spesso per noi che apparteniamo al mondo dell’informazione c’è stato il mito dei dissidenti, positivo o negativo, ignorato o denigrato. Ebbene, questo nostro mondo è passato direttamente ad interpretare la realtà sovietica attraverso il nuovo mito, Gorbacev, perché, come sempre, ci vuole un eroe che impersoni il cambiamento. Elena Bonner ha spiegato prima, durante la conferenza stampa, che oggi il problema è cambiato, il periodo dei dissidenti è finito e se n’è aperto uno molto più importante, al quale dovremo prestare più attenzione. Si tratta del periodo in cui uno Stato, tuttora ispirato a criteri che espropriano il cittadino della sua libertà, si trova a che fare direttamente con la gente che prima, nell’Unione Sovietica comunista tradizionale, era ignorata e che oggi ha più possibilità di dire la sua e di avere voce in capitolo. Questa semplice realtà dell’oggi è la realtà quotidiana che dobbiamo analizzare e con cui dobbiamo fare i conti, rinunciando agli eroi. Da questo punto di vista parliamo di Sacharov, che ha contribuito a fare in modo che si arrivasse a questo. Su Sacharov, proprio in questi ultimi mesi, sono emerse cose molto interessanti e credo che quest’incontro possa essere l'importante occasione per citare le memorie che egli ha scritto, iniziando prima degli anni di Gorkij e terminando dopo, che hanno al centro questi anni di prigionia e di esilio. Queste memorie adesso rappresentano un caso, sono il caso della sua esperienza e un caso editoriale: per questo credo che la persona più adatta a parlarne sia il professor Strada.

V. Strada:

Grazie. Ho finito proprio ieri di leggere il primo volume delle memorie di Sacharov, un volume di più di 800 pagine, che ho letto nel corso di due o tre giorni senza quasi staccarmi, per poterne parlare con voi. Il libro è così ricco, sia per la personalità dell’autore, sia per le figure dei problemi, dei temi, delle idee che costituiscono lo sfondo, l'ambiente, il mondo russo e non solo russo degli ultimi decenni, che per parlarne in modo adeguato il tempo è stretto. Allora, proprio per non disperdermi, io ho pensato di concentrare un ritratto, una sintesi di questo straordinario libro delle memorie di Sacharov, che arrivano fino alla fine del periodo del confino di Gorkij. Il secondo volume, invece, tratterà gli ultimi cinque anni della vita di Sacharov: il Sacharov restituito alla sua attività e alla sua città. Si tratta di una parte non ancora arrivata, che non conosco, e che attendo con impazienza di leggere. Ho pensato, per offrirvi una sintesi essenziale, interessante e intensa, di scrivere alcune paginette e di leggervele, con la premessa che si tratterà, naturalmente, di un impoverimento inevitabile: ma credo di aver colto il nucleo della personalità di Sacharov, così come si esprime e manifesta nel primo volume delle sue memorie. Andrej Sacharov racconta che suo padre, fisico anche lui, scrisse tra l’altro un libro intitolato "La lotta per la luce". Si tratta di un’opera divulgativa che racconta la storia degli apparecchi di illuminazione, dall'antichità ai nostri giorni. Credo che in questo stesso modo potrebbe intitolarsi anche il libro in cui Sacharov, fisico ben più illustre di suo padre, ripercorre con la memoria l’intera propria vita. Una vita che è un'autentica lotta per la luce, se s’intende la parola luce non più in senso fisico ma in senso spirituale, morale e anche politico. Potremmo anche definire la vita di Sacharov come una lotta per la liberazione, la liberazione di sé come condizione per operare per la liberazione di tutti. Ma rispetto a quale oscurità si svolge questa lotta per la luce, rispetto a quale servitù avviene questa auto-liberazione? Anche senza aver letto le memorie di Sacharov, e conoscendo genericamente la sua biografia, è evidente che egli si è emancipato da quel sistema di potere comunista di cui, in un primo e decisivo momento, egli era stato non semplicemente una parte eclatante ma una parte di estrema rilevanza, in quanto scienziato di prima grandezza e principale autore dell’armamento nucleare sovietico. Da questo punto di vista, l'auto-liberazione di Sacharov, quel processo cioè attraverso il quale egli, come testimonia in questo suo libro, conquista una piena indipendenza etico-politica, costituisce semplicemente un frammento di un’esperienza più grande, partecipata da altri suoi contemporanei e connazionali che hanno saputo superare gli stessi schemi oppressivi della loro formazione sovietica. Il caso di Alexander Solgenicyn è forse il più importante tra questi: e qui non lo ricordo a caso, perché poi riparlerò dello scrittore come ne parla lo stesso Sacharov nelle sue memorie, per vedere alcuni punti di convergenza e di divergenza. Ma già fin da ora è chiara una differenza biografica essenziale tra questi due grandi russi: Solgenicyn è passato attraverso l'inferno del gulag e lì ha temprato la sua opposizione al comunismo, mentre Sacharov è stato un membro del ceto privilegiato del regime, un membro di particolare importanza di quella comunità di scienziati di cui il regime comunista aveva un vitale bisogno per la sua guerra contro l’Occidente. Il percorso di Sacharov verso la luce e la liberazione non poteva dunque non essere diverso da quello di Solgenicyn e di altri, dovendo egli staccarsi da un ambiente che, come scienziato creatore, gli era congeniale, rinunciando ai privilegi che il suo status gli garantiva. Sorge allora una domanda: dove ha attinto Andrej Sacharov le energie dell’auto-liberazione e della lotta per la liberazione? Di dove gli è venuta la forza della sua resistenza? Una prima risposta a questa domanda Sacharov stesso ci aiuta a trovarla quando parla dei suoi antenati, e così rievoca una pagina minore ma significativa di quell’intellighenzia che costituiva anche uno dei maggiori motivi di vanto della storia russa pre-rivoluzionaria. Un’intellighenzia democratica che, è vero, in parte condivise le illusioni rivoluzionarie e pagò a carissimo prezzo i suoi generosi e avventati impulsi, con infinite vittime e con la perdita di quella libertà che costituiva la condizione della sua stessa vita, oltre che di quella di tutto il popolo. E’ quella cultura russa libera che formò il terreno nutritivo di Andrej Sacharov, e che a lui come a tanti altri ha offerto un aiuto prezioso, una sorta di antidoto contro i veleni dell’ideologia comunista. Naturalmente - e ciò vale in particolare per Sacharov - la cultura russa libera non può essere interpretata come un fenomeno angustamente nazionale, ma è parte della cultura europea: in questo senso Sacharov fu russo ed europeo. In una pagina Sacharov ricorda come i suoi genitori fossero, sono sue parole, semplicemente persone di cultura russa, in un’epoca in cui, da prima degli anni Venti, le parole Russia e russo suonavano in modo quasi indecente, poiché l’ideologia internazionalista sovietica vi sentiva qualcosa di contro rivoluzionario mentre poi, a partire dalla metà degli anni Trenta, le idee nazionali russe - sono sempre parole di Sacharov - cominciarono ad essere usate insistentemente dalla propaganda Ufficiale, non solo per la difesa del Paese, ma anche per giustificare il suo isolamento internazionale, la lotta contro il cosmopolitismo, ecc. L’umanesimo della cultura russa, che è umanesimo cristiano, fu quindi la prima fonte della personalità morale di Sacharov che emerse, come vedremo, in un momento di crisi della sua esistenza. L’altra fonte complementare a questa è di natura religiosa. Sacharov racconta dell’educazione cristiana che ricevette dalla madre, dell’abbandono della fede, che egli compì all’età dei 13 anni, nell’atmosfera generale in cui viveva, del Paese e della sua posizione finale, che è quella di rifiuto di ogni dogma e di avversione - come egli scrive - verso le Chiese ufficiali, e soprattutto quelle che hanno una forte coesione con lo Stato e che si distinguono soprattutto per la ritualità, o per il fanatismo e per l’intolleranza. "Ma", egli aggiunge "nello stesso tempo non posso immaginare l’universo e la vita umana senza un principio che dia loro un senso, senza una fonte di calore spirituale che si trovi al di là della materia e delle sue leggi. Credo che questo sentimento possa essere definito religioso". La religiosità di Sacharov è dunque diversa - come egli stesso scrive in un punto delle sue memorie - da quella rigorosamente definita, e non semplicemente intima, di Solgenicyn.Da questa premessa essenziale dello sviluppo spirituale di Sacharov, passiamo direttamente al momento cruciale della sua esperienza di scienziato, creatore della bomba termonucleare sovietica. Quando nel dopoguerra incomincia a lavorare a quest’impresa, egli è convinto della giustezza della politica sovietica di riarmo atomico e lo spiega ampiamente nel suo libro. In pagine di grande vigore, egli ricorda con emozione quella che chiama "1a tragedia di Oppenheimer", il fisico americano che nel 1943 assunse la direzione del centro di Los Alamos, dove furono costruite le prime bombe atomiche. E ricorda anche con comprensione la figura dell’oppositore di Oppenheimer, il fisico Edward Teller. In un certo senso e in modo del tutto particolare, la drammatica dialettica di posizioni tra i due fisici americani si svolse nell’animo stesso di Sacharov, il quale però viveva in una situazione radicalmente diversa da quella americana, come risulta emblematicamente chiaro già dalle pagine in cui egli descrive il centro scientifico segreto in cui lui e i suoi colleghi svolgevano le loro ricerche per la preparazione della bomba. Centro che era attiguo a un lager di schiavi del gulag, per cui ogni mattina il giovane scienziato vedeva le lunghe file dei deportati condotti al lavoro sotto la sorveglianza dei soldati e dei loro cani. In queste condizioni Sacharov, ancora immune da dubbi e dedito interamente al suo lavoro, portò a compimento la sua ricerca. Il coronamento della sua attività consiste nella prima esplosione termonucleare sovietica. Il 12 agosto del 1953, l’anno della morte di Stalin, è l’anno in cui Sacharov, all'età di 32 anni, divenne membro dell’Accademia delle Scienze dell’URSS, il più giovane degli insigniti di questo riconoscimento. Impressionanti e letterariamente colti in modo magistrale sono due particolari su cui si ferma l’attenzione di Sacharov. Egli racconta di essere stato convocato, prima dell'esplosione, da Beria, il terribile capo della polizia politica staliniana che supervisionava il lavoro dei costruttori dell’armamento termonucleare. "Al momento del congedo - scrive Sacharov - egli mi diede la mano, che era grassotta, leggermente umida e cadavericamente fredda e- aggiunge - solo in quel momento capii che stavo a tu per tu con un uomo tremendo". Un altro particolare forte che resta nella memoria si trova subito dopo la descrizione del test nucleare, quando Sacharov è festeggiato e abbracciato dal generale Malisev, che per quell'enorme "contributo, alla causa della pace", come la chiamò, si avvicina al luogo dell’esplosione, dopo aver indossato naturalmente una tuta protettiva. A un tratto il fuori strada su cui lui e gli altri viaggiavano si arresta, per terra giaceva un'aquila con le ali bruciacchiate, scrive Sacharov, cercava di volare ma non ci riusciva, i suoi occhi erano torbidi, forse era cieca. Un ufficiale uscì dalla macchina e con un vigoroso colpo del piede la uccise, ponendo fine ai tormenti dell’infelice uccello. Sacharov conclude questo episodio dicendo di aver poi saputo che in ogni test muoiono milioni di uccelli che, quando avviene l’esplosione, si alzano in volo, ma poi cadono ustionati, accecati. Ma questi due particolari così incisivi, la mano cadavericamente fredda di Beria e l’aquila cieca e riarsa nella steppa del Kazakistan, sono come due orrendi emblemi del mondo da cui Andrej Sacharov seppe evadere e contro il quale seppe combattere. E’ impossibile naturalmente seguire questa auto-liberazione in tutta la sua ascesa fino alla luce della piena coscienza e della completa opposizione; mi intratterrò solo su un episodio che per Sacharov stesso fu estremamente significativo, durante una festa che il dirigente militare dei test nucleari organizzò per il felice esito della prima esplosione. Naturalmente il primo brindisi fu proposto a Sacharov, il quale disse: "Propongo di bere affinché i nostri prodotti" (così in gergo sono chiamate le bombe che uno ha prodotto, gli ordigni nucleari) "esplodano con lo stesso successo di oggi sui poligoni, ma mai sulle città". "Dopo queste parole - scrive Sacharov - calò il silenzio come se avessi pronunciato qualcosa di indecente". Ma il responsabile militare riprese subito in mano la situazione con un altro brindisi, raccontando una sorta di storiella, di parabola tra il blasfemo e lo sconcio, il cui senso - scrive Sacharov - fu chiaro subito a tutti i presenti. Il senso era il seguente: "Noi inventori, scienziati, ingegneri, operai avevamo fatto un'arma terribile, la più terribile della storia dell'umanità, ma il suo uso sarebbe stato totalmente fuori del nostro controllo. A decidere sarebbero stati loro, quelli che erano al vertice del potere, della gerarchia partitica e militare". "Certo, per capirlo lo capivo anche prima, non ero ingenuo a tal punto. Ma, - continua Sacharov - un conto è capire, un altro è sentire con tutto il proprio essere ciò, come una realtà di vita e di morte. I pensieri e le sensazioni che si formarono allora, e che da allora non si sono attenuati, assieme ad altri, arrecati dalla vita, negli anni successivi portarono a un mutamento di tutta la mia posizione". La seconda parte del primo volume delle memorie documenta questo mutamento di tutta la posizione di Andrej Sacharov, la sua sempre più chiara consapevolezza delle catastrofiche conseguenze della guerra atomica e soprattutto della pericolosità della politica sovietica e della inumanità di un regime, quello comunista, fondato sulla sistematica negazione dei diritti umani e delle libertà civili. Non possiamo seguire questa evoluzione delle posizioni di Sacharov, evoluzione che non fu soltanto teorica, ma si concretizzò in un impegno pratico coraggioso, nella attuazione del quale gli fu preziosa compagna la seconda moglie Elena Bonner, alla cui straordinaria biografia e figura Sacharov dedica un bellissimo capitolo delle sue memorie. Prima di concludere, mi limiterò a ricordare un episodio cruciale, sia della biografia intellettuale di Sacharov, sia in particolare della nuova vita sociale, culturale e spirituale russa. I suoi complessi rapporti con Alexander Solgenicyn. Ciò che in Solgenicyn non piace a Sacharov è 1a perentorietà dei giudizi, l’assenza di sfumature, la mancanza di tolleranza verso le opinioni degli altri. Ciò che nella sua ideologia Sacharov non accetta è una sorta di "isolazionismo di principio, l’insufficiente attenzione ai problemi e ai destini degli altri popoli del nostro Paese, che non siano il russo e l’ucraino, e di quelli dei paesi esteri, e a volte gli elementi di nazionalismo russo, l’idealizzazione del carattere nazionale russo, della sua religione e del suo modo di vivere". Ma in un altro punto del libro, parlando di un suo incontro personale con Solgenicyn, Sacharov riferisce parole dello scrittore che dimostrano la maggiore chiarezza di idee che questi già aveva circa la realtà sovietica. Solgenicyn spiega a Sacharov che i capi sovietici "sono automi senz’anima che tengono stretto coi denti il loro potere e i loro privilegi; senza la forza non allenteranno la presa". Inoltre Solgenicyn critica Sacharov per aver "minimizzato i delitti di Stalin e per aver erroneamente separato da lui Lenin, mentre - sostiene giustamente Solgenicyn - si tratta di un unico processo di distruzione, di pervertimento, che è cominciato fin dai primi giorni della rivoluzione e continua tuttora. I mutamenti di proporzione e di forme, in questo unico processo di distruzione e di pervertimento, non hanno un valore di principio". Solgenicyn ricorda a Sacharov, in questo colloquio avvenuto quando Solgenicyn era ancora in Russia, che la cifra delle vittime dei lager sovietici, da Sacharov indicata in 10 milioni circa, è di molto inferiore alla realtà. E riferendo i dati di uno studioso di statistica, gli dice che le vittime del terrore comunista assommano globalmente a 60 milioni. Penso che si possa giungere ora a una qualche conclusione. Le memorie di Andrej Sacharov sono uno splendido autoritratto sullo sfondo terribile di un’intera epoca storica. L’autoritratto di un uomo eccezionale, che operò sempre con probità di coscienza e che seppe superare una parte della sua stessa vita, quando gli divenne chiaro che continuarla sarebbe stato un’imperdonabile colpa, una colpa che però i suoi colleghi accademici commisero senza alcun rimorso, abbandonando Sacharov al suo destino di lunga persecuzione. Il successivo volume delle memorie, quello dedicato al periodo posteriore alla liberazione dal confino di Gorkij, mostrerà un Sacharov che, anche quando vede le sue idee, o certe sue idee, ormai riconosciute, non cessa la sua lotta anche contro Gorbacev e la continua, anzi, con nuovo vigore. Andrej Sacharov, con Alexander Solgenicyn e infiniti altri russi, noti e ignoti, sono stati i veri iniziatori della vera perestrojka, della vera liberazione dai miti e dai dogmi disastrosi del comunismo. In questo senso, nonostante le differenze che esistono tra loro e che testimoniano anch’esse la libertà riconquistata in una pluralità di posizioni, entrambi sono la più alta testimonianza della rinascita cristiana e laica della Russia, del suo ritorno in seno alla cultura e alla vita europea, in un mondo turbolento, ma meno lontano dalla pace di quanto non lo fosse alcuni anni fa. Di questa nuova Russia e di questa nuova Europa, le memorie di Andrej Sacharov, e naturalmente il loro eroe e protagonista, restano uno degli emblemi più luminosi. Grazie.

P. Liguori:

La testimonianza del professor Vittorio Strada è stata sulle memorie, su questo libro autobiografico molto importante, ancora non disponibile da noi, ma che sicuramente farà discutere molti quando sarà pubblicato. La testimonianza di Irina Alberti, invece, vuol essere sull’uomo Sacharov, sull’importanza che quest'uomo ha avuto per la battaglia, già accennata nelle conclusioni del professor Strada, nel suo Paese, ma anche per la battaglia che noi abbiamo condiviso, e ancora vogliamo condividere, con la gente del Paese di Sacharov.

I. Alberti:

La mia sarà una testimonianza brevissima, perché la cosa più importante è far parlare la signora Elena qui presente. Ogni volta che penso ad Andrej Sacharov - e ci penso spesso, e spesso prego per lui, come penso a tutti i suoi connazionali - mi torna in mente quella parola del Vangelo che afferma che non c’è amore più grande di quello di chi dona la sua vita per gli altri. Effettivamente, se si dovesse cercare di riassumere quella che è stata la figura, l’opera e la vita d’Andrej Sacharov, che si fondono in una cosa sola, perché non c’è mai scissione o differenza fra queste tre componenti, penso che questa frase sia il riassunto e la descrizione migliore che se ne possa dare, perché, in effetti, tutta la sua vita è stata un sacrificio, fino in fondo, fino a rischiare la morte, continuamente, per aiutare gli altri. E questo sacrificio era sempre basato sull’amore per le persone, per la gente, per ogni singola persona. Io ricordo molto bene l’anno in cui ho avuto la fortuna enorme di conoscerlo e di essere a contatto con lui un anno solo praticamente, perché lo fecero uscire per la prima volta dall’Unione Sovietica alla fine dell’88, e poi nell’89 ebbe svariate occasioni di andare in Occidente, tra l’altro venne in Italia e fece un viaggio attraverso l’Italia, con un bellissimo incontro con i giovani di C.L. all’università di Bologna. Mi ricordo che, uscendo, lui mi disse: "Ma che bella gioventù è questa". In quell'anno io ho avuto questa fortuna di avvicinarlo e di osservarlo, e quello che più mi colpiva di lui, sempre era questa sua incredibile capacità d’attenzione, di rispetto e d’amore, veramente d’amore, per ogni manifestazione della vita e per ogni essere umano che incontrava. Incontrava tanta gente, perché la gente veniva verso di lui: lo riconoscevano per la strada, sui treni, nelle stazioni ferroviarie, dappertutto. Venivano a dirgli che erano fieri, onorati di stringergli la mano e lui aveva, non fosse che per un attimo, perché spesso non poteva essere più di un attimo, sempre quel momento d’attenzione completa per la persona che gli parlava, come se questa persona fosse l’unica che in quel momento esisteva al mondo. Mi colpì molto, perché avevo notato questa stessa capacità d’attenzione, pazienza e forza in Giovanni Paolo II. Anche in Sacharov ho osservato questo vero talento, con modestia, con estrema umiltà, per cui lui guardava all'altra persona come se fosse tutto quello che c’era d’importante al mondo. E penso all’enorme lotta che lui ha condotto nelle condizioni più incredibili, attraversando tutta l’Unione Sovietica, per mettersi spesso davanti - neanche dentro, perché molto spesso non lo lasciavano entrare - le sale dei tribunali dove venivano processati i dissidenti, oppure andando a trovare qualcuno che si trovava in esilio, Dio solo sa dove; a questa sua forza nell’affrontare le autorità, la forza che egli ha avuto nel rinunciare a tutto quello che gli offrivano il suo genio scientifico e la posizione offertagli dal regime, che ci tiene molto ai grandi scienziati, ed era disposto a dargli ogni privilegio, ogni vantaggio possibile, se avesse accettato di occuparsi solo di scienza. Ma lui ha rinunciato volontariamente a questo ed ha affrontato quello che sapeva bene sarebbe stato un cammino difficile e che effettivamente in certi periodi è stato un cammino di vero martirio, perché quello che ha vissuto a Gorkij è stato un martirio: tutto questo l’ha affrontato per amore dell’uomo, e ogni uomo era per lui ugualmente importante. Un’altra cosa che mi torna in mente sempre quando penso ad Andrej Sacharov è questa. C’è uno scrittore francese, André Frossard, che ha scritto molto su Giovanni Paolo II: descrivendo una conversazione con il Papa, Frossard racconta che lo stupì molto la risposta che il Papa diede alla domanda su quale fosse la massima, il pensiero più importante contenuto nel Vangelo. Dice Frossard che si aspettava svariate risposte, ma assolutamente non quella che il Papa gli diede: "La cosa più importante è 1a verità vi renderà liberi". Questo è il secondo pensiero che mi viene sempre in mente in relazione a Sacharov, perché per lui si è veramente verificato questo. La sua ricerca, il suo amore della verità, questo bisogno assoluto di verità, l’ha portato da un lato alle più grandi difficoltà, sofferenze e, dal punto di vista della vita concreta, pratica, alla quasi schiavitù o alla prigionia, soprattutto nel periodo di Gorkij, ma anche in altri momenti della sua vita. Nello stesso tempo, lo ha portato alla totale e assoluta libertà, che egli ha conquistato dentro di se, alla quale ha improntato tutta la vita e che ha cercato di comunicare, facendone dono alle persone intorno a lui. Siccome non ho il tempo di raccontarvi molto di questi incontri, di questi contatti che ci sono stati - anche se mi piacerebbe farlo, un giorno - vorrei dire questo, per concludere e per lasciare la parola alla signora Elena, che è stata la sua inseparabile compagna, la persona che egli ha più amato al mondo, che ha combattuto con lui la sua battaglia e continua a combatterla. Ecco, vorrei dire di quella meraviglia, quel senso di un miracolo che si compiva che, credo, ha riempito i cuori di tutti noi, che avevamo seguito la vita e la lotta di Sacharov, quando, dopo che egli era tornato in libertà e dopo che era diventato una persona che aveva il diritto a partecipare alla vita pubblica, dopo la sua elezione al Congresso dei Deputati del popolo dell’URSS, egli ha incominciato a parlare in modo tale che tutto il Paese lo potesse sentire. E parlava esattamente come aveva sempre parlato, ma questa sua nuova posizione gli dava la possibilità di farsi ascoltare da tutto il Paese. E abbiamo visto come tutto il Paese si girasse, piano piano, verso di lui, proprio come quelle piante che si girano seguendo il sole. A che cosa reagiva la gente rispondendo così a Sacharov? Reagiva alla sua immensa bontà, a questa capacità d’amore di cui parlavo prima, ma reagiva soprattutto al bisogno di verità, e alla consapevolezza che lui era, in ogni caso, portatore della verità. In questo senso è emblematico quello che gli dicevano gli operai, i minatori che si accingevano a cominciare la lotta della quale oggi, alla conferenza stampa, ci parlava la signora Elena: gli dicevano che volevano che lui si candidasse alla presidenza del Paese, perché a lui loro credevano. Gli dicevano proprio queste parole: "A lei crediamo e possiamo credere, perché lei non ha mai mentito". In quella situazione apparentemente così disperata la gente di quel Paese dove era stata tolta l’informazione, dove era stato precluso l’accesso a quelle che sono normalmente le fonti per crearsi dei criteri, dei giudizi, aveva reagito con una sicurezza, con un istinto infallibile, a quel messaggio, alla voce di verità che era Sacharov. Del resto, io penso che il fatto che lui sia stato un così geniale, enorme scienziato - del quale molti dicono che con 20, 30 anni d’anticipo avesse previsto scoperte che poi sono state ufficialmente confermate e che, nel momento in cui le faceva, stupivano - fosse dovuto a questo suo genio della verità. Io credo che quello che ha dato alla Russia Sacharov non si possa misurare, né esprimere in parole: ma ha dato così tanto a tutto il mondo, a tutta l’umanità, che effettivamente ogni nostro omaggio, qualsiasi cosa noi possiamo dire, sarà sempre insufficiente. L’unica cosa che possiamo fare, probabilmente, è cercare di capire quelli che erano i suoi criteri, il suo pensiero, la sua visione del mondo e, nella misura del possibile, realizzarli nella vita dei nostri rispettivi Paesi, delle nostre società. Vi ringrazio molto.

P. Liguori:

Abbiamo parlato finora di Andrej Sacharov: è venuto il momento che parli Elena Bonner, non di Andrej Sacharov, ma del Paese nel quale Sacharov ha vissuto e ha lottato, ha combattuto al di là dei miti, al di là delle mitologiche immagini offerte a piene mani dall’informazione, nel nostro mondo occidentale.

E. Bonner Sacharova:

Io vorrei parlarvi oggi del mio Paese, di quel Paese che occupa un sesto del territorio del globo terrestre, nel quale vivono 280 milioni di persone e più di cento nazionalità diverse. Quella che è stato definito la perestrojka ha creato in Occidente una certa atmosfera di adorazione e di grande fede nel nostro Paese. E l’Occidente non ha saputo, non ha voluto rendersi conto del fatto che noi siamo uno dei paesi militarmente più potenti del mondo, con una popolazione che vive in condizioni di estrema povertà. L’Occidente non vede che il nostro Paese è diventato una zona di catastrofe ecologica. E si pensa, in Occidente, che questo processo che viene chiamato perestrojka vada avanti senza spargimenti di sangue, mentre nel nostro Paese sono morte già migliaia di persone. Vorrei dire alcune parole sulla situazione economica di popoli dell’Unione Sovietica. Non so da dove è venuta la cifra di 78 rubli come minimo indispensabile per la vita nel nostro Paese. Ma anche se accettiamo questa cifra come valida, sappiamo che nell’Asia centrale, in particolare nell’Uzbekistan, il 58% della popolazione vive al di sotto di questo margine, nel Tagikistan il 47% e nell’Azerbajgian il 33%. Per fare un paragone, vi dirò che in Russia il numero delle persone che si trovano sotto questo margine equivale al 6% e nei Paesi Baltici al 3%. Ma questo non significa che la popolazione della Russia abbia depredato l’Asia Centrale. E’ il risultato tipico di una politica coloniale estremamente dura dal centro; grazie, o in conseguenza, a questo sistema, quello che è successo è che, da una parte, la gente si è tragicamente impoverita, dall’altra è venuta su una nuova classe estremamente ricca. Nelle repubbliche delle zone musulmane succede anche che, oltre all’estrema povertà, ci sia un altissimo tasso di malattie dovuto all’uso di prodotti chimici nei campi. Più della metà dei giovani richiamati alla leva soffrono di gravi malattie del fegato, dovute all'uso di pesticidi. In queste regioni, ogni donna incinta per la seconda volta abortisce. Ed è successo anche che l’irrigazione mal fatta abbia portato alla sparizione del mare di Aral, e di conseguenza enormi territori sono completamente intrisi di sale. Per cui il latte materno è diventato veleno per i neonati. In un bicchiere di latte materno il contenuto di sale è alto quanto quello della soluzione di sale che si usa come purga per i malati. Di conseguenza, se un bambino viene nutrito con questo latte, arriva molto rapidamente alla disidratazione e alla morte. Per quanto riguarda la mortalità infantile, l’Unione Sovietica si trova al 53° posto nella graduatoria dei Paesi del mondo. Ma ci sono parti del Paese dove l'indice è due volte più alto. Un’altra parte del nostro Paese, dove vivono più di quattro milioni di persone, è colpita dalle radiazioni. Avete tutti sentito parlare di Chernoby1, ma temo che non tutti sappiano che per ben quattro anni la popolazione di questa zona è vissuta senza sapere il pericolo che la minacciava e quello che realmente era successo. E continuano a vivere su queste terre. Si è tentato di dare un aiuto, nel senso di portare via i bambini di queste zone per un po’ di tempo, in Occidente, in Europa, farli stare lì tre settimane, un mese: ma di fronte all’enormità del problema, questo è un debolissimo palliativo. C’è tutta una vasta zona del Paese colpita da radiazioni di una tale intensità da non permettere più la vita in queste regioni. Eppure la gente ci vive. E’ una vera e propria catastrofe ecologica, che proviene dall’Unione Sovietica e che si muove verso l’Occidente: e, che lo vogliamo o no, l’Occidente ad un certo punto dovrà affrontare questa realtà. I cinque anni di perestrojka non hanno cambiato nulla in questo senso. E adesso parliamo delle particolarità della vita odierna del nostro Paese, per quanto riguarda le varie nazionalità. In cinque anni non ci sono stati cambiamenti della struttura costituzionale, per quanto riguarda le varie nazionalità del nostro Paese. Al contrario, quando gli armeni hanno chiesto che la regione del nuovo Karabak fosse riunita all’Armenia - richiesta totalmente legittima e giusta - c'è stata una fortissima reazione negativa del governo centrale. Poiché il governo centrale non ha saputo o non ha voluto risolvere questo conflitto in modo parlamentare, si sono prodotti degli incidenti gravissimi, degli scontri sanguinosi in svariate città. Qualche tempo fa, in Inghilterra, è uscito un libro dove si descrive accuratamente, in modo molto convincente, come il governo sappia aizzare la gente, farli entrare in conflitto uno con l’altro, svegliare gli odi nazionali e religiosi. Così, a seguito di questa politica completamente sbagliata nel campo dei rapporti tra le varie nazionalità, il nostro Paese è diventato, in tempi di pace, un Paese di profughi. Ne abbiamo in questo momento circa un milione. Ma tutti ci dicono che nei prossimi mesi, anche molto presto, il numero di questi profughi all’interno del Paese potrebbe anche raggiungere i cinque milioni. I profughi del nostro Paese non hanno alcuno status ufficiale. E non possono avvalersi dell’aiuto della organizzazione internazionale per l’aiuto ai profughi che esiste all'interno dell’Organizzazione per le Nazioni Unite. Perché sono profughi tutti particolari, in quanto si trovano all'interno del proprio stato e quindi ufficialmente si ritiene che siano sotto la protezione del governo di questo stato. E così sono passati cinque anni di perestrojka. Si distinguono da tutti i precedenti piani quinquennali che abbiamo già vissuto, solo per il fatto che il nostro sistema economico e la vita della gente si stanno letteralmente sgretolando. In questi cinque anni, il governo centrale non ha fatto un solo passo verso una ristrutturazione economica del Paese. Ne troviamo una conferma indiretta nel fatto che solo nel luglio di quest’anno è stata creata un'apposita commissione che dovrebbe elaborare per ora solo il concetto della riforma economica da attuare. E così anche il governo, in questi cinque anni, non ha fatto un solo passo nella direzione di una ristrutturazione politica del Paese, che ci potesse liberare da questo peso terribile dell’odio reciproco fra le nazionalità. Solo adesso, alla fine del mese di luglio e per l’esattezza il 25, sono cominciate le consultazioni a livello delle singole repubbliche, fra i governi, per cercare di trovare e di mettere a punto un sistema di rapporti reciproci fra queste repubbliche. E le persone stesse che si occupano di queste consultazioni realmente non sanno cosa devono creare per cui un giorno parlano di federazione, un giorno parlano di confederazione, ma regna la confusione più totale. I cinque anni della perestrojka sono stati per noi quello che usiamo chiamare una lunghissima costruzione: si tratta di quelle costruzioni, frequenti in Unione Sovietica, che non venivano mai portate a termine. Ecco, la perestrojka si è trasformata in questo. E io penso che la parola con cui definiamo queste interminabili costruzioni dovrebbe diventare presto, da voi in Occidente, altrettanto nota che la parola perestrojka. E’ un tipo di costruzione che moralmente non ha più valore, ancora prima che si cominci a costruire fisicamente. Quando mettono i primi mattoni, l’edificio già non serve più a nessuno. Ma i dirigenti continuano a farsi dare ancora e ancora del denaro, per continuare a costruire qualcosa che ormai non serve più a nessuno. In quello che ho appena detto è contenuta una risposta indiretta alla domanda che mi viene continuamente rivolta: come deve aiutare l’Occidente? Non si può e non si deve mai aiutare una costruzione inutile. Non mi applaudite, perché abbiamo poco tempo. Allora, mentre il governo centrale va avanti con le sue costruzioni inutili, le singole repubbliche ne hanno avuto abbastanza. La nuova era è stata iniziata dalla Lituania. E dopo che la Lituania ha acclamato la sua indipendenza, dobbiamo considerare che la perestrojka è finita, qualunque cosa dicano i suoi dirigenti e qualunque cosa dicano i governanti occidentali. Che da una parte sembrava approvassero l’indipendenza della Lituania, e dall’altra parte dicevano ma no, ma no, ma perché avete tanta fretta? Aspettate. Se una donna che aspetta un bambino arriva dal ginecologo perché sta per partorire prima dei nove mesi, diciamo a sette mesi, il ginecologo non le dirà vattene a casa, è troppo presto; l'aiuterà a partorire. Dopo la Lituania, tutte le altre repubbliche hanno proclamato la propria indipendenza. Se ben ricordo, l'unica che non l’ha ancora fatto è il Kazakistan. Io non so se questo sia bene o male in senso politico e geografico, ma so che corrisponde alle aspirazioni dei popoli che vivono su quei territori. E qui mi sorge una domanda alla quale non riesco a trovare una risposta: perché l’Occidente ha questa paura, addirittura spasmodica, dello sviluppo di qualcosa di nuovo su quei territori? Perché i leader occidentali, dai socialisti fino ai democristiani, hanno così assolutamente bisogno che ci sia là, in quelle zone, il comunismo? Mi chiedo se non è un modo arcaico di pensare, una specie di abitudine per cui la gente dice "così abbiamo sempre pensato e quindi così continueremo a pensare". Dovranno però a un certo punto tenere conto di una realtà e cioè che noi non vogliamo più vivere in quel modo. Non avendo un’idea realista e concreta dell’Unione Sovietica, ma vivendo dentro una specie di mito del socialismo, l’Occidente da un lato si sottovaluta, dimenticando quello che proprio l’Occidente ha fatto perché la perestrojka diventasse possibile. E d’altra parte sopravvaluta terribilmente il ruolo di quell'uomo che viene chiamato architetto della perestrojka. Vorrei spiegarvi un po’ questo mio pensiero. In questi anni ci sono stati cinque cambiamenti reali: la glasnost o la libertà di informazione; la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo; la liberazione dei prigionieri di coscienza; la facilitazione dei viaggi in Occidente e della partenza di sudditi sovietici dall’Unione Sovietica; l’uscita dell'esercito sovietico dall’Afganistan e alcuni passi reali nel campo del disarmo. Per tutto il periodo della guerra fredda, e poi della distensione, e poi di nuovo della guerra fredda, l’Occidente ha fatto pressione sull’URSS affinché avvenissero i cambiamenti in quest'era. Ma appena la pressione dell’Occidente è finita, appena è nato quello slogan - non date fastidio, non disturbate Gorbacev - tutto si è fermato. Dunque possiamo attribuire almeno una parte delle responsabilità per l'arresto della perestrojka, proprio all’Occidente e alla sua debolezza. Adesso noi abbiamo la speranza di riuscire ad aiutarci da noi stessi. Io vivo di questa speranza, così come ne vivono molti miei amici. E vi ringrazio.