martedì 28 agosto, ore 11.00

KIEV, CRISTO E UNA GRANDE STORIA: L’ALTRA EUROPA

Partecipano:

Dimitrj Obolensky

Vice Presidente della British Academy

Andrzej Poppe

Docente di Storia Medioevale e Paleografia cirillica presso l’università di Varsavia

Modera:

Alberto Savorana

A. Savorana:

Questo non vuole essere un incontro accademico, anche se abbiamo con noi illustri accademici e professori universitari. Non sarà la celebrazione o il ricordo di un passato che non c’è più, ma l’incontro con un pezzo della nostra storia, di quella storia che da duemila anni ha aggredito e trasformato un popolo, una cultura, una civiltà: un avvenimento che ha cambiato la storia. E’ grazie a questi pezzi di storia che noi oggi possiamo essere qui a parlare di questi contenuti, a mettere a tema l’esperienza religiosa dell’uomo, il suo bisogno di incontrare e conoscere il significato ultimo della realtà. Possiamo parlare di Cristo e di ciò che da Lui è venuto non come una dottrina o un discorso, ma come un avvenimento presente. Prima di cedere la parola ai nostri due ospiti, leggerò un breve brano che don Luigi Giussani, iniziatore del movimento ecclesiale di Comunione e Liberazione, ha scritto nel suo ultimo libro su quel momento, su quella fase della nostra storia che è l’epoca medioevale, di cui i nostri relatori ci parleranno in un suo aspetto particolare. "La cultura medioevale favoriva la formazione di una mentalità contrassegnata da una religiosità autentica. E una religiosità autentica è determinata da un'immagine di Dio come un orizzonte totalizzante d’ogni umana azione, e quindi da una concezione di Dio come pertinente a tutti gli aspetti della vita, sottendente ogni esperienza umana, nessuna esclusa, e quindi come ideale unificante. Questa realtà totalizzante è un’esperienza di Dio che c’entra con la vita". Per questo abbiamo invitato il Professor Dimitrj Obolensky, studioso inglese d’origine russa, emigrato giovanissimo in Occidente. Ha compiuto i propri studi a Parigi, poi Cambridge; ha insegnato Storia Medioevale Russa e Balcanica all’Università di Oxford, ha tenuto corsi di Storia Russa ed Europea presso varie Università Americane. Poi abbiamo un altro ospite, lo storico polacco Andrzej Poppe. Il suo campo di ricerca è la Russia Medioevale, sulla quale ha pubblicato vari libri in lingue diverse e numerosi articoli. Dal ‘73 è responsabile di "Russia Medioevale" ed è stato professore presso importanti Università tedesche oltre che Lettore all’Università di Mosca. Dopo questa breve presentazione, cedo subito la parola al Prof. Obolensky per la sua prima comunicazione.

D. Obolensky:

La tavola rotonda di oggi è stata intitolata dagli organizzatori del Meeting: Kiev, Cristo e una grande storia: l’altra Europa. Io prenderò da questo titolo i quattro elementi principali come punto di riferimento della mia presentazione di questa mattina. Prima di tutto Kiev. stato là, nel Monastero delle Grotte, mille anni fa, che è stata scritta la maggior parte delle cronache che hanno registrato la primissima storia del popolo russo e in particolare la sua conversione al cristianesimo. Si può presentare questo racconto come un'opera teatrale in tre atti. Nel primo atto, missionari di vari paesi arrivano tutti insieme a Kiev: ognuno di loro rappresenta le varie religioni. Tutti cercano di ottenere la fedeltà del Principe Vladimiro: l’islam, il giudaismo e il cristianesimo occidentale sono messi a confronto e a vincere è l’inviato greco di Costantinopoli. Nel corso del secondo atto, Vladimiro manda il suo stesso inviato fuori dal regno per esaminare e avere le prove di queste varie religioni. Quanto dice l’inviato al suo ritorno, quanto è raccontato sulla liturgia vista nella chiesa bizantina di Santa Sofia, è registrato dalla cronaca nel modo seguente: "I greci ci hanno portato nel luogo dove adorano il loro Dio. Non sapevamo più se fossimo nel cielo o sulla terra, perché sulla terra non esiste una tale visione e una tale bellezza, e non sappiamo nemmeno come descriverla. Noi sappiamo soltanto che là Dio vive con gli uomini." Nel terzo atto la scena si sposta da Kiev in Crimea. Vladimiro marcia contro la città di Cherson, che allora apparteneva all'Impero Bizantino, e dalla città conquistata invia un ambasciatore all’Imperatore chiedendo la mano di sua sorella, minacciando, in caso di rifiuto, di sottoporre Costantinopoli allo stesso trattamento che Cherson aveva già subito. L’Imperatore accetta e la Principessa bizantina, contro la propria volontà, è inviata in Crimea dove si sposa con Vladimiro che, in adempimento delle condizioni imposte dai bizantini, è battezzato dal vescovo di Cherson. Vladimiro e la sposa imperiale proseguono poi il loro viaggio verso Kiev, dove Vladimiro fa battezzare l’intera popolazione e fa dichiarare il Cristianesimo religione ufficiale. Non è mia intenzione sottoporre questo racconto ad una critica storica propriamente detta, ma qualunque sia il punto di vista che vogliamo adottare, non vi è alcun dubbio che Kiev, chiamata dagli storici russi "Madre delle Città Russe", abbia avuto un ruolo essenziale nella conversione al cristianesimo di quel popolo che allora era chiamato "Rus", vale a dire gli antenati dei tre rami degli slavi orientali: i grandi russi, i bielorussi e gli ucraini. Nella seconda parte della mia presentazione parlerò dell'accettazione da parte del popolo, di Cristo in quanto loro Signore e Salvatore. Le caratteristiche essenziali del cristianesimo vengono sostanzialmente messe in luce nei documenti di quel tempo: il cristianesimo è il Regno della Libertà, che Ilario (Primate locale della Chiesa Russa del tempo) mette in contrasto con il Regno della Legge, proprio come il Nuovo Testamento differisce dal Vecchio Testamento. Il cristianesimo è inoltre una religione dal significato cosmico: la Grazia di Cristo, i doni dispensati dal cristianesimo, coprono l’intera terra. I cristiani sono un nuovo popolo: "Laos Kainos", per usare un’espressione che noi troviamo nell'epistola a Barnaba. Il cristianesimo della "Rus" non è stato soltanto qualcosa di importanza nazionale, ma la parte di una religione universale, è stato parte della religione degli "Ekumeni". Non dobbiamo dimenticare che in questo periodo la Chiesa cristiana era ancora un unico corpo in cui non vi era né greco, né latino, ma piuttosto una cultura comune, una fede e un credo comune. Le cronache russe attribuiscono molta importanza, nel corso di questo processo, alla bellezza visiva. Ci sembra un po’ difficile accettare l’idea che Vladimiro abbia deciso in favore del cristianesimo greco unicamente sulla base della bellezza dei riti bizantini. Tuttavia io penso che la base di questa cronaca storica sia piuttosto certa ed in effetti illustra l’impatto, l’influenza potente che gli splendori di Costantinopoli avevano avuto sulle menti e sull’immaginazione del popolo russo. Quell’antica liturgia che ha colpito e, praticamente, ha mantenuto sotto incantesimo gli inviati di Vladimiro nella Chiesa di Santa Sofia, quella stessa liturgia che ha talmente ispirato gli storici dell’XI secolo, al punto tale da attribuire la conversione di un paese alla sua bellezza, probabilmente durante i giorni più oscuri della storia della Chiesa russa, negli anni Venti e negli anni Trenta del nostro secolo, ha veramente salvato la o gli storici del tempo. Per queste persone la forza traente della fede personale è stato il fattore decisivo. E sarebbe anche frettoloso considerare la conversione di Vladimiro come nient’altro che un atto estremamente preveggente di saggezza secolare, spinto, suscitato da un interesse personale. Quanto noi conosciamo della sua vita dopo il battesimo mostra che la sua conversione era genuina e che il suo credo cristiano è stato mantenuto con sincerità. In alcuni casi comunque, e senza alcun dubbio, l’insegnamento del Vangelo, con il suo messaggio di rigenerazione spirituale e morale, deve aver avuto un vero impatto profondo; in altri momenti è stata la bellezza dell’adorazione liturgica, percepita attraverso l’occhio e l’orecchio, che ha addolcito e ha fatto prigioniera la mente dell’uomo. Arrivo adesso al terzo tema di questa tavola rotonda: una grande storia. Potremmo affermare che come Cristo è entrato nella storia, così anche i popoli di Russia sono entrati nella storia attraverso la loro conversione a Cristo e al cristianesimo. Tuttavia, affinché questo processo risultasse completo, questa conversione e i suoi risultati dovevano poter essere espressi in una forma e in una lingua che i popoli di Russia potessero capire. Questa comprensione e stata resa possibile da quella che io potrei chiamare la tradizione di San Cirillo e San Metodio, nata nella seconda metà del IX secolo a causa del bisogno che avevano i bizantino di evangelizzare gli slavi che si trovavano al di là delle loro frontiere. Nell’anno 862 i governanti della Moravia chiesero un missionario che parlasse la lingua slava, temevano per l’indipendenza del loro paese e volevano opporsi all’influenza dei preti tedeschi, presenti nelle loro terre dal tempo dei Franchi, utilizzando sacerdoti che parlassero slavo e che avessero giurato obbedienza ai bizantini. La scelta cadde su due fratelli di Salonicco: Costantino, noto come Cirillo quando poi divenne monaco, e Metodio. Funzionari pubblici di grande capacità e diplomatici di grande esperienza, avevano inoltre un ulteriore vantaggio, e cioè conoscevano la lingua slava che, unitamente al greco, era molto parlata nella loro città natale. Prima di lasciare Costantinopoli, Costantino inventò un alfabeto da poter utilizzare con gli slavi della Moravia e con l'aiuto di questo alfabeto, che oggigiorno è noto come cirillico, poté tradurre tutta una serie di lezioni tratte dai Vangeli e più tardi, con l’aiuto di Metodio dopo il suo arrivo in Moravia nel 863, l’intero Ufficio Liturgico bizantino. Vediamo che nasce una nuova lingua letteraria, una lingua che è modellata sul greco per quanto riguarda la sua sintassi, il suo vocabolario astratto, e che, date le numerose lingue, è comprensibile a tutti gli slavi. Questa lingua è nota oggigiorno come la lingua slava della Chiesa antica. Poco per volta si è sviluppata, il suo vocabolario si è arricchito, grazie anche ad ulteriori traduzioni delle scritture cristiane, degli scritti teologici e degli scritti legali bizantini, ed anche grazie alla composizione di lavori originali. In questo modo l’antica lingua della chiesa slava, dopo il greco e il latino, è diventata la terza lingua dell’Europa. Bulgari, serbi, russi e anche rumeni non slavi, attraverso la loro conversione al cristianesimo, sono potuti entrare in questa ricchezza culturale bizantina comune. Nel campo delle idee, l’opera di Cirillo e Metodio ha prodotto, ha generato un qualcosa di molto specifico, in parte religioso e in parte politico; un aspetto, un quadro di riferimento che è stato utilizzato per fissare lo spazio degli slavi all’interno della Chiesa cristiana. Questo elemento si basa sulla convinzione che un linguaggio che serve come mezzo di comunicazione della liturgia cristiana diventa un elemento sacro e una nazione che lo parla è elevata allo stato di popolo consacrato al servizio di Dio. Di conseguenza ogni nazione con una lingua liturgica propria, locale, nativa, e una letteratura di questo tipo, ha la sua missione particolare: trova il suo posto legittimo all’interno dell’ecumene cristiano. (...).La natura della tradizione cirillo-metodica, slava nella sua forma e ampiamente greca come contenuto, ha quindi costituito un canale incredibile e importante per la diffusione della cultura greco-bizantina nell’Europa Orientale. Questo concetto di autodeterminazione spirituale è stato sottolineato ripetutamente dal Papa attuale nella sua Enciclica "Slavorum Apostoli" del 1985, pronunciata per commemorare l’anniversario della morte di San Metodio. Giovanni Paolo II, che cinque anni prima aveva proclamato san Cirillo e san Metodio patroni d’Europa, illustra la natura apostolica del loro lavoro citando queste parole, tratte dalla costruzione dogmatica del Concilio Vaticano Il: "Tale caratteristica di universalità che adorna il popolo di Dio, è un dono dal Signore stesso. In virtù di questa capacità, ogni individuo, parte della Chiesa, contribuisce, tramite i propri doni speciali, al bene delle altre parti e al bene della Chiesa intera. Di conseguenza, attraverso la messa in comune di tutti i doni e attraverso lo sforzo comune a raggiungere la completezza nell’età, il tutto ed ognuna delle sue parti possono venire aumentate". Arrivo adesso al quarto punto della mia riflessione, che si basa sul concetto di "altra Europa". Tramite le relazioni che si erano create attraverso il metodo di Metodio, quindi tra l’Impero bizantino e quei popoli dell’Europa orientale che venivano attratti nella sua orbita, le classi dominanti, le classi colte, poco per volta adottarono molte caratteristiche della civiltà bizantina. Di conseguenza fu loro possibile condividere e contribuire, in un certo senso, ad una tradizione culturale comune. Questa tradizione era costituita da diversi elementi, fra questi abbiamo una comune professione di cristianesimo orientale e di riconoscimento della giurisdizione della Chiesa di Costantinopoli, l’accettazione, per lo meno tacita, del fatto che l’Imperatore bizantino era dotato di un’autorità che gli permetteva di porsi al di sopra dell’intera cristianità orientale, la citazione delle norme romano-bizantine e la convinzione che gli standard letterari e le tecniche artistiche che venivano sviluppate e coltivate nelle scuole dell’Impero bizantino, nei monasteri, nei vari luoghi di lavoro, erano di validità universale, erano degne di imitazione. La civiltà bizantina di questi paesi dell’Est europeo è stata, io credo, una componente molto significativa della loro tradizione medioevale, a tal punto che si può giustificare il punto di vista secondo il quale essi costituiscono un’unica realtà internazionale. Tale comunità internazionale di stati e di nazioni che devono la loro religione e una parte della loro cultura medioevale a Bisanzio, ebbene tutto questo può essere descritto come il "Commonwealth Bizantino", l’altra Europa".

A Savorana:

La parola ora al prof. Poppe.

A. Poppe:

Cari amici, dopo una presentazione cosi profonda, consentitemi ora di concentrare l’attenzione su un aspetto molto peculiare, quello della conversione di Vladimiro. Le opere del Principe Vladimiro, come ha raccontato Ilario, hanno illuminato la terra di Russia, ovvero la Russia di Kiev, con il Santo Battesimo. Tutto il mondo, nell’anno dei millenario, ha reso ormai omaggio all’apostolo tra i governanti. Questo tipo di atteggiamento scaturisce dalla convinzione della significatività, del senso della trasformazione spirituale degli slavi che cominciò circa mille anni fa. Se rivolgiamo strettamente la nostra attenzione alla figura di Vladimiro e lo vediamo come cristiano, tralasciando per un attimo le sue opere, ci accorgiamo che abbiamo a che fare con una tradizione pesantemente condizionata dall’oscurità agiografica. Il monaco che ha ricostruito la geografia di Vladimiro, ha usato l’idea evangelica secondo cui là dove il peccato abbonda, la grazia abbonda ancora di più. Egli ha collocato l’immagine annerita di ex pagano poligamo, lussurioso, voluttuoso, (una figura, riferendosi al vecchio testamento, quasi paragonabile a quella di Salomone) in contrapposizione alla immagine quasi non terrestre di un principe cristiano. La storia di Vladimiro, la scelta della sua fede, non è particolarmente utile per una ricostruzione puntuale e precisa degli eventi il cui corso provvidenziale, qui riferito, è stato fatto proprio dagli storiografi contemporanei senza particolare attenzione alla provvidenza. Thietmar, uno storico tedesco, vescovo di Merseburg e contemporaneo di Vladimiro, lo definì un eccezionale fornicatore. Quest’accusa non era totalmente infondata, tuttavia dobbiamo riconoscere che cambiamenti significativi si sarebbero prodotti presso la corte di Vladimiro dopo il suo una porfirogenita e comunque la vita privata dei governatori cristiani in matrimonio con Europa, in quei tempi, era ben lontana dal modello cristiano così tanto agognato, tutto l’istituto legale del matrimonio stava da poco diventando sacro mentre al tempo stesso altre forme inferiori di matrimonio, in particolare quella del concubinato, erano tollerate aveva portato da Kiev, riguardanti dalla Chiesa. Thietmar ripeté alcune informazioni che l’inusitata magnanimità di Vladimiro nel fare la carità, tuttavia non mancò di minimizzare quest’atto positivo con dei commenti poco gratificanti. Filario, che invece glorificò gli atti e le opere di Vladimiro con la chiarissima intenzione di dimostrare che aveva diritto ad essere incluso tra i santi, non tacque tuttavia le azioni biasimevoli che si verificarono nel corso della vita del principe. Senza dettagli, senza pretese né scuse, senza rimproveri, egli si limitò semplicemente a mettere tutto quanto, aspetti positivi e negativi, sulla bilancia, sottolineando la fedeltà di Vladimiro al comandamento della carità e dell'amore nei confronti del prossimo. Nessun agiografo che scrisse cento anni dopo il battesimo della Russia di Kiev, interpretò la conversione del governante come una svolta repentina, resa possibile in virtù della rivelazione di Dio. Vladimiro, figlio del principe Svjatoslavs e di Malusha, la governante della principessa Olga, nacque circa nel 958.(...). Malusha, concubina di Svjatoslavs e presto anche madre di Vladimiro, rimase presso la corte e probabilmente Olga influenzò l’educazione del nipote fino all’epoca del suo decesso, avvenuto nel 969.Il battesimo di Vladimiro, ormai trentenne, avvenuto il giorno dell'Epifania del 988 dopo pochi mesi di catecumenato, fu il risultato di un lavoro fatto su un terreno molto fertile, ben preparato. Il legame emotivo con il cristianesimo, che via via si era sviluppato nel corso degli anni della sua infanzia e che era anche stato supportato dalla fede ardente dimostrata dalla madre e dalla nonna, era strettamente intrecciato ad un modo molto intelligente per riuscire ad accedere a Dio, per conoscere Dio. Ilario ha espresso questo concetto molto chiaramente dopo il decesso di Vladimiro: "Tu ti sei avvicinato a Cristo soltanto con la maturità della tua intelligenza e con l’acutezza del tuo intelletto. Tu hai capito che c'è Dio, l’unico creatore e, avendolo capito, sei entrato nella Santa Fonte". La generazione di coloro che si erano convertiti da poco, cominciando da Vladimiro, i suoi figli, i nipoti e i loro relativi contemporanei, era profondamente consapevole del fatto che la fede in Dio, l’unico ed il solo, non era meramente un atto d’integrità spirituale, bensì un atto anche di saggezza. Era più ragionevole credere nel Signore cristiano, piuttosto che adorare divinità pagane, primitive. Io credo nell’Invisibile e in tutto quanto non poteva essere percepito con gli organi di senso, era visto come un livello superiore, più elevato, d’iniziazione. Questo si riflette perfettamente nella domanda, nel quesito che Ilario pose a Vladimiro: come cominciasti a credere, com’è successo che la ragione superiore ai più saggi in questo mondo, ti abbia penetrato? Come hai potuto concepire affetto per ciò che è invisibile, e come hai trovato il coraggio per combattere per il Celeste?". Un’immagine molto vivace di Vladimiro, come cristiano, scaturisce dalle brevi note, i brevi commenti di Bruno di Querfurt nella sua lettera al Re germano Enrico II. Bruno, uomo di Chiesa pervaso da un senso di vocazione missionaria particolare, incontrò personalmente Vladimiro nel 1008, allorché il primo fece un tentativo di convertire i Petshenegen, una popolazione nomade d’origine turca che abitava tra la Russia di Kiev e il Mar Nero. Vladimiro fu profondamente impressionato e colpito dalla forza di volontà dimostrata dal missionario ardente di fede, tuttavia, conoscendo la violenza indefessa di quella popolazione, cercò di scoraggiarlo, di dissuaderlo dalla sua intenzione di recarsi presso di loro. Da ultimo rese omaggio al vescovo per quest’atto di coraggio e lo accompagnò fino alle terre di confine del suo regno. Dopo cinque mesi Bruno ritornò e il felice epilogo della missione compiuta dovette veramente stupire, sconvolgere Vladimiro. La fede aveva avuto la meglio sull’esperienza, sulla ragione. Ecco le parole di Bruno: "Per migliorare le condizioni del trattato negoziato, per far sì che la legge cristiana potesse governare le popolazioni più crudeli di tutti i pagani sulla terra, Senior Ruzorum (così Bruno chiamava Viadimiro) per Dio e per soddisfare i Petschenegen, concesse suo figlio in ostaggio e lo mandò nelle loro terre con un vescovo da poco ordinato tale". La partecipazione attiva nella consacrazione di vescovi con due riti diversi, (un rito con il suo superiore a Roma, e l'altro nella provincia ecclesiastica russa del Patriarcato di Costantinopoli) significava che entrambi erano popoli di Dio, e una gerarchia ecclesiale di due aree diverse significava che due popoli erano consapevoli dell’unità del mondo cristiano. Ma vorrei porre l’accento, soprattutto alla luce delle frequenti discussioni astoriche che si fanno, circa l’aggettivo con cui il cristianesimo di Vladimiro dovrebbe essere descritto, che egli era semplicemente un cristiano, membro della Chiesa universale cattolica e ortodossa. Era altresì membro e custode della comunità cristiana che era subordinata a Costantinopoli. Questo è il motivo per cui Olga e Vladimiro, anche se avevano portato la Santa Croce da questa città, dalla nuova Gerusalemme, furono successivamente risparmiati dai pregiudizi. Olga, che era stata battezzata nella nuova Roma, avrebbe potuto chiedere ad Ottone I di inviare vescovi e sacerdoti per il suo popolo mentre Vladimiro trattò Bruno come un padre carismatico, un pastore, un insegnante, un maestro e una guida polare per la fede. Il carattere ecumenico della missione di Bruno fu sottolineato in particolare dalla sua individualità veramente eccezionale. Nella descrizione di Bruno c’è una scena veramente drammatica di congedo, d’addio da Vladimiro; cattura l’attenzione del lettore, lo affascina con grande semplicità e con un senso d’elevazione, rivelando contestualmente la reale personalità del governatore di Kiev. Quando giunsero ai confini dello Stato di Kiev, tutti scesero dai rispettivi cavalli. Iniziò quindi la celebrazione liturgica. Coloro che erano scortati e coloro che scortavano si concentrarono nella contemplazione dell’ultimo cammino compiuto da Cristo, attraversando in una processione silenziosa il confine, che rappresentava contestualmente la fine reale ma anche simbolica del mondo cristiano. Bruno, che portava sulle spalle la Santa Croce simbolizzando la passione di Cristo, uscì dalla torre di Limes insieme ai suoi compagni. Anche Vladimiro era circondato dai suoi compagni. Entrambi i gruppi si fermarono sulle colline circostanti che dominavano l’infinito orizzonte della steppa, Bruno intonò l’antifona con un versetto dal vangelo di Giovanni: "Petre amas me? pasce oves meas". Il coro in risposta lo accompagnava. Il cantore ed il coro proseguirono la loro musica liturgica verso dopo verso, le parole latine e slave si intrecciavano, si annodavano ad una musica sublime e si sposavano perfettamente nel clima di missione che aleggiava, unendo così tutti coloro che si trovavano in preghiera con lo stesso linguaggio di fede, di timore, d’ansia, di dubbi, ma anche di speranza. All’interno del coro avremmo potuto distinguere una voce, una voce d’incertezza, di dubbio, profondamente preoccupata, dell’uomo santo che ben presto avrebbe incontrato la morte. Ma avremmo anche sentito un’altra voce, quella dell’umiltà. Il governatore nella sua maestà si fece umile di fronte al

cristiano: "Fiat voluntas tua". E questa voce nel coro dei fedeli mette in luce una dimensione naturalmente umana della fede di Vladimiro. Grazie.

 

A. Savorana:

Nel ringraziare il professor Obolensky e il professor Poppe per le loro comunicazioni, vorrei ricordare la frase che un grande pensatore non cattolico di questo secolo, Wittgenstein, disse a proposito del cristianesimo: "Il cristianesimo non è una dottrina, e non è neanche una teoria di ciò che è stato e ciò che sarà dell’anima umana, è la descrizione di un evento reale nella vita dell'uomo". Il racconto della conversione di Vladimiro e del suo popolo, fatto dal professor Poppe, e di ciò che questo ha prodotto nella storia della Russia e dell'Europa, nel racconto del professor Obolensky, credo trovi in questa frase di Wittgenstein come una sintesi, perché abbiamo ascoltato la descrizione di un evento reale, di un qualche cosa che riguarda la vita di un uomo, di un popolo, fino a modellarne la lingua, la cultura e la civiltà. Un'unica e comune appartenenza che fa inginocchiare re e servitori. Al di fuori di questo c’è solo la violenza di un potere che, all’est come all’ovest, duemila anni fa come oggi, è nemico della persona, di una persona che, toccata dall’incontro cristiano, può cambiare la storia. Grazie allora al professor Obolensky, al professor Poppe e a tutti voi.