lunedì 27 agosto 1990, ore 19.00

COMUNIONE E LIBERAZIONE:

IDENTITE’ CATHOLIQUE ET DISQUALIFICATION DU MONDE

Presentazione del libro

Partecipa

Atore Abbruzzese

Docente di Sociologia presso. la Pontifica Università S. Tommaso di Roma

Modera:

Alberto Savorana

A. Savorana

Iniziamo la presentazione di Comunione e Liberazione: identità cattolica e squalificazione del mondo, un interessantissimo saggio sul fenomeno Comunione e Liberazione che Salvatore Abbruzzese, sociologo, ha condotto negli ultimi tre anni per conto del CNR francese. Il libro è stato pubblicato lo scorso anno in Francia e sta per uscire, in traduzione, anche nelle librerie italiane. Questo studio è senz'altro il più documentato tra quelli pubblicati in questi anni perché Salvatore Abbruzzese si è cimentato con l’impresa di andare a conoscere che cosa è Comunione e Liberazione ricercandone le fonti, gli interlocutori diretti, senza accontentarsi, come spesso accade, della valanga di interpretazioni che sul fenomeno sono state date, interpretazioni che obiettivamente non hanno brillato e che hanno denunciato una parzialità di approccio soprattutto negli ultimi anni quando il fenomeno CL è cresciuto e si è sviluppato anche in una rete di iniziative di adulti, di lavoratori, di presenza sociale e culturale fino alla politica. Per questo abbiamo invitato Abruzzese e io gli do subito la parola perché brevemente introduca il lavoro che ha svolto; poi, attraverso qualche domanda, possiamo aprire un dialogo di chiarimento e approfondimento.

S. Abbruzzese:

Volendo presentare un po' questo lavoro ho cercato di raccogliere alcune di quelle che possono essere le linee guida. Non vi farò certo una sintesi perché sinceramente non saprei da che parte incominciare. Vi dirò che questo libro è nato a Parigi all’interno di un gruppo di ricerca, il gruppo di Sociologia delle Religioni del CNRS, che fa parte dell’R.C.P. (Recherche Coopérative sur Programme), Religion et Modernitè, diretto da Jean Séguy. Nell'ambito di questo progetto ciascuno dei partecipanti si è assunto l’incarico di studiare un fenomeno o un sottotema specifico. Nel mio caso, essendo l’unico italiano che faceva e che fa ancora parte di questo gruppo, mi sono assunto l’incarico di studiare un movimento che non conoscevo. Infatti, quando ho cominciato a studiare Comunione e Liberazione ne sapevo solo quel poco che si legge sui giornali. Vi dirò che all’inizio il libro era partito con un’impostazione semplicemente descrittiva, voleva essere innanzi tutto una descrizione del movimento secondo i canoni classici della ricerca sociologica. Si trattava cioè di stabilire il ruolo del fondatore, i criteri di organizzazione, le strategie di inserimento (laddove, in francese, il termine strategie non ha necessariamente la stessa accezione peggiorativa presente nella lingua italiana ma significa l’insieme delle azioni logicamente orientate al conseguimento di un fine). Come ogni ricercatore anch’io avevo i miei pregiudizi, (li abbiamo tutti quando si comincia a fare una ricerca) vi sono dei pregiudizi di fondo, pregiudizi anche non necessariamente squalificanti. Si pensava a CL come alla punta di lancia di una seconda primavera del cattolicesimo, all’interno di un’Europa oramai secolarizzata. Una seconda stagione, che, al pari della prima, avrebbe avuto per obiettivo quello di riportare lo spirito di una seconda evangelizzazione dell'Europa. Perché era un pregiudizio? Perché probabilmente CL non è solamente questo, cioè non è solamente lo strumento di un processo, non è solamente un gruppo modellato "al fine di". E poi anche perché, con un’impostazione di questo tipo è facile cadere nel luogo comune di un discorso puramente restauratore, dove i Ciellini sono i nuovi paladini che ricostruiscono ciò che è andato perduto. Questo era il pregiudizio che c’era e che, vi dico, non era necessariamente negativo. Non mi sono fidato, cioè non mi sembrava che fosse quella la linea di partenza, e così ho fatto finta di non capire nulla e ho cominciato a studiare la storia di Comunione e Liberazione. Decisi quindi di abbandonare ogni giudizio su cosa fosse CL, decisi che qualunque cosa facesse, con chiunque si schierasse nel momento in cui io scrivevo il libro, di fatto, non me ne importava nulla, in quel momento cioè non era essenziale. Essenziale era capire qualcos’altro, il problema principale era di capire da dove venisse, cioè a quale tradizione, a quale delle possibili tradizioni facesse riferimento. Quindi il mio primo problema è stato quello di situare Comunione e Liberazione nel contesto storico del cattolicesimo italiano. Quella era la prima cosa da fare per me per capirci qualcosa, quindi non per insegnarlo agli altri ma per vederci più chiaro. Gli studi fatti nel passato con il professor Séguy, ma anche con un altro sociologo delle religioni francese che è Emile Poulat, mi avevano fatto comprendere l’importanza e lo spessore sociale (parlo in termini sociologici) del cattolicesimo sociale italiano degli inizi del secolo, era la prima figura storica che avevo appreso all’università francese. Soprattutto mi era rimasta impressa l’immagine, questa molto chiara in Poulat, del passaggio da un cristianesimo di pura difesa (un cristianesimo restituzionista come dicono gli storici) ad un cristianesimo di movimento. Da un cristianesimo incentrato attorno al problema politico della restituzione di territori pontifici ad un cristianesimo volto invece ad entrare, attraverso il laicato, nei segmenti della società industriale, allora alle sue origini, ai suoi primi passi, cioè un cristianesimo di presenza e di presenza operante. Fu così che quando, studiando le dichiarazioni di don Giussani (perché ho cominciato a lavorare con dei documenti), mi avvidi di quanto fossero stati importanti per lui gli insegnamenti ricevuti da Monsignor Figini all’interno del seminario di Venegono e quanto per Monsignor Figini fosse stata importante a sua volta la vicinanza con l’ala moderata del modernismo cattolico (Tommaso Gallarati-Scotti, Filippo Meda, padre Agostino Gemelli). Mi resi conto che Comunione e Liberazione nasceva da una storia di lungo periodo cioè non era un corto circuito della seconda metà degli anni Cinquanta, ma si ricollegava, aveva dei legami, aveva una tradizione o meglio vi faceva comunque riferimento. Ora questo non vuol dire, e ho cercato di spiegarlo a lungo nel libro, che Comunione e Liberazione fosse una "riedizione", io credo poco alle riedizioni perché la società italiana degli anni ‘70 non è affatto la società di fine secolo, degli anni 1890, dalla fine del secolo scorso i contesti sono radicalmente mutati. Però questo voleva comunque dire che l'esperienza di CL non era più inscrivibile o pensabile nella contingenza, nella pura contingenza delle alleanze di potere o peggio delle logiche di schieramento contemporanee. Cioè era impossibile capire Comunione e Liberazione partendo, ad esempio, dal referendum del ‘74 o dalla sconfitta alle elezioni del ‘75. Ecco questi non erano gli elementi esplicativi, bisognava fare riferimento alla storia antecedente, in primo luogo, e questo è stato il primo elemento forte che mi ha costretto di fatto a leggermi questa storia e a ricostruirla in maniera tale da ricollegare il movimento di Comunione e Liberazione all'interno del percorso di lungo periodo della Chiesa.

Secondo elemento (ne cito solamente tre e poi cominciamo il dibattito, altrimenti sarebbe troppo lungo), il secondo elemento era quello che emergeva dai racconti di don Giussani, dai suoi resoconti che, in qualche momento sono quasi dei récit de vie (nel linguaggio delle storie di vita). Ed era la restituzione di un’epoca, di un contesto sociale: quello dell’Italia degli anni ‘50. Anche qui c'è un altro grosso elemento di analisi. Nell’Italia degli anni ‘50 è maturata la crisi di un modello di associazionismo cattolico che, fino a quel momento e per molti anni ancora, si sarebbe inserito in modo interstiziale nella realtà moderna: un cattolicesimo del tempo libero e del tempo festivo, un cattolicesimo fedele alla pratica, pronto a lasciar crescere al suo interno anche momenti di forte effervescenza e di entusiastica aggregazione, ma che poi non si sarebbe mai tradotto in forme di vita associata di lungo periodo, non era cioè un cattolicesimo alternativo ma complementare ai modelli culturali e comportamentali prevalenti. Era un cattolicesimo complementare, non alternativo al mondo di quell’epoca, al mondo della società dei consumi di massa.

Esso si fondava su di un ottimismo di fondo nei confronti della società costruenda, della società liberale e democratica che si affermava. Più precisamente si poneva fiducia, si apriva un credito, si forniva anche implicitamente una legittimazione a modelli culturali un credito puramente nominale, era un’apertura di credito sostanziale, con tutte le conseguenze che implica un tale atto di fiducia, e questa fiducia induceva un processo di smobilitazione del movimento cattolico a partire dal momento in cui, con la fine della guerra fredda e con l'avvio del centro sinistra, anche lo stesso ruolo, se vogliamo puramente elettoralistico del movimento cattolico non aveva più molto senso. Quindi, ad una visione puramente interstiziale del cattolicesimo segue una crisi del movimento cattolico nel momento in cui, tutto sommato, non c'è nemmeno più una battaglia da combattere, ma c'è un progetto comune che si condivide con il mondo moderno.

Voglio essere un po’ più chiaro, scusatemi: una società democratica e pluralistica per il semplice fatto di non essere più "in rischio di comunismo" induceva una certa fiducia per un cattolicesimo oramai sufficientemente soddisfatto degli spazi che aveva e convinto di potersi attestare in zone specifiche della società civile e da lì continuare ad amministrare ab eterno una gestione di spazi festivi, di tempo libero, domenicali in piena complementarità con un mondo con il quale si riteneva, tutto sommato, in buoni e pacifici rapporti. La smobilitazione del movimento cattolico e l'inizio del cattolicesimo "periferico" e "domenicale" rendevano il progetto di don Giussani immediatamente originale e alternativo. Il secondo elemento è quindi quello di un cattolicesimo che non solamente non voleva essere periferico (è il caso appunto di Gioventù Studentesca), ma voleva essere capace di ricostruire una rinnovata centralità del fatto ecclesiale nella vita dell'individuo.

Questa rinnovata centralità sommandosi alla tradizione che ho enunciato prima (questa tradizione forte del cattolicesimo sociale) sfociava in una dimensione di visibilità. Quindi il recupero dell'identità, dell'appartenenza e della capacità operativa di quest’identità e di quest’appartenenza di costruire esperienze concrete di vita ecclesiale, che fossero anche esperienze concrete di vita civile. Qui l'aspetto decisivo. Perché nel momento in cui l'apertura di credito è ritirata, nel momento in cui questo mondo procede secondo strade che non sono più decifrabili e che hanno una logica interna che, di fatto, ispira sospetto più che fiducia, è abbastanza logico che: o ci si ripiega in una spiritualità del tutto interiore e si tagliano i ponti con la società circostante, oppure si cominciano a creare gli spazi di società civile all'interno dei quali costruire, realizzare la propria visione particolare del mondo che non può essere disgiunta da una visione particolare della vita. Il terzo elemento fondamentale è costituito da quella che può essere definita come la caduta della dimensione progettuale dell'aggregazione comunitaria. Fino al '76 l'aggregazione comunitaria nel movimento sociale in generale, e in molti movimenti cattolici in particolare, (non in tutti certamente) era sempre finalizzata alla realizzazione di un progetto, sia esso di costruzione politica o di liberazione sociale. Era difficile riuscire a stare insieme al di fuori di una dimensione (scusate il termine) utopico-progettuale. Una dimensione di mondo a venire del quale noi costruiamo adesso le basi. Ecco, contrariamente ai movimenti sociali e a gran parte dei movimenti ecclesiali, il movimento di Comunione e Liberazione non si articola attorno ad un obiettivo utopico da costruire bensì attorno ad una vita quotidiana da realizzare nell'immediato. Abbiamo un rovesciamento della strategia consueta dei gruppi: non si tratta di riunirsi e se vogliamo - scusate se carico l'immagine per capirci meglio cospirare per costruire una nuova forma d’organizzazione sociale o per mettere in piedi un nuovo progetto d’organizzazione politica dell'esistenza, ma si tratta di riunirsi per realizzare immediatamente un’esperienza di vita che pagasse nell'immediato, che fosse immediatamente spendibile, che fosse immediatamente reale a tutti i livelli, anche a quello delle opere concrete, della costruzione, della risoluzione di problemi concreti. Ora chiamiamo tutto questo (per comodità) processo di desutopizzazione del movimento religioso come aspetto essenziale del movimento di Comunione e Liberazione in quegli anni. Una sola postilla importante: da non dimenticare che una tale desutopizzazione del movimento religioso corre in quel periodo accanto ad una consistente crisi della stessa progettualità laica. Questa crisi del progetto laico è anch'essa una crisi iscritta in tempi lunghi, non è un corto circuito degli anni Sessanta, non va confusa con la crisi dei progetti utopici del post-'68 anche se il post-'68 ha notevolmente contribuito in una tale direzione. La crisi del progetto laico è in realtà la crisi della modernità stessa e in altre parole di quell'ottimismo della ragione che culminava nell'esaltazione del nuovo come senso obbligato della storia; l'ottimismo, della ragione verso la costante capacità di rinnovamento e d’evoluzione del progresso. Ecco, quest’ottimismo viene meno. Chiamiamo la crisi di quest’ottimismo "crisi del progetto utopico della modernità". La parabola consumistica, la promessa di una realizzazione del singolo completamente iscritta nella sfera del successo professionale e della soddisfazione emotiva, la fiducia cieca nelle risorse tecnologiche o nelle capacità illimitate dello stato assistenziale. Ricordo il discorso del professor Moulin ieri quando, parlando della società moderna, descriveva quest'atteggiamento dell'individuo che si aspetta che tutto gli sia dato dallo Stato e che lo Stato lo riassicuri costantemente su ogni momento di rischio, su ogni momento di pericolo, d’incertezza, di marginalità - ecco questa è un'altra "utopia" che è caduta. E' dal 1973 che i documenti della CEE cominciano a parlare ufficialmente di crisi del Welfare State e quindi di riduzione della spesa pubblica nel campo dell'assistenza sociale. Lo Stato può assistere meno, lo Stato può essere meno presente, il progresso tecnologico non potrà rivivere tutto, anzi apre problemi dei quali non conosce la soluzione: tutto questo io lo chiamo "crisi della modernità", crisi della fiducia nel progresso e il venire meno di quell'ottimismo della ragione, che invece illuminava tutti negli anni Cinquanta, quando il progresso appariva come un qualche cosa che andava avanti da sé, una locomotiva ben oliata che non si sarebbe mai arrestata per "guasti al motore". Oggi nessuno di noi sarebbe capace di aprire un simile credito di fiducia. E' questo quindi il terzo elemento: la desutopizzazione di Comunione e Liberazione (cioè il costruire senza per forza voler mettere in piedi un progetto) non è lontana dalla desutopizzazione che la modernità compie su se stessa negli ultimi vent'anni almeno. Naturalmente parlo di una modernità nei suoi momenti più alti e più consapevoli perché c'è ancora qualcuno che è convinto che tutto, in realtà, possa essere ben oliato, la locomotiva del progresso possa ancora correre per altri cento anni. Ma nelle forze laiche più consapevoli e più attente si vive lo stesso processo, cioè l'apertura sull'improbabile, la crisi di fiducia nel progresso in quanto tale. In conclusione: iscrizione di Comunione e Liberazione all'interno della storia del cattolicesimo sociale italiano (primo punto); iscrizione del movimento di Comunione e Liberazione all'interno della crisi del cattolicesimo italiano degli anni Cinquanta (secondo punto); processo di desutopizzazione sia all'interno di Comunione e Liberazione (che in questo senso coglie immediatamente i segni, l'esprit du temps, il segno dell'epoca) e un processo più vasto di desutopizzazione che attraversa i settori più attenti della modernità laica (terzo punto). Ecco questi tre punti sinceramente non riassumono il libro, sono altrettanti anelli forti del libro stesso, forse ce ne sono anche altri non lo so. Sinceramente mi è sembrato che queste fossero le prime cose che potessi dirvi.

A. Savorana

Io vorrei iniziare subito con una domanda di chiarimento a partire da queste osservazioni che sono state fatte, perché una cosa che stupisce senz'altro del fenomeno CL è che, per quanto criticato, contestato, osteggiato fuori e a volte anche dentro ambienti del mondo cattolico, rimane un fenomeno che aggrega con una certa energia e capacità di riuscita rispetto ad altre tradizionali forme aggregative laiche o dello stesso mondo cattolico. Per lei che, come sociologo, ha avvicinato questo movimento ecclesiale, qual è il punto di maggior provocazione per una persona, per un giovane, per un uomo della nostra epoca, tanto convincente da suggerire il coinvolgimento con questa esperienza? Insomma qual è l'arma vincente, qual è il contenuto che muove ad un’esperienza di questo tipo?

S. Abbruzzese:

Sono più di uno. Naturalmente non li elenco, cerco di fare una scelta, cerco quasi di fare una provocazione, quindi di rispondere con due frasi non di più. I motivi sono tanti , ma quello che mi pare la formula vincente mi pare essere l'intreccio di una proposta forte (una proposta religiosa è sempre una proposta forte) con la discrezione di relazioni umane tutto sommato deboli. Non c'è niente di più provocante di una proposta che sconvolge la propria vita fatta da qualcuno che poi è capace di intrattenere un'amicizia, una compagnia discrete. Questo, secondo me, è il motivo accattivante, poi ci sono tante altre ragioni, ma il motivo forte e quello che veramente mi sembra che conquisti, sia la particolare vicinanza di questi due fattori. Molto spesso non è andata così, chi era portatore di una proposta forte era anche portatore di un legame forte del tipo: "Aderisci o non aderisci" quindi "o sei dentro o non ci sei", scusate uso delle caricature, "o fai si diceva nel '68 - un salto di classe o non lo fai". Ecco, di fronte alla proposta forte c'è la relazione altrettanto forte, la proposta è così potente che non ammette tempi intermedi, modalità discrete, la quiete direi quasi di una compagnia, di una solidarietà che non invade ma che si converte in un'attenzione quotidiana ai problemi di ciascuno e che mai viene a chiedere ma tutto sommato sa attendere, sa aspettare. Questa è una discrasia fortissima, cioè in teoria non dovrebbe essere così, in teoria a proposta forte consegue relazione forte, appartenenza di militanza globale, pensate alle appartenenze politiche: più sono estreme e più sono intransigenti. E qui invece abbiamo la proposta radicale (perché la proposta religiosa sicuramente è tra le più radicali che io sappia) che usa invece strumenti deboli, strumenti fragili. Una proposta forte sostenuta attraverso gesti tutto sommato di compagnia, di presenza, di quotidianità. Questo mi sembra essere ciò che veramente affascina.

A. Savorana

Una critica che è stata rivolta a questo studio su CL è che ne uscirebbe in qualche tratto un'immagine del movimento come una sorta di riunione dei delusi, come la descrizione di un fenomeno certamente aggregante e significativo, ma che in fondo "pesca" in un’umanità un po' spaesata che, non avendo dove aggrapparsi, trova questo movimento e ci si ficca dentro.

S. Abbruzzese:

C'è un rapporto tra l'affermarsi di una speranza religiosa e la crisi di un mondo, sarebbe sciocco negarlo. Nessun movimento religioso si è mai affermato senza che accanto a lui non si sentisse l'odore di bruciato di un mondo in crisi. Con questo nessuno di noi avrebbe mai il coraggio di affermare che gli apostoli erano dei delusi dell'amministrazione romana o che erano degli insoddisfatti del sistema amministrativo e d’allocazione delle risorse e quindi, dopo aver sperimentato a fondo questo mondo decidevano di convertirsi e di fare altre cose. No, c'è qualcosa di diverso. Non è la riunione dei delusi e scusate c'è di peggio, magari se fosse la riunione dei delusi sarebbe già più comprensibile. Da almeno 20 anni la società italiana non è più in grado di offrire proposte credibili alle nuove generazioni. Temo che ci sia qualche cosa di peggio della riunione dei delusi, c'è una società che sono decenni che non è più in grado di fornire non solo polo sviluppo di Comunione e Liberazione ha un rapporto con la società italiana in particolare. Ed è per questo che anche se si sviluppa in altri paesi, in Italia trova i suoi punti forti. In una situazione di vuoto sociale e culturale dei quali i giovani sono i primi a pagare un prezzo estremamente elevato, i miti della modernità finiscono per avere scarso credito e sono, comunque, palesemente effimeri.

A. Savorana:

Dall'approccio alle fonti, ai testi e ai documenti del movimento, che immagine, che figura di don Giussani, quindi del fondatore, emerge?

S. Abbruzzese:

Posso permettermi di dire qualsiasi cosa? (applausi). Scusatemi, penso che don Giussani non si offenda. Io non l'ho mai incontrato, se potessi dire quello che i suoi scritti mi hanno suggerito, la prima immagine che mi viene in mente è quella dei "folli di Dio" che percorrevano le strade dell'alto Medioevo. Ma è un folle di Dio che non ha mai smesso di voler dare le ragioni razionali della propria stessa follia e quindi proprio in questo sforzarsi ha dimostrato un profondo e sommesso amore per gli altri. Perché c'è anche la figura del folle che afferma per affermare, "io affermo questo le basta" la semplice affermazione è sufficiente. Don Giussani non ha mai smesso di spiegare, di spiegare all'infinito, una per una, le ragioni della sua fede e in questo senso ha compiuto

un atto di stima e d’affetto nei confronti degli altri, perché ha dato agli altri la possibilità di comprendere e di riconoscersi.

A.Savorana:

Eppure questo movimento suscita grandi amori ma anche grandi odi. Qual è il pericolo? in che cosa questo movimento può suscitare tanta paura o diffidenza, insomma in che cosa il "mondo" può sentirsi minacciato da un fenomeno così relativamente esiguo, minoritario rispetto anche solo alla società italiana?

S. Abbruzzese:

Questa stessa domanda mi è stata fatta a Parigi, mi hanno chiesto la stessa cosa: per quale motivo in Italia c'è questo problema su Comunione e Liberazione, cioè che cos'è che li preoccupa? In effetti sì ci sono delle risposte già pronte, per carità, ognuno di noi le ha subito in tasca le risposte pronte. Io scusate faccio il sociologo, perdonatemi. Ma voi mettetevi nei panni dei mass-media, dei mezzi di comunicazione di massa, loro lavorano, debbono scrivere, debbono parlare di fatti concreti e oggi, che cos'è un fatto concreto? Detto in soldoni il fatto concreto è il fatto economico e il fatto politico; per loro non è che ve ne siano poi tanti altri. Al di là di questi c'è il folklore la manifestazione colorata, il momento della massa che festeggia il passaggio del Papa, ecco c'è il pezzo di cronaca, poi, al di là della cronaca di questi fatti puramente colorati, la concretezza della nostra società in crisi ruota costantemente, ossessionatamente, attorno a due fattori che contano, il fattore politico e il fattore economico. Quindi da quando nasce CL il problema è: con chi sta, da quale parte sta? E siccome non sta", la cosa genera dei problemi enormi perché non si riesce mai a capire da quale parte stia. Voi non potete immaginare quante volte io sia stato trascinato in discussioni del tipo: ma se Comunione e Liberazione era vicina ai movimenti rivoluzionari del'68 come ha fatto poi ad appoggiare la Democrazia Cristiana nel '73, poi quando Martelli è venuto al Meeting ancora peggio. Questa è la prima difficoltà, difficoltà di inquadrare, di legare ad appartenenze di schieramento. Da qui è chiaro che la risposta più semplice (voi lo sapete) e l'arma più disumana è quella di squalificare la cosa che non si capisce.

Come di fronte a certe sculture moderne che non riusciamo a capire, le liquidiamo in due battute: "non è arte, non è cultura non è un movimento religioso", non lo è, nel momento in cui non riesco a decodificare. t un movimento ambiguo, un movimento che non ha una dimensione chiara, che non ha un'appartenenza, che si schiera e si sposta secondo le convenienze, è un movimento cinico. Il secondo motivo probabilmente è dato dal fatto che questo movimento poi ha una sua autonomia. Nel produrre una vita sociale ha prodotto anche delle organizzazioni economiche che devono avere i loro bilanci, una contabilità efficace e quindi devono essere in grado di far fronte anche ad impegni come il Meeting. E questa è un'altra cosa che non quadra, non quadra con l'immagine che ci eravamo fatti del movimento religioso. E movimento religioso era un movimento strettamente spirituale che doveva riunirsi, avere la propria ritualità, magari esteticamente pregevole, molto bella da vedere, da gustare e poi, una volta chiusi i portoni della chiesa, si ricomincia la lotta quotidiana. Qui invece questo movimento esce fuori due volte: una volta nella geografia politica, una seconda volta nella "entratura" economica, nei ticket di ingresso al mondo economico. Questo genera difficoltà, sensazioni di disorientamento Dinanzi a questo disorientamento è facile la tentazione di ridurre tutto in termini di distribuzione delle risorse da parte del governo centrale in cambio di consenso. Ora in sociologia questo n a nulla, questo non spiega la vita di Comunione e Liberazione. Perché sono tanti i movimenti o le aziende a ricevere o a dare denaro ai partiti, ma non per questo fondano un movimento religioso. Quindi non sono certamente questi gli elementi che possono permettere di spiegare CL. E questo vale anche per capire la difficoltà che ha il mondo laico nel comprendere una realtà come Comunione e Liberazione.

Il dibattito prosegue con domande del pubblico