Sabato 27 agosto

"LA FAMIGLIA PER IL FUTURO DELL'UOMO"

Partecipano:

Mons. Pierre Primeau,

Sottosegretario del Pontificio Consiglio per la Famiglia;

Prof. Christopher Derrick,

Scrittore;

Prof. Rocco Buttiglione,

Docente di Filosofia della Politica all'Università di Urbino;

Toas e Leo Van Der Broek,

impegnati nel Movimento dei Focolari in Olanda;

Avv. Giuseppe Zola,

Segretario Nazionale del Sindacato delle Famiglie.

Moderatore:

Prof. Ivo Colozzi.

I. Colozzi:

Diamo inizio a questo incontro, "La famiglia per il futuro dell'uomo", ringraziandovi per aver voluto partecipare a questo invito. In questo Meeting ci stiamo interrogando ormai da parecchi giorni sul futuro dell'uomo; ci stiamo chiedendo se l'uomo avrà un futuro o meglio di che tipo sarà questo futuro. Ci è stato suggerito a più riprese, negli incontri precedenti, che in questo futuro sono presenti sia i rischi di una regressione, di un ritorno all'animalità, rappresentata dalla scimmia, sia quelli di una trasformazione radicale nel senso di una meccanizzazione, rappresentata dai robot. La condizione perché ciò non accada è che l'uomo si tenga stretto a ciò che ultimamente lo costituisce come tale. Nelle parole che ci sono state dette nei giorni scorsi abbiamo capito ancora di più che questi caratteri che fanno dell'uomo un essere unico e irripetibile sono da una parte l'intelligenza riflessiva, e dall'altra l'amore, il bisogno di essere amato e di amare, di essere accolto e di accogliere, di ricevere gratuitamente, cioè per pura grazia, e di donare senza contraccambio di equivalenti. Ora, se c'è un luogo in cui all'uomo è dato di fare, primitivamente, originariamente, direi geneticamente, questa esperienza di accoglienza, di gratuità, di dono, di amore insomma, questo luogo è la famiglia. Ecco perché la domanda sul futuro dell'uomo investe anche la famiglia. Ci chiediamo: è possibile all'uomo restare tale, se perdesse la famiglia? È pensabile un futuro nel quale l'uomo resti ancora uomo, ma nel quale non ci sia più posto per la famiglia? La domanda non è retorica, come potrebbe sembrare. Tutti quanti sappiamo con quarta forza, nello scorso decennio, si siano levate voci che o constatavano un progressivo indebolimento della famiglia, pronosticandone a breve la definitiva scomparsa, oppure addirittura auspicavano e pretendevano tale scomparsa come tappa fondamentale per un ulteriore passo nel cammino di liberazione dell'uomo, per un ulteriore passo verso la sua emancipazione e definitiva affermazione. Queste voci non sono rimaste inascoltate: hanno fatto presa, hanno convinto, hanno trascinato, provocando un indebolimento della famiglia, una sua crisi, come si usa dire, i cui segni più evidenti sono registrabili nell'aumento delle separazioni e dei divorzi, nella sua estrema fragilità, nell'aumento delle unioni casuali, e soprattutto, il sintomo più grave, nell'aumento continuo degli aborti procurati. Ecco perché la domanda se un futuro senza famiglia sia ancora un futuro umano, è un domanda tutt'altro che retorica e secondaria. È allora proprio questa domanda che rivolgiamo agli amici che cortesemente hanno accettato di partecipare a questo incontro. A tutti loro chiediamo non se la famiglia abbia un futuro, ma: "C'è un futuro per l'uomo senza la famiglia?". E, se la risposta è no, come noi siamo convinti che sia, cosa deve fare la famiglia per essere capace di affrontare la sfida del futuro, restando famiglia umana, e non solo luogo di riproduzione biologica della specie. Prima di dare la parola agli intervenuti, perché rispondano, se credono, alle domande appena fatte, o comunque esprimano la loro posizione, la loro testimonianza, comunichino quanto hanno riflettuto su questo tema, breve mi permetto di presentarveli. Innanzitutto, mons. Pierre Primeau, Sottosegretario del Pontificio Consiglio per la Famiglia e, ci tiene farlo sapere, contrariamente a quanto scritto sul programma, canadese; abbiamo poi con noi, ancora una volta graditissimo ospite, Mr. Christopher Derrick. Mr. Derrick, come sappiamo, è scrittore, e ci tiene a dire che ha scritto otto libri così come ha fatto otto figli. Abbiamo poi con noi, dall'Olanda, una coppia, Toas e Leo Van Der Broek, che sono impegnati nel Movimento dei Focolari nel loro Paese. Ci sono infine, ultimi ma non meno importanti, due amici di sempre, del Meeting e nostri: il prof. Rocco Buttiglione (mi dicono, per trovare qualcosa da aggiungere a quanto già tutti sappiamo di Rocco, 4 libri e 4 figli) e l'avv. Giuseppe Zola, che è il Segretario Nazionale del Sindacato delle Famiglie. Do ora la parola, per il primo intervento, a Mons. Primeau.

P. Primeau:

Nella vita della Chiesa il Concilio Vaticano II è stato l'avvenimento saliente del XX sec. Il suo pregio è stato quello di cogliere la vita del mondo nella sua prodigiosa evoluzione e di far capire dapprima alla gerarchia e poi a tutta la Chiesa che in un mondo particolarmente contraddistinto da cambiamenti profondi e rapidi, la Chiesa deve essere costantemente vigilante e attenta agli sviluppi in corso per poter meglio adempiere la sua missione di salvezza. Per non perdersi in tali cambiamenti, Paolo VI aveva compreso la necessità che la Chiesa si riunisse periodicamente a brevi intervalli di tempo per fare il punto sugli argomenti più importanti e urgenti della vita della Chiesa e del mondo. Da qui la creazione ad opera di Paolo VI dei Sinodi Episcopali che dovevano riunirsi ogni due o tre anni per occuparsi collegialmente di certi problemi prioritari. Dopo il Concilio, cioè dopo il '65, i principali Sinodi hanno riguardato la revisione del Diritto Canonico (1967), la giustizia sociale ed il sacerdozio (1971), l'evangelizzazione (1974), la catechesi (1977) e la famiglia (1980). La scelta di un tema del Sinodo dipende dal Papa stesso, ma viene fatta una consultazione dei Vescovi che hanno partecipato al Sinodo precedente per tastare la situazione mondiale e fare una scelta che corrisponda alle vere necessità della Chiesa universale. Così durante queste consultazioni i Vescovi di tutto il mondo hanno proposto più volte il tema della famiglia. E difatti Paolo VI, prima di morire, aveva scelto questo tema per il Sinodo che doveva seguire quello della catechesi. Giovanni Paolo I confermò questa scelta e altrettanto fece Giovanni Paolo II. Fu lui che presiedette all'avvenimento che ebbe luogo nell'ottobre dell’80 a Roma. Il risultato della riflessione dei 210 Vescovi votanti, membri del Sinodo, fu presentato alla Santa Sede sotto forma di 43 "proposizioni" che servirono da base alla redazione e alla pubblicazione del Documento di Giovanni Paolo Il che apparve il 22.11.1981 con il titolo di: "Esortazione Apostolica Familiaris Consortio sui compiti della famiglia cristiana nel mondo moderno". Per il nostro tema di oggi questa notevole esortazione è tale da suggerire utili riflessioni. Infatti se si riflette sul futuro dell'uomo, non si può non rendersi conto che la famiglia di oggi, come pure quella di domani, vi svolgerà un compito molto importante, indipendentemente dalle forme sociologiche di famiglia che talora vengono messe a tema nei dibattiti. L'originalità della Familiaris Consortio è consistita in questo: permettere alla Chiesa e al mondo di interrogarsi sulla famiglia, sulla famiglia concepita secondo il disegno di Dio. Infatti Giovanni Paolo II ha tracciato con rigore e chiarezza il profilo della famiglia, sia sul piano umano che su quello soprannaturale, e ha proclamato a tutto il mondo quale debba essere la missione di questa famiglia, di ogni famiglia, sul finire di questo XX sec. e all'alba del secondo millennio. In questo modo - se l'umanità contemporanea l'ha capito - il Papa annuncia l'uomo di domani. "E’ indispensabile e urgente che tutti gli uomini di buona volontà si impegnino con tutte le proprie forze per la salvaguardia e la promozione dei valori e delle esigenze della famiglia. Il futuro dell'umanità passa attraverso la famiglia" (F.C. 86).

I Il matrimonio e la famiglia sono beni preziosi. La Chiesa lo sa e si mette al servizio delle famiglie.

Come ha detto molto bene Giovanni Paolo II, "nella nostra epoca la famiglia, come le altre istituzioni e forse più di esse, è stata colpita dalle trasformazioni ampie, profonde e rapide della società e della cultura. Parecchie famiglie vivono questa situazione nella fedeltà ai valori che costituiscono il fondamento dell'istituzione familiare. Altre sono cadute nell'incertezza e nello smarrimento di fronte ai propri compiti, e quindi nel dubbio e quasi nell'ignoranza a proposito del senso profondo e, del valore della vita coniugale e familiare. Altre infine vedono la realizzazione dei propri diritti fondamentali ostacolata da varie situazioni di ingiustizia. Sapendo che il matrimonio e la famiglia costituiscono uno dei beni più preziosi dell'umanità, la Chiesa vuol far sentire la propria voce e offrire il proprio aiuto a coloro che, conoscendo già il valore del matrimonio e della famiglia, cercano di viverla fedelmente, a coloro che, immersi nell'incertezza e nell'ansia sono alla ricerca della verità e, a coloro ai quali ingiustamente si impedisce di vivere liberamente il proprio progetto familiare. Dando il proprio sostegno ai primi, la propria luce ai secondi e il propri aiuto agli altri, la Chiesa si mette al servizio di tutti gli uomini che si preoccupano del destino del matrimonio e della famiglia. Essa si rivolge in particolare ai giovani che si accingono a impegnarsi nel matrimonio e nella famiglia, per aprire loro nuovi orizzonti aiutandoli a scoprire la bellezza e la grandezza della vocazione all'amore e al servizio della vita"(F.C. 1). La Chiesa, illuminata dalla fede che le fa conoscere tutta la verità su quei beni preziosi che sono il matrimonio e la famiglia, avverte ancora una volta l'urgenza di annunciare il Vangelo, e cioè la "buona novella", a tutti, senza distinzione, ma in particolare a coloro che sono stati chiamati al matrimonio e a coloro che vi si preparano a tutti gli sposi ed a tutti i genitori del mondo. È accogliendo il Vangelo che l’uomo contemporaneo può garantire la piena realizzazione di tutta la speranza che l’uomo legittimamente pone nel matrimonio e nella famiglia. "Voluti da Dio insieme allo creazione, il matrimonio e la famiglia sono anch'essi destinati a compiersi nel Cristo e necessitano della sua grazia per essere guariti dalla ferita del peccato e ricondotti alla loro origine", e cioè alla piena conoscenza e alla realizzazione del disegno di Dio. In un momento storico nel quale la famiglia subisce numerose pressioni che mirano a distruggerla o per lo meno a deformarla, la Chiesa, conscia che il suo proprio bene e quello della società sono profondamente legati al bene della famiglia, ha una coscienza più viva e più pressante della sua missione di proclamare a tutti il disegno di Dio sul matrimonio e sulla famiglia, assicurando la loro piena vitalità e la loro promozione umana e cristiana e contribuendo così al rinnovamento della società e del popolo di Dio" (F.C. 3).

II E’ necessario conoscere le situazioni concrete delle famiglie, operare scelte evangeliche e osservare attentamente le luci e le ombre della famiglia contemporanea.

Il disegno di Dio sul matrimonio e sulla famiglia non è un "prodotto astratto della ragione". Riguarda l'uomo e la donna nella realtà concreta della loro esistenza quotidiana nell'una o nell'altra situazione sociale e culturale. "Perciò la Chiesa, per compiere il proprio servizio, deve impegnarsi a conoscere le situazioni in cui si realizzano oggi il matrimonio e la famiglia" (F.C. 4). Questa conoscenza delle situazioni è indispensabile e non può essere trascurata. "Infatti la Chiesa deve portare il Vangelo immutabile e sempre nuovo di Gesù Cristo alle famiglie del nostro tempo, e sono le famiglie immerse nelle condizioni attuali del mondo che sono chiamate ad accogliere e a vedere il progetto di Dio che le riguarda" (F.C. 4). La Chiesa stessa può essere portata ad una comprensione più profonda dell'inesauribile mistero del matrimonio e della famiglia proprio a partire dalle situazioni, dalle domande, dalle angosce e dalle speranze dei giovani, degli sposi e dei genitori d'oggi". Non é raro che agli uomini e alle donne d'oggi che cercano sinceramente e seriamente una risposta ai problemi quotidiani e gravi della loro vita matrimoniale e familiare, vengano offerte visioni e proposte forse attraenti, ma che compromettono più o meno la verità e la dignità della persona umana. Spesso tale offerta è sostenuta dall'organizzazione potente e ovunque diffusa dei mezzi di comunicazione sociale che mettono sottilmente in pericolo la libertà e la capacità di giudicare con piena oggettività. Molti sono già coscienti di questo pericolo che minaccia la persona umana e si impegnano a far trionfare la verità. La Chiesa con il suo discernimento evangelico si unisce a loro, dando il proprio apporto al servizio della verità, della libertà e della dignità di tutti gli uomini e di tutte le donne" (F.C. 4). Con il suo discernimento la Chiesa propone un orientamento che permette di salvare e di realizzare tutta la verità e la piena dignità del matrimonio e della famiglia. Questo discernimento avviene grazie al senso della fede, dono che lo Spirito accorda ai pastori e ai fedeli. È un'opera di tutta la Chiesa secondo la diversità dei doni e dei carismi che agiscono insieme per una più profonda intelligenza e attuazione del piano di Dio. Il compito specifico dei laici quello di interpretare la storia di questo mondo alla luce di Cristo, poiché sono chiamati a illuminare e a ordinare le realtà temporali secondo il bisogno di Dio creatore e Redentore. Tuttavia è importante saper distinguere tra l'autentico senso soprannaturale della fede e il consenso de fedeli, poiché la Chiesa che segue Cristo cerca la verità che non coincide sempre con l'opinione della maggioranza. "Il ruolo del ministero apostolico è quello di assicurare la permanenza della Chiesa nella verità di Cristo di inserirvela sempre più profondamente. I pastori devono anche promuovere il senso della fede in tutti i fedeli, esaminare e giudicare nel modo autorizzato dalla Chiesa l'autenticità delle sue espressioni e formare i fedeli ad un discernimento evangelico sempre più cosciente. Per l'elaborazione di un autentico discernimento evangelico nelle varie situazioni e culture nelle quali l'uomo e la donna vivono il loro matrimonio e la loro esistenza familiare, gli sposi ed i genitori cristiani possono e devono apportare il contributo che è loro proprio e che è insostituibile. Sono abilitati a ciò dal loro carisma o dono proprio, quello dato dal sacramento del matrimonio (F.C. 5). Qual è la situazione della famiglia del nostro mondo attuale? È una domanda importante a cui non è permesso, da un lato, dare una risposta superficiale, mentre d'altro canto ci mancano le inchieste sociologiche che ci consentirebbero di dare una risposta pienamente soddisfacente, specialmente tenuto conto della varietà delle situazioni a seconda dei luoghi geografici e delle culture, e persino delle situazioni all'interno di uno stesso paese. Diciamo grosso modo, che la famiglia presenta aspetti positivi e negativi, e che bisogna guardarsi dal cade e in un pessimismo troppo nero o in un semplicistico ottimismo che non tenga conto realtà.

Tenendo conto realisticamente della famiglia, il futuro dell'uomo sarà ciò che la saggezza dell'uomo farà della cellula di base della società.

La nostra epoca ha bisogno di saggezza. Tutta la Chiesa ha il dovere di riflettere e d'impegnarsi profondamente affinché la nuova cultura che appare venga intimamente evangelizzata. È necessario che si riconoscano i veri valori e che si difendano i diritti dell'uomo e della donna. È necessario promuovere la giustizia nelle strutture stesse della società. "Così il nuovo umanesimo non distoglierà gli uomini dal loro rapporto con Dio, ma ce li condurrà in modo più pieno" (F. C. 8). Nella costruzione di tale umanesimo, la scienza e le sue applicazioni pratiche offrono possibilità nuove ed immense. Tuttavia la scienza, in seguito alle scelte politiche che determinano l'orientamento della ricerca e delle sue applicazioni, è spesso utilizzata contro il suo significato originale, la promozione della persona umana. "E’ dunque necessario che tutti riprendano coscienza di un primato dei valori morali: essi sono quelli della persona umana in quanto tale. La comprensione del senso ultimo della vita e dei suoi valori fondamentali è la grande sfida che s'impone oggi per il rinnovamento della società. Solo la coscienza del primato di questi valori permette di utilizzare le immense possibilità che la scienza mette nelle mani dell'uomo in modo da promuovere veramente la persona umana in tutta la sua verità, nella sua libertà e nella sua dignità. La scienza è chiamata ad unirsi alla saggezza". Si possono applicare ai problemi della famiglia le parole del Concilio Vaticano II: "La nostra epoca, più di qualunque altra, ha bisogno di tale saggezza per umanizzare le proprie scoperte qualunque esse siano. Il futuro del mondo sarebbe in pericolo se essa non sapesse darsi delle persone sagge" (F.C. 8). L'educazione della coscienza morale, che rende ogni uomo capace di giudicare e di discernere i mezzi adeguati per realizzarsi secondo la propria verità originale. Nella cultura contemporanea deve essere di nuovo profondamente impressa l'alleanza con la saggezza divina. Ogni uomo è reso partecipe di questa saggezza dal gesto creatore di Dio stesso. E solo nella fedeltà a questa alleanza le famiglie odierne saranno in grado di esercitare un'influenza positiva sulla costruzione di un mondo più giusto e più fraterno.

CONCLUSIONE

Il Sinodo sulla missione della famiglia cristiana nel mondo attuale ha permesso di comprendere meglio la situazione complessa della famiglia contemporanea, di riflettere sul disegno di Dio sulla famiglia, di far capire ai pastori ed ai laici che bisogna evangelizzare la cultura, difendere i diritti dell'uomo e della donna, costruire un umanesimo nuovo in cui scienza e saggezza si armonizzino, riprendere coscienza del primato dei valori morali. È dunque indispensabile ed urgente che tutti gli uomini di buona volontà si impegnino per la salvaguardia e la promozione dei valori e delle esigenze della famiglia.

I. Colozzi:

Ringrazio a nome di tutti voi mons. Primeau, e passo subito la parola a Mister Derrick.

C. Derrick: 3

Permettetemi di raccontarvi un esperimento che spesso ho fatto in Inghilterra e negli Stati Uniti e sempre con lo stesso risultato. Mi chiedo se avrà un risultato diverso qui in Italia. Per poter fare l'esperimento, chiedete a qualcuno come vede il futuro del suo paese (qualunque sia) nei prossimi vent'anni. L'interesse non sta nella risposta che darà, ottimistica o pessimistica che sia, ma nella sua istintiva comprensione ed interpretazione della domanda. Il "futuro" di una nazione: un concetto che potrebbe essere inteso in molti modi diversi. Ma secondo l'esperienza che ne ho avuto in Inghilterra o in America praticamente tutti l'intendono in termini politici ed economici, almeno in prima battuta. Generalmente la vostra domanda sul futuro del paese viene istintivamente concepita come una domanda sul futuro soprattutto politico ed economico e la risposta sarà in questi termini. Quale partito avrà maggiore potere? E a proposito delle alleanze fra i paesi stranieri e di possibili guerre? Quanto arricchirà ciascuno di noi? Il livello dell'occupazione crescerà o calerà? Quali cambiamenti porterà lo sviluppo tecnologico al modelli di vita e di lavoro? Il livello di vita delle lente migliorerà o peggiorerà? E così via sempre sullo stesso tono. Ora si potrebbe dire che, dato che il concetto di "paese" è in sé politico e anche economico, la forma della vostra domanda era tale da invitare a dare la risposta in questi termini. Ma anche ammesso questo penso che questo esperimento - provatelo qui localmente - serva a confermare qualcosa che possiamo osservare più ampiamente. L'uomo del XX secolo ha una grossa tendenza a vedere la condizione umana ed a lavorare intorno ai suoi problemi soprattutto in termini politici ed economici. Per non infierire, chiamerei questo un modo di guardare alla condizione umana. A modo suo è necessario naturalmente; siamo animali sociali e la nostra vita deve sempre includere elementi che si possono chiamare "politici" almeno in un certo senso della parola dobbiamo anche mangiare, siamo produttori e consumatori, molto del nostro tempo è impegnato in attività economiche. Ma è realistico vedere lo scopo principale della vita così come il suo probabile futuro in questi termini? Una cosa mi sembra estremamente chiara: l'uomo ha bisogno, per vivere, di una qualche speranza. Ma se noi viviamo con la speranza di stabili miglioramenti economici e politici, è come se inseguissimo disillusione e disperazione. Asserisco che, quando pensiamo alla condizione dell'uomo ed al possibile futuro di "un paese" o di qualsiasi altro gruppo, dovremmo in primo luogo focalizzare la nostra attenzione ad un livello più profondo: dovremmo in primo luogo pensare in termini di natura culturale, psicologica, morale e religiosa. Permettetemi di darvi un esempio di ciò che voglio dire quando parlo di livello culturale e psicologico. Nutro gravissimi timori sul futuro della mia nazione nel prossimi vent'anni. Ma queste paure non sono riguardo al governo o all'economia. Quello che mi preoccupa è il fatto che tutto sta passando sempre più nelle mani di una generazione ora giovane - una generazione che è stata condizionata nella direzione di una visione nichilistica dei valori e su cui le influenze culturali primarie sono state la televisione e la musica "rock". "Li è la pazzia" e non c'è niente da fare di carattere politico od economico. Ma attualmente la mia attenzione è volta altrove e questo è il mio principale consiglio: se vogliamo prender in considerazione il possibile o probabile futuro dell'umanità o in particolare di qualche paese la nostra prima e principale domanda dovrebbe riguardare il futuro della religione e il futuro della vita della famiglia. Questa è la domanda chiave. La nostra preoccupazione attuale per la politica e le cause economiche fa sì che troppi di noi dimentichino l'importanza cruciale della religione e della famiglia come fattori determinanti la storia e perciò il futuro dell’uomo. Ora parlo come cattolico se dovessi sviluppare questo argomento dal punto di vista teologico, direi che l'unica domanda realmente importante è per quanto tempo Cristo regnerà nelle menti e nei cuori degli uomini - la domanda, perciò, sull'apostolato della Chiesa, la sua efficacia e (sfortunatamente è necessario aggiungere) la sua integrità. Perciò io dico, con tutta serietà, che, se vi sta realmente a cuore il futuro dell’uomo, avete l'urgentissimo compito di aiutare la Chiesa a guarire da questo "attacco di pensiero folle" da cui è stata colta, per lo meno in alcune nazioni e non per la prima volta. Tuttavia, sebbene questo sia il mio pensiero, parlerò ora in termini più empirici ed antropologici. La religione considerata in senso lato, è la chiave determinante della vita e del futuro dell'uomo. Quello che tiene unita qualsiasi tribù è il fatto che ha dei e templi comuni: una società pluralistica dal punto di vista religioso è radicalmente divisa e intrinsecamente instabile. I russi e gli americani fanno fronte a questo fatto facendo dello Stato l'ordine secolare, una cosa sacra e un tipo di religione: noi in Inghilterra e in Europa attualmente non abbiamo un modo di affrontarlo, il che è una brutta notizia per il nostro futuro. Da noi la cosa che si avvicina di più ad una religione comune è il culto del miglioramento economico, dell’abbondanza e di un "Livello di vita" alto ed in stabile crescita. Ma tutti i falsi dei spezzano i cuori dei loro adoratori e questo dio falso sembra sia inderogabilmente sulla stessa via. Allora la vita della famiglia è un fattore grandemente determinante la storia e il futuro dell'umanità. Leggete un qualsiasi studio antropologico su una di quelle tribù che noi in forma piuttosto condiscendente chiamiamo "primitive". Un capitolo chiave sarà sulla sua religione, un altro sarà sulle strutture familiari, i modelli di parentele e matrimonio, di endogamia ed esogamia, e così via. Altri capitoli saranno di carattere politico ed economico. Ma l'importanza di questi sarà molto meno decisiva; a questo livello, di secondo ordine, qualsiasi tipo di disgregazione sarà molto meno distruttiva per quanto riguarda la vita ed il futuro della tribù in questione. Ora a questo punto potrei continuare facendo altre osservazioni ovvie sul rapporto tra la vita della famiglia e la religione cattolica, in particolare la morale cattolica. Queste osservazioni potrebbero essere vere ed anche molto importanti. Direi che in effetti un comportamento sessuale non corretto è distruttivo nei confronti della vita della famiglia e perciò del futuro dell'uomo. Questo deve sempre essere detto a gran voce e con convinzione. Ma non giungerebbe molto nuovo a questo pubblico: voi lo sapete già. Perciò propongo di offrirvi una o due ulteriori considerazioni che possono essere in un certo senso meno ovvie. In primo luogo, vorrei distinguere i due diversi modi per cui uno scorretto comportamento sessuale è cosa cattiva. È sempre un peccato contro Dio e per lo meno secondo i più anziani moralisti, un peccato molto grave, mai veniale per motivo di parvitas materiae, cioè della leggerezza o scarsa importanza dell’azione compiuta. Non penso che questi vecchi moralisti si esprimessero in modo molto preciso, ma posso capire a che cosa volessero giungere. Il sesso è sempre stata una cosa sacra, mai una cosa profana: anche i pagani vedevano Venere o Afrodite come una dea, mai come il bene di consumo, lo sport, il divertimento cui è stata ridotta dalla "società permissiva". E per noi cattolici naturalmente matrimonium o riproduzione sessuale è un reale sacramento. Siamo tutti tentati verso una varietà di peccati e possiamo essere veramente cattivi. Ma c'è solo un tipo di peccato che siamo di solito tentati di commettere e che, se commessi, implicano la profanazione di un sacramento. Che non ci si scordi mai di questo fatto. Ma che la sua importanza non oscuri mai il fatto che i peccati che riguardano il sesso possono largamente differire per quanto riguarda lo loro natura socialmente disgregatrice e le loro conseguenze dannose per il futuro dell'uomo. Come esempio consideriamo il fatto che l'adulterio è sempre un peccato di fronte a Dio ed anche che viene commesso spesso e probabilmente continuerà. Ma può avere diverse versioni. Un uomo si stanca della moglie, diciamo, e si fa un'amante tenendo contemporaneamente in essere il suo matrimonio. All'interno della cultura cattolica, specialmente a livelli cristocratici e regali, questo era spesso considerato socialmente accettabile anche se non meno immorale: l'amante di un grande uomo può spesso essere presentata apertamente come tale in alcune circostanze sociali. Ma raramente è avvenuto così nella cultura protestante, inglese o americana. Là, per essere socialmente accettati, l'adulterio si deve dare il menzognero camuffamento del divorzio e nuovo matrimonio, anche di successivi divorzi e nuovi matrimoni. Così troviamo una istituzione che può ben essere chiamata poligamia "a puntate". In termini di moralità cattolica, questi due sviluppi sono identici: ciascuno dei due corrisponde all'adulterio. Ma in termini di disgregazione e danno sociale l'ultimo è molto più distruttivo più ovviamente per i figli. Così a lato del dovere religioso e morale della fedeltà coniugale porrei il dovere collegato ma distinto di lealtà all'istituzione. Pecca se devi ma mantieni in piedi la famiglia. Le leggi che permettono un facile divorzio sono naturalmente mostruose agli occhi di Dio. Ma oltre a ciò non hanno la qualità umanitaria che spesso viene rivendicata. Esse non riducono l'ammontare totale della miseria umana: l'aumentano. Una stabile fedeltà nella vita coniugale è un obbligo morale: è anche una necessità pratica per la vita dell'uomo e coloro che la minano sono nemici del popolo. In secondo luogo, penso che possiamo utilmente allargare la nostra nozione abituale di ciò che è la "famiglia". Come cattolici normalmente pensiamo ad essa in termini di nucleo familiare - padre, madre e figli - e siamo incoraggiati a ciò pensando alla Sacra Famiglia ed alla Santa Trinità. Questo è veramente il cuore sacramentale della questione. Ma dal punto di vista sociale e con un occhio al futuro dell'uomo, abbiamo anche bisogno d'una certa riabilitazione del gruppo familiare, persino del "clan". Oltre al nucleo familiare è buona cosa avere la propria gente abbastanza vicina. Una giovane sposa ha bisogno di avere sua madre abbastanza vicina così si può lamentare ed essere confortata quando il suo terribile marito sembra assolutamente insopportabile: i figli hanno bisogno dei genitori i e fratelli ma anche dei nonni, degli zii, delle zie e pure dei cugini, un intero gruppo, una complessa rete di rapporti di cui essi fanno parte occupando ciascuno il suo posto speciale. Uno dei più profondi bisogni dell'uomo è il bisogno dell'appartenenza - appartenere ad un lungo, a qualcuno, all'interno di un certo tipo di rete strutturata di rapporti. Il nucleo familiare incontra questo bisogno e il gruppo familiare ancora di più, a meno che non sia sparsa a causa della peggiore maledizione della nostra epoca che la facilità dei mezzi di comunicazione e la highway society senza radici, entro la quale nessuno appartiene a nessun luogo. Questo è uno dei principali fattori che rende la società americana così ansiosa, instabile e nevrotica, sebbene il fenomeno delle famiglie che si disperdono sia anche un fenomeno europeo, un cattivo auspicio per il nostro futuro. Se solo il petrolio si esaurisse! Se solo muoversi con mezzi di trasporto tornasse ad essere difficile e laborioso, dandoci un rinnovato senso di vicinato e di una rete locale di rapporti familiari! Che questo accada o no, pensiamo al futuro dell'uomo nei termini dei suoi principali fattori determinanti; la religione e la famiglia. Quello che accade nella Chiesa, quello che accade in famiglia - queste sono le cose importanti a lato delle quali lo sviluppo politico ed economico debbono sempre essere considerati in un certo senso poco importanti e futili.

I. Colozzi:

Ringraziamo Mister Derrick per questo suo intervento. La parola adesso a Rocco Buttiglione.

R. Buttiglione:

Diceva una volta un mio amico, che è anche un vostro amico, un grande amico del nostro Meeting, che è un grande filosofo, Stanislaw Grygiel, che oggi, quando si vuole attaccare l'uomo, distruggendolo, non è una buona tattica quella di attaccarlo frontalmente. Al contrario, per distruggere l'uomo, è meglio, cercare di aggirarlo significa aggirare l'uomo? E’ un pensiero, non so se Grygiel questo lo sappia, che coincide con un grande classico della strategia militare, il Von Cleusewitz. Cleusewitz spiega che ad ogni costo l'attacco frontale è l'ultima risorsa; per vincere, bisogna aggirare il nemico, attaccarlo sul fianco, tagliare le sue linee di rifornimento, colpirlo alle spalle, infine costringerlo a cedere quasi senza lotta. È un precetto che non vale solo nella scienza militare, ma anche in tutte le scienze sociali; vale, soprattutto, nel caso dell'uomo. Le ideologie che tendono oggettivamente a distruggere l'uomo oggi non lo attaccano frontalmente (l'uomo si difenderebbe), anzi lo elogiano ogni modo, si proclamano umanistiche. C'è qualcuno oggi che non afferma di essere umanistico, da Andropov a Pinochet, passando per tutte le varianti della socialdemocrazia e del capitalismo liberale? Nessuno. Tutti sono umanisti. Pretendono, anzi, le ideologie, di essere le sole a prendere veramente a cuore il destino dell'uomo; dicono che in passato la libertà dell'uomo è stata compressa, in un modo innaturale, dai vincoli della tradizione, da molteplici relazioni di dipendenza, dalla Chiesa, dalla famiglia, e da tante altre cose del genere. Tutto questo appare magnifico, ed i propositi di emancipazione che vengono enunciati sono difficili da non condividere. Per esempio: chi non vuole la liberazione della donna? Chi si oppone alla rivalutazione della sua dignità? Chi ha qualcosa da dire contro i diritti del bambino? E, per altro, chi ha qualcosa da dire anche contro i diritti del maschio adulto? Certo, nessuno. Tuttavia, sotto questa seducente apparenza di rivendicazione della libertà e dei diritti dell'uomo, della donna, del bambino, del vecchio, in realtà si nasconde un attacco micidiale. Infatti, mentre si esalta l'uomo, si rivendica la sua libertà, si dimenticano invece le strutture fondamentali che fanno di un uomo un uomo, cioè le dinamiche che sono proprie della vita della persona. Si attaccano anzi, proprio in nome della libertà, della emancipazione dell’uomo, quelle strutture umane all'interno delle quali l'uomo si forma, diventa capace di decisione autonoma e di scelta responsabile. In nome di un'uguaglianza astratta, di una libertà priva di concreti contenuti umani, si distrugge il vincolo di fedeltà, che lega gli uomini fra di loro, e garantisce le condizioni dello sviluppo della persona. Il primo di questi luoghi certamente è la famiglia. Non a caso la famiglia è anche forse, il luogo più attaccato da quel totalitarismo strisciante, che la grande malattia del nostro tempo, dei nostri Paesi liberi tanto quanto di quelli che sono più evidentemente non liberi. Da qualche parte, credo in un libro che si intitola "Minima Moralia", un grande filosofo tedesco, Theodor W. Adorno, spiega che la stupidità, quasi sempre, e un effetto della paura. L'intelligenza dell'uomo, che è quel dato per cui l'uomo somiglia a Dio stesso, e che è anche in un certo senso il presupposto della libertà dell'uomo (S. Tommaso lega strettamente queste due qualità: dice dell'uomo che è un ente intelligente e libero), è simile, dice Adorno, per un aspetto ad una lumaca che cautamente protende le sue antenne fuori del proprio guscio per esplorare la realtà circostante. Non so se le avete mai viste, ma penso di sì, a meno che non siate proprio nati e cresciuti nel cuore di una grande metropoli come Milano; ma la maggior parte della gente, già alla periferia della grande città, sa ancora cosa sono le lumache, le ha viste qualche volta, che tirano fuori le loro antenne, ed esplorano il terreno: se urtano contro un ostacolo, o se avvertono la presenza di un nemico, se vengono colpite, subito si ritirano, e per lungo tempo sarà impossibile ottenere che la bestiola torni a rischiare la testa fuori dal guscio. Se il tentativo della lumaca incontra un ambiente benevolo, con il quale può stabilire un rapporto di simbiosi fiduciosa, allora l'originaria simpatia per il reale, che spinge la lumaca ad uscire dal proprio guscio, verrà confermata. Ma al contrario, se questo primo tentativo viene frustrato, punito con una ferita e con una mutilazione, allora per sempre per un lungo periodo almeno, quel piccolo essere lascerà prevalere l'istinto di difesa su quello di simpatia, e si ritirerà nel proprio nascondiglio. Questa prima esperienza decide per sempre, o per un lungo tempo, se il piccolo animale avrà acquisito o no il gusto di esplorare e conoscere il mondo. Simile a quella della lumaca é la situazione del bambino, che inizia carico di fiduciosa curiosità il suo rapporto con il reale. Se egli potrà cominciare a protendere le proprie antenne verso il mondo in un ambiente carico di una presenza benevolente, allora crescerà carico di quella fiducia nella positività dell'essere, che è il contesto emotivo all'interno del quale può iniziare a svolgersi l'avventura dell'intelligenza. Senza questa fiducia nell'essere, senza questa prima originaria esperienza del fatto che l'essere è bene (che è anche un grande principio filosofico), senza questa esperienza l'uomo non può essere intelligente: la stupidità è una difesa, una difesa che nasce dalla convinzione della inimicizia dell'essere, della malvagità del mondo. Se quella prima, originaria apertura verrà contraddetta, se ai suoi primi tentativi ed errori il giovane incontrerà una durezza prima di misericordia, allora diventerà non un uomo della comunione, ma un uomo dei nascondigli, come dice Joseph Tischner, cioè un uomo incapace di vivere l'incontro con l'altro come una relazione di dono reciproco, di amichevole scoperta della verità dell'uomo. Il mondo è pieno di simili uomini dei nascondigli, racchiusi in se stessi come la lumaca nel suo guscio, capacità di stabilire con l’esterno solo relazioni di competizione, di diffidenza e di lotta. Sentendosi sempre minacciati, essi di continuo minacciano, e la vita è per loro una lotta continua, un perpetuo inquieto conflitto. Essi tendono a provocare sofferenza negli altri perché la loro vita stessa è un continuo ripiegarsi su di una sofferenza originaria che ha distrutto la loro fiducia nella vita e nell'uomo. Non occorre una conoscenza approfondita della psicanalisi per dire che dietro l'uomo dei nascondigli vi è quasi sempre un trauma familiare; il primo tentativo di aprirsi con simpatia al mondo è stato frustrato perché lo spazio emotivo e spirituale in cui esso si è svolto era uno spazio vuoto, attraversato da tensioni incontrollate ed ostili. Esso non era garantito, reso sicuro dalla presenza del padre e della madre, dalla forza di quella unità dell'uomo e della donna che è l'humus in cui ha bisogno di poter affondare la propria radice la vita che nasce ed incomincia ad inoltrarsi nel mistero dell'essere. Questa è una struttura universale della vita dell’uomo; non troverete una civilizzazione umana in cui l’uomo non nasca e non cresca così, in cui l'avventura dell'intelligenza e della libertà non abbia bisogno di questo spazio iniziale di comprensione e presenza benevolente, per potersi rivolgere verso il mondo. L'individuo si forma all'interno della famiglia. Dice S. Tommaso che questa è una specie di utero spirituale, di cui l'individuo ha bisogno per potersi costituire, cioè per nascere in un senso pienamente umano, e per non rischiare di diventare una specie di aborto spirituale. Proprio questo elemento lega fin dal principio il compito della famiglia con quello della Chiesa, e più in generale con il disegno di Dio sull'uomo. Infatti non altro Dio vuole nella storia del mondo se non la generazione dell'uomo, la sua compiuta nascita spirituale, come soggetto intelligente e libero. Non per altro, Cristo è morto sulla Croce, perché potesse essere ripresa e portata a compimento quella generazione dell'uomo che era fallita, e in un certo senso appunto anche abortita, in Adamo. Per questo noi diciamo di Dio che è Padre, e della Chiesa diciamo che essa è la nostra Madre. Quell'utero spirituale che è la famiglia trapassa infatti per successive gradazioni in quel diverso, ed analogo utero spirituale che è la Chiesa. Ed infatti della famiglia il Concilio ecumenico Vaticano II dice che è una piccola Chiesa domestica, mentre della Chiesa i Padri dicono che essa è la famiglia di Dio. Vi è però una legge della generazione dell'uomo nella libertà, sui cui è importante che ci soffermiamo, e che, dimenticata, rende retorico tutto il nostro discorso. Questa legge è la legge della Croce. L'abbiamo incontrata fin dal principio del nostro discorso nella vita della famiglia. La condizione assolutamente indispensabile della libertà e della vita stessa del bambino è il dono di sé da parte dei genitori; se essi non accettano di obbedire all'avvenimento che si verifica fra di loro e dentro di loro, il bimbo non può nascere. Essi devono accettare di vincolare la propria libertà al compito di dargli la vita; e non un qualunque vincolarsi è sufficiente: è necessario un vincolarsi liberamente al compito. Se il vincolo infatti non è accolto liberamente, ma con un cuore carico dì rancore, su questo terreno non potrà sbocciare la libertà del figlio, ma solo, al massimo, un'esistenza cupa, che si rivolge con astio verso la propria origine e verso le terra. Il vincolarsi liberamente al compito di affermare la libertà e la dignità dell'altro, consentendole di maturare e di sbocciare, è ciò che indichiamo con la parola "amore". L’ amore è il frutto di un libero dono di sé; esso presuppone la libertà: senza' libertà non può esservi amore. Ma anche la libertà presuppone l'amore. Se l'uomo infatti non si vincola al compito di affermare l'altro, di accompagnarlo verso la sua maturazione, la libertà non fiorirà in lui. La mia libertà è frutto di un dono di Dio voluto fin dall'inizio del mondo, un dono affidato, in una certa misura, alle mani fragili ma attente di mio padre e di mia madre, così come oggi, la generazione nella libertà dei miei figli è affidata alle mie mani ed a quelle di mia moglie. Comprendiamo meglio, forse, adesso, in che modo l'attacco contro la famiglia, portato in nome della libertà, è in realtà l'arma più terribile che possa essere usata contro la libertà dell'uomo. Uomini che in nome della libertà, intesa come puro arbitrio, come semplice fare ciò che pare e piace, non impegnano la loro libertà nell'amo , e non generano uomini liberi, ma poveri esseri nevrotici e incerti, egualmente pronti ad un anarchico rifiuto di qualunque autorità come ad una pronta sottomissione a qualunque potere capace di imporsi manipolando i loro istinti e sfruttando le loro paure. Il nodo che sta infine al cuore del problema della famiglia (ma sarebbe più giusto dire del problema dell'uomo) è un modo d'intendere la libertà e l'amore. Per una giusta filosofia l’uomo, la libertà intesa come libero arbitrio non è il valore più alto; il valore più alto è l'amore, e l'uomo è libero per potere amare. La persona, e non solo la persona dell'uomo, badate, ma anche, per esempio, la persona di Dio, fatta in modo tale da poter realizzare se stessa solo attraverso un libero dono di sé (per questo Dio cristiano è una Trinità). È nell'appartenenza che nasce dall'amore che l'uomo scopre veramente se stesso, il proprio volto interiore, il contenuto autentico della sua libertà. Un uomo che appartiene a nessuno non può appartenere veramente nemmeno a se stesso, quindi non può essere libero. Come infatti sarà libero, se nessuno lo avrà liberato? Come apparterrà a sé stesso, se non si sarà ricevuto in dono da parte di nessuno? È "Il piccolo principe" di Antoine de Saint-Exupèry, che con grande forza poetica nel nostro tempo ha formulato questo dilemma: per possedersi, l'uomo deve riceversi in dono. L'altro concetto, sul quale oggi vi è una grande e distruttiva confusione, è quello di amore. L'amore è un atto della libertà. Proprio per questo la libertà è data all'uomo, perché egli possa dare se stesso. Accade invece che nel linguaggio comune l'amore venga fatto coincidere con l'attrazione sessuale, oppure (ma questo è già un considerevole passo in avanti) con un determinato stato emotivo, che è provocato nell'uomo, senza l'intervento della sua libertà e della sua volontà, dalla presenza dell'altro; è quello stato emotivo che più giustamente possiamo indicare con la parola innamoramento. È uno stato emotivo che ha una grandissima importanza nella vita dell'uomo: l’innamoramento è per eccellenza quell'esperienza nella quale il valore della persona dell'altro, mi diventa emotivamente percepibile, non soltanto con il mio cervello, ma anche con il mio cuore. Ed è per questo che nella relazione tra l'uomo e la donna l'innamoramento è l’introduzione normale all'esperienza dell'amore; è molto più facile imparare cos'è l'amore attraverso l'esperienza dell'essere innamorati. Ma essa non coincide con l'amore, perché l’amore è un atto di libertà: occorre che la libertà impegni se stessa, certo, anche a partire dalle indicazioni che questa straordinaria e ricchissima esperienza emotiva le dà. Ma l'atto della libertà contiene in sé questo, l'impegno di una fedeltà, e la scelta di appartenere. Della esperienza dell'amore, e questo è ciò che più la differenzia.

I. Colozzi:

Dopo questo sentitissimo grazie che avete voluto esprimere a Rocco Buttiglione per quello che ci ha detto, lascio la parola ai coniugi Vari Der Broek.

T. Van Der Broek:

Potremmo raccontarvi qualche cosa della nostra esperienza concreta di sposati: niente di speciale, ma le cose semplici della vita di ogni giorno. Quest'anno è 15 anni che siamo sposati, abbiamo 5 figli, una ragazza e quattro ragazzi. Quando ci siamo conosciuti eravamo tutti e due studenti all'Università di Nijmegen (Nimega), una piccola città olandese, e mio marito era impegnato in un movimento cristiano, e anche in me, attraverso il contatto con questo movimento, rinasceva qualcosa di questa fede a cui io da anni avevo praticamente voltato le spalle. Dall'esperienza fatta nel mondo universitari avevo pensato che la religione fosse qualcosa di vecchio, di sorpassato, ma adesso incontravo delle persone che vivevano il Vangelo, e mi accorsi che la fede era qualcosa di molto più profondo di quello che avevo conosciuto fin'allora. Ci siamo innamorati, e cominciavamo a intraprendere tante cose insieme, a interessarci l’uno all’altro, e anche a sentire che avremmo voluto andare per la vita insieme. Ma, ci siamo accorti subito che l'altro non sarebbe mai potuto essere l'appagamento totale delle nostre aspirazioni, e che solo Dio poteva esserlo, e questa cosa ce la siamo anche detti. Eravamo convinti che Dio doveva essere il centro della nostra vita personale, ma anche di noi come coppia e come futura famiglia. E l'abbiamo scelto come nostro Ideale. Concretamente, questo voleva dire mettere Dio al primo posto, amare l'altro in Dio, non esigere, ma donare. Già nel nostro fidanzamento questa scelta implicava un amore sempre più profondo fra di noi e anche una più grande apertura verso mondo fuori. La vita era diventata un'avventura molto bella, così un giorno abbiamo donato tutti i soldi che avevamo risparmiato per poterci sposare, perché c’era necessità da qualche parte, e avevamo l'impressione che Dio chiedeva questo a noi; eravamo convinti che lui poi avrebbe pensato a noi, e questo ci fu confermato quando, poco dopo, in un modo del tutto inaspettato, abbiamo avuto i soldi, una casa e un lavoro. E questo ci confermava che eravamo sulla strada giusta, e che Dio, per il quale avevamo fatto posto nel nostro rapporto, non si lasciava vincere in generosità. E quando nel 1968 ci siamo sposati, fu un passo gioioso verso Dio.

L. Van Der Broek:

Più volte avevano parlato dell'amore coniugale e capivamo che questo comprendeva anche la continenza, ma questo non lo vedevamo come una cosa negativa, anzi, nonostante le opinioni contrarie del nostro ambiente, vedevamo in ciò una cosa molto positiva. Sentivamo che in questo modo l'amore verso Dio e tra noi cresceva, e perciò fu molto grande la nostra gioia, vedendoci confermati in ciò che pensavamo e vivevamo, quando è uscita l'enciclica Humanae Vitae, proprio in quello stesso anno, poco dopo che ci eravamo sposati; questo momento non fu però solo una conferma delle nostre idee, ci aprì anche un orizzonte nuovo: la famiglia cristiana come una vita per andare a Dio, una via di santità.

T. Van Der Broek:

Era nostro desiderio essere: una famiglia cristiana, volevamo che il nostro amore portasse frutto, e che ci fossero dei bambini. E così nel corso di alcuni anni sono nati i primi tre, però c’erano delle circostanze che ci facevano capire che dovevamo anche agire con responsabilità. Ma avendo cercato di far sì che l'amore fosse la vera base del nostro matrimonio, l'amore come conseguenza della nostra scelta di Dio, ci sentivamo liberi di prendere delle decisioni nel senso della dottrina della Chiesa, che avevamo visto come un aiuto, per far crescere questo amore. E il rimandare una nuova gravidanza doveva succedere secondo questa linea. Le circostanze cambiarono e dopo una pausa di 4 anni abbiamo avuto altri due figli. Per quanto riguarda me personalmente, posso dire questo: vedevo che ero, sì, sempre più legata alla casa, e occupata dalle faccende quotidiane, e alle volte ripensavo alle idee che avevo avuto sulla mia libertà personale, che certamente non andavano d'accordo con la realtà concreta di quel momento. Però mi sentivo più umana, più realizzata, più donna, ed ero profondamente cosciente di una nuova libertà interiore.

L. Van Der Broek:

Sempre più chiaro era per noi che il matrimonio è una scuola, una scuola d'amore, e quindi una via a Dio nella quale egli ci guida e ci prova. Ricordo ancora come ieri arido i medici in ospedale ci confermarono che la nostra figlia maggiore, allora di 5 anni, era gravemente ammalata e sarebbe potuta morire di leucemia. Per noi fu quello un grosso choc, che insieme, e ciascuno da solo, dovevamo consumare. La prima cosa che ci venne da pensare e che ci dicemmo l’un l’altro fu che fino a quel momento avevamo visto in tutte le circostanze l'amore di Dio, perciò anche adesso doveva essere il Suo amore che dava a noi e alla nostra bambina quel dolore. Insieme abbiamo detto il nostro "sì" a lui, pronti a ridargli quello che lui ci aveva donato, quello che già da sempre avevamo visto essere suo. La seconda cosa che ci colpì profondamente fu questa: che cosa abbiamo fatto fino ad ora? Si, avevamo certamente amato la nostra figlia, ma non avevamo dato tutto quell'amore che era possibile, e forse questa possibilità non l'avremmo più avuta. Quei pochi momenti che forse c'erano ancora dovevano essere pieni d'amore per lei. Però non solo per lei, perché tutti, infatti, possiamo morire in ogni momento. Era la scoperta che la vita cristiana può essere vissuta solo nell'attimo presente che abbiamo in mano, e che in quello dovevamo amare totalmente Dio e il prossimo. Quel dolore fu necessario per farci capire qualche cosa di quella realtà che si nasconde dietro le cose. La presenza della nostra figlia maggiore, tuttora, ci ricorda continuamente questa dolorosa esperienza, che ha aperto il nostro cuore al dolore degli altri, al dolore della società, e ne siamo grati a Dio. Per chiarire forse meglio quello che intendiamo dire potrebbe servire una piccola esperienza che io ho fatto qualche tempo fa con uno dei nostri figli più piccoli. Era tornato da alcuni giorni dall'ospedale dopo un'operazione alle tonsille. Era ora di andare a dormire e perciò lo dovevo portare a letto, ma egli mi disse: "La mamma deve mettermi a letto"; però la mamma non era a casa. Mi sentii un po’ offeso nel mio onore, perché pensavo: "Ma che differenza c'è se lo metto a letto io o se lo mette a letto la mamma". Poi a un certo momento ho visto che forse c'era veramente una differenza: io volevo finire in fretta, avevo ancora un sacco di cose da fare, e forse non avevo per lui tutta quell'attenzione che lui desiderava e che certamente avrebbe avuto dalla mamma. Allora pensai: "devo proprio prova e a dargli lo stesso amore che egli si aspetta dalla mamma", e mi sono buttato, dimenticando i miei problemi e le cose urgenti che ancora avevo da fare, tutto si risolse in un attimo: non chiese assolutamente più della mamma, e andò a letto docilmente. La soluzione non era che venisse la mamma, ma che io gli dessi quell'amore che egli desiderava. E se adesso guardiamo alla società, potremmo dire che la società in tanti aspetti assomiglia a questo bambino: una società ribelle, che ne combina di tutti i colori; e siccome gli uomini non ricevono quell'attenzione che si dovrebbe dare loro, sorgono problemi, sorgono tumulti, e si fa un certo tipo di rivoluzione, s'impone l'anarchia. Ma non è tanto che deve venire un altro tipo di società, ma è che la società aspetta la stessa risposta che mio figlio aspettava da me. Egli stesso non lo sapeva, per lui la soluzione era la mamma, ma la vera soluzione era l'amore. E' in questo senso abbiamo l’impressione, e questo ci viene confermato molto spesso, che anche la famiglia dovrebbe essere in un certo senso una madre della società di oggi, che dovrebbe dargli quell'amore che porta pace, armonia, e che può portare la soluzione anche di molti problemi. Nel nostro piccolo, ne abbiamo fatto tante volte l'esperienza. Abbiamo visto che nella misura in cui l'amore diventa più stabile nella famiglia, diventa più forte anche il desiderio di trasmettere questo amore ad altre persone. Ultimamente parlavo con un mio ex-collega, pensionato e nonno, padre di tanti figli, nati per una gran parte durante l'ultima guerra. Quell'uomo aveva una grande preoccupazione, diceva: "che peccato che i miei figli non vogliono avere una famiglia, uno non ha bambini, l'altro ne ha uno solo, un terzo vive in una situazione un po' strana; però voi invece i bambini li volete, e penso di saperne il perché. Loro non hanno fiducia nella vita, voi invece questa fiducia l'avete". E se io mi chiedessi perché abbiamo questa fiducia, dovrei rispondere che è perché crediamo all'amore, crediamo che, nonostante l'apparenza del contrario, l'amore vincerà. E come conclusione vorremmo confidarvi qualcosa: 15 anni fa, quando iniziammo la nostra avventura insieme, eravamo molto idealisti: per noi era chiaro che soltanto Dio, l'amore reciproco come Gesù vuole, potevano essere la base di un matrimonio felice, di una bella famiglia, e questa fu la nostra scelta. Sapevamo teoricamente che a Dio spetta il primo posto, e questo lo volevamo, con tutta sincerità. Ma nella pratica della vita quotidiana, nella routine (i bambini, il lavoro, i contatti all'esterno) ci imbattiamo anche nei nostri e in quelli del nostro partner, e più di una volta è successo che non sapevamo come cavarcela, un abisso profondo ci teneva separati: erano momenti in cui dovevamo prendere coscienza che non, avevamo più costruito su Dio ma su noi stessi, e che avevamo fatto di Dio un mezzo, uno strumento per poter formare una bella famiglia e per avere una vita bella. Avevamo invertito i ruoli, e Dio ci faceva sentire allora a mani vuote: solo se ognuno tornava a Dio, dandogli il primo posto nella propria personale esistenza, potevamo ritrovare il rapporto tra di noi, e non come qualcosa costruito da noi stessi, ma come un dono di Dio, che vuole vivere in noi e in mezzo a noi. Solo così possiamo essere ciò che Chiara Lubich dice, quando parlando della famiglia la definisce come uno scrigno che custodisce il tesoro della fede e la tramanda alle future generazioni.

I. Colozzi:

Grazie di cuore a Toas e Leo Van Der Broek per l'esperienza che hanno voluto raccontarci. Per ultimo, la parola all'avvocato Giuseppe Zola, segretario nazionale del Sindacato delle Famiglie.

G. Zola:

Nel ringraziare gli organizzatori del Meeting che hanno voluto inserire, questa tematica della famiglia per il futuro dell'uomo, vorrei sottolineare l'opportunità e la giustezza del titolo dato a questa tavola rotonda, non solo perché esso si inserisce nel tema più generale del Meeting, ma perché mi pare che sottolinei anche direttamente a polemica con quei falsi profeti che nel nostro secolo, ma in particolare questi ultimi due decenni, preconizzavano la fine della famiglia. Dicevano e scrivevano che la famiglia era ormai alla fine e che finalmente l'umanità si poteva liberare di questo pesante fardello del passato. Noi qui invece affermiamo, proprio in polemica con quest'altra affermazione che la famiglia è per il futuro dell’uomo, che la famiglia non è un retaggio del passato, di una civiltà superata, della civiltà agricola, ma che la famiglia andrà bene anche per il futuro, andrà bene per l'uomo così come sarà (e noi non sappiamo ancora come sarà negli anni che hanno ancora a venire). La famiglia anche in futuro non verrà mai meno, persisterà, dimostrerà la sua perennità; la famiglia sarà la tutrice della dignità dell'uomo, difenderà, come già in passato, la libertà, la dignità e, perché no?, la felicità dell'uomo. A dir la verità i denigratori della famiglia forse hanno avuto qualche scusante, perché la famiglia è capace di cambiare, è capace di adeguarsi in fretta, più in fretta di tante altre istituzioni, all'onda della storia; ambiando talvolta dà la sensazione di finire, di cessare la sua funzione. Mentre la famiglia non finisce, la famiglia cambia senza finire. Io vorrei motivare questo mio ottimismo sulla persistenza (ho parlato addirittura di perennità) della famiglia, e vorrei motivarlo con due ordini di considerazioni. La prima è questa: noi riteniamo che la famiglia non finirà, che la famiglia e per il futuro e non per il passato dell'uomo, per il semplice fatto che essa, come dice la nostra stessa Costituzione, e una società naturale. L'art. 29 della Costituzione è uno degli articoli più dimenticati da politici, sindacalisti e sociologi contemporanei: dice che la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, in cui ci sono tre elementi fondamentali: la sottolineatura dei diritti che la famiglia ha; la sottolineatura che la famiglia è fondata sul matrimonio, e questo dovrebbe far pensare qualche democratico che reclamizza la possibilità di altre forme di convivenza al di fuori del matrimonio; ma soprattutto, l’aspetto che più voglio sottolineare in questo momento è la famiglia come società naturale. Società naturale, significa che essa viene prima di qualunque altra istituzione, di qualunque altra organizzazione che poi l'uomo si è data per la sua convivenza. In parole povere, viene prima dei partiti, dei sindacati, dei Comuni, delle Regioni e, perché no?, viene anche prima dello Stato, perché lo Stato non è una società naturale. La famiglia invece è una società naturale. La forza della famiglia dunque sta in questa sua naturalità, nel fatto che è un elemento primordiale della vita umana, è un elemento a cui ogni uomo e ogni donna, naturalmente parlando, ricorre seguendo il flusso normale e sano della propria vita. L'uomo quindi deve salvaguardare questa sua naturalità se vuole salvare se stesso e salvare la famiglia, che è elemento indispensabile, tra l'altro per sanare alcune contraddizioni in cui l'uomo contemporaneo e caduto e da cui non riesce ad uscire. Che strano paradosso stiamo vivendo! Ci sono ideologi contemporanei che hanno creato delle contraddizioni da cui non riescono ad uscire. Io vorrei solo sottolineare molto brevemente che vivere sanamente la naturalità della famiglia significa anche superare esistenzialmente e culturalmente alcune di queste contraddizioni. Faccio quattro esempi: si parla di una contraddizione insanabile tra solidarietà e individualismo, tra dignità dell'individuo e il suo bisogno di vivere in solidarietà con gli altri uomini in funzione della società. Siamo in un'epoca in cui solidarietà e individualismo, sembrano essere diventati due termini inconciliabili tra di loro, due termini di fronte ai quali diventare disperati. Ecco, la famiglia invece è esattamente quella scuola naturale di solidarietà, che però sa valorizzare, fino nei minimi particolari, le capacità, le potenzialità di ciascun singolo individuo. È una comunione di individui, ma che sa vivere una solidarietà. Ed è quindi vivendo all interno di questa famiglia che l'uomo viene a superare questa contraddizione che la nostra società, che l'ideologia malefica della nostra società invece non sa superare con i mezzi normali del pensiero e dell'indagine e dell'analisi. C’è un’altra contraddizione che l'uomo contemporaneo ha creato rompendo la naturalità dell'uomo, e da cui non riesce più ad uscire, ed è questa demoniaca distinzione fra pubblico e privato. Vi ricordate, qualche anno fa, quando si è parlato di riflusso, quando l'uomo è stato quasi spaccato in due, come se alcune dimensioni della sua vita, per esempio la preghiera, l'amore, il divertimento, il giocare a carie sanamente con alcuni amici o il fumare un sigaro fosse da rinchiudere in quella parolaccia, in quell'immondezzaio del riflusso, e quasi che il pubblico fosse tutt'altra cosa, e che solo il pubblico incidesse sul progresso dell'uomo e sul progresso della sua società. Ecco, hanno demonizzato il privato. La famiglia l'esperienza familiare, la naturalità dell'esperienza familiare rompe anche questa contraddizione perché è l'esperienza di un privato che però ha il coraggio, ha la libertà di diventare pubblico; è una scelta privata che però passa attraverso quel momento pubblico che è il matrimonio, e che lo rende serio, e che lo rende grande, e che lo rende grande funzione della società. È quindi un innamoramento che fa nascere la famiglia, cioè nulla è più personale e, diciamo così, "privato" di questo fatto. Ma la grandezza della naturalità della famiglia sta proprio in questo, che questo fatto privato diventa funzione pubblica, attraverso quel momento pubblico che è la famiglia, perché, non dimentichiamoci che, e lo dice anche l'art. 29 della Costituzione, la famiglia, nasce da un atto pubblico, da un atto che è fatto di fronte a tutta la società, che è voluto, e fortemente voluto, da chi contrae il matrimonio, di fronte a tutta la società. E c'è un'altra contraddizione che viene rotta dall'esperienza familiare, la contraddizione che dilania un po' anche il dibattito culturale e politico di questi tempi, la contraddizione tra istituzione e autonomia della persona, tra istituzione e libertà, tra istituzione e autogestione. Anche qui, nell'esperienza naturale e familiare, questa distinzione si rompe e va frantumi, perché la famiglia è un’istituzione, ma sa autogestirsi, sa vivere tutta la potenzialità esistente in ciascuna persona umana; è un'istituzione, anzi, che sa arrivare prima, senza mediazioni, a risolvere i problemi dell'uomo, il bisogno dell'uomo, perché vive essa in prima persona il bisogno dell'uomo. Nessuno come la famiglia conosce il vero bisogno dell'uomo, e aver dimenticato la famiglia, nell'impostare tutta la politica sociale, tutti i servizi alla persona, in questi anni è stato, a mio parere, una delle cause fondamentali che hanno portato, al fallimento di questa politica sociale nel nostro Paese. E c'è un'ultima contraddizione che viene rotta, a mio parere, da quest'esperienza naturale della famiglia: la contraddizione tra valore e interesse, come se il valore fosse un problema degli angeli o dell'Aldilà, e come se l'interesse fosse invece il basso problema di noi poveri mortali. La grandiosità invece dell'esperienza umana, e mi pare che questo Meeting in queste giornate lo stia anche dimostrando, sta invece nel saper coniugare la parola "interesse" con la parola "valore", sta nel saper vivere l'interesse umano, qualunque esso sia, attraverso l'esperienza vissuta del valore. Ecco, mi pare che l'esperienza familiare, proprio perché ha una grande valenza educativa, ha in sé una grande valenza ideale, ha in sé ancora, nel popolo semplice, anche nel nostro italiano, la possibilità di vivere in unità la dimensione dell'interesse dentro un valore. Vivere unitariamente il valore e l'interesse, perché in fondo, nella famiglia, sanamente vissuta, ogni interesse è vissuto in base ad un ideale, un ideale di comunione, ad un ideale di solidarietà, ad un ideale di benessere più complessivo che non sia un semplice benessere materiale. In questo senso noi indichiamo anche nell'interesse vissuto nella famiglia la via per vedere i veri problemi del Paese, perché gli interessi della famiglia non sono mai interessi corporativi; proprio perché sono gli interessi vissuti dal 95% della popolazione italiana, gli interessi vissuti in famiglia, i bisogni che nascono dalla famiglia sono, quelli sì, bisogni generali. Quindi sottolineare l'aspetto familiare non significa sottolineare un neocorporativismo, quasi che, accanto ai pensionati o ad altre categorie, adesso ci fosse quest'altra categoria corporativa che è la famiglia. La famiglia ha questo grande pregio naturale, insito nella propria struttura, che è quello di vivere con generalità il bisogno. Quindi questo è il primo motivo per cui noi crediamo fermamente che la famiglia sia per il futuro, perché la famiglia, vivendo questa naturalità, sa, diciamo così, quasi automaticamente superare difficoltà che l'ideologia contemporanea invece non sa superare. E allora questa naturalità va difesa: la società non può permettersi il lusso di buttare via questo dato naturale, di sperperare questa ricchezza naturale dell'uomo che è la famiglia e che permette all'uomo stesso di superare le aberrazioni ideologiche dell'epoca contemporanea, e di ogni epoca umana, credo. Ed allora occorre difenderla; non come è stato fatto in questi ultimi anni, dove alcune dimensioni naturali, alcune dimensioni fondamentali della famiglia sono state pesantemente attaccate, pesantemente denigrate, e almeno in due casi anche, purtroppo pesantemente sconfitte. Il secondo motivo per cui noi siamo ottimisti sul futuro della famiglia, quanto meno sul futuro della esistenza, della sussistenza della famiglia, è questo: cito una frase di Chesterton, a me personalmente molto caro, e, credo, un genio del secolo XX, quando ha definito la famiglia come "una cellula di resistenza all'oppressione" e corno quando Giovanni Paolo II, in uno dei suoi viaggi, ha definito la famiglia come "custode dell'uomo". Questa è l'altra grande forza della famiglia: la famiglia è la custode dell'uomo. E non a caso, forse, questa frase è stata detta da un Papa venuto da un Paese lontano, dalla Polonia, dove i valori, che poi sono riemersi con Solidarnosc, però per tanti anni, nel silenzio dell'oppressione dello Stato, sono continuati nella famiglia. È stata, ed è, credo, la più grossa testimonianza che quel popolo ci ha dato in questi anni, sono stati tenuti insieme, sono stati custoditi dall'esperienza familiare. Uno degli ultimi criminali del nostro secolo, Pol Pot, che cosa ha attaccato 5 minuti dopo aver conquistato la capitale della Cambogia? La famiglia, mandando a centinaia, a migliaia di chilometri figli, lontani dai padri, le mogli lontane dai mariti, spaccando le famiglie, credendo così, ingenuamente se non criminalmente, di ricreare una società nuova. Ingenuo lui, perché senza famiglia non c'è più la custode dell'uomo; non c'è più quella cellula di resistenza all'oppressione, non c'è più quella cellula che per prima educa l'uomo alla libertà. La famiglia è quindi una trincea per la sussistenza stessa dell'uomo, per la persistenza della dignità dell'uomo. Ed è, direi, una trincea tanto più indispensabile in un'epoca come la nostra, in cui il potere è diventato molto più scaltro: non attacca direttamente l'uomo, ma attacca, per così dire, gli spazi in cui l'uomo vive. Sarebbe come se, dentro una vasca di un pesciolino rosso, non attaccassimo direttamente il pesciolino, ma immettessimo adagio adagio, ogni giorno, delle gocce di veleno, dentro l'acqua del pesciolino: prima o poi il pesce è costretto a morire. Questo sta avvenendo dell'uomo nella misura in cui non si tutela la famiglia. La famiglia quindi, come custode dell'uomo, per superare la scimmia, per superare cioè l'istintività, il sentimentalismo bruto dell'uomo, e per evitare il robot, cioè per evitare lo schematismo, per evitare l'imposizione esterna, prima o poi dittatoriale, sull'uomo. Ma tutto ciò non è normale, non è automatico: tutto ciò deve essere aiutato, perché potrebbe accadere, e in parte già accade, che una famiglia debole e indifesa non sia più custode dell'uomo, ma diventi complice essa stessa della decadenza dell'uomo. Da questo punto di vista fa sorridere amaramente qualche sociologo famoso e ricco che nel nostro Paese, contemporaneamente dice due cose contraddittorie: parla della possibilità di un nuovo Rinascimento, ma nello stesso tempo denigra l'istituto familiare. Non vi potrà essere nuovo Rinascimento senza famiglia, e questo è bene che anche i saggi della nostra epoca se lo ricordino, se vogliono veramente servire l’uomo, come dicono, oppure se non vogliono prendere in giro l'uomo, come invece purtroppo fanno. Per questo è nato il Sindacato delle Famiglie: il Sindacato delle famiglie vuole essere proprio lo strumento che difende, tutela, promuove la famiglia come soggetto indispensabile per costruire il futuro dell’uomo; che difende la famiglia ovunque essa sia attaccata, che difende la famiglia contro chiunque l'attacchi. Da questo punto di vista non abbiamo paura di puntare il dito su nessuno di coloro che, per omissione o per volontà precisa, hanno in questi anni attaccato la famiglia nel nostro Paese. Noi vogliamo difendere la famiglia ovunque, instaurando forse un metodo nuovo. Diceva il Vangelo: "non chi dice "Signore, Signore!" fa la volontà del Padre", e noi diciamo non chi dice "famiglia, famiglia!" difende la famiglia. È ora che la famiglia sia difesa là dove è concretamente attaccata, là dove il suo potere economico è attaccato, là dove il suo potere di scelta sull'educazione è attaccato, là dove il suo potere di lavorare in sintonia con la famiglia è attaccato. Questi sono tutti temi concreti su cui noi abbiamo cominciato a intervenire, e su cui vogliamo intervenire per il futuro. Così facendo noi crediamo di rendere il più grosso servizio alla nostra società. Ripeto, non difendiamo un soggetto corporativo, ma difendiamo il soggetto in cui il 95% degli italiani vive, ed è il soggetto che, solo, renderà possibile un progresso umano all'uomo. Quindi, il nostro è un appello che abbiamo fatto da un anno e mezzo a questa parte, ma che facciamo anche oggi, a tutta la gente sana del nostro Paese: ai cattolici, che riscoprano la valenza sociale del loro grande matrimonio ideale; ai laici, che ritornino sanamente ai filoni più puri della loro esperienza; al marxisti, perché rivedano in fretta questi aspetti aberranti della loro ideologia antifamiliare. L'appello è a tutti, perché tutti insieme finalmente, ci si metta a riprendere una vigorosa politica a favore della famiglia. Questo è un servizio, credo, che rendiamo a tutto il genere umano, a tutti i nostri fratelli uomini, e credo che, almeno noi cattolici, pagheremmo qualche millennio di Purgatorio se non ci rendessimo conto del grande patrimonio che abbiamo, e non trasformassimo questo patrimonio in uno strumento efficace di presenza e di incidenza nella società. Noi, come sindacato della famiglia, vogliamo, da ora in poi, incidere nella società non per difendere alcune ideologie bigotte del passato, ma solo unicamente per amore dell'uomo e del suo futuro.

I. Colozzi:

Due parole si rendono necessarie per chiudere questa tavola rotonda. Credo, richiamando molto sinteticamente solo pochissime delle tante cose che ci sono state dette, tutte importanti, che l'appartenenza è uno dei bisogni più profondamente umani. Senza questa esperienza dell'appartenenza, la stessa intelligenza e libertà dell'uomo possono venire irrimediabilmente compromesse, scatenando la scimmia che è in lui, in ciascuno di noi, o riducendolo, riducendoci a un robot incapace di affettività, di partecipazione, di solidarietà. La famiglia è il luogo in cui questa esperienza ci è data. Ecco perché la famigli è importante, perché fondamentale, se ci sta a cuore difendere il futuro dell'uomo, difendere anche la famiglia. Ma la famiglia così intesa, come luogo di esperienza dell'appartenenza, come luogo della libertà di Dio, e perciò della libertà dell'uomo, non è solo un dato, non è solo un dono, è anche un compito, è un impegno da realizzare. E questo, mi sembra, è l'invito forte che l'incontro di oggi affida alla vostra responsabilità, alla nostra responsabilità e al nostro lavoro di tutti i giorni.