Il sogno dell’immortalità ovvero l’abolizione del limite - Scienza e persona tra sperimentazione e clonazione

 

 

Martedì 25, ore 16.30

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Relatori:

Alain Leveque, Divisione Diritti dell’Uomo dell’UNESCO

Juan de Dios Vial Correa, Rettore dell’Università Cattolica del Cile e Presidente della Pontificia Accademia per la Vita

Luigi Rossi Bernardi, Ordinario di Chimica Biologica presso l’Università degli Studi di Milano

Roberto Colombo, Docente di Biologia Generale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano

 

Leveque: Il dottor Federico Mayor, direttore generale dell’UNESCO, mi ha affidato il compito di farvi pervenire i suoi migliori auspici per la completa riuscita di questo diciannovesimo incontro del Meeting per l’amicizia tra i popoli. Rammarica molto il fatto di non essere assieme a voi: sappiate che il suo cuore e le sue speranze sono qui con voi.

"Gli appuntamenti di Rimini segnano ogni anno, e questo dura da oltre vent’anni, un momento unico nel suo genere. Le migliaia di persone, di uomini, di donne, di giovani, di tutte le nazionalità, di tutte le latitudini che vi partecipano, sono sospinti da uno stesso slancio, da un’eguale fede, non solo sulla possibilità di uno scambio internazionale, interculturale, interreligioso, ma sulla necessità basilare di questo scambio nell’epoca attuale. Questa condivisione è l’unica che consenta di creare una vera e propria comprensione reciproca e di sostituire alla cultura della guerra la cultura della pace, vale a dire una cultura che rifiuta la violenza, il dominio, l’intolleranza per ricercare attraverso la strada del dialogo e del negoziato una risoluzione ai problemi. Costruire la cultura della pace, questo è l’obiettivo precipuo dell’UNESCO. Questa convinzione, questo impegno che pervade tutti voi qui riuniti mi sembra il comportamento più consono per rispondere alle sfide con cui oggi ci confrontiamo, il comportamento più realistico. Al di la delle cesure ideologiche o delle derive tecno-economicistiche, è la prova di una mobilitazione etnica che ci fa ben sperare per il futuro. Il vostro volontariato - oltre duemila volontari provenienti da tutta l’Italia e da altri dieci Paesi di tutti i continenti, hanno operato per realizzare questo incontro - presenta esattamente la misura della vostra apertura nei confronti degli altri e della forza d’animo che vi guida".

È proprio verso questo impegno etico di questa qualità al servizio della pace e dello sviluppo, componenti indivisibili, che l’UNESCO opera ed è in questa direzione che fa sforzi.

Questa organizzazione, come sapete perfettamente, è un’istanza internazionale di riflessione e di azione a favore degli ideali della giustizia, della solidarietà e della pace. La costruzione della cultura della pace è più che mai di stringente attualità. Questo grande progetto richiede al contempo l’approccio lucido, nitido delle realtà contemporanee, senza cedere ai sogni pericolosi dell’astrazione, alle vertigini dell’infinito; questo disegno richiede anche una capacità di visione alla pari, uguale alla speranza di cui è portatore. Richiede la ragione ardente di cui ha parlato un poeta così come una vigilanza senza incrinature, una veglia continua. L’UNESCO è un’organizzazione internazionale a vocazione etica. Davanti agli sconvolgimenti che emergono dalle società contemporanee e davanti alle loro difficoltà nel gestire lo straordinario accumulo dei progressi tecnologici, davanti anche all’indietreggiare del senso, del significato delle solidarietà, il richiamo all’etica è sempre di più generalizzato.

Per quanto attiene alla scienza, uno degli ambiti di competenza dell’UNESCO, l’organizzazione vi è più preoccupata di svolgere il suo ruolo di coscienza morale del sistema delle Nazioni Unite e di rispondere alle crescenti preoccupazioni poste dal progredire delle scienze. Chi deve definire le priorità della ricerca scientifica e in funzione di quale scelta di società? Come stabilire i limiti dell’invalicabile nelle ricerche in biologia e in genetica umana? Grazie alle scoperte nel settore genetico, nella neurobiologia e nell’embriologia, all’essere umano si spalancano per la prima volta le porte dei meccanismi della vita. Oltre a questo, il sapere si è attribuito il potere di trasformare i meccanismi di sviluppo della viva materia di tutte le specie viventi, tra le quali la sua stessa specie. Da qui scaturisce a livello mondiale, e il tema di questo incontro di oggi lo conferma ancora una volta, di una riflessione etica che possa accompagnare le ricerche scientifiche e prevederne le applicazioni.

A quale esigenza risponde la bioetica? Secondo me è duplice: da un lato, assicurarsi che i progressi di questo nuovo potere vadano a vantaggio di tutti e in tutto il mondo, senza trascurare i diritti di nessuno; d’altro canto, individuare i problemi sociali e culturali posti dai progressi della scienza biologica e che riguardano nel contempo la salute, l’agricoltura, l’alimentazione, così come lo sviluppo o l’ambiente.

Il rispetto della dignità umana è l’idea centrale della bioetica. L’essere umano non può essere un oggetto per la scienza. E così conformemente al mandato dell’UNESCO che è, come vi dicevo, quello di costruire la pace, grazie alla solidarietà intellettuale e morale dell’umanità, il direttore generale ha deciso di creare nell’anno 1993 il Comitato internazionale di bioetica, che riunisce personalità del mondo scientifico, giuridico, filosofico, politico ed economico. Dopo alcuni anni di elaborazione e di consultazione, questo Comitato ha preparato il primo testo internazionale sulla bioetica. Si tratta della Dichiarazione universale sul genoma umano e i diritti dell’uomo, adottata dall’UNESCO nel novembre ’97 in occasione della ventinovesima assise della sua conferenza generale che riunisce l’insieme dei 186 Stati membri dell’organizzazione. Strumento normativo, questa dichiarazione rappresenta anche un impegno morale per gli Stati che l’hanno sottoscritta. Dà avvio ad una presa di coscienza mondiale sulla necessità di una riflessione etica sulle scienze e sulle tecnologie. Il suo obiettivo basilare è quello di predisporre una cornice etica alle attività afferenti al genoma umano enunciando principi duraturi e margini morali che stabiliscano nel modo più chiaro possibile la frontiera fra ciò che è fattibile, auspicabile ed ammissibile. Esigenza ancor più rafforzata dalla creazione questo stesso anno da parte dell’UNESCO della Commissione mondiale di etica delle conoscenze scientifiche e delle tecnologie.

Mi si permetta di sottolineare, per concludere, la valenza storica della Dichiarazione universale sul genoma umano e sui diritti dell’uomo. Essa fissa in primis dei limiti all’intervento sul patrimonio genetico della persona umana, ma fa sì ed opera affinché questo primato attribuito alla persona umana non venga esercitato a scapito della libertà di pensiero e della creazione scientifica. Tuttavia, questa libertà della ricerca deve rientrare all’interno di una cornice precisa e puntuale. Ed è così che la dichiarazione proibisce in modo categorico pratiche contrarie alla dignità umana, come ad esempio la clonazione allo scopo di riprodurre esseri umani. Sottolinea altresì la responsabilità dei ricercatori, ma anche dei decisori pubblici e privati, in materia di politica scientifica, così come il ruolo degli Stati per stabilire la cornice del libero esercizio delle attività di ricerca.

La clonazione, che mira alla riproduzione intenzionale di un essere per ottenerne uno esattamente uguale, mette direttamente in questione la specificità, la singolarità di ogni essere umano. Dall’unicità dell’individuo scaturisce che ogni vita umana ha un valore intrinseco proprio al di là delle caratteristiche genetiche, delle condizioni sociali, culturali o di altra natura.

Questa nozione è alla base stessa del principio di dignità umana che, stando ai termini della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, è inerente a tutti gli esponenti della famiglia umana. Nessuna motivazione potrebbe giustificare la selezione del nascituro essere umano in funzione di obiettivi prestabiliti. In materia di etica, né la scienza né la tecnologia possono tracciare il limite fra il possibile e l’accettabile. Ed è perseguendo una riflessione etica, stabilendo delle norme e dei principi guida che la comunità scientifica potrà salvaguardare e rafforzare la libertà della ricerca.

Vial Correa: Quando si trovano tanti giovani riuniti come oggi, è una buona idea farsi una semplice domanda: "perché la scienza, perché fare scienza?" Mi sembra che la risposta sia semplice: conoscere fa bene, come respirare o mangiare. Ogni uomo desidera per natura conoscere, sapere, diceva già Aristotele. E questa è l’esperienza di giovinezza di ogni ricercatore. Ogni piccola scoperta è come una finestra aperta sulla realtà esteriore con il suo paesaggio e sull’occhio stesso. Ciò che si tocca sono la logica e la consistenza interna della realtà, e si gioisce di parteciparne. Sono momenti preziosi nella vita di un ricercatore.

L’esperienza della bellezza delle cose vive ad ogni livello: il mio campo è la microscopia, e sono sempre stato stupito della bellezza delle cose vive, della loro semplicità e la varietà. Ma vorrei ricordare anche come una sorgente di gioia la partecipazione di altri alla ricerca, degli allievi, dei collaboratori, di altri insegnanti giovani. È stato sempre così: in un libro di grammatica per istruire i franchi del suo tempo - era un compito difficile - del grande consigliere di Carlo Magno, il monaco Alcuino in forma di un dialogo, la prima domanda che fa il professore, il maestro Alcuino ai suoi allievi è "quid queritis", che cosa cercate? La risposta veramente sorprendente degli allievi di grammatica è "felicitatem querimus", cerchiamo la felicità.

C’è una felicità nel sapere, c’è una gioia, una vera gioia nel sapere che non si deve mai trascurare o dimenticare; è la spinta principale dello spirito verso la conoscenza. Ma oggi, in questi giorni che viviamo, non si deve dimenticare che ogni lavoro scientifico è non solo frutto di questa spinta dello spirito verso la conoscenza, ma si svolge accanto e dentro un programma gigantesco per lo sviluppo della scienza naturale, un programma che è stato proposto nel sedicesimo secolo e che diceva "scire est posse", sapere è potere. Ciò che si vede oggi è una stretta unione fra scienza e tecnica e industria: siamo di fronte a un potere enorme, e la tentazione di ogni potere è di crescere sempre più, senza limite. Il potere è in certo senso sciocco, si trova sempre in lotta con la ragione che deve reggerlo. Quando la ragione si addormenta, cade il sonno e vengono i sogni: saltano fuori i mostri. "Il sonno della ragione genera mostri", come recita il titolo di una famosa incisione di Goya che mostra uno scrittore addormentato al suo tavolo, la ragione dorme e i mostri formano una nube dal suo capo. Il sogno della ragione nella scienza è che tutto è possibile, è lecito fare tutto quello che è possibile fare. Da dove proviene questo atteggiamento?

La scienza naturale prova la verità delle sue affermazioni attraverso l’esperimento, le misura con le realtà sensibile. La tecnologia moderna, da parte sua, è costruita con esperimenti riusciti, con predizioni giuste, e grazie a questa composizione essa si mette alla base dell’industria. Il legame con la realtà sensibile permette di predirne il comportamento e dunque di approfittare della conoscenza. C’è un rapporto stretto, come dicevo, tra scienza tecnologia e industria la cui vicendevole azione è stata spesso descritta. L’industria genera nuove necessità oppure modifica necessità antiche. Le scoperte scientifiche offrono continuamente risposte possibili alle nuove esigenze umane. In questo gioco vicendevole vengono profondamente modificate la realtà naturale e la realtà sociale. L’agire dell’uomo da una parte cambia a poco a poco il mondo, e questi cambiamenti operano a loro volta sull’uomo stesso e modificano i suoi sentimenti e condizioni di vita fino al suo stesso modo di pensare. In questo modo la scienza, tramite l’industria, è riuscita ad entrare in tutti gli ambiti della realtà ed ha spostato il mondo della natura naturale, sostituendolo con un mondo di natura artificiale, senza perdonare neanche l’ambito interno dell’uomo che viene mosso dalla propaganda scientifica, dalla psicoanalisi, dai psicofarmaci. Se ad esempio l’industria ha inquinato le acque del Mediterraneo e del Reno, c’è la tecnologia madre dell’industria che può annullare l’effetto e fare che una natura recuperata diventi un dono della tecnica. La città dell’uomo ha invaso la natura, l’uomo invadente possiede quantità di strumenti complessi e tecnologie ad essi connesse che sono la sorgente di un potere nuovo, ma anche di una nuova servitù. Non si domanda al cittadino qualunque se egli ha bisogno di tutti questi progressi, semplicemente egli non può astenersi dall’usarli. Davvero la scienza, serva dell’uomo, è diventata la sua padrona.

Ma questo processo non ha né un senso né una direzione che lo definiscano: piuttosto, ci troviamo in un tempo senza storia, ma poiché non c’è una direzione per il camminare, il processo non conosce né suppone un limite. La tecnologia domanda ogni volta altra tecnologia, ogni nuova malattia vinta è una vera spinta a vincerne altre, ogni esperimento riuscito invita a provarlo una volta di più facendo una nuova modificazione della già modificata natura. Ogni teoria o interpretazione plausibile esige di essere provata in altri campi finché i limiti della sua validità siano stati stabiliti. Un tale processo, senza limite né direzione non ha neanche ciò che si potrebbe chiamare un senso. Il grande paradosso moderno è proprio che il grado di conoscenza di una cosa si misura sulla capacità di trasformarla. Ne segue che il mondo degli oggetti si dissolve, perde la sua consistenza. Gli oggetti come tali spariscono, si sgretolano nelle loro proprietà sensibili, nelle loro componenti ultime.

Questa spinta alla modifica non può perdonare neanche lo stesso soggetto conoscente, egli anche diventa un oggetto sottomesso all’analisi e ultimamente dissolto. Questo può sembrare astratto e senza rapporto con la vita quotidiana, ne è però una delle principali componenti. Gli oggetti che fabbrichiamo oggi ci fabbricheranno domani. Svanisce la possibilità che esista qualche cosa di veramente normativo. Ci sembra di abitare in un mondo penetrato dall’impermanenza delle cose. Le norme, le interpretazioni che sono oggi valide, non lo saranno più domani. Viaggiamo sommersi in un movimento di invenzione indefinito che non ha né limite né senso, nel quale si stabiliscono continuamente nuove condizioni in maniera che tutto ciò che è possibile sembri anche lecito. Questa sensazione penetra e si impadronisce dell’uomo così come un sogno: la sensazione di una trasformazione indefinita del mondo è come un sogno, un sogno nel quale si addormenta la ragione, spariscono il giudizio, la misura il senso della realtà. Quando la ragione si addormenta, dicevo, scappano i sogni mostruosi, il cui contenuto impaurisce gli uomini di questo secolo: l’energia nucleare, la catastrofe ecologica, la mancanza di controllo sulla bio-ingegneria... tutte espressioni di una paura di fronte ad un agire umano del quale non ci sentiamo più padroni. L’uomo si sveglia dal suo sonno e questi sogni svaniscono nella stessa misura in cui egli fa la domanda per il senso, per il fondamento.

La ragione si sveglia dal sonno, il suo sonno non la possiede più quando essa comprende che il mondo non è interamente omogeneo e aperto, che il mondo non è costruito principalmente da oggetti che l’uomo fabbrica o controlla e che poi si impadroniscono dello stesso uomo. Questo cambio accade quando si comprende che ci sono esseri che hanno un senso proprio, che sono ciascuno una unità il cui senso è indipendente dalla mia voglia, esseri che sono liberi di fronte al mio desiderio, esseri che io non potrei negare senza ucciderli. Oggi invece si uccidono embrioni, soggetti anziani, ammalati che non hanno più recupero; ma il limite a questo che viene ritenuto il progresso della ricerca esiste, è dato dalla presenza di altri. Il limite è la frontiera con il mondo infinitamente vicino e infinitamente lontano dell’altro di fronte a cui io sono responsabile, esisto con altri e di fronte ad altri che sono sorgenti imprevedibili di libertà. I miei obblighi e i miei diritti, cosi come i corrispondenti obblighi e diritti degli altri, definiscono, stabiliscono, differenziano le unità di senso. Il mondo non è omogeneo, disponibile alla mia elaborazione. Se non accettiamo la realtà dell’uomo, dell’altro, la sua realtà integrale, cioè che la sua esistenza non è il frutto del suo lavoro, ma è il dono di Dio, allora l’uomo diventa uno di più tra i fenomeni naturali dentro un mondo di perpetuo scambio.

Le scienze della natura non possono dunque esaurire il tema dell’esistenza umana, la quale priva di essa rimane priva di senso. Noi sappiamo però che il senso si deve cercare da un altro lato: l’uomo è l’unica creatura terrestre che Dio abbia voluto per se stesso. Il senso della ricerca, i limiti della ricerca, lo svegliarsi dal sogno di una conoscenza futile, si trovano nella coscienza, nella presenza dell’altro uomo che è unito a me da Dio creatore di ambedue.

Rossi Bernardi: Siamo bombardati tutti i giorni, anche oggi, da notizie provenienti dal mondo accademico, dal mondo della ricerca, che hanno un senso potenziale di grande disturbo, che cozzano contro quella che è la realtà consolidata delle nostre conoscenze. I problemi determinati dallo studio della genetica e cioè dell’uomo, degli esseri viventi, delle piante, degli animali, presentano moltissimi problemi, di carattere sia positivo che negativo. Per poter apprezzare pienamente questa distinzione, occorre per lo meno partire da una base di conoscenza minimale di come si muove questo settore, di quali sono i progressi, le prospettive, le qualità che lo studio approfondito che si sta compiendo nei laboratori in tutto il mondo ci potrà portare.

Innanzitutto chiariamo subito alcuni concetti di base. Si sente parlare spesso di genoma: il genoma è la somma di informazioni che permettono ad un organismo vivente di replicarsi, di vivere in condizioni di equilibrio, di difendersi da variazioni nell’ambiente. Queste informazioni sono contenute in ogni cellula del nostro organismo in una lunga molecola che viene chiamata DNA. Non a caso la raffigurazione della molecola del DNA viene chiamata anche doppia elica, e contiene il programma con il quale un sistema vivente vive e si duplica. Questa conoscenza era impensabile solo cinquant’anni fa. Questo ci fa cogliere la brevità e il progresso straordinario che l’uomo ha fatto in pochissimi anni, e i problemi che questo progresso ha determinato. Il DNA è formato da quattro molecole fondamentali che si riproducono migliaia di volte per un piccolo essere vivente, come un virus, milioni di volte in un microrganismo e tre miliardi di volte nell’uomo. Si tratta quindi di un sistema apparentemente semplice, ma dotato di un’estrema flessibilità.

Questo lungo messaggio fatto dalle lettere disposte lungo la catena, è organizzato in parole: un certo numero delle lettere formate dalle molecole è organizzato, e questa organizzazione dà origine ad una parola che nel gergo della genetica viene definita gene. È un messaggio che dà origine a un qualche cosa, è una codifica di un qualche cosa che serve alla cellula per sintetizzare, per esempio, una proteina. Il sistema formato da DNA e proteine ha la capacità di autoassemblarsi, ovvero una volta avuto l’incontro di due pezzi di DNA nella fecondazione, fino alla formazione di un essere vivente è tutto autoassemblaggio. È una cosa incredibile: in un’automobile, che ha un livello di complessità milioni di volte inferiore ad un organismo umano, in una catena di montaggio si verificano un sacco di volte dei problemi e certi difetti meccanici. In un sistema enormemente più complesso come l’uomo questi difetti sono molto meno apparenti ed è meraviglioso pensare come da un sistema di questo tipo, dopo questo processo di autoassemblaggio, nasce una persona perfettamente sana. È un processo meraviglioso.

L’attuale organizzazione di tutta la materia vivente - dell’uomo, delle piante, degli animali - deriva da un processo di evoluzione che può essere rintracciato da forme più semplici fino a forme più complesse, utilizzando sempre lo stesso linguaggio, il DNA, le proteine, e i metodi di autoassemblamento di cui sopra. Già questa unificazione di tutti i processi che stanno alla base della vita è un qualcosa di assolutamente meraviglioso. Per ogni persona che è portata a studiare questi problemi deve svolgersi davanti agli occhi un processo che ci fa meditare molto.

Chiarita dunque questa base conoscitiva, quali sono le riflessioni che noi possiamo trarre su cosa sta succedendo e cosa succederà in futuro in questo settore? Innanzitutto, non c’è niente di nuovo sotto il sole: tutte le leggi che per cinquecento anni o mille anni l’uomo ha definito regolare il mondo fisico dove vive, valgono anche per questi sistemi. Si conoscono in maniera dettagliata ormai l’organizzazione, la struttura, l’anatomia di questi sistemi. È possibile sintetizzare chimicamente, partendo da delle boccette che contengono sostanze chimiche inorganiche, delle forme semplici di vita come un virus, ed è possibile modificare il programma del DNA e riprogrammare lo sviluppo genetico di un organismo. È possibile risalire nella scala dell’evoluzione dei sistemi biologici fino ad arrivare a tre miliardi e mezzo di anni fa, quando hanno iniziato ad esistere le prime forme organizzate di vita. È possibile duplicare cellule ed organismi viventi. Non è un’utopia, anzi, ci sono delle basi razionali per pensare che è possibile aumentare notevolmente la durata della nostra vita.

L’introduzione al vostro Meeting dice: "I fatti della vita, la realtà delle cose con la quale si è costretti a misurarsi ogni giorno riportano l’uomo alla sua vera misura. La concreta consapevolezza della positività del suo compito e la passione ideale lo rendono capaci di modificare poco o tanto ogni passo del suo cammino, l’ideale è quanto di più concreto esiste e come tale è contrario del sogno e dell’utopia". Nessuna parola può riassumere meglio il messaggio che ci viene dallo studio dei sistemi viventi. Qual è il significato profondo, in questo momento, dello studio di questi sistemi? Innanzitutto, questo aumento incredibile di conoscenza dell’uomo su stesso: non c’è nessun altro settore che è così puntualmente radicato nell’interesse dell’uomo come questo. L’unificazione più che in una teoria in fatti reali del processo di evoluzione della vita sulla terra; l’utilizzo di sistemi analoghi per tutti i sistemi viventi di duplicazione e di procreazione... basterebbero queste cose per dire quanto è importante e quanto è utile in questo momento proseguire negli studi sulla genetica e sul DNA.

Naturalmente, non ci nascondiamo che esistono aspetti molto negativi e questi aspetti negativi sono facilitati dal fatto che bastano cinque persone, qualche centinaio di milioni e due locali per poter fare degli esperimenti sull’uomo di natura devastante. Quindi, è necessaria una consapevolezza da parte di tutti che questi studi possono implicare dei fenomeni altamente negativi.

Vorrei concludere il mio intervento parafrasando le parole di un illustre politico italiano: "Se un giovane a vent’anni non è socialista, è senza cuore, ma se lo è a quaranta è senza cervello". La mia parafrasi suona così: "Se un giovane a vent’anni, non studia la genetica è senza cuore, ma - aggiungo - è anche senza cervello".

Colombo: Un autore francese ha scritto che l’etica è il guardiano dei sogni proibiti dell’uomo. L’etica avrebbe verso i sogni dell’uomo lo stesso compito che il poliziotto svolge nei confronti delle sue azioni pubbliche. Già Freud diceva che il sogno è l’espressione di un desiderio, desiderio di varia natura, lecito o proibito, e 2400 anni prima di lui Platone insegnava ai suoi discepoli che gli uomini buoni si accontentano di sognare quello che gli uomini cattivi fanno per davvero.

La scienza può sognare? La clonazione dell’uomo è forse il sogno proibito della biologia e della medicina? La scienza ha bisogno di un guardiano dei suoi sogni che si chiama etica, le scienze biomediche hanno bisogno della bioetica? La mia risposta è che la scienza, e in generale l’azione dell’uomo, ha molto più bisogno di una ontologia che di un’etica, perché di un’etica senza un’ontologia che la fondi, che le dia delle ragioni, l’uomo reale non sa che farsene. E gli scienziati amano ritenersi dei realisti. La scienza è oggi molto più potente nei mezzi di cui dispone, ma molto più fragile nelle ragioni e nella evidenza dello scopo per cui agisce. E lo scopo è la forza di ogni agire umano. Il dramma delle scelte del ricercatore è che egli ha davanti a sé tante opzioni, tante etiche, ma nessun fondamento per esse. La soluzione non è aumentare le possibilità di scelta nella prospettiva che una di esse trovi il più ampio consenso possibile tra gli addetti ai lavori, e la maggioranza sociale o politica. Il calcolo delle probabilità va contro questa ipotesi. Il pluralismo etico funziona come il banco del supermercato. Se uno non ha modo di saggiare la consistenza, la bontà del contenuto dei prodotti, tante più marche diverse sono esposte e tanto più aumenta l’imbarazzo, l’incertezza nella scelta di cosa portare a casa.

La sostanza della questione è dunque un’altra. Essa sta nelle ragioni dell’agire, sta nella radice stessa della azione, della ricerca scientifica. Perché la bioetica appare oggi debole? La bioetica è debole perché non ha le stesse radici che hanno fatto fiorire la biologia e la medicina e che la biologia e la medicina hanno, almeno in parte, smarrito. La bioetica è debole perché pretende di giudicare quello che il ricercatore e il medico fanno senza che ne abbiano avuto piena consapevolezza, senza che abbiano concepito il loro fare ricerca come praticabile. La moralità così non ha le stesse radici dell’azione dell’uomo e diventa un insieme di regole che investe l’azione dello scienziato o del politico della scienza giudicandole teoricamente, astrattamente, ovvero a prescindere dalla dinamica stessa dell’uomo che fa ricerca, del medico che fa diagnosi e terapia, dell’uomo che investe la realtà con la sua ragione e tutta la sua passione. Le ragioni della bioetica sono troppo staccate dalla esperienza.

Jean Guitton nel suo volume Arte nuova di pensare ha scritto: "Ragionevole designa colui che sottomette la propria ragione all’esperienza" (p. 71). Perché? Quando l’esperienza viene estromessa dalla ragione pratica, cioè dall’etica, quest’ultima è tutta dominata o dalla mentalità comune oppure dal potere, dall’imporsi dello Stato, hegelianamente inteso come Stato etico.

La vicenda della clonazione, a questo proposito, è davvero esemplare. All’indomani del lancio pubblicistico di Dolly, la pecora scozzese clonata ad Edimburgo, il giudizio etico su eventuali futuri esperimenti di clonazione dell’uomo è stato dominato o dalla mentalità comune o dalla ragione di Stato. Nel primo caso si è inseguito o il sogno dell’immortalità, come su tante pagine sui giornali, o la voglia narcisistica della copia di sé. Il sogno dell’immortalità esprime attraverso un’utopia ciò di cui è fatto il cuore dell’uomo: esigenza di felicità, domanda di eternità. Ma il sogno, come sempre, tradisce la realtà dell’uomo, la esprime in modo inadeguato. Le esigenze dell’uomo sono ridotte a quelle della sua biologia e la sua domanda di eternità ridotta al perpetuarsi del suo patrimonio genetico. Nel secondo caso invece, i giudizi sono stati dominati dalla voglia narcisistica della copia di sé: ciò costituisce la più radicale riduzione del desiderio umano perché ne riduce l’oggetto proprio, cioè Dio, all’io. Inevitabilmente i giudizi vengono così dominati dalla logica del potere o della ragion di Stato: il giudizio etico sulla clonazione esprimeva solo la preoccupazione di mantenere l’ordine pubblico attraverso l’imporsi dello Stato, di assicurare i cittadini che nulla sarebbe accaduto di catastrofico grazie ad una legge o ad un decreto ministeriale, come è accaduto anche in Italia. In sostanza si è trattato di proibire ogni esperimento i cui risultati se resi pubblici potevano turbare i nostri sogni o agitare le piazze, ma senza offrire per tale divieto alcuna ragione adeguata.

Qual è allora la strada che siamo chiamati a percorrere per difendere al contempo la libertà della ricerca del vero, che è la irrinunciabile vocazione della scienza, e la libertà dell’uomo che non può essere arbitro della vita altrui e neppure della propria e non può essere ridotto ad oggetto di sperimentazione o manipolazione? La strada è quella di partire - o meglio di ripartire, dopo la riduzione della ragione a misura di tutte le cose, quella che Popper chiamava "la scelta irrazionale della ragione scientifica" - dalla realtà così come essa si rende evidente nella esperienza, nella esperienza del ricercatore, dello scienziato, del medico, così come nella esperienza di ognuno di noi.

La scienza e l’etica si possono incontrare solo all’origine. Ogni tentativo di concordanza successiva è destinato al fallimento. E l’origine di entrambe è ontologica, è l’emergere della realtà alla coscienza dell’uomo. L’esperienza ci dice che la realtà in cui noi ci imbattiamo dalla finissima architettura molecolare delle cellule, di cui ci ha parlato il professor Rossi Bernardi, alla meravigliosa organizzazione di un corpo vivente sino alla stessa persona umana, ci è data, non è creata o inventata da noi, è opera di un Altro, un Altro a cui il senso religioso degli uomini di ogni tempo ha imparato a dare il nome di Dio. E la ragione, intesa come apertura alla realtà secondo tutti i suoi fattori, è quel livello della creazione in cui la realtà diventa cosciente di sé, diventa autocoscienza e dunque capacità di abbracciare il proprio destino.

Cos’è l’etica se non la tensione al compimento del proprio destino, se non la domanda di essere, di pienezza di essere, di totalità di essere? Solo lo stupore per la realtà genera una conoscenza scientifica autentica e genera anche una conoscenza pratica, un’etica veramente ecumenica, un’etica che non divide ma che unisce, un’etica capace di valorizzare ogni accento di verità e di bene ovunque esso si affermi. Scienza ed etica o hanno lo stesso fondamento, l’estetica, o non si incontreranno mai, anzi si scontreranno sempre di più. Già lo dicevano gli antichi medioevali, "Ens et verum convertuntur; ens et bonum convertuntur" dunque "Verum et bonum convertuntur". Come da sempre don Giussani ci ha insegnato, senso religioso e ricerca scientifica hanno un unico strumento per incontrare la realtà, per abbracciare tutto senza nulla censurare. Questo strumento si chiama ragione. La bioetica non è una questione di fede, la bioetica è una questione di ragione.

Vorrei ritornare, per concludere, alla domanda da cui siamo partiti. Se la scienza della vita non è sogno, allora che cosa è? La scienza è una scoperta, una scoperta continua, una scoperta senza fine. Bisogna fare tutti i passi, le osservazioni, gli esperimenti che si devono fare - e chi lo fa sa che non ci sono né giorno e né notte, né settimana, né domenica -, e quello che scopri, scopri. Non sai quando, ma lo scopri tu. La scienza della vita è una scoperta continua, e dunque è una speranza. È fatta di attesa, di attesa che la realtà di cui siamo fatti si sveli, che si sveli ai nostri occhi, che si sveli alla nostra ragione. Ma è una speranza che parte da una presenza che è una promessa: la promessa che la vita diventi migliore anche attraverso il lavoro degli uomini di scienza, una promessa che per noi cristiani è promessa di totalità, di pienezza di essere, di realtà. I cristiani sono gli unici veri realisti - lo diceva il professor Lobkowicz - perché la nostra fede ci consente di prendere sul serio ogni istante della nostra vita, dal concepimento fino alla eternità. I cristiani sanno che un Altro ha sfondato il tempo, limite invalicabile della vita dell’uomo. Questo Altro si è fatto uno di noi perché la nostra vita che inizia nel tempo possa fiorire nella eternità.