Dio sorride alla dodici e venti. L’incontro con Cristo nella pittura di Letizia Fornasieri

Presentazione della mostra

 

 

Mercoledì 26, ore 18.30

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Relatore:

Letizia Fornasieri, Artista

 

Fornasieri: La pittura, in modo misterioso anche per me, mi ha condotto a riconoscere prima di tutto il mio posto nella vita, e poi a poter rappresentare l’immagine del volto di Cristo. Ciò che io dico non è pensato prima dei quadri. Per molti anni ho dipinto oggetti senza sapere perché: porte, finestre, macchine, segnali stradali, ma sempre senza sapere perché, come spesso fa il pittore. In questi ultimi tre o quattro anni, la vita ha fatto emergere delle zone che ad un certo punto sono combaciate in un disegno che adesso vedo chiaro. Ho cominciato a dipingere ad olio e su legno; nei primi anni ho dipinto a spatola, poi con il pennello. Sapevo che volevo dipingere per cercare il significato di me e delle cose: per questo, finita l’accademia ho dato tutto alla pittura, proprio perché volevo capire se il mio compito nella vita era dipingere o no. Ho cominciato dipingendo le cose che vedevo in casa mia: gli oggetti, le mele, i tavoli, le sedie, cercando sempre questo significato di me e delle cose, perché capivo che o questo significato c’era ed era nelle cose, o non potevo incontrarlo. Il modo in cui io rispondo alla realtà che mi chiama sono i miei quadri: tutti rispondono alla realtà, io so rispondere in questo modo, perché il quadro è la materializzazione del mio rapporto con le cose. Se voglio che questo rapporto permanga, devo acconsentire a fare il quadro.

Per quasi dieci anni ho ribaltato la mia casa, nel senso che non c’è stanza, tavolo, sedia, porta, che io non abbia dipinto cercando questo senso della realtà e di me. Ma questo senso non l’ho trovato. Ad un certo punto, la pittura mi ha chiesto di dipingere le cose esterne: le macchine, i segnali stradali, le case, i mezzi di trasporto. E non avrei mai immaginato di dover dipingere una macchina, una metropolitana, ma non posso dire no alla pittura, come non si può dire no ad una cosa che capisci ti vuol bene. E sapevo che la pittura mi voleva bene. Così, ho cominciato a dipingere le strade di Milano, Porta Venezia, corso Buenos Aires, i passaggi pedonali, le fermate della metropolitana con le due direzioni da poter prendere, le scritte che non significano niente, gli orologi, i semafori spenti... Per anni ho dipinto queste cose, ancora senza sapere perché. Questa ricerca del senso assumeva per me l’immagine del viaggio che uno deve percorrere, della strada che uno deve prendere, del segnale da cui poter capire una direzione, un senso.

Ad un certo punto però è accaduta una cosa che non mi aspettavo, oppure che mi aspettavo ma che non sapevo che forma avrebbe assunto. È accaduto che questo significato che io cercavo si presentasse da solo. Ed è accaduto che la pittura coincidesse con una persona, coincidesse con il significato della realtà, con il significato mio e con la persona di Gesù. La pittura mi ha desiderato come un uomo desidera una donna, e di fronte ad un incontro così non si può dire di no, perché è ciò che uno si aspetta da tutta la vita. Da questo rapporto è potuto emergere il mio volto, ed infatti ho potuto cominciare a ritrarmi nei miei quadri.

Il 18 settembre del 1994, ho visto dalla finestra di casa mia passare un taxi: ho capito che questo doveva diventare un quadro. Ma sarebbe stato anche l’ultimo mezzo di trasporto dipinto da me, almeno finora, perché ho capito che non avrei più dovuto cercare un mezzo, un autobus da prendere o una metropolitana per andare a cercare chissà cosa. Avrei avuto un autista che mi avrebbe condotto, un autista qui presente, Cristo. Ho così cominciato a chiedermi: ma questo Cristo, che faccia ha? Mi aveva colpito una frase di san Paolo: Cristo è in tutto simile ai fratelli. Se è in tutto simile ai fratelli, vuol dire che ha la stessa forma delle nostre facce; e se la realtà consiste di Cristo, tutte le cose, anche gli oggetti, hanno il suo volto. Mi ricordo che è come se avessi capito che tutte le cose che ci sono - lo sgabello, la sedia, il mio tavolo da disegno, la casa rossa che si vede dalla finestra... - sono tutte mie: possiedo tutta la realtà. Dopo l’interesse per il mio volto è così venuto, senza che lo avessi previsto, l’interesse per i volti di altre persone. Mi colpivano i volti degli uomini politici sui quotidiani. Spesso sui giornali ci sono le fotografie dei politici che parlano davanti ai microfoni; allora, ho ritratto tutta una serie di politici prendendo spunto dalle foto dei giornali. C’è molta della nostra classe politica italiana nei miei quadri, anche se non si riconosce il nome o cognome del tal politico, perché ciò che mi interessava erano solo le loro facce e il fatto che parlassero di fronte ai microfoni.

Rabin, ministro israeliana è morto proprio mentre stavo lavorando al suo quadro: questo quadro non l’ho più ripreso, è rimasto incompiuto, ed ho capito che posso fare mille volti ma se un volto non ha corrispondenza con la realtà non mi interessa. Deve essere il volto di una persona con nome e cognome, esistente. Stare sul vero, copiare delle persone, stare sulla realtà, è molto più ricco che immaginare. E stare sulla realtà costringe a modificare quello che uno sa già, lo schema di un volto che uno sa già, perché la realtà contiene milioni di volti.

Improvvisamente mi è venuto in mente "ma perché non faccio Gesù?" Prima di allora non mi era mai capitato di pensare una cosa del genere, però quando la pittura chiede, io dico sì. È così incominciata questa ricerca del volto di Cristo. Ho pensato che per fare il volto di Cristo dovevo guardare chi lo aveva già fatto. Sono andata a vedere alcuni pittori e scultori: Grünewald, Antonello da Messina, Caravaggio, Michelangelo, Bernardino Luini.. Dopo avere trovato la fisionomia di Cristo che mi corrispondeva, l’ho dipinta e l’ho intitolata "il mio Gesù". Ho poi ripreso il tema della vocazione, avendo in mente la vocazione di Matteo dipinta da Caravaggio: se Gesù viene a trovarti non puoi correre il rischio di non averlo riconosciuto. Uno nella vita non può correre questo rischio. Dovevo verificare se Gesù era venuto a trovarmi.

Ho dipinto poi anche altri momenti della vita di Gesù: l’angelo che consola Gesù nell’orto degli ulivi, il bacio di Giuda, la crocifissione... la crocifissione è lo sviluppo di un progetto di via crucis. Dipingendo questa via crucis, mi è venuto in mente che Cristo è vincitore ed ho pensato che io nella vita voglio vincere, e vincere nella vita è relativamente facile, basta stare dalla parte del vincitore, perché un vincitore c’è stato e c’è. Per stare dalla parte del vincitore, bisogna continuare a lottare anche tutta la vita: questo è l’esito di una serie di disegni sulla lotta tra l’angelo e Giacobbe, in cui questi due personaggi si sono trasformati in me e Gesù, nella lotta tra me e Gesù. È come se uno dovesse lottare sempre contro il volto oscuro delle circostanze e dei fatti della vita, perché i fatti e le cose hanno un volto che spesso rimane misterioso, opaco.

Il quadro che dà titolo a tutta la mostra, "Dio sorride alla dodici e venti" risale a una giornata di gennaio di quest’anno, in cui non avevo voglia di fare niente, anzi, sarei tornata a letto già alle nove del mattino. Ma poiché di fronte alla realtà non si può sfuggire, sono andata a lavorare, senza molto impegno; improvvisamente, verso mezzogiorno, mi è caduto l’occhio su tre tubetti di blu diversi, che erano sul tavolo probabilmente da molti giorni. Ho capito che quegli oggetti dovevano diventare un quadro, e l’ho fatto in tre quarti d’ora. E siccome era mezzogiorno, mi è venuto in mente che Dio mi aveva fatto questo regalo, alla fine di una mattinata che altrimenti avrei buttato via.