Il Novecento tra speranza e negazione. L’idea di società cristiana di Eliot

Presentazione del libro "L’idea di una società cristiana" (Ed. Gribaudi)

In collaborazione con Piero Gribaudi Editore, Milano

Domenica 22, ore 16.30

Relatori:

Marco Respinti,
Direttore Responsabile del Mensile "Percorsi di politica, cultura,
economia"

Michael D. Aeschliman,
Docente di Letteratura presso l’Università di Boston

Luigi Negri,
Docente di Antropologia Teologica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

Respinti: L’opera del grande scrittore angloamericano T.S. Eliot L’idea di una società cristiana, recentemente tradotta per l’editore Gribaudi, può introdurre in modo adeguato la riflessione sul Novecento. L’opera raccoglie tre conferenze pronunciate nel 1939 a Cambridge: si tratta di pagine che possono essere utili solo se intese come contributo individuale ad un dibattito che dovrà impegnare molte persone e per molto tempo. Questo testo è già stato tradotto anni fa, e, per chissà quale motivo, è scomparso dalle librerie ed è rimasto dimenticato.

Conosciamo Eliot come poeta; in questa sua opera lo possiamo apprezzare come saggista che si occupa di una tematica particolare: ciò che ha da dire la fede cristiana su aspetti quali la società e la politica. La sua ottica, già allora, ovvero all’inizio del secondo conflitto mondiale, delineava e intuiva quali sarebbero state le grandi linee di tendenza, o meglio il grande scontro, che avrebbe animato tutto il Novecento.

La questione di fondo non è mettere a fuoco il problema di democrazia o totalitarismo, di fascismo e antifascismo, di comunismo e anticomunismo. Il vero bandolo della matassa di questo nostro secolo è piuttosto stabilire se la società sia con o senza Cristo. Una società è con Cristo oppure è qualunque altra cosa, bianca, rossa, verde, nera, qualunque ideologia, anche quella che si presenta sotto forma dell’indifferenza.

T.S. Eliot fondò nel 1922 una delle pubblicazioni periodiche più significative di questo secolo "The Criterion". Lo scopo di questo mensile era di raccogliere attorno ad un progetto forte tutte le persone che in qualche maniera volevano reagire a quella che, con un titolo di una famosa opera di Eliot, era "la generazione degli uomini vuoti". Ad un certo punto, nel 1939, Eliot si rende conto che questo suo tentativo di chiamare a raccolta coloro che si presentavano come "non uomini vuoti" era a maglie troppo larghe. L’ultimo editoriale esprime questa perplessità: "D’ora in poi bisognerà pensare a qualcosa d’altro, questa esperienza è conclusa: bisogna pensare a qualcosa di più forte". Nel marzo dello stesso anno sceglie il titolo di tre conferenze: L’idea di una società cristiana. La risposta agli uomini vuoti, dopo anni nei quali era intercorsa anche la conversione, era stata trovata; si trattava di un invito semplice: tornare a Cristo.

Aeschliman: Eliot non è estraneo alla cultura italiana. Personaggi e tradizioni italiane hanno avuto una grande influenza su questo scrittore. Sua madre, una letterata anch’essa, ha scritto un dramma teatrale su Savonarola. Eliot è stato un appassionato lettore di Dante per tutta la vita, ed ha anche scritto diversi saggi su di lui. La visione della realtà di Dante ha profondamente influenzato la formazione spirituale di Eliot durante quel periodo critico della sua maturità in cui stava affrontando la sua stessa conversione. La potenza evocativa dell’Inferno e del Purgatorio sono per Eliot chiave più appropriata per comprendere la vita del Ventesimo secolo di quanto lo siano la poesia sentimentale e decadente del Diciannovesimo secolo e dell’inizio del Ventesimo secolo. In reazione alla confusione e all’orrore degli anni 1914-1945 Eliot non si è mai lasciato coinvolgere dal fanatismo moderno e dalle eresie di destra o di sinistra, e neanche da un approccio alla vita moderna puramente estetico, come invece è accaduto a molti dei suoi contemporanei letterati ed intellettuali. Era molto più cosciente di qualsiasi suo contemporaneo della natura del nichilismo moderno e delle sue implicazioni, e si è reso ben presto conto che nell’arte moderna ed in gran parte anche nella vita sociale, l’idiosincrasia aveva trionfato sulla normatività.

Dall’inizio degli anni Venti, fino alla sua morte avvenuta nel 1965, Eliot si mostra critico, combattendo il profano nichilismo moderno con tutta la caparbietà, la saggezza e l’intensità di cui è capace. Bisogna tenere in considerazione la particolare caratteristica dell’educazione personale e della cultura di Eliot, i fattori che gli hanno permesso di impegnarsi e di perseguire così tenacemente una sorta di itinerarium mentis in Deum e che lo hanno reso il più grande uomo di lettere del Ventesimo secolo.

Eliot fu un dotto filosofo, su cui ebbero grande effetto gli scritti filosofici di neotomisti cattolici ed anglicani, soprattutto quelli di Maritain. Arrivò a comprendere la grandezza del magistero sociale pontificio e l’importanza vitale del concetto di pluralismo regolato da principi che Maritain stava sviluppando sulla base delle fonti tomiste e delle sue esperienze moderne. Questi principi sono attualmente di fondamentale importanza per la riflessione della dinamica e della natura della globalizzazione odierna. Eliot ebbe della dinamica della modernizzazione una visione così nitida che essa è diventata oggetto di ampia indagine nella letteratura moderna di scienze sociale.

Nessuno ha saputo però ravvisare l’importanza della produzione di G.K. Chesterton sul pensiero e sullo sviluppo di Eliot. Lontani, sia per generazione che per temperamento, Eliot e Chesterton non furono mai amici, tanto che sulla stampa apparvero spesso reciproche osservazioni critiche. Con tutto ciò, alla morte di Chesterton, avvenuta nel 1936, Eliot scrisse due magnifici necrologi di apprezzamento per il suo collega più anziano. Dalla metà degli anni Venti il suo pensiero teologico, sociale e morale si rifà sempre di più a quello di Chesterton. In questa sede possiamo limitarci ad una delle opinioni di Chesterton in cui Eliot ha creduto e sul quale ha scritto durante tutta la sua maturità letteraria: "Quando la gente cessa di credere in Dio, il pericolo non è che non crede più in niente, ma che comincerà a credere in qualsiasi cosa".

Questo concetto è il tema principale sviluppato in un libro del 1933 in cui Eliot attacca tempestivamente ed in maniera energica gli idoli moderni. Ciò che a Chesterton ed Eliot parve una rivelazione, saggi e filosofi come Aristotele, san Tommaso e tanti altri, i padri fondatori americani, perfino pensatori moderni come Maritain, Gilson, Niebuhr, lo sapevano o lo avevano già riscoperto. La stessa cosa era espressa nel titolo di uno degli scritti più importanti sul pensiero sociale nell’ultimo cinquantennio, La nuda pubblica piazza di padre Richard Newhouse. Il linguaggio è inevitabilmente il mezzo principale con il quale la società e le persone tentano di spiegare e raggiungere i valori tanto agognati, quei valori a cui anelare, da proiettare fuori da sé, da approvare e da cui essere motivati. Se il giudizio degli uomini su questi valori si dimostrasse fallace, fosse solo per epistemologia o etica, o per entrambe, queste entità sarebbero destinate al disastro assoluto. Il Ventesimo secolo fornisce un elenco dettagliato di questo disastro, la "nuda pubblica piazza" non deve essere più nuda, priva o smantellata dei suoi monumenti, dei suoi punti di riferimento, delle tradizioni, dei ricordi, dei messaggi, delle regole che fanno riferimento all’ortodossia. Quella piazza verrà prontamente riempita da qualcosa d’altro, da un’ideologia crudele o folla o da un’esagerata affermazione dell’io, soggetti entrambi fanatici ed egocentrici. Non solamente nella pubblica piazza, ma anche nei singoli cuori troverà posto il vuoto a forma di Dio di cui parla Pascal... Non possiamo neanche parlare in modo intelligibile senza riferirci od orientarci verso il sommo bene, come bene espresso da Dante (Inferno, canti III e XXXI); per C.S. Lewis coloro che disdegnano il verbo di Dio, dovrebbero essere allontanati anche dalla parola dell’uomo. Questo è il motivo per cui l’arte e la letteratura del Ventesimo secolo sono pervase di assurdo e di ironia.

La letteratura e gli scrittori sono importanti per indagare e per approfondire questo argomento, perché essi sono i custodi della vitalità e della tradizione del linguaggio: gli esseri umani possono dire di essere umani grazie al linguaggio. Le parole possono portarci verso la coscienza e lo sviluppo oppure possono deformare la nostra umanità. Secondo il grande poeta contemporaneo, inglese e cristiano, Geoffrey Hill, l’uso del linguaggio ha rappresentato in ogni epoca il dramma del destino umano. Questa opinione era talmente radicata in Eliot, più che in qualunque altro scrittore inglese del periodo 1920-1965, da renderlo un vero discepolo del prologo del Vangelo secondo Giovanni, ed erede della tradizione da esso derivata.

L’idea di una società cristiana è un testo che tenta di raggiungere un obiettivo alto, sintetizzandolo entro i limiti ristretti. La realizzazione di questo obiettivo richiede insieme la conoscenza del sociologo, dello storico, del critico letterario, del moralista, conoscenza che deve essere espressa in prosa intelligibile. È un documento del suo tempo che va oltre il suo tempo, come tanta altra prosa scritta da Eliot. Uno dei brani più belli è certamente il profetico capitolo conclusivo, soprattutto gli ultimi tre paragrafi, nei quali il poeta critica in modo preciso la moderna barbarie tecnologica e l’inquinamento. Seguendo i critici inglesi sociali romantici e vittoriani, Eliot deplora il violento assalto modernista sul paesaggio, la distruzione di quelle eredità mantenute fino a quel momento a caro prezzo, come l’armonia delle cose, le proporzioni e la bellezza così chiaramente visibili in Italia più che da qualsiasi parte del mondo.

Oggi, per noi che cerchiamo di emarginare il futuro cristiano, un futuro in cui sia almeno accettato il fine naturale dell’uomo, la virtù ed il benessere all’interno della comunità, il valore di Eliot assume proporzione più ampia per l’attenzione che, nella sua vita e nella sua opera, egli dà alla lotta per il linguaggio. Questa lotta richiede a tutti di essere chiari, puri, energici e precisi nella dizione, nelle nostre affermazioni e nelle nostre esigenze. Un pagano inquinamento linguistico senza precedenti ci arriva oggigiorno da Hollywood, da Londra, da Parigi e da Roma, acutizzato e intensificato dagli immensi e quasi irresistibili strumenti della comunicazione audiovisiva. La crudeltà, la profanità, l’oscenità, e la pura idiozia sono ovunque così rumorose ed invadenti che la ferma vocina della coscienza umana, della umana razionalità e riflessione, della dignità e della decenza umana, è impossibile da sentire. Soprattutto i giovani sono soggetti a questo assalto incessante sulle loro menti e sul loro spirito, senza la protezione di ambienti famigliari, di gente nella quale il sacro dono del linguaggio possa essere nutrito e coltivato. Quale genitore può oggi escludere o almeno provare ad escludere l’invadenza della televisione, della radio e della musica rock? Eppure il linguaggio ci appartiene ancora, Dio ci ha creati con questa facoltà, dobbiamo usarla in modo appropriato per servire o per cercare Dio. Esistono Dante, Shakespeare, Manzoni, Eliot e Solzenicyn, esistono anche, molto più determinanti, le Scritture e la liturgia. La liturgia di una comunità monastica ha rimesso sulla retta via lo stesso Eliot, ed è questa una delle ragioni per cui egli insiste sull’importanza degli ordini religiosi che perseguono una vita di preghiera e di devozione.

Oltre al problema linguistico e strettamente in rapporto con esso, esiste la questione intellettuale ed ideologica. Un’osservazione profonda ed impagabile di don Luigi Sturzo di oltre cinquant’anni fa: "La filosofia e la storia saranno sempre due rami, due rami di una sola conoscenza e di una sola ricerca dell’uomo. Se cessano le loro reciproche influenze e confluenze, la filosofia diviene sterile tautologia e la storia un’incoerente susseguirsi di fatti insignificanti". Nel corso della nostra vita abbiamo visto passare eventi storici di portata mondiale: se l’Occidente cristiano ha saputo sopravvivere agli uomini e alle ideologie di questo secolo, potrà ben sopravvivere anche ad Hollywood.

Don Luigi Sturzo ha dunque detto che la filosofia e la storia devono essere in relazione tra loro: questa è la condizione per la conoscenza della verità; nella nostra religione la parola si è fatta carne, la sapienza ha penetrato la storia, la verità e la bontà si sono incarnate in corpo e sangue, e ciò riaccade ogni giorno con i sacramenti per grazia di Dio, attraverso le nostre azioni quotidiane. Basti pensare a come il comunismo europeo abbia cominciato a crollare quando il Papa polacco si è recato in visita in Polonia nel 1979.

Il futuro cristiano non è solamente il futuro dei cristiani, ma vale per chiunque, per qualsiasi individuo che desideri vivere una vita decente all’interno della società. Questa aspirazione è la risposta alla bontà di Dio che illumina tutte le persone, alla quale tutti, coscienti o meno, sono orientati in quanto creati a Sua immagine. Senza la bontà divina può esistere qualsiasi genere di tirannia o anarchia, ma una società sana e decente non può esistere a lungo, sebbene lo slancio residuo della pietà e della preghiera delle generazioni precedenti possa sostenere la cultura per un certo periodo.

Per aver caparbiamente ed abbondantemente raccontato e dimostrato queste verità in diversi generi letterari e per oltre mezzo secolo, Eliot è stato avversato dalle gerarchie laiciste dominanti, ma ha reso un servizio al futuro dell’umanità. È stato fedele al Verbo ed ha compiaciuto il Signore.

Negri: È proprio questo il sentimento che la mia generazione e la nostra grande compagnia ha di fronte a questo grande maestro: Eliot, fedele alla verità.

Il grande artista è sempre anche un grande maestro. Noi studenti sentivano continuamente citare Eliot nelle lezioni di religione di don Giussani, e i Cori della Rocca – nella prima traduzione italiana – hanno illuminato il nostro presente. Quelle pagine infatti hanno scavato in profondità oltre questo presente, legandoci alle radici cristiane della nostra vita ed oltre ad esse, leggendo tutto il complesso e drammatico fenomeno del rifiuto che la modernità ha fatto del cristianesimo. È proprio per questo che Eliot ha dato movimento a una riflessione di don Giussani sulla modernità: "È l’umanità che ha abbandonato la Chiesa o la Chiesa che ha abbandonato l’umanità?". Questa domanda ha scavato in profondità, è diventata percezione di un compito, di un compito nel presente e per il futuro. Questo è stato Eliot.

Ne L’idea di una società cristiana la grande testimonianza di Eliot diventa lezione, diventa messaggio esplicitamente formalizzato. Quello che è implicito in tutta la sua poetica, quello che è intensamente dentro qualsiasi passo della sua grande produzione letteraria, qui diventa come una lezione sul punto più drammatico che la coscienza cristiana vive in ogni momento. Che esito ha la presenza cristiana nel mondo? Che cosa offre la presenza cristiana all’uomo di questo e di ogni tempo? Che cosa ha da dire a un dramma quotidianamente vissuto ma, peggio ancora, a un dramma che l’umanità di oggi rischia di non vivere più? La proposizione di questi interrogativi ci fa apprezzare "l’attualità" di quattro conferenze radiofoniche diventate poi questo testo.

Un primo insegnamento di queste pagine è che non si può procedere nella vita e soprattutto non si può comunicare niente di consistente all’uomo di vero, di significativo, se non si centra il problema: ed il problema è quello della scelta – estremamente attuale – fra la formazione di una cultura cristiana e l’accettazione di una cultura pagana. Ogni momento della nostra esistenza personale e sociale vive di un’impressionante banalizzazione della vita quotidiana, senza punti di riferimento, senza valori, senza significato, senza domande. Il punto comune delle grandi tragedie della società è che la maggior parte degli uomini assiste impotente, accettando che non ci sia niente da fare, come se tutto fosse compreso dentro un rito, il rito delle proteste, delle commiserazioni, delle parole che vengono ripetute ogni volta; mentre si dicono queste parole si capisce che non avranno nessun influsso sulla vita di nessuno, né su quella di chi è stato protagonista delle vicende né di coloro che lo assistono. Si pone così una grande alternativa: o la verità di una cultura che nasce dalla fede e restituisce all’uomo la sua dignità, o l’accettazione di un paganesimo che è la rassegnazione a vivere senza verità, senza dignità, senza gusto, senza drammaticità.

Nel 1939, in un momento particolare della storia dell’Europa – è sempre una situazione particolare che sollecita la riflessione di Eliot – si fa pressante il problema del rapporto fra la Chiesa ufficiale e lo Stato inglese, il rapporto fra una tradizione cristiana e il liberalismo che avanza. All’interno di questo particolare la centralità della questione è il destino dell’uomo di fronte al problema del senso della vita. Il senso del dramma attuale è racchiuso nell’alternativa tra da un lato la proposta propositiva che nasce dall’avvenimento di Cristo, dall’altro l’accettazione dell’incapacità dell’uomo ad essere se stesso che Eliot qualifica come cultura pagana. L’esito del cammino di una modernità che ha rifiutato Cristo e che avendo rifiutato Cristo ha come unica possibilità di creare una società totalizzante, è proprio il totalitarismo che già affiorava in quegli anni. La democrazia, la democrazia come pura formalità, la democrazia che non è espressione di una cultura autentica, è vittima di questo Stato. L’errore è tentare di mediare fra tutte le possibili culture senza fare nessuna scelta: questo atteggiamento ha reso la democrazia debole di fronte al totalitarismo e a volte persino connivente. Gli storici della generazione del dopoguerra hanno confermato questo dato. La modernità così è diventata la dimostrazione dell’antico detto biblico, "maledetto l’uomo che confida nell’uomo". Questo è il primo insegnamento del testo di Eliot.

Il secondo insegnamento è che la Chiesa in questa vicenda specificamente moderna appare debolissima. Un uomo che ha amato la Chiesa come l’ha amata Eliot che per l’amore alla Santa Chiesa di Dio cattolica ha sfidato, come ci è stato ricordato, l’impopolarità delle grandi centrali laiciste del cattolicesimo liberale, ci insegna in che cosa la Chiesa è debole. La Chiesa è debole perché si pone come una istituzione fra le istituzioni e imposta il problema come se si trattasse di una mediazione politica: questo il limite dell’espressione "società cattolica o società cristiana" nella formulazione della cultura inglese. È come se si trattasse del problema di un rapporto fra lo Stato laico, liberale, quindi tendenzialmente anticattolico e la Chiesa cattolica che deve salvaguardare certi spazi, difendere certi valori, soprattutto difendere una determinata concezione etica che nasce dalla tradizione cattolica. L’errore consiste nel fatto che la Chiesa non ha la capacità di opporre una cultura autentica a una cultura falsa, ma gioca di rimando, cercando di strappare a questa cultura che sta tendenzialmente occupando tutto – proprio per questo è la cultura del totalitarismo – qualche spazio. Il grande limite della presenza cattolica in Italia negli ultimi cento anni è stato proprio questo: salvare una tradizione morale legata alla vita famigliare anziché fare emergere dalla forza della posizione della tradizione la novità di una cultura alternativa a quella del laicismo dominante.

L’intuizione di Eliot, e questo è il terzo insegnamento di queste pagine, consiste nel privilegiare non una nuova ideologia cattolica, ma un fatto: c’è un popolo cristiano, c’è un soggetto nuovo nel mondo, c’è una coscienza nuova di sé e della vita, c’è un modo nuovo di concepire l’uomo come figlio di Dio, assolutamente irriducibile a qualsiasi condizione e a qualsiasi condizionamento, Quello da cui occorre partire è la consapevolezza della presenza di Cristo nel suo popolo, la presenza degli uomini nuovi che nascono dalla fede, che vivono di speranza e di carità. Essi devono rigenerarsi continuamente, perché, come ci hanno insegnato i Cori della Rocca, la Chiesa non è garantita una volta per sempre, la Chiesa deve rinascere nel profondo del cuore delle anime. È nel profondo del cuore e dell’anima di ogni uomo che ogni giorno si incontrano grazia e libertà e quindi ogni giorno avviene e riavviene l’avvenimento della Incarnazione e della vita di fede.

La Chiesa ha quindi una funzione eminentemente educativa, forma uomini che vivono la vita di tutti secondo la certezza della fede, secondo l’ampiezza della carità, secondo la indistruttibile certezza della speranza: la società nasce come frutto dell’opera della missione. La società cristiana non è un problema di rapporti culturali, ideologici, diplomatici, politici: è invece un movimento di fede che si afferma nel mondo e che affermandosi nel mondo dà il suo contributo specifico e originale alla soluzione dei problemi della vita di tutti gli uomini.

C’è una grande sintonia fra questo insegnamento di Eliot e la grande tradizione della dottrina sociale della Chiesa nel Ventesimo secolo. La società cristiana è un’opera possibile se ci sono uomini che vivono la vita di ogni giorno secondo l’identità della fede e non secondo l’istintività naturalistica di coloro che vivono da soli, senza appartenenza al mistero di Dio fatto carne in Gesù Cristo e presente misteriosamente nella storia nel mistero della Chiesa.

Infine, la più intensa sottolineatura che accompagna le brevi e dense pagine di Eliot è l’amore alla libertà del singolo e del popolo. Il primo segno della società cristiana è, infatti, che gli uomini siano aiutati ad avere il senso della propria libertà. Avendo il senso della propria libertà, quindi della libertà altrui, si potranno impostare i rapporti secondo la legge suprema della carità, cioè del rispetto assoluto dell’altro nella sua identità e nella sua diversità. Il primo grande documento di questo movimento creativo di vita e di società nuova nel mondo, caro alla nostra tradizione cattolica, è la Lettera a Diogneto, della prima metà del II secolo. Da quando io stesso l’ho letta tanti anni fa, durante il primo anno del mio liceo, mi colpì la capacità, ignota a tutti e a tutte le culture pagane, del rispetto e dell’amore alla libertà dell’altro. La grande certezza espressa dall’ignoto autore della Lettera a Diogneto sintetizza in modo mirabile l’insegnamento di Eliot.