Comunità scientifica alla fine del Millennio: contributi, prospettive e sentimenti

Martedì 26, ore 16.30

Relatore:

Bruno Coppi del Physics of High Energy Plasmas di Cambridge (Massachussetts)

L’inizio del nuovo secolo è ormai imminente ed è perciò diventato spontaneo cercare di capire a quale punto del nostro cammino siamo giunti e quale possa essere il nostro avvenire. Secondo un’opinione espressa sull’autorevole quotidiano "Le Monde" (22 luglio 1995), "gli europei, spogliati della loro antica identità, e alla ricerca di una nuova, hanno paura dell’avvenire. Essi sono divenuti degli ‘utopisti a rovescio’, incapaci di immaginare la realtà che essi, pertanto, stanno producendo. Vi sono delle preoccupazioni all’orizzonte: la precarietà dei nuovi posti di lavoro, il deterioramento dell’ambiente, i limiti delle risorse disponibili, sono alcuni degli esempi. Vi sono anche grandi conquiste da considerare: all’inizio del secolo i francesi dedicavano in media il 75% del loro tempo di ‘vita sveglia’ al lavoro, oggi questa percentuale è scesa al 12%.

Gran parte dei drastici cambiamenti avvenuti, per esempio nel mondo delle comunicazioni, sono dovuti a sviluppi della tecnologia e a ricadute della ricerca scientifica. Eppure quando ci si interroga sul cammino che stiamo percorrendo è raro trovare un riferimento alla comunità scientifica. La fine della guerra fredda e il prevalere di prospettive a breve termine con le quali vengono preparati i bilanci degli Stati o delle grandi compagnie hanno ristretto le risorse effettivamente dedicate alla ricerca. Si è creata una situazione di precarietà, la cui peggiore conseguenza è di rendere difficile l’accesso dei giovani a questo tipo di attività.

Eppure questo è un momento della nostra crescita in cui è grande la necessità di ricerca e di pensiero per affrontare i problemi che abbiamo, primo fra tutti quello di dare seguito alla nostra curiosità, al nostro desiderio di saperne di più. La comunità scientifica per necessità e per tradizione ha imparato a lavorare su scala mondiale. Essa quindi ha acquisito orizzonti che le permettono di dare indicazioni e prospettive di natura generali potenzialmente molto utili. D’altra parte anche se risultasse evidente che in Italia la ricerca è amministrata in modo peggiore delle ferrovie, il governo certamente non interverrebbe a placare l’opinione pubblica mettendo immediatamente a disposizione qualche decina di migliaia di miliardi per le numerose necessità da soddisfare. Perché esiste una situazione così discutibile?

Natura della ricerca

La risposta più attendibile a questo tipo di domande e a queste contraddizioni è prima di tutto che quel che comporta l’impegno della ricerca nella vita di una persona o nella dinamica di una comunità è poco conosciuto e tanto meno apprezzato. Per esempio occorre prepararsi a sopportare il rischio di perdersi e di affondare nella miriade di errori che accompagnano lo sforzo di afferrare qualche piccolo nuovo granello di conoscenza, ad accettare la necessità di appartarsi, di rinunciare ad attività che appaiono più utili per avere lo spazio per riflettere. Una descrizione della disciplina personale necessaria può trovarsi in un libro di ispirazione monastica intitolato La vie intellectuelle, di Sertillanges, ormai fuori stampa ma che raccomando di leggere a chi può rintracciarne ancora una copia.

Anche per chi fa ricerca è impossibile percepire se quello su cui si impegna è veramente importante. Ricordo il caso di un allievo che era venuto con me al MIT, e che aveva cominciato a lavorare per il dottorato fra il ’77 ed il ’78. A quel tempo trovammo un risultato importante, la cosiddetta "seconda regione di stabilità". Finito questo lavoro feci molta fatica a convincere l’allievo a rassegnarsi a completare il dottorato senza che ci fossimo imbattuti in un’idea di altrettanto successo.

La ricerca è nota spesso per i suoi risultati pratici o, come nel caso delle armi nucleari, per i timori che può incutere, o in altri casi perché questi possono servire a dare spettacolo. Per esempio articoli di argomento scientifico si trovano spesso nei giornali italiani, nella sezione "Cultura e Spettacolo".

Un aspetto quasi sconosciuto della fisica più moderna è quello di aver dovuto adottare in molti casi un atteggiamento contemplativo, e intendo veramente contemplativo. Vi sono infatti molti fenomeni la cui complessità non permette di darne una descrizione matematica semplice né di intravederne una. Utilizzando grandi calcolatori è possibile qualche volta produrre delle simulazioni numeriche, le quali però spesso risultano così complesse che esse stesse hanno bisogno di ulteriore interpretazione. Il risultato di tutto questo è che ci limitiamo a contemplare il fenomeno dandone una descrizione molto qualitativa. In particolare sono entrati nel nostro linguaggio termini come "la spontaneità e l’indeterminismo intrinseci dell’universo", frase usata da George Coyne in un recente articolo, che sono in contrasto con l’immagine della fisica che viene comunemente data.

Come è possibile quindi che società fortemente materialistiche, con obiettivi a corto termine, possano sostenere un sforzo con passi incerti, anche se parte di un cammino continuo, dedicato ad acquisire conoscenze in un largo spettro di argomenti? Infatti il crescere della ricerca in una sola direzione o il dichiarare, come è stato fatto in passato, che alcune discipline sono più fondamentali di altre, non è né giusto né naturale. Non è da escludere, date tutte queste incomprensioni, che vi sia un regresso o per lo meno una stasi. Infatti non mancano nel passato esempi di competenze e di capacità che sono state perduti per lunghi periodi. Basti pensare all’intervallo di tempo che separa la costruzione della cupola del Pantheon da quella del Duomo di Firenze.

Responsabilità e vizi della comunità scientifica

In questa situazione di incomprensione le colpe della comunità scientifica non vanno dimenticate. La prima fra queste colpe è quella di non fornire spesso un’idea dei limiti delle conoscenze acquisite e della percezione della vastità di quello che non conosciamo nei vari campi. "Viviamo in un mare di ignoranza. Più l’isola delle nostre conoscenze si espande, maggiore diventa il confine della nostra ignoranza", ha detto John Wheeler, un famoso fisico di Princeton. Un altro errore è quello di aver dato eccessiva importanza al punto di vista riduzionista, secondo il quale ci avviciniamo maggiormente alla realtà cercando di sminuzzare l’oggetto di studio nei suoi componenti elementari, ma perdendo nel frattempo la conoscenza dei processi collettivi. Ricordo ancora, dagli anni dell’università, che le discipline che non adottavano questo dogma erano considerate di seconda o terza categoria.

Un’altra colpa è stata, soprattutto in passato, quella di non valutare le conseguenze dei risultati ottenuti, e anche quella di non essere riusciti a proteggerli contro usi non voluti. Il caso delle armi nucleari è ben noto, ma ve ne sono altri, come quelli che hanno condotto a grandi sprechi, sia di risorse materiali che umane.

La funzione della scienza è di scoprire realtà nuove e di descriverle. John Ruskin nel noto libro Pittori moderni, scrive: "La più grande cosa che un essere umano mai faccia in questo mondo è di vedere qualcosa e di dire quello che ha visto". In questo periodo di fine secolo però ci sono state aberrazioni di esponenti della comunità scientifica che hanno dato dei significati e delle implicazioni non giustificabili alle nozioni acquisite nello stretto campo di cui si sono occupati, in prima linea fra questi, diversi cosmologi praticanti o dilettanti. Queste aberrazioni hanno suscitato reazioni violente, come per esempio il libro best-seller del giornalista Bryan Appleyard, Comprendendo il presente: scienza e spirito dell’uomo moderno, in cui attacca ferocemente alcuni di questi cosmologi. Vi sono stati anche episodi luminosi: fra questi il libro di un amico, Friedman Dyson, Disturbando l’universo. Esso dà prospettive originali e ardite all’esperienza e alla sensibilità acquisite dalla comunità scientifica. Uno dei passi più noti è il seguente: "Io sento che noi non siamo estranei a questo universo. Anzi più esaminiamo l’architettura delle sue leggi, più mi pare che in qualche modo l’universo ci attendesse. (...) Mi limito ad osservare che noi non siamo dei semplici spettatori. Noi siamo attori principali nel dramma dell’universo".

All’albore di questo secolo quindi la comunità scientifica spera di trovare comprensione e rispetto nell’attesa di riuscire a non ricadere nei vizi passati.

Suoni e luci

Molti di voi si chiederanno in realtà di che cosa mi occupo. Soprattutto di uno stato della materia che è estremamente comune nell’universo e che si chiama plasma. Lo studio di questo stato della materia serve anche per costruire piccole stelle a raggi X in laboratorio che mantengono le loro altissime temperature, almeno 150 milioni di gradi attraverso processi di combustione di nuclei leggeri simili a quelli che si pensa abbiano caratterizzato l’evoluzione dell’universo a un minuto circa dal Big Bang.

Gli esperimenti di laboratorio danno frequenti lezioni di umiltà in quanto essi alla prova dei fatti rivelano, anche quando si crede di trattare con situazioni ben note, fenomeni o combinazioni di fenomeni del tutto inaspettati. Per questo, devo ricordare che gran parte di quel che conosciamo dell’universo è frutto di osservazioni eseguite a grandissime distanze senza possibilità di sperimentazione e in gran parte usando telescopi ottici. Un’eccezione a questo, riguardante però distanze relativamente ridotte, ci è stata data dal lancio di sonde interplanetarie che hanno condotto misure in situ e che come nel caso degli esperimenti di laboratorio hanno rivelato fenomeni affascinanti e dato una inaspettata immagine del sistema solare. Infatti questo è immerso in un’enorme bolla le cui dimensioni non sono ancora ben note, e che viene chiamata eliosfera. L’eliosfera è quella parte del mezzo interstellare che viene influenzata dal soffio di particelle ad alta velocità (soprattutto protoni che viaggiano con velocità fra i 300 e gli 800 km/s) emesse dal sole e chiamato "vento solare". La sonda più straordinaria per ricchezza di nuove informazioni e immagini nell’esplorare le grandi distanze è il Voyager II. Essa è arrivato attualmente a 50 volte la distanza fra il Sole e la Terra, ovvero 50x150 milioni di chilometri. Ho avuto la grande fortuna di essere stato invitato a partecipare all’incontro del Voyager II con i pianeti più lontani, Urano e Nettuno: un’impresa cui ci sembrava di dover rinunciare per molti anni e miracolosamente riuscita. Sono stati registrati in situ "rumori" corrispondenti a onde elettromegnetiche prodotte nei plasmi che circondano questi pianeti e Saturno. Ho anche una registrazione dei rumori dei granelli di polvere che hanno colpito la sonda spaziale nelle vicinanze di Urano.

Quanto agli esperimenti per riprodurre le piccole stelle a raggi X autosostenute, la prima macchina proposta e progettata a questo scopo si chiama Ignitor. Essa è costruita solo in parte e deve essere ospitata per poter funzionare in uno dei siti con strutture nucleari esistenti in Italia. Le basi per questo esperimento sono state fornite da un programma sperimentale chiamato Alcator iniziato al MIT nel 1969 ed i cui risultati hanno permesso di raggiungere per la prima volta alcune delle condizioni principali necessarie a provare la fattibilità scientifica del reattore a fusione. Condizione che non tutti prevedevano non si potesse raggiungere in questo secolo. Esiste in questo un parallelo col Voyager II in quanto si era previsto prima degli sviluppi inaspettati della sua missione che non saremmo giunti a visitare i pianeti più lontani, Urano e Nettuno, in questo secolo.

Conclusione

Infine, per chi ha gran parte della propria vita di fronte a sé vorrei aggiungere una raccomandazione che emerge chiaramente da alcune frasi di un manoscritto autografo di Giovanni Battista Montini, Pensiero alla morte. "(...) Né meno degno di esaltazione e di stupore è il quadro che circonda la vita dell’uomo; questo mondo immenso, misterioso, magnifico, questo universo dalle mille forze, dalle mille leggi, dalle mille bellezze, dalle mille profondità. Perché non ho studiato abbastanza, esplorato, ammirato la stanza nella quale la vita si svolge? Quale imperdonabile distrazione, quale riprovevole superficialità!".