Come l’amicizia diventa opera:
un ricordo di Novella Scardovi

In collaborazione con l’Associazione Famiglie per l’Accoglienza

venerdì 23, ore 18.30

Relatori: Giancarlo Dardi, Moderatore:
Alberto Piatti, sindaco di Castel Bolognese Alberto Pezzi
Amministratore delegato Fabio Catani,
dell’AVSI medico

 

Pezzi: Abbiamo voluto questo momento per ricordare insieme Novella perché la storia che ripercorriamo è un qualche cosa da guardare oggi, come aiuto per affrontare con più passione la strada percorsa fin qui assieme a molti di voi. Per ciascuno ci può essere un suggerimento interessante perché con più decisione e con più dedizione, con più amore e con più verità possiamo continuare un cammino.

Vorrei cercare di smontare un certo rischio di nostalgia, di ricordo e di celebrazione perché l’emozione non costruisce; invece la memoria, la testimonianza e la responsabilità costruiscono e sono queste le cose che noi oggi vogliamo fare.

A me è stato affidato il compito di tracciare il filo della storia che ci ha portato fino ad oggi. Tante e tante volte ho ascoltato Novella fare testimonianze sulla sua esperienza con Giuliano, e sicuramente tutti ricordiamo come il punto di partenza sia sempre stato un incontro con alcune persone di Comunione e Liberazione, che aveva ridato colore dignità ed energia alla vita e un grande desiderio di corrispondere a quell’amore e di renderlo incontrabile e sperimentabile a tutti. È interessante però cogliere fin da questo punto un primo importante passo che viene da questo dato che sta all’origine: lo sviluppo successivo non è stato certamente autonomo e solitario o individuale, ma è stato mosso dal desiderio di incarnarsi in una storia di chiesa e di esserne semplicemente trapassata. Per esempio, nella grande avventura legata alle Famiglie per l’Accoglienza sono contenuti alcuni aspetti interessanti che descrivono prima una intuizione e poi una maturata consapevolezza.

In una lettera datata 12 luglio 1986, Novella scriveva a Lia Sanicola, che conosceva appena, per chiedere aiuto e confronto sulle prime esperienze di accoglienza che faceva, e apriva – sicuramente senza sapere quello che ne sarebbe seguito – l’orizzonte della sua esistenza attuando quello che negli anni a seguire sarebbe diventato un metodo sempre più praticato, quello della domanda appassionata, della cocciuta mendicanza su tutto ciò che apparteneva all’esperienza, al senso e al giudizio.

Più o meno contemporaneamente, quasi almeno senza conoscersi, alcuni di noi stavamo parallelamente praticando la stessa strada fino a quando Lia Sanicola ci chiamò dicendo che era giunto il momento che cominciassimo a stare insieme perché, pur non conoscendoci in modo particolare, eravamo nella stessa diocesi. Eravamo uniti all’origine da una radice comune sull’esperienza che stavamo vivendo. Questa iniziale percezione di un fattore più grande che entrava nell’esperienza vissuta – un paragone fisico con quello che ciascuno di noi stava vivendo -, ci dava di vivere quasi un secondo incontro la cui vivacità e letizia ci rendevano ancora più appassionati ad uno slancio missionario. Per me e per mia moglie l’esperienza di adozione di Maria Cecilia, con tutto quello che ci fu prima, il viaggio in Brasile, e quello che immediatamente ne seguì, fu la prima vera esperienza di essere portati dall’amicizia in cui eravamo, di essere affidati a dei volti che ci accompagnavano. Ovviamente questi primi passi, pur così decisivi, oltre che metterci insieme con Lia e con Novella, ci chiedevano una prima responsabilità: la costituzione in regione dell’associazione Famiglie per l’Accoglienza. Questo fatto ci costrinse ad approfondire la nostra amicizia. Non ce ne accorgevamo così bene al momento, ma come ci diceva don Giussani all’assemblea della Compagnia delle Opere quest’anno, l’affronto del bisogno veramente ci fa mettere insieme, ci fa fare-con, mette insieme la libertà delle persone. Fu interessante vedere come appunto la nostra libertà personale era permanentemente interpellata, e questa generò l’amicizia perché era anche un legame che aiutava la libertà stessa di aderire. Ci trovavamo per cose legate all’associazione, all’accoglienza e alla gratuità, però prima dell’incontro c’era sempre un’occasione di domandarci reciprocamente aiuto ad abbracciare Cristo in tutti i particolari: io parlavo del mio lavoro, Adele del suo, Novella delle difficoltà ad accogliere le persone, domandando di cominciare a giudicare insieme le cose. La percezione del valore di un ambito comunionale cresceva nel tempo.

Tornando da un viaggio di due giorni a Pescara con Novella e Adele, forse nell’87-’88, Novella ad un certo punto disse: "Il desiderio di realizzare una casa per l’accoglienza l’ho portato nel cuore già da vari anni, ma l’ho sempre volutamente accantonato come un sogno quasi irrealizzabile. Ora invece mi sembra che cominci ad esserci un livello di amicizia tra le persone, che mi dà l’energia per pensare a questa possibilità". Appena rientrati da Pescara mettemmo giù in un paio d’ore le prime idee di casa d’accoglienza, in un foglietto di due pagine. Fa quasi tenerezza pensare a quei primi passi e alle prime difficoltà. Una cosa però emerge chiara: il desiderio di realizzare una casa non è la prima cosa che ci aiutavamo a portare nel cuore; eravamo consapevoli – e Novella su questo era decisissima – che il Signore ci avrebbe fatto fare un percorso perché avvenisse quello che doveva avvenire e si costruisse quello che si doveva costruire. La domanda più importante era quindi una richiesta di essere accompagnati. Ricordo un incontro fondamentale con Giorgio Vittadini: quelle prime idee vennero rilanciate in un orizzonte grandissimo che è il volto che oggi ha l’opera. E insieme però fummo affidati ad una paternità precisa che ci guidasse e ci seguisse; quante verifiche, quanti viaggi a Milano, quanti chilometri! Avevamo una domanda continua di essere giudicati sui passi e di essere sostenuti nel cammino.

Nel frattempo si cominciavano ad individuare le soluzioni concrete, possibili costruzioni da adattare o da ampliare. Ogni volta un gran lavorio su ogni possibilità, approfondimenti e verifiche, insuccessi ed incomprensioni. Soluzioni che sembravano a portata di mano, inspiegabilmente sfuggivano. Questi fatti ci hanno costretto però a guardare oltre e a rimettere a tema le ragioni, soprattutto crescevano l’amicizia, il legame e la libertà di un gruppo sempre più consistente di amici. Credo che il popolo che si è visto il giorno del funerale di Novella – i vigili urbani di Castel Bolognese hanno contato almeno 2500 persone – non sia spiegabile se non per questa grande tensione nell’abbracciare tutto e tutti che proveniva nello stare continuamente in una appartenenza fisica, quotidiana appassionata e libera a qualcuno e a qualcosa a noi più grande. Ora certe cose emergono nitide: quanto amore ha avuto Novella al movimento, quanta affezione! La prima preoccupazione era starci, sempre, alcune volte anche nel dolore di non essere compresa e condivisa, ma tutto ciò era sempre secondario rispetto alla prima grande passione.

E intanto l’amicizia si allargava, ognuno portando un mattoncino da inserire nel muro portante dell’opera Casa d’Accoglienza "San Giuseppe e Santa Rita". Nonostante la casa grande non ci fosse ancora, l’accoglienza era totalmente in atto negli spazi stretti e limitati dell’appartamento di via De Gasperi e in un altro attiguo, con il cuore sempre più grande.

Riprendo testualmente alcuni passaggi di un dialogo con Novella alla fine di ottobre del 1994. Mi raccontava dell’accoglienza di una ragazza grande e mi diceva: "all’inizio l’impatto è stato durissimo, spesso era indisponibile ad ogni rapporto", poi, seria, continuava con la constatazione che Dio forse ci chiede di accogliere e basta, senza risultati, forse anche senza la speranza di ottenerli neanche in futuro, e di offrire tutto a Lui e di metterlo nelle sue mani: il massimo dell’impotenza umana, una constatazione sofferente. Novella tutti i giorni era disposta a riaprire la ferita dell’impotenza per farsi aiutare e per chiedere aiuto a coloro che Dio le aveva messo vicino oppure bastava una serata, un gruppetto con altri delle famiglie per l’accoglienza e poi, finito l’incontro, tornava a casa con la voglia di riabbracciare tutto e tutti nonostante le difficoltà che c’erano state fino a qualche ora prima magari: la gratuità partiva di lì e spesso lo diceva. Aveva sentito un bene su di sé, e allora via, dentro la vita, con una energia rinnovata. Capiva bene che non si può fare una sottolineatura sulla gratuità, sull’amore, dimenticando quel prima. Sarebbe solo uno sforzo moralistico, quindi senza futuro. Novella diceva spesso che "i ragazzi accolti nella casa vogliono bene ai miei amici perché intuiscono che questi sono una fonte che permette di volere loro più bene, una fonte buona per tutte le cose". Un viaggio, una cena, un bene sulla sua pelle e più vogliosa di voler bene, perché il volto di Cristo era apparso più chiaro.

Concludo con un aspetto personalissimo. Ad un certo punto della storia e del rapporto di amicizia che ho avuto con Novella è accaduto che qualche cosa è iniziato a non andare, fino al punto che abbiamo iniziato a litigare sulla cose e sulle mie posizioni rispetto a quelle di Novella e di Adele, che erano sempre più diverse. Novella, che aveva fatto dell’unità, dell’amicizia e della comunione un punto portante della sua vita, dopo un po’ ha cominciato a piangere ogni volta che ci incontravamo. Piangeva per questa distanza perché c’era sempre qualcosa che non andava; bastavano una telefonata e due parole e questo la faceva piangere, il muro sembrava semplicemente invalicabile. Un giorno mi prese guardandomi fisso negli occhi come solo lei sapeva fare; tenendomi tutte e due le mani nelle sue mi disse : "Senti, promettimi una cosa, ogni giorno diciamo un Memorare l’uno per l’altra perché la Madonna ci aiuti. Su questo non dobbiamo mollare per nessun motivo". Mi sembra di vederla con quella decisissima capacità che aveva di entrare nelle cose. Questa cosa pian piano maturava su tutti e tre una cocciutaggine a non buttare via una storia che ci aveva tenuto insieme. Ad un certo punto cominciammo a chiedere aiuto; dopo poco conoscemmo Alberto Piatti grazie alla accoglienza estiva dei ragazzi rumeni. Il legame con lui cresceva, ed è per questo che è qui oggi, parlammo delle nostre fatiche e si prospettò la possibilità che lui ci aiutasse su questo. Ci facemmo aiutare perché non ci cavavamo le mani da soli. Ci incontravamo a metà strada, a Fidenza in un piccolo ristorante di campagna appena fuori dal casello, e così piano piano siamo stati rimessi insieme; siamo stati aiutati a capire, e questo è bello, che il mistero non passa solo attraverso una sintonia ed una corrispondenza immediata, ma anche attraverso una fatica ed un dolore. Tutto questo è durato circa due anni e mezzo. Grazie a questo aiuto è maturata piano piano una libertà più grande e l’amicizia si è rinnovata, approfondita, purificata, resa ancora più incidente.

Dardi: Sono sindaco di Castel Bolognese da 11 anni; ero molto più giovane quando fui eletto e per me era un fatto normale emozionarmi ogni volta che dovevo sostenere incontri particolari; ma erano tanti anni che non mi sentivo emozionato come questa sera.

Io debbo ringraziarvi per avermi coinvolto anche questa sera. Credo che il tema che avete scelto sia molto appropriato. Io non conoscevo Novella fino a quando non ebbi l’occasione di incontrarla nella veste istituzionale di sindaco; invece conoscevo bene Giuliano che lavorava in comune, lo avevo conosciuto anche come giocatore di calcio, avevamo avuto modo di scontrarci nei ruoli diversi tra amministratore e dipendente – era anche delegato sindacale, uno di quelli tosti che quando si scontrava con l’amministrazione lo faceva anche pesantemente. Con Giuliano avevo visitato la comunità del CEIS a Ravenna: avevo saputo che sua moglie faceva volontariato e avevo piacere di andare a visitare quella comunità perché, come tanti della mia età, avevo avuto tantissimi amici coinvolti nella droga. Fu quello il mio primo incontro con Novella, per la verità molto marginale. Venne l’occasione di questo incontro istituzionale per la casa di accoglienza e qui il problema che mi veniva posto come sindaco era quello di collaborare con questa associazione di volontari per la ricerca di un posto dove poter realizzare la casa di accoglienza. Parlammo un po’ sulle finalità di questa casa di accoglienza, ne ricavai una bella impressione – lo dissi anche con Giuliano col quale avevo più confidenza -, però dentro di me dissi: "ma questi sono due matti, vogliono fare una cosa che io non farei mai", però mi parvero due matti lucidi. Assieme a loro piano piano ho incominciato a incontrare altre persone che ringrazio per l’amicizia con la quale mi hanno accolto e continuano ad accogliermi; ho rincontrato ripetutamente esponenti del movimento di Comunione e Liberazione e questo "non è un male", però ho un’esperienza personale del tutto diversa.

Ho reincontrato Alberto Pezzi; avevamo lavorato per diversi anni nella stessa cooperativa e nella stessa impresa e avevamo avuto modo di polemizzare ma anche di diventare amici. Con lui abbiamo ragionato tantissimo per trovare un posto dove far sorgere la Casa d’Accoglienza.

Man mano che si andava avanti non solo cresceva una stima reciproca ma anche attenzione da parte dell’amministrazione comunale che non ha coinvolto solo il sottoscritto ma tutta la giunta. Un giorno arriva Novella nel mio ufficio e mi dice: "Guarda, qui a Castel Bolognese non si trova niente, ogni volta che ci avviciniamo non riusciamo a concludere, perciò dobbiamo andare fuori". Vidi Novella molto sconfortata. Disse che a questo punto non era più possibile stare a Castel Bolognese perché ormai c’erano le condizioni per fare la Casa d’Accoglienza, c’era il sostegno del Vescovo di Imola, che aveva messo a disposizione un edificio a Lugo. Proposi di chiedere un terreno a Biancanigo di proprietà dell’Ente Sostentamento del Clero della Diocesi di Faenza dove in effetti è nata la casa d’accoglienza che è stata realizzata grazie al fatto che vi è stata una convergenza di opinioni e di posizioni tra l’amministrazione comunale e l’associazione.

Sono nate forme di collaborazione sempre più concrete, ma la cosa più importante è che è nata una amicizia bellissima che sul piano personale mi ha arricchito tantissimo sia per la vicinanza che ho sentito di tutti loro nei momenti difficili della mia vita sia per questa bella casa che è sorta. L’amicizia è un dono che non sempre si riesce ad incontrare; soprattutto una amicizia nata da presupposti chiari, senza infingimenti, senza prendersi in giro. Ognuno di noi sa che un rapporto di amicizia si dà proprio perché si ha il piacere di stare insieme, di intendersi e devo dire che con Novella c’era una fortissima intesa sulle cose, e non solo con Novella, ma con tutti. Io sono rimasto molto colpito della ricchezza dei valori che sapete trasmettere, sono molto colpito delle cose che sapete fare e sono stato anche molto colpito della proposta che mi avete fatto di assumere la presidenza dell’associazione degli Amici della Casa d’Accoglienza; è una cosa che mi fa onore, ma anche tanta paura perché riesco a fatica a conciliare i vari impegni che devo affrontare, però questo è un impegno che bisogna portare avanti perché la realtà che Novella ha saputo costruire realizzando il suo sogno è una realtà che va portata avanti. La prova che sta attraversando, non solo Giuliano e la sua famiglia e i tanti amici di Novella, la prova che sta attraversando l’associazione degli amici della casa di accoglienza è una prova difficile, ma non ho dubbi che potrà andare avanti; c’è bisogno che vada avanti rinnovando quel grande sostegno che ha permesso a quest’ idea di diventare realtà.

Piatti: È molto difficile parlare di una cosa vera, semplice, bella, concreta, presente, perché le cose semplici belle e concrete si ammirano, si contemplano. Per parlare di una cosa semplice ho scelto una cosa apparentemente difficile che è strettamente legata a un impegno di lavoro che ho avuto nel mese di giugno dove per circostanze assolutamente fortuite e quasi inspiegabili sono stato nominato membro della delegazione della Santa Sede al negoziato sul futuro degli insediamenti umani. Uno degli obbiettivi principali che la conferenza si è fissata è questo: una casa adeguata per tutti. Ci sono stati dei punti focali che riguardavano la pianificazione di queste città. Il diritto alla casa, per esempio, non è da tutti riconosciuto, da molti è osteggiato, come se avere una casa non fosse un diritto ma un problema privato e personale di qualcuno, quindi lo stato non si assume l’onere di dare una casa a tutti. Nella pianificazione della città i paesi ricchi hanno enfatizzato il problema della medicina di base indicando come principale problema il diritto alla salute riproduttiva; in realtà dietro questo eufemismo si nasconde il fatto che i paesi ricchi in qualche modo controllano le nascite dei poveri e questi rimangono poveri. Un grande dibattito è stato fatto sulla famiglia laddove l’uomo e la donna non sono più tali ma esistono cinque generi: l’uomo sessuale maschile e femminile e transessuali...

Più di una volta, anzi spessissimo in questo bailame anche di lingue mi ritornava alla mente la Casa d’Accoglienza "S. Giuseppe e S. Rita", questa cosa semplice vera bella e concreta che nella sua realizzazione particolare con tutta la storia fino a qui descritta ha una valenza per tutti gli uomini del pianeta, perché è l’esempio di un modo concreto di rispondere al bisogno della persona di avere una casa.

Catani: Vorrei centrare alcune cose che mi aiutano a dare ragione del motivo per cui sto con loro. Soprattutto delle ragioni che ci stiamo dando per stare insieme e per continuare quello che Novella e Giuliano hanno iniziato, che è una storia ormai, un segno nel mondo.

La certezza che Novella aveva era che Gesù Cristo è presente, è un fatto: questo è ciò che descrive l’oggi della casa. Per la prima volta nella mia vita attraverso la morte di questa persona eccezionale mi sono reso conto quanto Dio ci vuole bene. È paradossale: l’estremo limite della persona è la morte, pure ci si rende conto che quella appartenenza totale che Novella aveva al Signore e al Movimento e quindi alla Chiesa si è compiuta nell’amore, nel dir di sì fino alla fine.

Il Signore ha un disegno buono per ognuno di noi, ci vuole bene, e quindi mi sono trovato come scaraventato contro un muro e dire: adesso tocca a te. Ma il tocca a te è per dire di sì al Signore, innanzi tutto per far sì che il Signore sia realmente il Signore del mondo e possa essere la cosa più bella da incontrare e la persona con cui spendere tutta la vita. È questo il motivo per cui questa casa è nata, per cui il matrimonio di queste persone, l’educazione dei figli, il coinvolgimento di queste persone ha animato tutto. Questo deve essere chiaro per capire cosa vuol dire accoglienza.

Fin dagli inizi dell’accoglienza io non ne volevo sapere, e la cosa di cui ero più imbarazzato era che Novella veniva a decidere o a giudicare quello che faceva con me che ero l’ultimo che s’intendeva di accoglienza o di affidi. Però qui c’è l’altro aspetto determinante: lei veniva perché aveva fede, quindi un senso di appartenenza veramente incredibile per cui il riferirsi al movimento e alla Compagnia delle Opere faceva parte reale della sua persona. Questa è la cosa che mi stupisce sempre; provate ad immaginare se arrivassero in casa vostra tre, quattro persone e tutti assieme cominciamo a discutere su come usare dei soldi, cosa fare e come educare i figli, come gestire il tempo libero, tutto; loro, Giuliano e Novella, lo facevano per educarsi alla fede e per far sì che quella compagnia diventasse com’è adesso, un segno nel mondo. Questo è un paragone, un esempio, perché non può essere solamente limitato ad un particolare della casa San Giuseppe e Santa Rita; dev’essere per ogni aspetto della nostra vita, nel lavoro, nella famiglia, in qualsiasi cosa.

Il cercare adesso di dare una dignità sociale a questa opera e ci fa discutere, prendere delle decisioni ma soprattutto il motivo che ci fa stare insieme nasce dalla speranza cristiana, cioè dalla certezza di Cristo presente. La speranza è una certezza nel futuro in forza di una realtà presente, di qualcosa che è visto, sperimentato, trovato, presentito nel presente. Questa è la sfida tra di noi, giocata nell’impatto con la realtà; diversamente il bisogno non lo si incontra, non lo si vede e non gli si fa compagnia. Basta vedere la tristezza che c’è tra di noi nelle famiglie o la tristezza che c’è nel lavoro, la stanchezza che abbiamo avuto anche nella casa: dopo l’urgenza è come calato un po’ il tono perché non è naturale, è un lavoro, è una speranza giocata istante per istante, giocata nel rapporto con la realtà, nelle richieste che ti fanno di accoglienza, nel fatto che la famiglia non c’è più, c’è Giuliano, i suoi figli e gli amici accanto, è come ripensare e riprendere una decisione totale nella vita. Questo è drammatico, perché bisogna decidere da che parte stare: o pensare che ci si può fare da soli attraverso una strategia, un calcolo, una capacità oppure si fa sì che sia un altro che ci fa compagnia, ci dà i criteri e diventa giudizio concreto, appassionato in quello che si fa.

L’accoglienza è togliere una estraneità tra marito e moglie, nel lavoro, con i propri figlioli oppure con le persone che amiamo e l’unica modalità – e questa l’ho imparata stando con loro – è la carità, cioè una posizione senza calcolo totalmente disinteressata in quello che stai facendo. Esperienza di carità vuol dire il cambiamento che la carità genera nelle persone che vivono di carità. La stessa letizia che proviamo nel cuore quando facciamo un gesto di carità è un segno che è la cosa più ragionevole che ci sia. Forse quello che manca realmente è lo stupore nel riconoscere come vivere della carità cambia. Il problema è che siamo abituati a calcolare tutto.

Quindi l’oggi della casa non è niente di eccezionale; la questione decisiva per noi oggi è proprio su un punto di fondo, che cosa voglio fare io, che cosa serve a me, perché il problema è la fede e vivere della fede inevitabilmente permette una operatività e quindi un rapporto con la realtà che è cento volte più forte, cento volte più intelligente, cento volte più serio; bisogna docilmente arrendersi a questo ed aiutarsi in questo, e ciò diventa interessante, perché si è lieti e soprattutto s’incontra, si comunica, cioè diventa una esperienza, non è una cosa mia, ma un’esperienza, cioè per tutti.

Abbiamo bisogno di una grossa mano, anche economica, e della preghiera, e soprattutto che abbiamo tutti il coraggio di vivere questa dimensione di carità nella vita.

 

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