L’opera dei Fatebenefratelli

Venerdì 27, ore 15

Relatori:

Marco Fabello

Fiorenzo Priuli

Moderatore:

Claudio Cogorno

 

Cogorno: L’incontro di oggi è particolarmente significativo. Esso riguarda l’ordine più grande a livello di operatori sanitari, che ha oltre 450 anni di storia e che, come spesso accade nell’ambito e nella cultura cattolica, è partito con il desiderio e l’esigenza di venire in soccorso alle persone che soffrivano nella carne, per poi strutturarsi con sempre maggiori e migliori attrezzature ed uomini, rimanendo fedele a quello che era e che è stato seminato dal loro fondatore, il carisma dell’ospitalità.

Marco Fabello, dell’Ordine Ospedaliero San Giovanni di Dio Fatebenefratelli, Incaricato dell’Area Psichiatrica della Provincia Lombardo-Veneta

Fabello: L’esperienza di quasi cinque secoli di storia (nel 1995 celebreremo il quinto centenario della nascita del nostro fondatore San Giovanni di Dio) va oltre le singole persone che sono qui, per mettere in risalto quanto la Chiesa ha cercato di fare nel contesto della sanità attraverso l’ordine dei Fatebenefratelli.

Prendendo spunto dal tema del Meeting di quest’anno vorrei dare a quanto dirò il titolo "Accade qualcosa da Granada": un’avventura che è cominciata nel 1539, che continua oggi attraverso la presenza dei figli di San Giovanni di Dio. E’ necessario partire dalle origini di San Giovanni di Dio che nell’ambito dell’assistenza sanitaria ha rappresentato un riformatore notevole.

San Giovanni di Dio nacque nel 1495 e morì nel 1550. Fino al 1538-39 visse da sbandato e da avventuriero. Nel 1539, attraverso quella che alcuni hanno definito una forma di pazzia, avviene la sua conversione, quando viene portato nel manicomio reale di Granada dove viene dichiarato malato di mente.

Da questa esperienza, che dura solo 40 giorni, parte la sua idea di riforma: "Io qui sono trattato e vedo trattati i miei amici di sventura malamente. Non è possibile che le persone siano curate così. Voglio uscire di qui perché devo fare un ospedale come io desidero per potere curare i malati secondo quello che intendo fare". In quei tempi la malattia mentale era considerata una sorta di invasamento diabolico. San Giovanni di Dio non può fermarsi a questa visione, esce, gira per le vie di Granada e cerca una casa per fare un suo ospedale. Trova una casa da affittare e comincia a ricoverare i poveri della città; dopo poco tempo questo ospedale diventa piccolo e ne trova un altro dove trasporta tutti i suoi malati.

Qui comincia la rivoluzione dell’assistenza, perché, per la prima volta nella storia, Giovanni mette un letto per malato, divide i malati a secondo delle loro patologie, definisce i reparti. Nel suo ospedale c’è anche un settore riservato ai viandanti, ai pellegrini, ai parenti dei malati: nei nostri ospedali di oggi spesso queste cose non ci sono. San Giovanni di Dio, dirà poi Lombroso, per questi e altri motivi è il creatore dell’ospedale moderno. Ciò che interessa di più a Giovanni di Dio non è l’organizzazione o il buon servizio, ma la presenza del cuore. Sappiamo tutti che anche la migliore struttura del mondo senza cuore è arida, è fredda, non serve, il malato non sta bene.

Circa 15 anni fa, il nostro ex padre generale, fra Pier Luigi Marchesi, inventò il termine "umanizzazione": questo è il principio mentale basilare che ancora oggi dobbiamo ricercare affinché nelle strutture sanitarie si possa vivere in modo decoroso. Umanizzare gli ambienti e le strutture per fare in modo che la ricerca della salute avvenga in termini migliori è il principio base di una buona sanità. La grande carenza degli ospedali di oggi non è tanto l’aspetto tecnico, che arriva anche a livelli eccelsi, bensì una presenza umana accanto al malato. San Giovanni di Dio ci ha insegnato questo.

Il suo primo ospedale – esiste ancora a Granada – fu praticamente il prototipo di un nuovo modo di assistere le persone. Cominciò da solo la sua opera, ma ben presto amici e conoscenti gli furono vicini, e la sua opera di riforma è potuta continuare nel tempo. S. Giovanni muore nel 1550, e l’ordine nel giro di pochissimi decenni si espande in quasi tutti i continenti.

Attualmente l’Ordine è presente nei cinque continenti con circa 200 strutture sanitarie, di cui 65 psichiatriche. Delle 200 strutture, una quindicina sono in Africa, una buona parte sono in Asia, una quindicina nell’America latina.

Non avremmo nessun senso nella nostra società noi come religiosi se non avessimo come principio, come fondamento, di portare il messaggio di Cristo tra i poveri e i malati. Non siamo nell’assistenza per fare della semplice assistenza o un progetto commerciale, ma solo ed esclusivamente per cercare di attuare il Vangelo di Cristo misericordioso attraverso il carisma dell’ospitalità secondo l’insegnamento di San Giovanni di Dio.

In questo periodo, le situazioni più pesanti che la società ci offre sono i malati di mente, i drogati, i malati terminali, i malati di Aids: per tutte queste categorie, nell’ambito delle 200 strutture, esistono dei particolari programmi.

In Italia, siamo presenti con due province e con 20 strutture sanitarie, di cui 5 psichiatriche. Abbiamo anche un asilo notturno per persone senza fissa dimora, possibilità di day hospital e centri diurni. Infine – credo che questo sia molto interessante – abbiamo aperto un progetto sperimentale che riguarda i malati anziani, in particolare i malati di demenza. La demenza è un problema enorme del nostro tempo, che colpisce moltissimo le persone anziane, soprattutto in rapporto al fatto che l’età delle persone aumenta, ma con l’aumentare dell’età aumenta anche la probabilità delle demenze.

Per quanto concerne l’aspetto vocazionale, l’Ordine Fatebenefratelli è composto di circa 1500-1600 religiosi; nelle 200 strutture operano 40000 operatori sanitari laici. E’ un esercito di persone alle quali cerchiamo di trasmettere con progetti e programmi, il significato e il valore dell’ospitalità secondo San Giovanni di Dio, in modo che non sia un feudo esclusivo dei religiosi, ma possa essere trasferito ai laici (seguendo il Concilio Vaticano II che dà loro molta responsabilità) perché ci possano aiutare.

Uno degli aspetti fondamentali dell’Ordine riguarda il mondo della psichiatria. Proprio quest’anno si compiono 15 anni dall’emanazione della legge 180, che quasi tutti riconoscono essere una legge fallimentare. Voglio però richiamarne un aspetto importante: questa legge ha fatto riscoprire le persone malate di mente come uomini, e questo è avvenuto attraverso l’opera di un marxista. Questo ha messo il mondo cattolico in condizioni di inferiorità e di non accettazione di un progetto che invece era molto interessante, ma che la non volontà degli uomini di adeguare e di applicare ha costretto ad essere un fallimento. La legge ha fatto in modo che le persone venissero riconosciute come uomini, ha permesso alle persone malate di votare, di dire la loro opinione. Se questa legge fosse stata applicata non avremmo i guai che abbiamo, ma il fatto che non sia stata applicata non è colpa della legge. San Giovanni di Dio non ha aspettato che altri si muovessero, non si è limitato solo a criticare il fatto che altri non abbiano fatto: c’era un bisogno e lui ha soccorso quel bisogno, è andato incontro a quegli uomini.

Anche noi, Chiesa, in questi 15 anni abbiamo detto tante volte che le cose non funzionavano, ma forse abbiamo fatto poco perché le cose funzionassero. Tutti noi battezzati abbiamo delle responsabilità soprattutto verso le categorie più bisognose, come quella dei malati di mente.

Fiorenzo Priuli, dal ‘69 missionario in Africa

Priuli: Constato ancora una volta che nella mia vita il Signore semina grazie grandi giorno dopo giorno, e questa di essere tra voi oggi ne è ancora una, inaspettata ma grande.

Premesso che mi sarebbe più facile fare un seppur complesso intervento chirurgico che produrmi in un discorso, la mia vuole essere una piccola testimonianza di un aspetto particolare della missionarietà della Chiesa realizzato dai Fratelli dell’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio che unitamente a tanti altri religiosi e laici mettono tutta, o parte, della loro vita al servizio dei fratelli che soffrono. In questo modo prolungano nel mondo, e specialmente tra i popoli in via di sviluppo, quella misericordia che il Cristo ha sì eccelsamente vissuto durante la sua vita pubblica.

Benché i Fatebenefratelli fossero nuovi all’ideale missionario é stato soprattutto negli anni ‘50 che un nuovo slancio ha portato numerose fondazioni nei Paesi in via di sviluppo. In Africa siamo attualmente presenti con 14 comunità (e complessivamente un centinaio di religiosi) che operano in opere soprattutto, ma non solo, ospedaliere più o meno complesse.

Divenuto medico "grazie" a una tubercolosi gravissima che sembrava la "disgrazia" più grande e l’ostacolo insormontabile alla prosecuzione della mia vita missionaria in Africa, da ormai 24 anni ho la fortuna di esercitare insieme ad altri confratelli, europei ed africani, in due opere ospedaliere dell’Africa occidentale e più precisamente nel Togo e nel Benin.

Realizzati negli anni ‘60 dalla Provincia lombardo-veneta e poi completati con l’aiuto di benefattori e organizzazioni non governative, questi due ospedali sono situati nelle regioni tra le più povere e sprovviste di presidi sanitari di questi Paesi e distano uno dall’altro circa 700 Km.

Le due opere, in realtà, sono due complessi ospedalieri che, pur essendo lontani dai grandi centri, dispongono di strutture capaci di far fronte un po’ a tutte le patologie, e sono il perno attorno al quale gravitano numerosi centri periferici nei villaggi e tutte le attività che realizzano una buona copertura sanitaria nella regione.

Alla realizzazione di questa rete sanitaria hanno collaborato attivamente organismi di volontariato italiani e stranieri, il cui apporto è stato e continua ad essere determinante.

E’ grazie ad un enorme e costante impegno nella prevenzione (vaccinazioni ed educazione igienico-sanitaria), che ora diminuiscono progressivamente le grandi epidemie di morbillo, meningite, colera e poliomelite che decimavano queste popolazioni fino a pochi anni fa. Pensate che in soli quattro mesi nel 1980, in una zona di circa 90.000 abitanti, abbiamo avuto più di 5000 morti di morbillo... e negli anni successivi molte migliaia di persone, in prevalenza bambini, sono morti per delle epidemie malgrado le cure, sia nei centri di salute periferici che all’ospedale.

Benché sia ancora necessario un grande impegno per far vivere, per completare ed aggiornare le strutture di queste opere (l’ospedale del Togo ha più di 250 letti, quello del Benin più di 200), l’impegno maggiore e non facile è quello di formare gli operatori che continuino a farle vivere e magari a diffonderle.

Proprio per questo fin dall’inizio è stata posta particolare attenzione alle vocazioni autoctone ed oggi numerosi religiosi africani rinforzano le Comunità dei fondatori europei che invecchiano e cadono dopo dure fatiche e così il Vangelo della misericordia continua ad essere testimoniato fra questi nostri fratelli che soffrono. Per molti il Cristo è incontrato per la prima volta sul letto dell’ospedale o nel corso di un’azione sanitaria in un villaggio sperduto.

E’ proprio per assicurare autonomia ed efficienza nel futuro di queste e di molte altre opere sanitarie – che la Chiesa non cessa di far sorgere dove c’è il bisogno – che l’impegno della formazione di medici e paramedici è per noi essenziale, ed è a questo scopo che nell’ospedale di Afagnan in Togo, è funzionante una scuola per infermieri professionali e per ausiliari sanitari, cui si cerca di dare una preparazione professionale adeguata, ed infondere contemporaneamente un po’ di quello spirito che animò San Giovanni di Dio.

Soprattutto in questa logica della formazione, queste opere sono aperte a personale medico e paramedico volenteroso e preparato, che anche per brevi periodi ben programmati, venga ad aiutarci nella formazione di quelli che in futuro dovranno assumere le responsabilità che noi stiamo ancora portando.

E a chi si sentisse chiamato a mettere tutta la vita a servizio del Signore e dei fratelli che soffrono, auguro il coraggio di rispondere con un sì generoso, e almeno con tanta gioia quanta ne ho avuta io finora.