Incontro conclusivo del Meeting per l’Amicizia fra i popoli

Sabato 29, ore 17

Intervento di

Giancarlo Cesana

Cesana: Mi permetto di commentare il testo del comunicato finale in modo da aiutarci ad una riflessione. Il primo polo di questo Meeting, si dice nel comunicato, è il sogno americano, la nuova frontiera e cioè il significato che l’America ha nell’esperienza e nella cultura popolare. Quando uno pensa all’America pensa ad un posto dove si può realizzare ciò che non è possibile dove si è. Tantissima gente si è sobbarcata viaggi enormi e sacrifici inenarrabili per andare in America nella speranza di una vita migliore. L’America rappresenta il desiderio di qualcosa di più buono, di migliore, una realizzazione della propria vita più confacente alle proprie aspettative: questo è quello che si dice il sogno americano. Però l’America, in quanto sogno, non è un fatto semplice e scontato, è tormentato. Freud, l’inventore della psicanalisi, dice che il sogno è la realizzazione allucinata del desiderio, cioè che il sogno è una realizzazione dei propri desideri, senza però avere rapporto con la realtà. Il sogno americano è insieme la speranza di una vita migliore, ma insieme la constatazione che è un sogno, cioè un desiderio che, da un certo punto di vista, è irrealizzabile o realizzabile solo quando si dorme, quando non si ha un rapporto vero con il reale. La cultura americana è una vera venditrice di sogni (pensate a tutta la filmografia americana, a come è alterato il rapporto con la realtà). Il sogno americano è insieme l’espressione di un desiderio e dall’altra parte una vera e propria vendita di sogni, come se i propri desideri si potessero realizzare con la televisione o con il film serale. E’ tormentato, cioè è un desiderio fortissimo e grandissimo di una vita più grande, ma che rischia continuamente di essere alterato. Durante il Meeting abbiamo potuto ascoltare molti che, vivendo in America o essendo stati portati a forza in America, non hanno potuto affatto realizzare il sogno americano, anzi, l’hanno sofferto e lo soffrono tuttora.

Quindi un polo è questa ricerca della terra nuova, su cui lasciare la propria impronta, il desiderio dell’uomo, che è insieme una possibilità e troppo spesso un sogno, cioè una realizzazione che si può fare solo chiudendo gli occhi di fronte alla realtà.

Il secondo polo è quello che viviamo noi e che vivono anche altri che sono in America, "è il coraggio di affrontare la fede come realtà".

Noi non abbiamo paura dei desideri degli uomini, perché la fede li realizza e li realizza nel reale, anzi la fede è proprio il riconoscimento di una presenza che realizza ciò che noi vogliamo dalla vita, dentro la realtà, perché la fede ci rende più uomini, fa di noi quello che altrimenti sarebbe impossibile, ci rende amici, unità, compagnia, ci rende più grandi, più capaci di capire, di giudicare, più adeguati a quello che ci circonda.

La fede come realtà desta l’ottimismo di affidarsi alla sua dinamica, cioè al riconoscimento di questa presenza che c’è tra di noi. Don Giussani racconta che una volta, durante un’ora di religione, venne attaccato perché tutti dicevano che la fede andava contro la ragione e lui domandò: "Che cosa è la ragione?" Silenzio. "Che cos’è la fede?" Silenzio. La fede non è contro la ragione, ma la fede è il riconoscimento della presenza che risponde alla ragione, cioè al desiderio e alla capacità di comprensione dell’uomo: la fede è il compimento della ragione. Il riconoscimento di questa presenza non è un fatto statico, inamovibile, è una dinamica, è un movimento, è qualcosa che si muove, è qualcosa di umano. Quello che noi viviamo ha la sua dinamica anche quando questa dinamica va contro vento (siamo sempre stati contro vento: spesso il modo migliore per capire dove siamo noi è guardare dove sono tutti gli altri e poi girarsi dall’altra parte, e questa non è una delle ultime dimostrazioni che siamo veri, perché che convenienza abbiamo se non la convenienza della verità che viviamo, del gusto di ciò che viviamo?).

Come si manifesta il riconoscimento di questa presenza? L’unità dei cristiani con i propri pastori, in una pluralità di forme espressive e la testimonianza di tale coraggio, cioè del coraggio di affrontare la fede come realtà. Questo coraggio si manifesta come unità. Nel Vangelo non c’è scritto: "Crederanno in voi se sarete più buoni, se sarete coerenti", anzi. Il Signore quando parlava degli uomini spesso aveva parole molto dure, molto crude; a un certo punto si è voltato verso Pietro dicendo: "Voi siete tutti cattivi".

C’è un solo fatto da cui si vede che la fede è realtà (che la fede è realtà vuol dire che è una cosa data, che è una presenza che c’è): l’unità dei cristiani con i propri pastori, cioè con coloro che hanno conservato la tradizione, che l’hanno portata fino a noi. Noi possiamo essere cristiani oggi perché qualcuno ci ha portato questo messaggio, questo annuncio e ce l’ha portato in termini viventi, cioè come sé, come persona, come testimonianza.

L’unica cosa da cui si comprende che Dio è venuto è che coloro che lo seguono sono capaci di fare ciò che è impossibile, cioè di essere uniti, nonostante la pluralità di forme espressive, nonostante il modo di essere, la diversità del modo di esprimersi, di fare, di sensibilità, a volte anche di giudizio, di parere, di opinione.

Il Meeting è nato e si è sviluppato con questa preoccupazione dell’unità dei cristiani e con una grande tensione all’unità di tutti gli uomini: è il Meeting per l’amicizia fra i popoli.

In particolare il Meeting ringrazia il Presidente e l’Assistente generale dell’Azione Cattolica Italiana che, dopo 13 anni, sono venuti al Meeting. Questo è un fatto grande perché è un segno di tensione all’unità all’interno del laicato cristiano e siccome l’evangelizzazione, l’annuncio di Cristo, è innanzitutto questo fatto, che si realizzi questa unità è quanto di più importante possa avvenire e quindi che nel Meeting ci sia stata questa visita, sia nata questa simpatia, questo scambio è veramente una cosa grande, valeva la pena di fare il Meeting per questo.

Il Meeting ringrazia le numerose autorità della Chiesa che hanno voluto essere presenti, che hanno parlato e hanno riconosciuto il valore di questa esperienza per la Chiesa e per tutti. Noi siamo molto grati alla loro presenza, perché essa è come un incoraggiamento, una confema che siamo su una strada giusta e questo è importante, perché la tradizione è portata da loro, la verifica di ciò che siamo è rispetto a loro.

"A cinquecento anni dall’evangelizzazione delle Americhe grandi problemi continuano a segnare il cammino dei popoli", ha scritto il Cardinale Sodano a nome del Papa. Come abbiamo cercato di affrontare questa problematica nel Meeting? Abbiamo portato qui persone che possono parlare di Americhe perché nelle Americhe vivono e lavorano. Abbiamo portato soprattutto testimonianze di come la fede sia un fattore di trasformazione della realtà. Non abbiamo fatto una strategia né una teoria, non abbiamo fatto una ideologia del problema mondiale delle Americhe, abbiamo portato qui la gente che vive perché si comincia sempre da un particolare ad affrontare il tutto e la forza del particolare è proprio perché lì vive la totalità. Al Meeting di quest’anno sono state privilegiate come ascolto proprio le testimonianze più che i discorsi e di questo certamente terremo conto per il futuro, è stata privilegiata la parte visiva, il racconto, la storia, il tentativo, la mostra più che il discorso. E questo accade perché per la nostra storia noi sentiamo più vero ciò che ci dice quello che siamo e questa è la vera capacità critica che diventa più matura di anno in anno.

"Il Meeting è stato come sempre testimone di gratuità (perché non si potrebbe fare il Meeting senza tutti quelli che prestano il loro lavoro gratuito), di ospitalità, di fede, di cultura e anche attento a problematiche politiche". Parliamo anche di politica, e siamo contentissimi che ci siano persone che essendo amici nostri ed essendo legati alla nostra esperienza si assumono loro la responsabilità di una azione dentro la politica: saranno più forti loro e più liberi noi. In questo Meeting abbiamo proprio affrontato tutto, non solo l’America. Quindi siamo anche attenti a queste problematiche politiche che sono quelle che uno guarda sempre con un po’ di sospetto, mentre esse riguardano gli interessi più vivi che gli uomini hanno, perché si tratta di come si mangia e si beve.

E’ impressionante il numero di giovani che vengono al Meeting, ragazzi soprattutto, ed è estremamente importante che i giovani si sentano incoraggiati in questa iniziativa, cioè che sentano che l’esperienza che vivono, la fede che hanno, ha dentro una forza di costruzione civile, cioè cambia le cose, non solo per me, per noi, per tutti, e che la massima autorità dello Stato lo riconosca è un incoraggiamento estremamente importante.

Ci è stato dato veramente tanto e la cosa peggiore che noi potremmo avere è l’ingratitudine verso tutto quello che ci viene dato, per cui domani, lunedì quando ci si alza la mattina e si dicono le lodi, o una preghiera, si comincia con uno sguardo diverso sul mondo, cioè si comincia con la gratitudine, perché comunque l’origine dell’azione sta nella gratitudine per qualcuno che è intervenuto su di noi prima che noi stessi lo volessimo o addirittura, a volte, ce ne accorgessimo. Guai se non abbiamo gratitudine per quello che ci è dato e siccome i protagonisti di questa iniziativa sono i nostri amici di Rimini, l’Emilia, don Giancarlo, Sanese, Antonio Smurro, voglio ringraziare soprattutto loro. Noi di Milano e di Roma veniamo qui a remare per una settimana, ma loro remano per un anno, quindi meritano tutta la nostra riconoscenza.