Il sogno americano

Mercoledì 26, ore 11

Relatore:

Carl Bernstein

Carl Bernstein, residente a New York è uno dei giornalisti più famosi del mondo. Insieme a Bob Woodward fu protagonista, quando giovanissimo era cronista cittadino del Washington Post, dello scoop giornalistico più celebrato di tutti i tempi: il Watergate, lo scandalo che fece dimettere il Presidente degli Stati Uniti d’America Richard Nixon.

Oltre al lavoro giornalistico insegna e si è impegnato, ultimamente, nella scrittura di un film ed in quella di un romanzo.

Dall’aprile ‘92 collabora al settimanale Il Sabato.

Bernstein: Il sogno americano è sempre stato caratterizzato dalla convinzione che la vita per la generazione successiva sarebbe stata migliore in senso economico e spirituale. Fin dall’inizio il nostro esperimento ha riguardato la natura stessa della libertà: la libertà da qualsiasi tipo di tirannia, dalle teste coronate, da ogni tipo di demagogia, dall’ignoranza, dagli zeloti religiosi. Le nostre aspirazioni si sono concentrate proprio sull’anima stessa dell’individuo e sulla natura della società. Abbiamo cercato di dare nuova luce e di arricchire l’esperienza umana e non soltanto nel senso puramente materiale, in modo tale che di generazione in generazione sarebbe divenuta più ricca e soddisfacente. Anche la natura dell’uomo ne avrebbe tratto un enorme giovamento. La terra, le fabbriche avrebbero dato di più, l’America avrebbe dato di più e il corpo stesso avrebbe subito meno danni di quanto non ne subisse in passato. Avremmo così sollevato i sogni di tutto il resto dell’umanità, permettendo a tutti di entrare a far parte di questo arricchimento: il sogno americano si sarebbe tradotto nel sogno di tutta l’umanità.

Noi in America siamo stati in grado per un paio di secoli di estendere questo sogno, ma, come ho scritto, sempre più negli ultimi 10 anni, in America da molti punti di vista ci si è allontanati da questo sogno. Sembra strano che questo avvenga nello stesso momento in cui il comunismo scompare, distrutto direi non soltanto all’interno di se stesso, ma proprio perché centinaia di milioni di persone di Danzica, Vladivostock, Berlino, Salvador, hanno preso in considerazione la natura del sogno americano, hanno incominciato a conoscerlo, a leggere informazioni. Con la rivoluzione della comunicazione si è acquisita una nuova nozione, quella delle frontiere trasparenti.

Benché la natura di questo sogno sia semplice, riuscire a tradurlo in realtà è una cosa molto difficile, forse una delle cose più difficili nella storia dell’uomo. Il sogno americano è stato una lotta tra gli estremi, tra la schiavitù e la libertà, tra la libertà e la morte, per citare la frase più famosa della nascita della nostra nazione. Noi abbiamo conosciuto una guerra civile sulla nostra stessa terra, una guerra che ha fatto più vittime di quante non ne abbiano fatte ambedue le guerre mondiali. Mentre aiutavamo il mondo a sconfiggere il nazismo e il fascismo è iniziata una caccia alle streghe in cui è sembrato che anche da noi si dimenticasse che cos’è veramente un principio democratico. Durante la mia infanzia decine di migliaia di persone di americani vennero espulsi dai servizi pubblici, non poterono più insegnare all’università, non poterono più lavorare nei laboratori scientifici del paese proprio perché si temeva che la loro visione politica fosse in qualche modo sovversiva. E quindi non accettabile.

Molto di quello che ho scritto ha riguardato questo concetto della mitologia americana vista rispetto alla realtà della nostra condizione.

La mia attività di giornalista si è focalizzata sulla realtà cercando di dare della realtà la migliore versione possibile. Nella mia attività giornalistica ciò che mi ha aiutato è sempre stato il sogno di quello che l’America potrebbe e dovrebbe essere. Questo sogno, che la vita delle prossime generazioni potesse essere infinitamente migliore della nostra, è una cosa che in fondo si gioca anche in tutta l’Europa. La prima volta che venni in Europa, nel 1970, la povertà era ancora un male endemico nell’Europa dell’Est. Ovunque c’erano quartieri tremendi, a Roma, al di fuori di Parigi, a Madrid. A Praga non ci sono più, come nel 1968, i carri armati, ma c’è piuttosto il secondo presidente eletto democraticamente nell’arco di soli due anni. In Ungheria c’è una economia di mercato libera e ora io da Rimini partirò per Mosca e parlerò in un incontro di giornalisti che provengono dai paesi dell’ex impero sovietico. Ci incontreremo per discutere anche del nostro lavoro, che deve essere libero in queste nazioni ormai liberate. Questa conferenza sulla libertà di stampa e sulla libertà di giornalismo si terrà al Cremlino: il sogno americano si è già tradotto in parte in realtà.

Oggi la cultura americana in tutti i sensi, domina il mondo senza precedenti. La nostra mitologia, che trova espressione nella vitalità della nostra cultura popolare, la musica, la TV, il Rock and Roll, i Blue Jeans, lo sport, la squadra del sogno: tutto questo ha aiutato a vincere il comunismo. Proprio un presidente le cui idee erano profondamente radicate nella mitologia, e mi riferisco a Reagan, ha condotto l’America attraverso un periodo di enorme trionfo del sogno americano, anche se a quel tempo la nostra realtà cominciava ad allontanarsi da questo sogno. A Bagdad una cosa che mi ha colpito è stato trovare dei poster di Madonna. L’America sta saturando il mondo con i suoi miti, con le sue fantasie, con le sue canzoni, con i suoi sogni.

Ogni bambino sogna di essere un principe, ogni adulto sogna di essere un Rambo e di uccidere il nemico, indipendentemente dal fatto che il nemico sia il proprio capo, il comunismo o chiunque altro. Il produttore dello show televisivo Law and order, legge e ordine, mi ha detto: "A Hollywood stiamo vendendo quello che è il nostro ultimo lusso e cioè il fatto che la gente non è costretta a vivere la vita nella quale si trova. Possono essere un cow boy, dei detectives, Fred Astaire ed è proprio questo che l’America oggi sta vendendo. La gente vuole essere in grado di diventare qualcun altro, di modificare la propria vita. In questo sforzo di promuovere la cultura americana però dobbiamo stare attenti a non perdere la nostra anima. Non dobbiamo perdere la nostra anima democratica, spirituale, non dobbiamo perdere di vista quella che è sempre stata la natura di questo sogno, e non dobbiamo dimenticare il fatto che è un ideale che possiamo tradurre in realtà, una vera realtà e non semplicemente una pura mitologia.

In ogni punto critico della storia americana, quando ci siamo trovati in pericolo di perdere di vista questo sogno in un modo o nell’altro lo abbiamo di nuovo intravisto, lo abbiamo catturato, lo abbiamo afferrato con le nostre mani e ci abbiamo lavorato sopra.

Non si può secondo me parlare di sogno americano senza parlare allo stesso tempo anche della costituzione americana, una costituzione che ha ora più di 200 anni e non si può dimenticare l’enorme contributo al miglioramento dell’uomo e soprattutto la nozione che uomini e donne hanno diritti inalienabili, diritti che devono essere protetti sempre e in ogni modo da qualsiasi incursione da parte dello Stato.

L’unico gruppo che nel corso della nostra storia sistematicamente non ha potuto avere le stesse opportunità che hanno avuto tutti gli altri di entrare a far parte del sogno americano è quello dei neri, prima attraverso la schiavitù, poi attraverso una segregazione legale attuata nelle scuole, sugli autobus, e persino nei ristoranti negli Stati del Sud. L’opportunità economica per i neri non è mai stata alla pari in America. La schiavitù e la segregazione hanno lasciato dietro di sé due Americhe: quella nera e quella bianca, quella ricca e quella povera, quella luminosa per i bambini bianchi e quella squallida e desolata per i bambini neri, per troppi bambini neri. La nostra incapacità di affrontare i problemi razziali in America sta uccidendo le nostre anime. La disoccupazione nera tra giovani nelle nostre città si avvicina credo ad una cifra pari al 60-70%. Forse in America, tra i neri, il numero di coloro che hanno conosciuto la prigione è maggiore del numero di coloro che hanno conosciuto l’università. E tutte queste terribili realtà derivano proprio dal fatto che ad una parte della popolazione è stato negato l’accesso a quel sogno. Nonostante tutte le lotte che si sono fatte per assicurare i diritti civili, per migliorare le opportunità economiche, per creare una classe media nera, che avesse una forza, negli anni di Reagan, di Bush, si è dimenticata la compassione, l’onestà stessa nella valutazione di queste realtà. Stranamente l’ambito in cui operiamo meglio è quello in cui c’è stata una minore discriminazione razziale, e cioè nell’ambito militare. E lo stesso vale nella nostra cultura popolare, nello sport: sono questi gli ambiti in cui le barriere non esistono più.

Recentemente ho scritto un lavoro pubblicato sia in America che in tutta Europa chiamato: La cultura idiota. E’ un’analisi molto critica di come sempre più in America si ottiene l’informazione: sensazionalisti che danno informazioni di nessun conto o giornali che parlano solo di sciocchezze o libri privi di interesse tesi soltanto ad avere un successo sul mercato. Anche questo in un certo modo è una forma di negazione del sogno americano, che dimostra che non capiamo quello che è il nostro potenziale: è il trionfo dell’ignoranza. E nel frattempo la qualità della vita cittadina nell’Europa occidentale sembra affascinante in tutti i sensi quando invece la vita nelle città americane sta diventando una vera e propria tortura. Nel corso della mia vita in Europa ho assistito ad un miracolo. Devo dire però che qui c’è una cosa molto diversa dall’America ed è forse una visione diversa di questo sogno stesso, cioè l’esperienza di eliminare dal nostro paese tutti coloro che hanno basato la loro attività sulla tirannia dando e aprendo le nostre porte ai popoli di tutto il mondo.

La nostra è una popolazione in cui gli immigrati e i loro figli e nipoti hanno dominato la storia. In America abbiamo sempre avuto grandissime aspettative; le nostre stesse frontiere sono state audaci, dalle montagne alla luna, la nostra visione di quello che avremmo potuto ottenere per noi e per i nostri figli è sempre stata maggiormente ispirata di quanto non lo fosse nel resto del mondo. E in questo modo abbiamo fornito al resto del mondo una nuova fonte di ispirazione proprio perché abbiamo sempre dovuto coprire lunghissime distanze in quanto avevamo grandissime aspettative. Siamo riusciti a fare tutto questo perché ci abbiamo lavorato a fondo e con tutte le generazioni una dopo l’altra abbiamo sempre avuto un atteggiamento generoso rispetto al successivo gruppo di immigrati. Abbiamo sempre cercato di portare a termine il lavoro iniziato nel passato che non era ancora perfettamente compiuto. Abbiamo sempre mantenuto la convinzione che la vita e le opportunità dei nostri figli sarebbero state migliori delle nostre e abbiamo sempre continuato a credere al fatto che avrebbero vissuto in un paese migliore del nostro.

Abbiamo visto ora crollare il comunismo, abbiamo visto fiorire l’Europa del dopoguerra; in America ancora una volta è il momento di cercare di avere cura del proprio giardino mantenendo vivo questo sogno in tutto il mondo, ma soprattutto e proprio per la nostra popolazione vogliamo che questo sogno riprenda vita.