Martedì 23 agosto, ore 17

ALLE ORIGINI DELL'UOMO

Partecipano:

Fiorenzo Facchini

docente di Antropologia presso l'Università di Bologna

Bernard Vandermeersch

docente di Antropologia presso l'Università di Bordeaux.

Conduce l'incontro:

Pier Alberto Bertazzi.

Storia biologica e storia culturale sono, nell'uomo, profondamente legate. L'uomo, già nella fase di homo erectus, è capace di comunicare in modo simbolico, è capace di linguaggio e di organizzazione dell'ambiente e manifesta la sua strutturale costituzione di homo religiosus.

F. Facchini:

Quando mi fu chiesto dagli organizzatori del Meeting di parlare di questo tema, rimasi sorpreso e quasi interdetto per l'audacia con cui era stato formulato. Ci pensai sopra, ebbi anche modo di parlarne con Yves Coppens che non è potuto essere qui oggi, e mi convinsi che qualcosa si poteva dire, anzi che si doveva dire. Questo tema è molto legato al rapporto tra evoluzione e cultura ed è un problema a cui io ho dedicato una certa attenzione. Nello studio della preistoria ci sono i fatti, ci sono i documenti, ma credo ci sia anche lo spazio per le interpretazioni delle ipotesi. Nella evoluzione umana vengono riconosciute alcune fasi (a parte quella preparatoria che viene identificata negli australopitechi) identificate in quelle di homo habilis a partire grosso modo da 2 milioni di anni fa fino a circa un milione e mezzo, la fase di homos erectus, da un milione e mezzo, grosso modo, fino a circa duecentomila anni fa , poi la fase di homo sapiens. Questa nomenclatura scientifica è una noleggiatura, potremmo dire, di tipo zoologico: il primo termine, come è ben noto, sta ad indicare il genere e il secondo la specie. Vengono quindi ammesse specie diverse che si sono susseguite nel tempo pur in una continuità genetica, quelli che i paleontologi chiamano specie allocronica. Oggi però vari studiosi si chiedono piuttosto se esse non indichino livelli e stadi morfologici. Io personalmente sono convinto che siano da considerarsi piuttosto come sottospecie di una unica specie umana. Anche perché proprio la cultura potrebbe avere giocato un ruolo nell'impedire l'isolamento genetico che è necessario per la formazione di una nuova specie. La cultura come è stato ricordato, ha avuto un ritmo via via crescente nel corso della evoluzione umana a partire dalle lontane origini. Ciò premesso vorrei osservare che fuori dall'ambito scientifico troviamo anche altre connotazioni di uomo, si parla di homo faber, di homo tecnologicus, di home simbolicus, di homo religiosus di homo sapiens, nel senso di un uomo fornito di capacità astrattive, ecc. Ora a queste definizioni corrisponde evidentemente un significato culturale. C'è da chiedersi: questi attributi stanno ad indicare stadi evolutivi culturali percorsi dall'uomo a partire dalla sua comparsa sulla terra oppure denotano attributi essenziali tipici dell'uomo di ogni tempo, quali che siano i modi con cui essi si esprimono? In questo caso, a partire da quando si possono riconoscere queste diverse attitudini culturali? A partire dalla comparsa di quello che può essere chiamato homo biologicus, in base alle caratteristiche fisiche che vengono riconosciute all'uomo e che sono state così chiaramente ricordate dal P. Vandermeersch, oppure da un'epoca più recente? In particolare il simbolismo e la vita religiosa, il senso religioso, cioè quello che viene definito qui la ricerca dell'infinito che sono così strettamente connessi nell'uomo di oggi, direi anche nella preistoria recente, quando possono riconoscersi nella storia evolutiva dell'uomo? Mi pare che sia questo il problema che dovrei affrontare e cercherò di farlo da uomo di scienza che non soltanto raccoglie e racconta i fatti, i documenti che sono forniti dalla paleontologia, ma cerca anche di rifletterci sopra. A questo proposito vorrei anche rilevare come una definizione di uomo deve includere i diversi aspetti dell'uomo e qui mi trovo d'accordo pienamente con il pensiero di P. Vandermeersch. Oltre ad una base essenzialmente biologica (la notevole organizzazione cerebrale, la riduzione della dentatura, il carattere onnivoro della dentatura, la piena e perfetta opponibilità del pollice, le altre dita della mano, un apparato di fonazione adatto al linguaggio articolato ecc.), io ritengo che occorre considerare e includere nella definizione di uomo anche le manifestazioni della cultura. La cultura infatti è un elemento integrante ed essenziale per l'uomo anche come specie biologica: dobbiamo dire, appunto, che la cultura è la nicchia ecologica dell'uomo, perché entra nei processi di adattamento dell'uomo all'ambiente ed è stata comunque determinante nel successo evolutivo della specie umana. Una proprietà molto importante della cultura è, infatti, la possibilità di innovarsi, di accrescersi, di accumularsi, di trasmettersi rapidamente e non per via genetica o soltanto parentale. Certamente per l'umanità attuale gli elementi della cultura espressi nella tecnologia, nella organizzazione familiare, sociale, nel linguaggio simbolico, nell'arte, nella religione, sono facilmente identificabili. Più difficile è l'approccio all'uomo preistorico nella sua globalità sulla base dei documenti che si ritrovano sulle origini dell'umanità. La discontinuità biologica e culturale che oggi noi riconosciamo tra l'uomo e le scimmie antropomorfiche è più difficile da riconoscere agli inizi dell'umanità tra forme umane e forme non umane. Nel corso della evoluzione l'uomo, la cui presenza è sicuramente documentata, (ammessa nell'Africa orientale a partire da circa 2 milioni di anni fa) emerge senza rumore, nel silenzio, quasi in punta di piedi, ha affermato Teilard de Chardin. Forse non si è lontani dal vero paragonando lo sviluppo psicologico dell'umanità all'evoluzione del bambino e qualche autore ha tentato di farlo utilizzando il modello del Piaget per lo sviluppo cognitivo dell'uomo. Occorre però evitare certe esemplificazioni o certi parallelismi, che non tengono conto di quella coscienza di sé che deve avere sempre contraddistinto l'uomo anche se in gradi ed espressioni diverse. La discontinuità biologica e culturale rispetto all'austrolopiteco, la fase che ha preceduto e preparato la comparsa dell'uomo, appare io penso, soprattutto a distanza, in quello che i paleontologi chiamano lo spessore del tempo e non è facilmente riconoscibile nella documentazione fossile delle origini. Secondo qualche studioso anche gli austrolopitechi erano in grado, oltre che di usare pietre e bastoni, di scheggiare in modo rudimentale la selce. Si parla, appunto, di utensili che si ritroverebbero già in questa fase precedente la comparsa dell'uomo. Coppens, per esempio, ne ha descritti per le regioni dell'Africa orientale, riferibili a un'epoca di 2 milioni e mezzo, 3 milioni di anni fa quando l'uomo ancora, o per lo meno homo habilis, pare non esistesse. Ciò esprime realmente una progettualità, ecco un problema che io pongo subito, come si riconosce al livello di homo habilis. Tobias ritiene che ci sia stata in realtà una differenza tra gli utensili fabbricati dagli austrolopitechi e quelli di homo habilis proprio in relazione al successo che l'uomo ha avuto. Questo problema, a mio modo di vedere, non è di facile soluzione, tuttavia assumendo come parametri quelli che oggi contraddistinguono l'uomo dal punto di vista biologico e culturale (assumendone diversi in un approccio globale) noi possiamo risalire indietro nel cammino evolutivo e ricercare la più antica presenza dell'uomo e ciò che la caratterizza. La domanda: "quando c'è l'uomo", si lega ad un altra domanda: "chi è l'uomo"? La risposta è possibile, a mio modo di vedere, solo in un approccio globale, occorre cioè un sistema nervoso che renda possibile uno psichismo umano, ma occorrono anche comportamenti che denotino progettualità, creatività, comunicazione simbolica, vita sociale varia ed intensa. La cultura ha avuto nel suo sviluppo, nel suo andamento esponenziale, la sua importanza. Si è via via accresciuta come è stato ricordato da Vandermeersch, ma agli inizi la curva che rappresenta è molto vicina all'asse da cui si distacca. Diventa allora importante cogliere la situazione che contraddistingue la cultura dell'uomo al di là delle sue realizzazioni nel tempo, si tratti di un cioppero di un bifacciale o di un robot, attitudine che può riconoscersi nella capacità creativa e simbolica, in atteggiamenti nuovi, coscienti, creativi di fronte alla natura e all'ambiente. Con quali manifestazioni e a quali livelli di umanità preistorica possiamo parlare di psichismo riflesso, di autocoscienza, di homo simbolicus o di homo religiosus, per usare termini cari a Julien Ries? Certamente vi sono espressioni culturali che attestano sicuramente una capacità simbolica e forse sono interpretabili anche in senso religioso. Risalendo indietro nella preistoria i cacciatori maddaleniani di 15 mila anni fa, che ci hanno lasciato le magnifiche raffigurazioni parietali nelle grotte di Lascaux, di Altamira, di Nieaux, si rivelano non soltanto creatori di strumenti ma creatori di simboli. Io ricordo l'impressione fortissima che provai qualche anno fa visitando le grotte di Nieux, nei Pirenei orientali. Percorremmo un lungo cunicolo, una galleria lunga diverse centinaia di metri, poi arrivammo in una sala preistorica le cui pareti erano appunto affrescate di questi dipinti: animali che venivano cacciati dall'uomo, bisonti, cavalli. E interessante è che l'ingresso in questa sala era preannunciato da simboli misteriosi sulla soglia della sala stessa. I cacciatori che frequentarono quella grotta non ci andarono probabilmente per ripararsi né dal freddo, né dagli animali. Forse frequentavano quella grotta per qualche scopo, per qualche fine di tipo rituale, magico o religioso. E giustamente queste grotte del Paleolitico superiore che contengono queste raffigurazioni parietali vengono considerati i santuari, le cattedrali della preistoria. Così dovevano avere un contenuto simbolico le pitture rupestri trovate in Tanzania e riferibili all'età della pietra, in cui gli esseri umani vengono raffigurati con colori e forme degli animali preferiti. I Nehanderthaliani di 60-80 mila anni fa, e non soltanto Nehandethaliani, ma anche homo sapiens-sapiens, l'uomo di Calzè (è stato studiato particolarmente da Vandermeersch e risale, almeno in base alle diverse datazioni eseguite, a circa 90.000 anni fa) ecc., che seppellivano i morti con particolari rituali e corredi, esprimono non soltanto la coscienza della morte, ma anche desiderio di trascenderla nella immortalità. Ci troviamo di fronte a manifestazioni indiscutibili di uno psichismo umano che giustifica l'appellativo di homo religiosus e homo simbolicus. Mi chiedo: si può risalire ancora più indietro nel tempo oppure lo psichismo umano deve ritenersi un'acquisizione relativamente recente? Alcuni studiosi propendono per quest'ultima ipotesi. Io ritengo che lo psichismo umano non nasca con le manifestazioni simboliche e religiose degli ultimi 100.000 anni, non si può pensare che prima non ci siano stati simbolismo e senso religioso soltanto per il fatto che non ci è pervenuta una documentazione così esemplificativa come per le fasi successive. Molte espressioni simboliche e religiose anche oggi non lasciano traccia, non fossilizzano, neppure il linguaggio fossilizza, però vi sono buoni argomenti per sostenere l'esistenza del linguaggio già nella fase di homo erectus. Un mese fa incontrai a Zagabria al Congresso Internazionale di Scienze antropologiche il Dr. Laitman. Laitman sta studiando l'evoluzione degli organi della fonazione e ha trovato che l'abbassamento della laringe necessario per la fonazione nell'uomo può riconoscersi da una certa conformazione della base cranica e si è stabilito già un milione e mezzo di anni fa con l'homo erectus. Personalmente mi trovo d'accordo con coloro che riconoscono i presupposti essenziali per il simbolismo e il senso religioso là dove ci sono segni di una attività astrattiva, di uno psichismo riflesso. Sono convinto che anche la lavorazione tecnologica, quando non si presenta in modo ripetitivo, stereotipo, ma è frutto di un progetto e capace di innovazione, implica già un'attività astrattiva. Quando oltre un milione di anni fa l'homo erectus ha costruito i bifacciali, (i bifacciali sono strumenti di selce ritoccati su entrambe le facce, potevano essere impugnati facilmente) ha dimostrato di conoscere la simmetria, perché quei ritocchi sulle facce del manufatto non erano per la funzionalità del manufatto stesso, ma esprimevano armonia e bellezza, non rendevano il manufatto più adatto ad incidere, a tagliare, o a raschiare, ma lo rendevano più bello. Il senso estetico che svincola il manufatto dalla pura funzionalità del tagliare o dei raschiare è molto più antico delle raffigurazioni artistiche del paleolitico superiore di Altamira e di Lascaux e esprime già, a mio modo di vedere, una capacità astrattiva. L'uomo del paleolitico superiore fu artigiano e artista della lavorazione della selce. Un altro elemento a favore della capacità simbolica dell'uomo preistorico è la domesticazione del fuoco, sicuramente documentata almeno un mezzo milione di anni fa, in vari depositi antropici in Francia, in Ungheria, in Spagna, a Petraluna in Grecia, in Cina, ecc.: questa domesticazione del fuoco secondo alcuni studiosi sarebbe presente già oltre un milione di anni fa in Africa, mezzo di difesa dagli animali, mezzo di protezione dal freddo e di cottura del cibo (probabilmente il fuoco rappresentò anche un elemento di suggestione e di coesione per la famiglia e il gruppo umano). Anche la mutilazione della base eranica nei Pietecantropi e nei Sinantropi come nei Neanderthaliani,di Crapina e del Cireco se può avere un carattere rituale (e questo è discusso ancora per la verità) potrebbe portarci molto indietro a mezzo milione di anni fa, alla fase di homo erectus, per riconoscere alcune espressioni simboliche o anche religiose dell'uomo. Un altro elemento che rimanda a contenuti di carattere simbolico è l'uso dei colori dell'ocra rossa. L'ocra viene impiegata largamente nelle sepolture del paleolitico superiore, viene cosparsa sul terreno, sul cadavere oltre che, naturalmente, per le raffigurazioni parietali, ma il suo uso pare molto più antico. Essa è stata ritrovata in depositi che risalgono ad oltre un milione e mezzo di anni fa nell'Etiopia, ad esempio, potrebbe essere stata impiegata per realizzare segni a carattere simbolico o decorativo, anche se questi segni non sono pervenuti a noi. Senso estetico e simbolismo accompagnano dunque la presenza dell'uomo già nella fase di homo erectus. Ora, se c'è una continuità biologica e culturale come viene ammesso, fra homo habilis e homo erectus, mi chiedo perché non possa essere riferito anche a livello più antico dell'umanità la capacità estetica e simbolica. Nell'industria di cui fu certamente artefice l'homo habilis può essere già espressa una universalità della mente che l'ha concepito, quindi possiamo già ritrovare la traccia di una mente che trascende lo strumento stesso. Alcuni studiosi preistorici parlano di cultura materiale per indicare le realizzazioni tecnologiche dell'uomo. A me sembra che questa espressione sia piuttosto ambigua, c'è il rischio di confondere la materia con la capacità di lavorarla: si tratti di un bifacciale o di ceramica o al limite, anche di macchine automatiche, rivela sempre una capacità astrattiva che trascende la materia anche quando la utilizza nelle diverse tecnologie. Qualcuno ha osservato che il carattere -umano dell'utensile si coglie non solo nella costruzione e nell'uso ma anche nella socialità che caratterizza i suoi costruttori: pensiamo ai rapporti più intensi che dovevano esserci tra gli artefici di questa industria, e l'organizzazione del territorio, cioè di spazi in cui già l’homo habilis organizzava la sua vita, pensiamo al linguaggio come mezzo più idoneo per comunicare e trasmettere esperienze di vita e anche tecniche di lavorazione. Lo sviluppo della tecnologia della vita sociale e la trasmissione della cultura sono stati certamente favoriti dal linguaggio articolato e dalla comunicazione simbolica fin dalle più antiche fasi dell'umanità, e il linguaggio articolato con contenuti simbolici è certamente tipico dell'uomo. L'uomo, nel momento in cui ha avuto coscienza di sé, non può non avere percepito la sua alterità e trascendenza rispetto alle cose che lo circondavano, e nello stesso tempo deve avere colto anche la sua affinità con gli altri esseri simili a lui, deve avere capito l'importanza della collaborazione, cioè di vivere un rapporto con gli altri in termini cooperativi (dal rapporto di coppia al rapporto di gruppo). Ma la visione dell'uomo, la visione delle cose, della natura, la percezione delle forze della natura, quali sentimenti può avere suscitato nei primi uomini? Mi rendo conto che c'è il rischio di lasciarsi prendere dalla fantasia, ma lo studio dei popoli considerati primitivi che praticano un'economia di caccia e di raccolta, ci dice che essi sono capaci di senso religioso espresso molte volte in forme di religiosità cosmica, una religiosità cioè che parte dallo stupore di fronte ai fenomeni della natura. Nasce così l'idea di un essere, di una realtà che trascende la natura e che gli uomini hanno chiamato Dio. E questo può essere visto anche alle origini dell'umanità, non solo nella preistoria recente. Là dove emerge la conoscenza di sé, c'è già un'attitudine al pensiero trascendente, a porsi cioè domande sul proprio essere e sulla realtà che lo circonda, c'è già la capacità di stupirsi di fronte al movimento degli astri o al tramonto infuocato o alle folgori che solcano il cielo, o ad un vulcano che lancia lava incandescente. Ci sono, mi pare, i presupposti per il senso religioso. L'uomo in quanto uomo, direi, è cercatore di infinito: certo più si va indietro nel tempo più tenui o soltanto indiretti sono gli argomenti per parlare di capacità simbolica e riconoscimento del senso religioso. Sembra però di potere affermare che queste caratteristiche culturali appartengono all'uomo di tutti i tempi, attraversano cioè ogni livello, ogni stadio culturale dell'umanità a partire dalle origini, possono ritenersi trans-culturali o, se vogliamo, universali, costitutivi della natura umana. Le manifestazioni possono cambiare con il tempo ma l'atteggiamento di fondo nei confronti dell’ambiente, della natura, dei propri simili, rimane il medesimo. Lasciando infatti da parte la terminologia in uso nel campo antropologico (homo habilis, homo erectus, homo sapiens) ;o ritengo che altre terminologie, come possono essere quelle di homo faber, homo tecnologicus, homo religiosus, homo simbolicus, homo sapiens, (ad indicare appunto l'attività astrattiva) possono essere si impiegate, ma non per indicare degli stadi o delle fasi successive nell'umanità o attitudini possedute da taluni gruppi umani e non da altri, quanto per significare particolari comportamenti o atteggiamenti che hanno però sempre contraddistinto l'uomo. L'uomo, faber perché sapiens, (perché è intelligente e si rivela sapiens nell'essere faber), fin dalle sue origini (perché manifesta le capacità che fanno emergere la coscienza che l'uomo ha di se e del mondo e lo rivelano artigiano e anche artista) è capace di comunicare in modo simbolico, cioè capace di linguaggio, di organizzare l'ambiente e la sua vita in modo progettuale. Quando c'è la base biologica che caratterizza la forma umana, li possiamo ritrovare anche le manifestazioni che definiscono l'uomo nella sua capacità tecnologica, nell'autocoscienza, nella socialità, nella cooperazione, nel senso religioso, manifestazioni che sono fortemente integrate nell'uomo di oggi ma che dovevano esserlo anche alle origini. Il successo evolutivo dell'uomo come specie è legato a queste capacità ma io penso che il futuro dell'uomo dipende dal modo con cui queste capacità possono ispirare e dare il senso all’esistenza.

B. Vandermeersch:

Vi parlerò oggi ponendomi in una prospettiva chiara, quella del biologo. Cercherò di puntualizzare le peculiarità biologiche dell'uomo per vedere come e in che momento questa è apparsa, come si è manifestata. Come sapete la biologia comparata delle attuali specie animali ci mostra che di tutte le specie viventi, il gorilla e lo scimpanzè sono più vicini all'uomo. Praticamente, il 95% degli aminoacidi che compongono il nostro corpo, li ritroviamo nel scimpanzé e nel gorilla. Il nostro sistema genetico, i nostri cromosomi, sono vicinissimi a quelli dello scimpanzé. Si potrebbero moltiplicare gli esempi che ci avvicinano a questa specie animale: vorrei notare che queste numerosissime somiglianze hanno un loro significato in una prospettiva storica, paleontologica. Questo significa che l'uomo e le grandi scimmie (scimpanzé e gorilla in particolare) hanno una comune origine, che è stata situata nel tempo, a partire dai dati della paleontologia, appunto, e della genetica. Questi dati ci hanno consentito di calcolare le velocità di mutazione: attualmente si pensa che la divergenza, lo scarto tra il ceppo dell'uomo attuale, e il ceppo che ha portato alle scimmie, alle grandi scimmie, è avvenuto sei-otto milioni di anni fa. Quindi è nel corso di questi ultimi sei milioni di anni, (periodo estremamente corto, se viene paragonato alla durata delle ere geologiche) che le nostre caratteristiche sono apparse e si sono sviluppate. Ma quali sono queste caratteristiche? Credo che le possiamo raggruppare, per esemplificare, in tre principali gruppi. Il primo riguarda il nostro sistema dentario. Si è considerevolmente ridotto dalle origini, e questo ha provocato anche una modifica alimentare. Siamo diventati onnivori e anche, probabilmente, ha portato a modifiche comportamentali. Tutte le grandi scimmie hanno infatti una dentizione molto importante, in particolare i canini, che sono elementi di difesa sia nei confronti degli altri maschi concorrenti, che nei confronti di altre specie animali. L'uomo, il ceppo umano, ha perso questi canini e questo mezzo naturale di difesa e di aggressione, ed ha dovuto compensare questa debolezza (probabilmente la compensazione è stata trovata nel migliorare l'organizzazione sociale che ha consentito una struttura molto più coerente dei gruppi umani sin dalla loro origine). D'altro canto, la riduzione della dentizione ha altresì provocato una riduzione della faccia e dei muscoli della faccia che agiscono sul mascellare e sulla mandibola. Questi muscoli hanno ridotto la pressione che esercitavano sul cranio, consentendogli di svilupparsi lateralmente. Il secondo grande gruppo riguarda la bipedia. Tutto il nostro scheletro è stato modificato per consentirci di spostarci sulle gambe, sui membri inferiori: la colonna vertebrale, che era obliqua, si è verticalizzata, il cranio, così è venuto a porsi in equilibrio all'estremità, alla cima della colonna vertebrale, mentre nelle altre specie si trova all'estremità della colonna vertebrale. Per mantenere il cranio, è necessaria una potentissima muscolatura di cui l'uomo ha perso l'uso, cioè il cranio umano non è più racchiuso in un sistema muscolare come lo è nelle altre specie animali. Contemporaneamente l'orifizio occipitale che serve al passaggio del midollo spinale è venuto a porsi sotto il cranio. Il nostro bacino si è modificato, si è allargato per sostenere le viscere e Contemporaneamente si è rafforzato per servire da punto di ancoraggio di muscoli potenti, necessari alla bipedia (necessari a raddrizzare il tronco quando siamo chinati in avanti. Tali muscoli servono ad assicurare la stabilità generale del corpo durante la deambulazione. I membri inferiori si sono notevolmente allungati e si sono rafforzati per sopportare il peso del corpo. Le articolazioni degli arti inferiori si sono organizzate per consentire uno spostamento sul piano sagittale, cioè verso l'avanti, e limitare tutti i movimenti laterali. È interessante notate che la bipedia nell'uomo presenta peculiarità non solo anatomiche, ma anche fisiologiche molto particolari. L'uomo, infatti, è un pessimo sprinter se paragonato a qualsiasi altro quadrupede, è lento nella sua corsa, però è un ottimo maratoneta, probabilmente il migliore. Attualmente esistono cacciatori, nel nord del Messico, capaci di correre dietro alla loro preda per ventiquattr'ore a una certa velocità finché la preda, sconvolta, spossata, crolla, Nessun altro animale è capace di reggere così a lungo. Vedete che l'acquisizione della bipedia ha avuto sia un aspetto negativo (corriamo lentamente, le nostre punte di velocità sono basse, quindi possiamo costituire una preda facile per altri carnivori, ma possiamo correre a lungo). Le modifiche, le trasformazioni più significative legate alla bipedia sono quelle degli arti superiori. Infatti questi si sono ridotti, alleggeriti, e la mobilità è aumentata in tutti i sensi, in particolare a livello della mano. Siamo gli unici in grado di avere la mano in tutte le posizioni possibili, inoltre siamo gli unici ad avere la apposizione, la apponibilità totale del pollice e di tutte le altre dita. Questa estrema elasticità meccanica ed articolare, è stata ulteriormente incrementata da un aumento della sensibilità tattile. Le terminazioni nervose che si trovano all'estremità delle dita sono infinitamente più numerose rispetto a qualsiasi altro animale (perfino dello scimpanzé che è il più vicino e noi). Possiamo cogliere delicatamente fra le dita un oggetto veramente minuto senza romperlo, cosa che nessun altro essere vivente è in grado di fare. L'importanza di questa sensibilità e di questa mobilità della mano è probabilmente fondamentale per la storia dell'umanità. Questa importanza è stata percepita da lungo tempo, dato che il filosofo greco Anassagora diceva già che "l'uomo è intelligente perché ha le mani". Il terzo insieme di caratteristiche biologiche dell'uomo è ovviamente costituito dal cervello. Disponiamo del cervello più grosso tra tutti i mammiferi: il volume infatti è passato progressivamente da 400 a circa 1450 centimetri cubici, cioè praticamente si è moltiplicato per quattro in sei milioni di anni. Questo aumento del volume del nostro cervello è stato accompagnato da un aumento o meglio, da un miglioramento della complessità del cervello, ed in particolare della parte esterna neocorticale, (neocorteccia cerebrale) che è per noi fondamentale. Quindi c'è stata una modifica, quantitativa da un lato e qualitativa dall'altro, del nostro cervello, che è venuta a operarsi in questi ultimi sei milioni di anni per arrivare all'attuale cervello. Ecco molto rapidamente dal punto di vista della biologia le caratteristiche proprie dell'uomo. Ma queste caratteristiche che nell'attuale mondo non costituiscono nessun problema, (è ovvio che l'uomo non può essere confuso con qualsiasi altra specie) non tutte sono apparse contemporaneamente, non tutte si sono sviluppate alla stessa velocità. Anche qui, c'è una cosa veramente notevole, una cosa stupefacente: se consideriamo i tre grandi insiemi di cui abbiamo parlato (la modifica del sistema della dentatura, l'acquisizione della bipedia, la crescita del cervello) i dati paleontologici ci mostrano che queste modifiche sono avvenute in quest'ordine: 1) riduzione della dentatura e acquisizione di questa dieta onnivora unica tra tutte le grandi scimmie, 2) siamo diventati bipedi. È ciò che a volte si chiama la liberazione della mano, che probabilmente è stato l'elemento, il momento scatenante, fondamentale nella storia dell'umanità. Infatti la mano, una volta liberata ha stabilito col cervello una relazione, un rapporto molto particolare, si è costituita una specie di dialettica tra la mano che agisce e il cervello che comanda: la mano agisce e rimanda al cervello le informazioni e questo a sua volta modifica le istruzioni successive che rimanda la mano e il fatto di avere costantemente la disponibilità delle nostre mani è stata per l'uomo un elemento fondamentale del suo successo sulla faccia della terra. Un altro punto importante: con la mano possiamo cogliere il mondo, prendiamo gli oggetti e li portiamo verso di noi, mentre tutti gli altri animali sono obbligati a portare i sensi, cioè l'occhio, la testa, vicino all'oggetto. Gli altri animali si dirigono verso il mondo mentre noi prendiamo il mondo per portarlo a noi. C'è qui una cosa che mi sembra molto importante non solo da un punto di vista retorico: se prendete queste tre caratteristiche, piccola dentatura, stazione eretta, grande cervello, probabilmente non avete ancora l'uomo, anzi avete soltanto le condizioni necessarie indispensabili. Che cosa fa l'originalità propria all'uomo? Mi sembra sia, prima di tutto, il potere di riflessione. Secondo un'espressione ben nota, la differenza tra l'uomo e l'animale sta nel fatto che l'uomo sa di sapere, ed è questa acquisizione della riflessione il momento fondamentale, la cerniera della storia dell'umanità, ed è a partire dal momento in cui questa riflessione è apparsa che si può parlare di uomo. Il problema per noi che facciamo antropologia e studiamo la preistoria è che la riflessione è qualcosa che è difficile da ritrovare allo stato di fossile, sicché siamo obbligati a trovare delle vie contorte per cercare di cogliere il momento in cui questa riflessione è apparsa. Quali sono i documenti di cui disponiamo? Dapprima gli utensili preistorici, e poi le tracce, dico proprio tracce, dell'organizzazione sociale come a volte molto parzialmente si ritrovano conservate nel sottosuolo. Il problema, come potete bene immaginare, è quando esaminiamo i primissimi utensili: quelli più vecchi, più antichi, costatiamo che sono apparsi prima del processo di sviluppo del nostro cervello. I nostri lontani avi gli austrolopitechi hanno fabbricato utensili ma avevano ancora un cervello di piccolo volume, 450 cm cubici circa, cioè il primo abbozzo dell'attività tecnologica umana è stato realizzato prima dello sviluppo del cervello. Sembrerebbe quindi che ad un'epoca difficile da precisare, forse tra 2 milioni e mezzo e tre milioni di anni fa, si è prodotto uno scatto, qualcosa che ha consentito a questi esseri (che forse non erano ancora uomini) di fabbricare i primi utensili. Secondo il paleontologo sudafricano Tobias, questi utensili non erano ancora indispensabili alla sopravvivenza della specie, direi se preferite, che sono stati utili, ma le specie avrebbero potuto continuare a vivere senza questi primi utensili primitivi. Il problema diventa quindi il momento in cui la produzione umana, l'attività umana diventa a sé stante, e diventa fondamentale e necessaria alla sopravvivenza del gruppo: è a partire da quel momento cerniera, credo, che l'umanità si è trovata impegnata in un processo che potremmo chiamare culturale, che via via è diventato più importante e che ha avuto un ruolo crescente anche sullo sviluppo fisiologico. Si può distinguere nella storia del ceppo umano un primo periodo in cui vediamo attuarsi le strutture biologiche necessarie per l'apparizione dell'uomo, nel senso vero e proprio della parola. C'è un altro periodo, quello della storia dell'uomo nel senso forte del termine, che inizia probabilmente, con la storia della cultura. All'inizio l'umanità è ancora essenzialmente biologica, e poco culturale, progressivamente, invece, la cultura prende più importanza e peso fino a diventare indispensabile, anzi, la più alta espressione dell'attività umana. Ma questa espressione massima rimane pur sempre condizionata, basata su strutture biologiche che rimangono indispensabili. Ma le difficoltà insorgono quando si cerca di precisare meglio questo passaggio cerniera, questo tornante tra ciò che era prima l'ominizzazione e dopo. Tutti i dati della preistoria e della paleontologia non ci consentono attualmente, almeno credo, di situarla con esattezza. L'utensile probabilmente è anteriore all'uomo inteso nel senso forte, cioè l'uomo non è apparso ad un momento preciso nella storia della vita, è una emergenza progressiva, un qualcosa che è difficile da capire e da realizzare. Questa emergenza è durata centinaia di migliaia di anni, mentre i dati attuali ci mostrano una scissione molto chiara tra l'uomo e il resto del vivente. Ciò non toglie che tutte le nostre radici affondano nel mondo biologico e la nostra uscita dal mondo biologico è stato un processo estremamente lungo che ha richiesto centinaia di migliaia di anni, anzi milioni di anni.