domenica 23 agosto, ore 15

LA SOLIDARIETA’ DIVENTA MOVIMENTO

Partecipano:

Tadeusz Mazowiecki

scrittore e pubblicista polacco, già consigliere di Lech Walesa

Luis Enrique Marius

uruguayano, dirigente della Centrale Latino-americana dei Lavoratori (CLAT)

Ivan Guizzardi

presidente dei Centri di Solidarietà

conduce l’incontro

Roberto Fontolar,

I protagonisti di tre realtà del mondo del lavoro riprendono la riflessione su solidarietà e liberazione, termini in disuso in un'Europa rassegnata e corporativa.

T. Mazowiecki

Il tema di questo Meeting sono tre parole, creazione arte ed economia. Io voglio parlare di quel contesto della creazione che non concerne la creatività individuale ma quella collettiva e che riguarda la creatività nel formare e plasmare la struttura collettiva sociale: ossia quella creatività afferente la formazione di una vita sociale e che si sposa con l'economia per quanto riguarda anche la strutturazione di una vita economica ed è collegata anche con l'arte perché evoca tutta una serie d’opere d'arte, di letteratura e di poesia; in altre parole voglio parlare dell’esperienza di Solidarnosc stessa. La solidarietà, a cui si sono ricollegati nel presente e nel passato tutta una serie di movimenti sociali, soprattutto quelli a tradizione sindacale, nell'agosto del 1980 è diventata qualche cosa di nuovo, che ha portato la speranza. Queste azioni più recenti ovviamente si sono tradotte, come azione principale più concreta, nel famoso sciopero di Danzica che ha interessato tutta una serie di settori di lavoro determinando la durata dello sciopero in un contesto solidale; s’intendeva lottare per tutta una serie di diritti finché tali diritti non fossero stati raggiunti. In un secondo tempo il significato di Solidarnosc, di solidarietà fra le persone, fra gli operai l'intellighenzia e la classe agricola, ha superato la portata degli interessi particolari e quindi il contenuto della parola solidarietà è stato il proseguimento di certi valori umani stabili e fondamentali che si possono realizzare soltanto in maniera solidale e con uno sforzo congiunto di tutta la comunità.

Per comprendere Solidarnosc come movimento, come evento, come idea bisogna andare ad attingere alla problematica essenziale, qual è appunto il problema della realizzazione dell'uomo sociale. Bisogna rendersi conto di quale valore sia per un uomo la sua realizzazione nella vita sociale, e di ciò sentono l'esigenza soprattutto coloro a cui questa realizzazione è negata. Bisogna quindi rendersi conto di cosa sia esattamente la negazione di questa possibilità di realizzazione sociale per gli individui. L'uomo, la sua personalità, è qualche cosa che è anche sociale. Due sono i poli dello sviluppo dell'uomo e dello sviluppo della società: la libertà e la comunità. Questi due valori possono esprimersi in modo creativo soltanto in attrazione reciproca e non nella negazione dell'uno o dell'altro, e terreno di questo mutuo sviluppo è appunto una realizzazione autentica nella vita collettiva. La lotta per la realizzazione della personalità dell'individuo, del suo sviluppo, è dunque una lotta per l'autentico sviluppo dell'intera collettività. In questo contesto il personalismo non viene più inteso come qualcosa di chiuso, una dottrina a sé stante: il personalismo cristiano, in particolare, è inteso come il tendere dell'uomo - cioè il tendere dell'individuo come quello della società, della collettività stessa - a creare e strutturare la vita comunitaria. Il nemico di tutto ciò è il totalitarismo. Il totalitarismo come quello con cui noi abbiamo a che fare, il cosiddetto totalitarismo del socialismo reale, nasce dal concetto della libertà forzata in nome della felicità dell'uomo. Questo totalitarismo in realtà nega la partecipazione dell'individuo o mediante la coercizione oppure mediante una regolamentazione della vita sociale stessa, vita sociale che diventa qualche cosa di controllato, di regolamentato dall'alto. E’ quindi possibile affermare che nel contesto di una socializzazione da parte dello stato, s’instaura una tendenza alla statalizzazione della società e se assicuriamo una certa statalizzazione della società si finisce con il privarla del suo carattere d’autenticità e con il conferire allo stato partitico tutto il potere. Nelle nostre condizioni abbiamo sviluppato la coscienza della soggettività della società e questa coscienza della soggettività dà luogo e si basa su quell'incessante movimento della personalità dell'individuo e della stessa società tendente appunto verso la libertà di una partecipazione autentica nel contesto sociale, ed anima incessantemente un risvegliarsi delle forze sociali tendenti all'autodifesa della società contro le pastoie delle limitazioni totalitaristiche. L'ispirazione di questo tendere è molteplice: anzitutto la tensione incessante dell'individualità delle persone verso la libertà di un'autentica realizzazione, successivamente vengono i valori religiosi e la relativa libertà, ed infine i valori della tradizione cristiana europea, tradizioni nazionali, varie tradizioni sociali, al punto che nella tradizione socialista intendiamo come tradizione socialista quella che non sia stata limitata dal totalitarismo. La storia del dopoguerra polacco, che ci offre molti spunti e in cui le date più importanti sono l'immediato dopoguerra e il '56 con l'abbandono dello stalinismo, il '68, ossia i moti per la libertà soprattutto da parte di gioventù studentesca, il '70, l'anno tragico, il '76, gli eventi di Radorn e delle officine URSUS, e l'80-81, gli eventi lungo il Baltico e la nascita di Solidarnosc Tutte queste date fondamentali possono essere interpretate come la storia di slanci e tentativi disperati contro il totalitarismo, ma possiamo anche interpretarle in maniera differente, ovvero come la storia della difesa di questa società-soggetto, come la storia della formazione di una società civile. Gli anni '80-'81 costituiscono praticamente un punto di svolta di questa storia di formazione di una società civile e qui è determinante la scala del cambiamento di atteggiamento e di coscienza sociale. Ovviamente questi avvenimenti non sono nati da soli, ma sono il frutto di tutto un periodo preparatorio della nostra storia del dopo- guerra segnato da quelle date critiche che ho appena citato. A metà degli '70 sono nati il KOR (Comitato per la Difesa degli Operai), il Movimento per la difesa dei Diritti dell'Uomo come la società indipendente dei corsi scientifici, la cosiddetta Università Volante. Sono quindi sorti dei gruppi di opposizione che non chiedevano il permesso all'autorità...

Ha avuto grande importanza, ad esempio, la preservazione della cultura cristiana, il senso della libertà e soprattutto il senso della società civile, e di tutto questo è stata depositaria la Chiesa. E soprattutto il primo pellegrinaggio di Papa Giovanni Paolo in Polonia ha avuto un significato fondamentale a questo riguardo, è stato praticamente il varcare una barriera precedentemente invalicabile, la barriera della paura, e siamo così arrivati all'agosto dell'80. E importante chiedersi se Solidarnosc era semplicemente una lotta contro qualcosa o qualcuno o se piuttosto fosse una lotta per qualcosa. E’ necessario che comprendiate che in qualunque movimento si instaura un certo clima se il movimento è orientato contro qualcuno o qualcosa e tutt'altro clima si instaura quando si ha una lotta in favore e per qualcosa. Il rancore non deve essere inteso soltanto contro qualcosa ma deve tendere e mirare a costruire qualcosa. Noi avevamo sì un'avversione, ma non eravamo alimentati dall'avversione e dall'odio: nella nostra protesta si manifestava l'antitotalitarismo ma allo stesso tempo Solidarnosc veicolava un insieme di valori che con l'insorgere di nuove iniziative che erano intese ad animare la società miravano ad essere non soltanto contro qualche cosa ma ad essere anche in favore della costruzione di qualcosa. In questo senso Solidarnosc era ed è tuttora la costituzione di una struttura sociale post-totalitaria. Per concludere, vorrei lasciare un interrogativo: esiste un significato universale e non puramente polacco di questa nostra esperienza, e se sì, in che cosa questa universalità si manifesta? A questa domanda possiamo avere diverse risposte, i sindacalisti ne discutono in ogni angolo del mondo. (...)

Personalmente cercherei la risposta in quello che è nato ed è derivato dall'esperienza di Solidarnosc, ovvero dall'esperienza della partecipazione dell'uomo nella formazione della vita sociale. L'esperienza è che dei valori cristiani generalmente accettati sostengono nell'uomo qualcosa di indistruttibile e la coscienza di questa indistruttibilità diventa una coscienza collettiva che prima o poi si fa strada nella storia: la consapevolezza che la libertà e la realizzazione della società sono due fattori e valori indissolubili e in quanto tali formano nuove strade e tracciano nuovi cammini nella storia. Si tratta di una via nuova i cui contorni non sono stati ancora delineati, dì cui non riusciamo a tracciare i dettagli ma che avvertiamo come un valore, come una direzione da seguire.

L E. Marius

Credo nell'uomo agente e responsabile, nella continuità del processo della creazione, in una doppia direzione: quella verso la trasformazione della natura a beneficio comune di tutto il genere umano, e quella ancora più importante che tende a darle dignità per mezzo del lavoro e tramite questo consente di dare dignità a se stessi e alla propria comunità di lavoro, lasciando dietro di sé una traccia incancellabile che costituisce la stessa identità culturale. Questa affermazione non costituisce soltanto una riflessione sull'ideale umano e perciò cristiano ma più particolarmente è una aspirazione profondamente sentita dai lavoratori e dai popoli dell'America Latina che quotidianamente devono affrontare realtà molto diverse. Ve ne offro alcuni esempi.

In Bolivia un ingegnere ha fatto un calcolo molto curioso: con tutto il minerale estratto dalla terra dai minatori boliviani nel corso di tutta la loro storia, sarebbe possibile costruire un ponte che partendo dalla città di La Paz potrebbe giungere a circa 15 km da Madrid. Malgrado il loro lavoro abbia prodotto tanta ricchezza per poche famiglie boliviane e per molti popoli del Primo Mondo i minatori boliviani sono già vecchi a trentacinque anni e muoiono nella miseria e nell'indigenza. Nel Panama vi sono succursali di tutte le banche del mondo, non in grazia dì una fiorente economia bensì perché il Panama è una terra di passaggio per le operazioni commerciali di quasi tutte le corporazioni transnazionali che operano in America latina. Come circa 500 anni fa, quando gli indigeni del Panama sopravvivevano trasportando l'oro e l'argento delle navi dell'Oceano Pacifico al mare dei Caraibi in rotta verso l'Europa, anche oggi i lavoratori del Panama vivono di questa condizione di terra di passaggio. Ad Haiti i principali prodotti di esportazione sono Chips per calcolatori e palle da baseball, mentre il paese è costretto ad importare alimenti, presenta un 80% di analfabetismo, un 20% di mortalità infantile a un 60% di disoccupazione. Morire di farne ad Haiti non è il titolo di un romanzo, è una realtà di tutti i giorni. In America latina meno del 50/o degli abitanti si appropria di più del 60% del prodotto grezzo, mentre il 50% più povero non giunge a godere che dell'80% del prodotto grezzo latino americano. Nel 1990, vale a dire fra tre anni, i disoccupati in America Latina raggiungeranno il 50% di tutti i lavoratori, circa 70.000.000 di lavoratori condannati al nulla, perché essere disoccupati in America Latina significa non poter usufruire della sicurezza sociale, dell'istruzione, della salute, della casa, e tutto ciò è la più dolorosa e totale definizione del nulla. Inoltre, siamo in presenza di un debito estero per pagare il quale i lavoratori dei settori produttivi dovrebbero lavorare quasi tre anni e mezzo senza salario; non siamo disposti a discutere se il debito estero si debba pagare o meno, non può essere pagato, è immorale e ingiusto pagarlo con la fame dei nostri popoli, con l'ipoteca definitiva sul nostro stesso sviluppo. Davanti a questa situazione si impone con evidenza la necessità di un cambiamento, di una profonda trasformazione delle nostre società, ed è qui che ci si offre quale unica possibilità di liberazione quella avanzata dal rnarxismo-leninismo, nei suo diversi aspetti e modelli, dato che sono disponibili diverse versioni secondo le esigenze di ciascun cliente. In considerazione di questo la lotta dei compagni di Solidarnosc acquista per noi un valore molto particolare; è molto interessante osservare ciò che risponde un dirigente comunista sudamericano allorché un lavoratore gli domanda: "Come spiega il fatto che la classe operaia in Polonia rifiuta la dittatura del proletariato? O si tratta piuttosto della dittatura del partito contro il proletariato? E in questo caso qual è la differenza tra Jaruzelski e Pinochet?" Questo stesso confronto lo possiamo fare noi latino-americani anche a proposito di Fidel Castro che ha condannato al carcere a vita cinque dirigenti contadini per il grave delitto di aver voluto organizzare un sindacato indipendente. E neppure possiamo dimenticare la dolorosa esperienza dei nostri fratelli centroamericani, in special modo dei nostri compagni del Nicaragua, che patiscono la doppia oppressione dei propositi guerrafondai nordamericani e dei tentativi di imporre il modello sovietico dei comandanti sandinisti. Noi diciamo che un cambiamento di padrone non è promuovere la liberazione, e per questo appoggiamo con tutte le nostre forze, caldamente, l'impegno di pace che è stato appena siglato dai presidenti centroamericani; crediamo sia questa l'ultima possibilità, l'ultima occasione di pace, e dobbiamo consolidarla. La nostra organizzazione, la CLAT, è stata fondata nel 1954 e conta oggi quasi 12 milioni di lavoratori. E' nata e si è sviluppata come un’alternativa autonoma, nella cornice concettuale e ideologica dell'umanesimo cristiano, contrapposta ai modelli materialisti imposti all'America latina e in chiara opposizione alla polarizzazione est-ovest che pure si manifesta in campo sindacale. Ma la CLAT non è un sindacato così come lo concepite e lo conoscete voi europei. La nostra CLAT è un movimento di lavoratori! Come siamo giunti a questa concezione? Abbiamo dovuto affrontare e superare la concezione operaio-classe operaia-sindacato-proletariato sostituendola con quella della relazione uomo-lavoro e con la necessità di un movimento di lavoratori. Abbiamo dovuto anche superare il concetto dell'operaio quale oggetto di produzione, distribuzione e consumo, oppure oggetto e forza lavoro alienata e sottoposta allo Stato- partito, affermando invece il concetto di lavoratore come soggetto storico della trasformazione, agente vitale di uno sviluppo integrale, politico, economico, sociale, e soprattutto culturale e spirituale; e anche integrato, vale a dire personale e collettivo. Abbiamo dovuto superare i residui della rivoluzione industriale, per assumere l'uomo-lavoratore in tutte le sue dimensioni, come operaio, industriale o contadino, maestro o pubblico dipendente, cooperativista, donna e giovane lavoratore, disoccupato e lavoratore dei quartieri emarginati. Ma fondamentalmente in America Latina abbiamo dovuto riscattare la solidarietà nel suo significato profondo e integrale: una solidarietà che non si esprime nella superficialità di una distribuzione dell'eccedente o di ciò che alcuni pochi possiedono; una solidarietà che acquista una nuova dimensione quando siamo capaci di assumere la responsabilità della costruzione di una società diversa, condividendo l'impegno e l'avvenire, le angustie e le speranze, con coloro che non possiedono nulla. Una solidarietà che acquista il suo senso reale quando si partecipa della vita dei lavoratori, privati della loro dignità in quanto privati della possibilità di lavorare, condannati a chiedere l’elemosina, sommersi nel cosiddetto fenomeno dell'economia informale - così lo chiamano i tecnici - che in alcuni Paesi raggiunge ormai il 50% dei lavoratori. Per tutto ciò che ho detto è naturale che nel nostro VIII congresso latino- americano, tenuto nel 1982 a Bogotà, si sia assunta all’unanimità l’Enciclica Laborem Exercens quale parte fondamentale della nostra dichiarazione di principi e orientamenti, e che esista, nei lavoratori dello spazio latino-americano, una profonda identificazione con il magistero di S.S. Giovanni Paolo II. Qui in Europa assistiamo a manifestazioni varie di certe teorie che ci parlano di una nuova civiltà dell'ozio, dominata dalla preoccupazione di colmare spazi, dalla ricerca di occupare spazi liberi. Io chiedo scusa ma avverto una profonda avversione per queste teorie, insieme ad una grande angustia, e mi domando: forse i nostri fratelli europei hanno perduto il senso profondo della solidarietà? O forse le vostre organizzazioni dei lavoratori si sono estenuate nella costante ricerca d’obiettivi economicisti, perdendo la loro identità e la loro stessa capacità di creare cultura? O non si saranno invece intorpiditi, qui in Europa, in una pace concepita come assenza di guerra, dimenticando che deve essere il frutto della giustizia e che forse oggi non c'è la guerra in Europa perché lo scontro per il potere egemonico mondiale si svolge su altri teatri, nel terzo mondo, e altri sono i morti? O forse è tutto questo insieme? Abbiamo perso la capacità di partecipare? Forse voi vi chiederete perché queste domande. Mi sento obbligato, mi sento impegnate a rivendicare il nostro diritto alla giustizia sociale ed internazionale, e in questo caso devo esprimere a tutti voi l'aspirazione dei lavoratori latino-americani a vivere nelle stesse condizioni delle vacche europee. C'è una riflessione che vorrei condividere con tutti voi: la comunità europea ha un'eccedenza di un milione e trecentocinquanta mila tonnellate di burro (...).

Si potrebbero svolgere molte riflessioni sul tema dei burro, operare confronti con la denutrizione nel terzo mondo, confrontare il costo di questa operazione con il debito estero latino-americano. Si potrebbe pagare il debito con questo burro, ma credo che sia più coerente per noi provare una sana invidia per le vacche europee, se hanno la possibilità di arricchirsi, di assaporare il risultato del loro stesso sforzo produttivo. Inoltre lo fanno in modo comunitario, tutte condividono lo sforzo comune della classe vaccina europea. Insieme ai nostri fratelli dei Centri di Solidarietà riaffermiamo il nostro punto di vista: lavoriamo tutti e lavoriamo di più, respingiamo la civiltà dell'ozio perché siamo impegnati nella civiltà del lavoro che è la civiltà dell'amore ed è la civiltà della solidarietà. Solidarietà che solo ha un senso reale, umano in quanto cristiano, quando è naturale conseguenza di una partecipazione tra fratelli nella fede, nella speranza e nell'amore. E in questo momento dell'America Latina sentiamo il bisogno di condividere solidamente con voi angustie e speranze per eliminare definitivamente il tolitarismo di destra del Cile e del Paraguay, e il totalitarismo di sinistra di Cuba e del Nicaragua. Per consolidare la democrazia, la pace, la libertà insieme alla giustizia sociale e fare così dell'uomo latino-americano il soggetto del suo stesso sviluppo integrale. Per condividere realtà che non conosciamo poiché sono deformate dagli interessi che dominano i mezzi di comunicazione internazionale. Perché nessuno parla della rivoluzione cristiana ad Haiti, perché nessuno dice che per i lavoratori latino-americani non è possibile la sintesi fra cristianesimo e marxismo, perché nessuno dice che con la stessa forza con cui respingiamo il capitalismo, respingiamo le alternative comuniste mascherate o meno. Perché è possibile un’alternativa latino-americana, uno sviluppo che non sia copia dello sviluppo nordamericano o europeo, bensì nella dimensione dell'uomo latino-americano quale prodotto del suo impegno collettivo. Perché è possibile l'integrazione dell'America latina nella misura in cui siamo capaci di recuperare la nostra identità culturale essenzialmente cristiana. Perché è possibile costruire una nuova civiltà nella misura in cui siamo capaci di impegnarci nei confronti della vita di tutti gli uomini e dell'uomo nella sua totalità, nella misura in cui siamo capaci di costruire insieme tutti i giorni piccole cose che fanno grandi gli uomini.

I. Guizzardi

E' con un profondo rispetto e un certo timore verso le persone che mi hanno preceduto, che io oggi prendo la parola. Il coraggio mi viene certamente dal fenomeno a cui oggi do voce, il Movimento, e in particolare il Movimento dentro il mondo del lavoro con i Centri di Solidarietà. Ma coraggio ancora maggiore mi viene dato dalla consapevolezza che noi apparteniamo ad una storia che viene da lontano e va lontano. Rendere presente l'avvenimento cristiano, lavorare per l'evangelizzazione nel mondo del lavoro, è questo il nostro lavoro, è questa la consapevolezza che ci muove. Siamo impegnati a vivere la liberazione, a riproporre questo per ogni uomo. E’ certamente paradossale che più nessuno nel nostro paese usi questa parola, ancora di più nel mondo del lavoro: è come se le problematiche di questi anni abbiano spazzato via questa domanda, questa urgenza. Ma noi non possiamo non parlarne, non possiamo non utilizzare questa parola, e non per la ripetizione di uno schema, ma perché per noi parlare di liberazione vuol dire parlare della nostra esperienza. Rendete testimonianza di ciò che siamo di ciò che viviamo.

E' proprio in forza della dignità umana che ci è data da vivere che oggi, come sempre, riproponiamo questo di fronte a noi stessi, di fronte ai compagni e ai colleghi che incontriamo ogni giorno di fronte alla realtà del nostro paese. Ma perché oggi parliamo di liberazione? Perché è stata come risuscitata in noi l'esigenza a cui ogni uomo tende, che vive magari inconsapevolmente perché non è capace di esplicitarla. E' proprio nell'andare a fondo a questa urgenza, a questo bisogno definitivo - perché vivo? Qual è la ragione della mia vita? - che è rinato e rinasce continuamente dentro di noi il desiderio di testimoniare ciò che siamo. Infatti, qual è l'urgenza che constatiamo oggi nei nostri compagni, qual è l'urgenza che constatiamo nelle persone che incontriamo, lavoratori o non lavoratori, giovani o non giovani? Quello che constatiamo è esattamente questo, l'esigenza che ci sia un soggetto capace di rispondere a questa domanda a cui tutto l'affronto economicistico di questi ultimi anni non ha mai saputo rispondere fino in fondo. Forse è proprio per questo che oggi si parla solo di tempo libero, proprio perché non si è saputo giungere all'esplicitarsi della domanda, capirne la ragione, capirne il significato. Il fenomeno che noi rappresentiamo all'interno del mondo del lavoro, all'interno dell'ambiente in cui siamo, è proprio questa soggettività umana. Una soggettività che non è più parziale, che non è più divisa, perlomeno tende a non essere parziale, a non essere divisa, che sa interloquire con ciò che di definitivo esiste nell'uomo, che sa tendere a rispondere alla domanda sul senso dell'esistenza. Il lavoro che noi abbiamo svolto in questi anni è stato proprio questo, ridare voce, ridare dignità, ridare contenuto a questa domanda: da qui abbiamo scoperto che il senso religioso è l'unico fattore che assicura l'unità della nostra persona, che salva dalla riduzione ad un ruolo assegnato. Nel tendere a rispondere a questa domanda emerge il gusto e la bellezza dello stare assieme, per cui l'unità non è più predeterminata da una provvisorietà, da un essere contro oppure da un tornaconto che non ha nessuna responsabilità, che non incide dentro la vita personale e sociale. La riscoperta della solidarietà, di questa parola che ha sollevato il cuore di milioni d’uomini, di milioni di lavoratori, per noi nasce da questa consapevolezza, è radicata in questa esperienza. Nel mondo del lavoro esiste ancora una domanda di crescita umana che certo non si esprime sempre nella formulazione con cui sto cercando di esprimerla qui oggi. Certo, la grandezza non è data dal modo con cui si esprime questa domanda, perché può essere molto parziale e riduttiva, ma sta nel soggetto che sa portarla fino alla sua urgenza più profonda. Per questo non si possono fare discorsi sulla solidarietà, per questo nel nostro paese meno che in altri paesi ci si è lasciati giudicare da esperienze come quelle che abbiamo ascoltato prima di Solidarnosc o della CLAT. L'esperienza nel mondo del lavoro, da Solidarnosc, dai rapporti con gli amici della CLAT alla riflessione sistematica sulla Laborem Exercens, ha prodotto in noi una consapevolezza ben maggiore di quella che avevamo, fino al punto che questa è diventato un fatto come la presenza dei Centri di Solidarietà nel nostro paese. Amare la verità della propria e altrui esistenza fa sperimentare la solidarietà, fa crescere la solidarietà. Da questa consapevolezza, da questi tentativi personali è nato un movimento dentro il mondo del lavoro, non in forza di un discorso.

Il nostro primo lavoro è stato allora quello di creare luoghi in cui questa esperienza fosse continuamente verificata, in cui questa esperienza fosse resa esplicita. E’ da questo respiro e da questa consapevolezza che nascono iniziative per affrontare la disoccupazione, che è nata la modalità con cui noi ci siamo posti davanti a questo dramma del nostro paese. Così si esprime una responsabilità, una capacità d’intrapresa personale come intrapresa della propria soggettività. Cosa è stato per noi riflettere su quel grande passaggio della Laborem Exercens, del lavorare al proprio banco, della responsabilità dell'intrapresa personale anche di fronte alla condizione in cui si è! Da questa responsabilità è scaturita una libertà di rischiare di mettere in piedi comunque delle forme, delle opere attraverso cui si incontrasse l'altro nel suo bisogno, nella sua domanda ultima. Infatti, questo soggetto, questo movimento, crea opere, è testo ad esprimere un’energia che tende a creare forme di vita più adeguate per rispondere al bisogno dell'uomo. Noi ci sentiamo totalmente coinvolti ad incrementare questo cammino e questo lavoro, a generare queste forme di vita nuova per l'uomo, e proprio perché si è protesi a generarle, si è anche protesi a difenderle. Può sembrare per certi versi paradossale che nel nostro paese anche noi parliamo di statalismo, ma è proprio così. Tante difficoltà, tante obiezioni ci vengono proprio dallo strapotere che tollera a fatica che degli uomini, in forza della loro responsabilità, della loro appartenenza, sappiano generare qualche cosa di nuovo, opere capaci di parlare a tutti, capaci di incidere, di costruire. Per questo operiamo perché si incrementino queste opere, perché il potere le rispetti, le sappia cogliere e valorizzare; questo è il lavoro che ci attende, questo è il lavoro che soprattutto abbiamo vissuto in questi mesi, non la difesa del nostro ghetto, del nostro particolare, ma la difesa di una possibilità in cui l'uomo possa essere se stesso e questo come offerta a tutti, come incontro possibile per ciascuno.