SCENA 5 - Il capo del personale al vecchio immigrato: "Lei è pazzo, non dovrà fare niente, controlli!". Storie dal Sud.

Giovedì 29, ore 17

Incontro con:

Antonio Saladino

Antonio Romano

Antonio Del Torto

Mario Sala

Sergio Zoppi

Roberto Formigoni

Calogero Mannino

Moderatore:

Giorgio Vittadini

Vittadini: L’incontro di oggi ha un tema che potrebbe essere affrontato in tanti modi, il rapporto tra la libertà e il potere, sintetizzato dalla frase: "Questo non si può fare". Ma il modo con cui l’affronteremo è un po’ originale; oggi non discuteremo di questioni filosofiche o storiche. Abbiamo pensato che un modo privilegiato per documentare nel nostro Paese il rapporto tra libertà e potere sia il racconto di qualche cosa che capita, in particolare di qualche cosa che capita al nostro Sud, a gente che non vuole vivere la retorica dell’assistenzialismo, del lamento o della ribellione, cioè della gente che vuole costruire, vuole vivere, non vuole emigrare. I nostri ospiti oggi sono innanzitutto dei giovani che vogliono anche al Sud vivere liberi; giovani che hanno costruito qualche cosa in questi anni. La prima parte dell’incontro sarà caratterizzata dal racconto di questi giovani, di cosa hanno fatto e di cosa vuole dire il potere quando lo si vede come rapporto, sia in termini negativi che in termini positivi, quando diventa un aiuto all’esperienza reale. Ma proprio perché l’ultima nostra volontà è di dire che la base è buona e il potere cattivo, abbiamo voluto che questo fosse un dibattito in cui ci fosse come interlocutore chi guida a diversi livelli la vita che può determinare lo sviluppo del Sud.

Antonio Saladino è nato a Nicastro (ora Lamezia Terme) nel 1954. Laureato in medicina veterinaria, ha contribuito alla realizzazione di numerose opere di carattere sociale, caritativo ed assistenziale in Calabria. Tali iniziative hanno offerto una concreta possibilità di lavoro a circa 100 giovani.

Saladino: Sono venuto qui a dare testimonianza di tre anni di lavoro che ho svolto insieme con i miei amici del Movimento in Calabria. In questo lavoro abbiamo sostenuto sia in fase progettuale che di realizzazione tredici aziende, che comprendono sia società sia cooperative in vari settori: educativo, servizi, industriale. Molti di queste iniziative hanno usufruito delle leggi speciali sul Mezzogiorno, tipo la legge 44, quella sulla imprenditoria giovanile, la legge De Vito, con un investimento complessivo di circa nove miliardi, almeno in Calabria. Abbiamo inoltre collaborato con gli amici della Prosvi di Milano nel progetto di formazione che con la sede di Venezia hanno sviluppato in Calabria. La Prosvi di Venezia ha poi sviluppato una serie di rapporti anche con consulenti. In tutti questi tipi di attività abbiamo maggiormente occupato dei laureati, e questo è particolarmente significativo perché sapete tutti qual è il costo per dare un posto di lavoro a un laureato. Complessivamente abbiamo creato circa 200 posti di lavoro, e questo va subito raffrontato con tutto ciò che in Calabria è avvenuto negli anni settanta, gli anni delle famose "cattedrali nel deserto". La Calabria è piena di realizzazioni che oltre a non aver dato lavoro, hanno creato un maggiore danno. Questa situazione ha fatto sì che in Calabria si creasse una situazione, che io ho definito di "deserto scientifico", perché ormai il problema vero per noi è una continua migrazione non solo di manovalanza ma anche di cervelli; chi non aveva interessi forti da difendere se n’è dovuto andare, chi aveva della capacità ha dovuto emigrare. Questo ha creato una situazione di grave disagio, quasi antropologico, una situazione paradossale, e ci rendiamo conto che la responsabilità del nostro sviluppo sta nelle nostre mani e quindi è diventato fondamentale per noi questo rapporto organico sia con la Compagnia delle Opere sia con la Prosvi di Milano. Essi ci hanno aiutati a capire i passi da compiere per avviare un programma di sviluppo. Noi abbiamo avuto questa grande fortuna: il rapporto con gli amici di Milano partendo dall’esperienza ecclesiale di CL, dove è chiaro che chi ama uno scopo, può non essere schiavo delle condizioni; cioè può porsi in una situazione in modo non reattivo, può realizzare ciò che deve costruire, magari piano piano. Da questo punto di vista anche la gerarchia ecclesiastica è stata veramente molto attenta, ci ha sempre molto incoraggiato. Un fatto nuovo che sta avvenendo ultimamente è che molti politici della DC, del PSI e anche del PDS cominciano a guardarci con simpatia, a percepire una speranza da questo tipo di iniziativa, di fronte a una situazione che è proprio di deserto scientifico.

Antonio Romano è nato nel 1958 a Montoro Inferiore. Laureato in Ingegneria elettronica al Politecnico di Napoli, lavora presso l’Agensud, dove si occupa delle problematiche relative allo sviluppo industriale ed economico del Sud.

È impegnato, con un gruppo di amici di CL incontrati all’Università a costruire opere e prospettive di lavoro per giovani disoccupati.

Romano: Anch’io come il mio amico Saladino sono qui non come un addetto ai lavori, ma come un giovane qualunque che ha come unico scopo di comunicare un’esperienza semplice, con la consapevolezza che si tratta di un inizio di presenza reale.

Quella del Mezzogiorno in generale e della Campania in particolare è una situazione che occorre ben conoscere, le cui caratteristiche sono in qualche modo sorprendenti. Vorrei quindi partire subito con un esempio che descrive meglio di qualsiasi altre parole quello che mi preme sottolineare qui.

Ricordo una delle nostre prime esperienze con il cosiddetto mondo del lavoro, quando qualche anno fa inaugurammo a Napoli un Centro di Solidarietà, il quale si proponeva di aiutare ad affrontare i disagi della condizione di disoccupato e a favorire la comunicazione tra micro-domanda e micro-offerta di lavoro. Un’idea mutuata da simili esperienze dei nostri amici della Compagnia delle Opere di Milano. Dopo un inizio in sordina, nel quale avevamo operato raccolte di articoli sul lavoro, selezioni di annunci sui giornali, e poche decine di colloqui attitudinali ad amici e conoscenti, eravamo tutti molto soddisfatti del nostro operato. Un bel giorno comparve un articolo sull’esperienza del Centro di Solidarietà nella pagina locale del Mattino di Napoli. Apriti cielo! Nel giro di due giorni fummo sommersi da una valanga di iscrizioni, circa duemila, con code chilometriche davanti alla sede, costituite dal più vasto e variegato campionario umano che si potesse immaginare. Eravamo quasi tutti neolaureati o gente che lavorava da poco più di un anno; dovemmo improvvisarci psicologi, commissari di valutazione e per mesi e mesi il fenomeno non accennò a diminuire.

Se dunque da una parte fu evidente e ovvia la tremenda sproporzione tra il bisogno esistente e ciò che noi fummo in grado di offrire, al di là degli aspetti drammatici di una esperienza così, questo fatto dimostrò a noi tutti la validità di un inizio di presenza. Infatti, non solo non fuggimmo via urlando, ma oggi il Centro di Solidarietà, nonostante non abbia certamente potuto dare lavoro a migliaia di persone, esiste ed è attivo, e in pochi anni ha promosso iniziative di riqualificazione professionale, corsi per lavori part-time e creato nuove opportunità di lavoro. Da tutto ciò è nata una trama di amicizia e si è posto un timido esempio di un nuovo modo di affrontare il problema. Noi non dicevamo alla gente: "Ecco è pronto il posto di lavoro" (anche perché non l’avevamo); ci presentavamo come degli amici che volevano vivere con dignità la loro condizione, anche quella di disoccupato, ed insieme aiutarsi a trovare una soluzione.

Le cifre della burocrazia sono impressionanti; in Campania esse parlano di un milione di disoccupati, molte indagini segnalano che un ragazzo su tre non conclude di fatto la scuola dell’obbligo; basta pensare a quante persone a Napoli vivono del parcheggio abusivo e della vendita della sigarette, per cui al semaforo è possibilissimo, anzi facilissimo, trovare accanto al vigile urbano il venditore di sigarette di contrabbando. È molto più facile trovare il venditore di sigarette che il vigile urbano tanto è vero che qualcuno ha proposto di far dirigere il traffico a loro. Anche battute di questo tipo hanno un sapore amaro!

Di fronte ad una situazione nella quale, in Campania, 50.000 posti di lavoro sono nel contrabbando di sigarette, 30.000 nel lotto clandestino e altrettanti nello spaccio di droga sembra inutile continuare. Ma allora che cosa fare? Cedere alla tentazione di credere che nulla possa cambiare, che forse conviene tirare a campare, imbottirsi di cinismo e fuggire via il più lontano possibile? Noi abbiamo scelto di continuare a costruire quella realtà di rapporti in cui abbiamo incontrato e sperimentato una risposta totale alla nostra vita. In forza di questa esperienza di fede sono nati tutti i tentativi di risposta ai bisogni, così in pochi anni abbiamo messo su una serie di iniziative imprenditoriali. Sfruttando le opportunità offerte dalla legge De Vito, abbiamo costituito diverse società che operano nel settore del terziario e dell’educazione e che oggi danno lavoro a diverse decine di persone che altrimenti avrebbero dovuto abbandonare la Campania. Tra i tentativi più significativi, come già sottolineava Saladino, c’è sicuramente il progetto Prosvi-Informan, un progetto di formazione finalizzata, finanziato dall’"Azione organica due", della legge 44. Il nostro obiettivo realistico non è stato, come per molti, la massimizzazione dell’utile immediato, bensì una capitalizzazione di esperienza, professionalità e rapporti, che consenta di edificare realtà lavorative, magari piccole, ma stabili e credibili e che sappiano resistere e durare oltre i tempi di questo o di quel finanziamento. Così, in poco più di due anni, abbiamo incontrato aziende piccole e medie cui abbiamo proposto il sostegno e lo sviluppo di un tessuto di imprese sane e vitali.

Un aiuto estremamente significativo è stato dato in questi anni dall’amicizia e dai rapporti con gli amici della Compagnia delle Opere di Milano e del Prosvi, che hanno saputo sostenerci, innanzitutto valorizzando le nostre risorse fin dai primi passi. In questo lavoro abbiamo osservato una crescente simpatia verso le nostre iniziative, da più parti del mondo politico; desideriamo che questa simpatia si traduca sempre di più in un sostegno reale. È soltanto la valorizzazione di ciò che già esiste, delle risorse umane già impegnate in un lavoro nuovo e produttivo, che può creare occupazione, sviluppo, e promuoverà un contesto più vivibile in Campania, e, credo, in tutto il Mezzogiorno.

 

Antonio Del Torto è assessore regionale del Molise.

Del Torto: Saladino parlava di deserto più o meno scientifico. Nella regione Molise demograficamente, la stragrande maggioranza delle comunità ora insediate, fra trent’anni non esisterà più. Saranno ruderi, perché il tasso di natalità in quel territorio è tragicamente negativo. Sarà una regione su tre poli. È in questa condizione che, facendo l’esperienza del Movimento, abbiamo trovato i motivi per rimanere ed amare questa nostra regione, questo luogo dove la vera sfida è quella di costruire qualcosa che abbia veramente stabilità, che resista nel tempo; è una sfida perché tutto nel Mezzogiorno sembra condannato a consumarsi fra le mani mentre si costruisce. Il problema, per noi, è diventato quello di trovare i termini reali per cui era possibile costruire e il lavoro non diventasse un inganno e una chimera. La realtà delle opere che sono nate nella nostra regione va quindi riferita sinteticamente a due fattori fondamentali. Innanzitutto siamo partiti non da un progetto che si doveva affermare a tutti i costi (e che rende soggetti al potere), ma da una costruzione nel piccolo, nel quotidiano in una realtà molto modesta: questo è stato l’inizio per cominciare a costruire realmente. Dinanzi agli spunti che la realtà ci offriva, ci siamo mossi per esprimere una soggettività, una posizione umana, non per affermare un progetto che alla fin fine sarebbe stato personale, di ognuno di noi. Da qui infatti è scaturita una capacità di creatività che è stata frutto di una responsabilità personale, ma sostenuta da un’amicizia. Questo è stato il secondo fattore; la grande amicizia del Movimento. Le opere sono nate per una capacità di misurarci con la provocazione delle circostanze; infatti una scuola elementare è nata per rispondere all’esigenza di educazione, prima di tutto nostra, dei nostri figli, ma anche per evitare che terminasse nel nostro Comune una presenza cattolica nel campo scolastico. Da ciò è nata anche la sollecitazione alla Regione per approvare una legge sulle scuole non statali. Una legge però che fatica ad essere applicata, forse perché non è nata completamente nel Palazzo.

Abbiamo poi fondato una cooperativa edilizia attraverso la quale abbiamo cercato di dare anche allo spazio una forma adeguata alla esperienza che vivevamo. Questo ci ha attirato molte simpatie, proprio cogliendo quale era l’umanità che in quelle mura si svolgeva. Abbiamo creato una società di servizi di nuova imprenditorialità, collegata a quella grande opportunità che la legge 44 dell’86, la De Vito, ha prodotto, perché la nuova imprenditorialità oggi è una delle necessità culturali di cui il Mezzogiorno ha bisogno. Dico culturale perché se non si riparte dalla soggettività umana, dalla prima risorsa che nel Mezzogiorno è la persona, come ovunque, qualsiasi sviluppo è falso, è contraddittorio e in fondo, non è uno sviluppo. Da qui anche una grande attenzione al sistema della formazione professionale; provvidenzialmente si sono create anche delle condizioni ottimali per potere essere presenti in questo campo, perché il trasferimento di conoscenza, di professionalità, è il primo modo di valorizzare la risorsa umana. Questo è un elemento strategico al quale credo dobbiamo dedicare sempre più attenzione. Attraverso di esso si è sviluppato quel bellissimo rapporto tra la Prosvi di Milano e la società di servizi che noi avevamo costruito a livello locale. Così è nata una scuola di management per sostenere lo sviluppo di imprenditorialità locale che vede coinvolte sia la Prosvi che altre realtà, società operanti nel Mezzogiorno, e da ultimo la nascita di un centro di formazione permanente nel campo turistico alberghiero, anch’esso un settore chiave per lo sviluppo del Mezzogiorno.

Voglio citare, non ultima per importanza, l’esperienza di una cooperativa di nostri amici per la costruzione di un grandissimo impianto di eticolture che si è realizzata soprattutto per questa capacità di collaborazione all’interno della Compagnia delle Opere. Questa collaborazione è in realtà un modo estramemente proficuo di mettere insieme risorse diverse dovunque esse siano: il Sud, in fondo, ha bisogno di questo, di esperienze che sappiano mettere insieme delle risorse.

Il nostro modo di metterle insieme è così perché c’è un’origine che le trascende e le supera, e che quindi consente di metterle insieme con grande libertà, senza essere affannati o schiavi dell’opera che si sta facendo. In tutto ciò consentitemi da ultimo di sottolineare come la struttura politica per noi sia stata generalmente di aiuto, anche perché molti di noi ci sono dentro proprio per quella iniziale rimozione di una soggezione che ci ha portato a coinvolgerci nella politica attiva e che ormai ci fa lavorare anche in politica come fosse essa stessa un’opera, un’opera quindi da affrontare con lo stesso taglio, la stessa radice delle altre opere. Da qui anche un giudizio, se mi è consentito. Si è parlato nel mondo politico, a secondo dei diversi periodi, di rinnovamento, di moralità, di moralizzazione della vita politica; oggi si parla di riforme istituzionali, come se da queste chiavi potesse venire un rinnovamento reale della politica. Noi siamo convinti, per l’esperienza che ne facciamo, che la politica debba tornare a fare la politica, perché troppo spesso occupa gli spazi degli altri. Questo è un insegnamento per cui non solo ci si può rapportare alla politica ma può essere essa stessa vissuta, perché altrimenti il Palazzo è insopportabile, perché porte e finestre sono spesso chiuse. Nel Palazzo si può respirare solo se si vive per qualcosa d’altro, per una esperienza vivificante che può vivificare lo stesso Palazzo nonostante le sue resistenze.

Attraverso l’esperienza delle Compagnie delle Opere, le opere che abbiamo costruito, abbiamo imparato a lavorare, a costruire nel senso autentico di questa parola, abbiamo capito cioè che questo è il modo di amare noi stessi e la nostra gente in quella situazione dove molti non vogliono restare, perché molto spesso non è affatto gradevole. Bene, nell’obbedire ad una umanità più vera che si è fatta incontrare da noi, siamo diventati capaci di una intelligenza che prima non avevamo; l’intelligenza, cioè, di saper fare i conti con l’imprevisto, con l’imprevedibile e con il nostro stesso limite, con la nostra povertà. Per questo possiamo oggi fare l’esperienza dello stupore, per ciò che pure lentamente, ma autenticamente si va realizzando attraverso il nostro lavoro.

Mario Sala è nato a Milano nel 1958. Laureato in Scienze Agrarie, è stato direttore della Compagnia delle Opere nel biennio ‘87-88, per la quale si è occupato della incentivazione di nuove realtà imprenditoriali nel Mezzogiorno. Dal 1986 è direttore del progetto FORMEZ-PROSVI per la formazione di manager per interventi nel Mezzogiorno nel settore agroalimentare. Dallo scorso anno è consigliere del Consorzio ERGON per lo sviluppo dell’imprenditorialità giovanile.

Sala: Riprendendo la storia dei miei tre amici, innanzi tutto vorrei dare qualche cifra sull’azione della Compagnia delle Opere al Sud in questi tre anni: 1418 persone inserite nel mondo del lavoro; oltre 500 persone aggiornate o specializzate dopo il diploma o dopo la laurea; 450 nuovi posti di lavoro, creati attraverso le 47 aziende promosse grazie alla legge 44, la legge De Vito, o favorendo joint-venture private tra aziende del Nord o del Centro, affermate, e aziende o giovani del Sud. 968 giovani hanno ottenuto una prima occupazione nel settore pubblico o privato attraverso i primi diciotto mesi del programma che, congiuntamente al Formez, stiamo realizzando di formazione nel settore agroalimentare e per lo start-off di nuove imprese. Alcune di queste 47 aziende sono particolarmente avanzate anche dal punto di vista tecnologico: servizi TV, cartografia, servizi ingegneristici, rigenerazione di gomme, servizi turistici, gestione di impianti, agenzie di viaggi; produzione alimentare: caramelle, marmellate, fichi, olive, surgelati (mi piacerebbe dirle tutte perché ognuna ha una storia), piccole attività industriali, produzioni artigianali di vario tipo, allevamenti ittici o zootecnici. Tutto questo lavoro è stato fatto portando al Sud gente che, per quel che leggeva sui giornali, al Sud non sarebbe mai venuta.

Cito solo alcune fra le tantissime aziende affermate del Centro e del Nord che per il credito a queste storie, più che per quello che leggevano sui giornali, sono venute giù e si sono implicate in un rapporto operativo: la migliore Università nel settore agroalimentare del mondo, quella di Davis in California; così pure quella di Berkley; le migliori camere di commercio, che ci credevano quando gli andavamo a spiegare che un articolo sul Mattino procurava una fila lunga 2.000 persone, e che a queste bisognava dare tentativamente una risposta. Ricordo perfettamente quando all’inizio dell’86 (era appena uscita la legge De Vito) con Vittadini ingenuamente ci avevamo creduto e questa ingenuità è stata la nostra forza. Visto che la legge era piuttosto complicata e per fare i progetti c’era bisogno di veri e propri studi di fattibilità (non è semplice fare questo), chiedevamo ai dirigenti di azienda, nostri amici, di aiutarci. Ma si è andati ben al di là. Piano piano si sono allacciati tra aziende e dirigenti del Nord e del Sud veri e propri rapporti che continuano, e non certo per quanto si è letto sui giornali o per gli incentivi che potevano fornire le aziende. Siamo stati mossi dal desiderio che per ciascuno di noi, in qualsiasi parte sia nato, qualsiasi studio abbia fatto, qualsiasi sia la sua situazione, possa realizzarsi quello che dice il Papa, che ogni uomo ha diritto di far fronte alla propria situazione di bisogno, qualsiasi essa sia, anche economico, di soldi – perché anche questo è un bisogno –, con i criteri della propria esperienza, non con quelli presi da altri, non andando a chiedere sempre e comunque posti di lavoro dai potentati locali. Il criterio della nostra esperienza, non preso da altri, lo abbiamo imparato anche quest’anno; per noi si chiama "tagliare corto", fare il cristianesimo. Questo è il criterio della nostra esperienza e questo è adeguato: le 47 aziende sono lì a testimoniarlo. Alcune potranno andare benissimo, altre potranno andare peggio, ma il desiderio di affrontare la situazione così, non c’è legge né politico che ce lo potrà mai togliere.

Il potere ci ha anche aiutato, perché non avremmo realizzato 47 aziende, trovato questi posti di lavoro, senza che qualcuno, e nella mia esperienza personale non sono state strutture ma sono state persone, che abbia dato stima a questo modo di procedere, a questo criterio, a questo tagliar corto. Il potere nella mia storia personale (io frequento abbastanza Roma), assume un volto irritante, anche se dall’aspetto gentile e cortese, ed è il volto della burocrazia e dei ritardi. Noi volevamo fare questo progetto al Sud, ci abbiamo messo tre anni per fare una convenzione; se non avessimo incontrato il presidente Zoppi saremmo ancora lì, a spiegare ai funzionari quello che dovevamo fare. Il problema è che non trovi mai uno che ti dica: "No, questa cosa non va finanziata, non va aiutata perché...", ma trovi sempre la burocrazia e il ritardo, che è il volto più gentile, più subdolo del potere. Non saremmo riusciti se non fosse stato per delle persone, e vorrei citarne tantissime altre: il ministro Mannino, il professor Dioguardi, presidente di Tecnopolis, Carlo Borromeo, presidente della legge 44, l’Onorevole Grippo e centinaia di persone, del nostro Movimento e non, che hanno fatto sacrifici per realizzare queste cose. Non si lavora, aspettando un anno i soldi o sperando che forse qualcuno un giorno si accorgerà che anche queste cose sono importanti, se non per un motivo grande, che duemila persone, fuori Napoli, o un’industria di venti persone possono far vivere ed incontrare ciò che ci sta a cuore.

Sergio Zoppi è nato nel 1935 a Sesto Fiorentino. Laureato in Scienze politiche e sociali, ha svolto ripetuti soggiorni all’estero per attività di studio e di specializzazione. Dal 1968 è Direttore Generale del Formez, centro di formazione e studi per il Mezzogiorno, di cui è anche Presidente dal 1976. È autore di saggi e articoli sui temi dello sviluppo meridionale, della formazione dei giovani, della gestione delle organizzazioni complesse.

Zoppi: Io credo, molto schematicamente, che ci siano due concezioni dello sviluppo del Mezzogiorno: una prima centralistica, che vede Roma che dà i soldi (andava bene perché c’era un’impostazione seria alle spalle, nel 1950; era già perdente tra il ‘65 e il ‘70, è sopravvissuta nello stesso decennio, si è rilanciata faticosamente negli anni ‘80), la linea che possimo definire, sempre schematicamente, delle opere pubbliche, degli appalti; opere pubbliche necessarissime nel Mezzogiorno, ancora oggi, purché non siano però esclusive, e soprattutto purché non siano elevate a mo’ di sviluppo. C’è un’altra concezione, sturziana (e io mi permetto di dire ancora prima murriana, perché Murri, al quale si rifà Sturzo, porta avanti una concezione autonomistica) che mette alla base dello sviluppo la libertà, l’autonomia, la necessità di una classe dirigente sempre più vasta e preparata, che pone a fondamento l’uomo come soggetto naturale e indispensabile dello sviluppo. Certo, il Mezzogiorno ha ancora necessità di soldi, ma perché la solidarietà delle aree ricche del Paese non venga meno, occorre dimostrare di lavorare per un Mezzogiorno capace di prendere in mano il proprio destino, di autogovernarsi, di guardare all’Europa come al bacino del Mediterraneo.

La disgregazione sociale che oggi infetta il Mezzogiorno e che può sfociare anche nell’anarchia è il contrario della libertà, e l’assistenzialismo, che spesso scivola nell’azione clientelare, è l’opposto della responsabilizzazione e quindi della stessa libertà. In questi anni si è capito a livello di Parlamento, di Governo, che occorre più cultura, che occorrono progetti di vita autocostruiti. Ecco la grande importanza del volontariato nel Mezzogiorno, di una severa educazione morale, di un lavoro nuovo che per la prima volta ha messo in evidenza il valore della cultura e della professionalità e quanto può fare un potere per aiutare a crescere. Questo lavoro nuovo, silenzioso e nascosto, che è stato illustrato efficacemente negli interventi che mi hanno preceduto, si muove nella visione di dar forza, scientifica, di appartenenza, di ruolo, ai giovani, perché siano la leva indispensabile per costruire una società che sappia valorizzare tutte le risorse umane. Il mercato è solo lo strumento, non è l’idolo, è lo scenario sul quale agire, non può essere il film. Quella di Prosvi è una delle 40 storie di vita che si stanno costruendo in questo momento attraverso un progetto che si chiama con un nome difficile, complesso, o comunque di non facile memoria: "Azione organica numero 2" che sta chiamando ormai da due anni tutte le risorse scientifiche, formative, nazionali, a convergere sul e nel Mezzogiorno. È una linea per la quale, lo dico all’autorevole amico, ministro Mannino, occorre costruire un consenso più forte, per affermare una politica a favore dell’uomo; è la politica che in questi anni ci ha portato a far nascere l’Università della Basilicata, perché con la legge del terremoto, di cui tanto si è parlato anche ingiustamente, si è creata anche un’Università che quest’anno celebra il proprio decennio di vita. Il progetto organizzativo didattico fu proprio fatto dal Formez ed era già pronto quando il Parlamento decise di includere questo articolo di legge nell’intervento per il terremoto; tra poche settimane a Santa Maria in Baro, nell’Abruzzo, si inaugurerà una seconda sede del Mario Negri, noto istituto farmacologico di Milano; duecento persone, duecento ricercatori, da un paio d’anni lavorano nel silenzio di questi laboratori, dopo essersi specializzati per anni, a volte per decenni, all’estero. A Bari è nata Tecnopolis, guidata da Dioguardi; a Sassari, nel consorzio Corisa, collegato a noi, è venuto, dopo venti anni di studi in America sul cancro, uno scienziato che ha trovato per la prima volta il luogo naturale per poter continuare a ricercare e a studiare. Io credo che non possiamo apprezzare pienamente l’opera che Prosvi sta svolgendo, perché è un’opera destinata a lasciare un segno; non è un’operazione di consumo, ma di forte investimento, che guarda lontano, a creare le strutture permanenti, civili, culturali, scientifiche, perché i giovani possano ricercare e lavorare, nel Mezzogiorno. La libertà, l’autonomia sono organizzate sempre più dai rapporti tra cultura, territorio ed Enti locali. Di qui l’importanza di piccole, agili agenzie di snodo; non servono più al Mezzogiorno pesanti strutture burocratiche come una volta, ma occorre mettere in sintonia gli Enti locali, che sono i depositari del volere popolare, con la cultura, la scienza, la ricerca. Questo crea spazi sempre più ampi di libertà; è importante lavorare sulla legge 142 per le autonomie locali, perché lì sono i presidi della democrazia. È necessario inventare la progettualità, dandole corpo, e strumenti di raccordo tra istituzioni e cittadini, rafforzando il circuito di comunicazione, di scambio interno, ancora tanto debole nel Mezzogiorno, per avere enti intermedi organici alla società e ad uno sviluppo finalizzato, uno sviluppo che non punti solo all’accumulazione delle risorse, ma riesca a sposare accumulazione con occupazione – e sappiamo quanto sia difficile – e con i servizi ai più deboli. Un difficilissimo intreccio, ma rispetto al quale la sfida deve essere tentata, e deve essere vinta la battaglia. Non c’è, credo, alternativa a questa, per lo sviluppo del Mezzogiorno e quindi è necessaria una corretta ed appropriata articolazione degli interventi di sostegno che passa attraverso azioni e strumenti leggeri, flessibili, capaci di leggere i bisogni e aiutarli a trasformarli in servizi.

Io credo che su questa linea si possa leggere l’esperienza che c’è stata oggi raccontata. È una linea sulla quale costruire, per rafforzare l’intervento complessivo a favore del Mezzogiorno ma anche dello stesso Mezzogiorno a favore dell’intero Paese.

Roberto Formigoni, Vice-Presidente del Parlamento Europeo.

Formigoni: Io sono qui perché ho avuto il privilegio di veder lavorare in questi anni queste persone con intelligenza e passione, con determinazione e a volte con durezza – perché spesso il lavoro che hanno svolto è stato duro, nel senso che è stato contrastato e difficile –. In alcuni momenti avrebbe scoraggiato chiunque, almeno chiunque non avesse affrontato quel lavoro per un motivo più profondo che ha a che fare con le sorgenti dell’umanità stessa dell’uomo e con il suo bisogno irrefrenabile di libertà, compagnia e solidarietà con gli altri. Ed è da testimone che ho visto sorprendentemente questo lavoro dare frutti, realizzazioni vere. Il vedere dopo tanto lavoro e tanta passione, intelligenza, nascere qualche cosa che stava in piedi, ha costituito per tanti giovani del nostro Meridione un punto di speranza che ha segnato un’inversione di tendenza, un rinnovamento nel modo di essere giovani. Quando ero invitato in taluni di questi paesi vedevo dei giovani che si radunavano attorno a dei loro coetanei che avevano tentato di rompere la logica del mettersi in fila nelle clientele a mendicare un posto di lavoro per diventare invece i possibili protagonisti di un lavoro costruito attraverso le loro mani. Questo ha significato un cambiamento di una cultura, di un modo di essere giovani e di guardare al proprio futuro, almeno in alcune regioni del nostro Paese, e la cosa era tanto più importante perché le 47 imprese, i 450 nuovi posti di lavoro, il coinvolgimento di professionisti, di docenti, di esperti, tutto stava dentro quello che si chiama il mercato, le condizioni di vita, l’arena pubblica, nella quale battagliavano e si impegnavano anche i grandi nomi dell’economia italiana o internazionale. Ho avuto la fortuna, perché tale la ritengo, di partecipare alle iniziali esperienze dei Centri di solidarietà, nati essenzialmente sulla base di un impeto perché qualcuno sentiva che di fronte al dramma della disoccupazione non bastava spendere le parole e le analisi, bisognava tentare di fare qualche cosa; ma come erano tremolanti e incerte sul loro futuro, anche se già sicure nella motivazione e nella convinzione! Dall’esperienza iniziale dei Centri di solidarietà, in poco tempo, si è verificata la nascita di forme nuove di economia, imprenditorialità, di protagonismo.

Hanno ragione gli amici della Compagnia delle Opere e di Prosvi a non voler enfatizzare, a non voler ergersi come punto di riferimento, e dimostrano di essere saggi in questa linea; ma credo che sia giusto che un osservatore più esterno, forse per la differenza di anni, segnali quello che ciò ha significato nella dialettica politica ed economica del nostro Paese. Bene hanno fatto gli amici a sottolineare come questo lavoro si è fatto largo, si è fatto conoscere, si è fatto strada con vicende alterne, anche nel mare dei rapporti politico-istituzionali del nostro Paese; sono stati citati i nomi di alcune persone che questo lavoro ha incontrato come amiche sulla sua traettoria e sul suo sviluppo. Potremmo citare, evidentemente non lo facciamo, altri nomi di altre realtà politico-istituzionali che non hanno visto bene il crescere di questa nuova logica.

Non è che i cambiamenti avvengano nel mondo in maniera neutrale, asettica: c’è una dialettica, una battaglia, una competizione per affermare quello che si sente vero e giusto, e tante volte questo lavoro si è incontrato con la presenza pesante, chiudente, di alcuni poteri economici dominanti, di alcuni poteri politici, di alcune logiche politiche che, nonostante le parole dicessero tutto il contrario, non avevano alcun interesse nel veder crescere e svilupparsi quella che in fondo era una logica di libertà, perché della gente si crei da sé il proprio lavoro, diventi protagonista dell’economia. Ecco perché la parola "potere" che è risuonata molte volte negli interventi, non è usata a sproposito e non è una ripetizione gergale; ci stanno dei volti, ci stanno delle realtà dietro questo.

A me pare di poter dire – per esprimere anche un giudizio umano e politico su questa vicenda – che da questa situazione emergono delle possibili indicazioni, delle possibili linee di sviluppo, non per disegnare il progetto di un nuovo meridionalismo, ma per dire alcune parole significative, che si innestano nella tradizione grande e saggia della dottrina sociale cristiana. Abbiamo visto in atto l’importanza e l’utilità di quello che nella riflessione sulla dottrina sociale cristiana è chiamato il principio di sussidiarietà, è l’importanza di un’azione coordinata tra pubblico e privato, tra iniziativa dei singoli, delle realtà di base, dei soggetti sociali nel nostro Paese, e un’intelligente azione della dimensione istituzionale che ha permesso di creare imprese e di rispondere al bisogno di lavoro di tanti giovani, facendoli rimanere nella loro regione. Ci siamo accorti che le occasioni di autosviluppo rimangono astratte se le risorse finanziarie non intervengono nell’aiutare chi si pone in questa direzione.

Tutto questo non toglie l’utilità, anzi l’essenzialità di un intervento anche diretto dello Stato in alcuni settori (le grandi infrastrutture, le grandi opere pubbliche), purché esso non pretenda l’esclusività né di essere elevato a modello di sviluppo. Questa è la linea nuova, flessibile perché attenta alle esigenze, così come si vanno delineando all’interno della realtà, che noi ci auguriamo il Ministero persegua con decisione e con coraggio, anche perché si tratta di vincere una letteratura insana che tende a presentare il nostro Mezzogiorno d’Italia come perennemente ammalato, perennemente vittima e succube di una logica, ignorando totalmente le novità importanti che sono state messe in atto come le esperienze che abbiamo ascoltato.

Oggi c’è la novità rappresentata da questa domanda di protagonismo di tanti giovani, che chiedono di essere messi in condizione di rispondere essi stessi ai bisogni e alle esigenze della loro esistenza; non chiedono di vedere risolti da altri i loro problemi; la logica non è più quella vecchia, di un posto di lavoro a qualunque costo, ma del lavoro, cioè di essere messi in grado di vivere la vita con tutta la sua dignità, perché l’uomo ha bisogno del lavoro innanzitutto per esprimere se stesso prima ancora di rispondere alle esigenze materiali della vita stessa.

L’incontro di oggi che fa il punto sul lavoro di questi anni, è un incontro che, guardando al futuro, guarda con una dose realistica di speranza; perché queste opere si sono fatte strada, sono cresciute e hanno vinto gli avversari. Però nessuno si faccia delle illusioni, se tornassero a prevalere logiche del passato.

Questi amici hanno saputo combattere, duramente a volte, per difendere il diritto ad essere protagonisti; credo che questa punta di determinazione vada conservata. Queste opere che sono nate sono il frutto più bello della nostra compagnia; se necessario, sapremo difenderle a tutti i costi tornando alla battagliosità che sempre ci ha contraddistinto.

Calogero Mannino, Ministro per gli Interventi Straordinari nel Mezzogiorno.

Mannino: Credo di essere qui non perché uno del potere amico di CL; quando Sala o Vittadini o altri mi hanno parlato di qualche loro progetto, oggi al Mezzogiorno, ieri all’Agricoltura, la mia disponibilità non è stata data dalla simpatia che personalmente ho sempre avuto per il vostro Movimento (e confesso di averla avuta sempre attraversando anzi tante fasi, qualcuna delle quali anche di carattere critico nel rapporto dialogico con alcuni di voi) quanto per il fatto che voi siete venuti a portare delle idee, delle proposte, dei programmi che meritano apprezzamento.

In un tempo della storia in cui spesso si smarriscono i tratti della identità individuale e sociale, il vostro Movimento ha rappresentato un’esperienza di aggregazione e di appartenenza a un modello di identità, fondato su una voglia irrefrenabile di libertà, di compagnia, di solidarietà con gli altri. È molto importante che in modo particolare nel Sud dell’Italia si innesti un tipo di esperienza di questo genere, anche per gli effetti di contagio che prima o poi ci dovranno essere.

Il Sud oggi vive la crisi della società italiana, che è crisi d’identità e di solidarietà (solo così si spiega il fatto che in Italia ci siano non le regioni, ma le leghe, e, peggio ancora, lo spirito delle leghe, e che la nostra vita pubblica sia oggi caratterizzata da fattori erosivi e disgregativi, non da forme sane di competizione e di emulazione, ma da una sorta di rancorosa, individualistica rincorsa all’utile particolare), in modo particolarmente accentuato, e la vive innanzitutto perché ha un ritardo nello sviluppo. Devo temperare però subito la mia affermazione dicendo che il Sud del 1991 però non è più quello del 1950. C’è un Sud che sta cambiando, e c’è una parte del Sud che si sta saldamente integrando non solo nel tessuto economico e della produzione nazionale, ma anche nel tessuto della tradizione morale e civile del Paese, anche se resta una parte del Sud che invece tarda ad andare avanti e si individua in alcune zone particolari: Napoli e un pezzo della Campania, la Calabria e un largo pezzo della Sicilia, laddove sono presenti fenomeni di criminalità che rappresentano l’unica manifestazione di vitalità dal basso, certo fermenti patologici della società, volti a soppiantare la presenza dei corpi e delle strutture dello Stato, e a maggior ragione rivolti a soffocare quelle parti della società che invece vorrebbero cambiare e vivere sotto le regole della legge.

C’è l’esigenza di far crescere tutto il Sud; diversamente nel nuovo scenario economico che sta per aprirsi, l’Italia rischia di rimanere schiacciata. Sbaglia chi crede che il problema del Sud sia un problema di carità; questa visione legata alla solidarietà, che pure ha un valore importantissimo, oggi va corretta ed integrata con una visione, lo devo dire anche se appare terribile, più opportunistica, con una valutazione delle convenienze. Bisogna chiedersi che cos’è costato questo sviluppo del Sud al paese, perché in giro si raccontano parecchie frottole. Lo stato ha speso per lo sviluppo del Sud, in 40 anni, poco meno dello 0,7% del proprio Prodotto Interno Lordo; negli ultimi anni le spese, non sempre felicemente realizzate, sostenute dallo Stato per realizzare aiuti ai paesi in via di sviluppo, sono state anche superiori all’1% del Prodotto Interno Lordo. Con ciò non voglio dire che quello che lo Stato spende al Sud, essendo poco, non serva, né che, essendo poco, comunque si spenda vada bene, anzi, proprio perché si spende di meno di quello che servirebbe, bisogna spendere bene, scegliendo i punti di attacco. Uno dei punti di attacco è la legge sull’occupazione giovanile. Non voglio aprire una polemica sul modello di sviluppo; alcune volte si sono fatti degli errori, però negli anni 50 era giusto che lo sviluppo del Sud venisse immaginato come una duplicazione dello sviluppo del Nord, salvo poi constatare, soprattutto con la crisi petrolifera del ‘73, che si erano fatte delle cattedrali nel deserto, anzi delle cattedrali che non sono state neanche aperte al culto ed ai riti, che sono rimaste chiuse.

Oggi noi non possiamo pensare che lo sviluppo del Sud debba saltare la linea della duplicazione dell’apparato produttivo ed industriale del Nord, perché non è così. La FIAT se vuole stare sul mercato mondiale, deve cambiare il tipo di automobili che produce, i costi ed i prezzi, deve fare stabilimenti nuovi ed è inevitabile che li faccia al Sud. Il fatto è però che lo sviluppo del Sud non dipenderà soltanto dalla duplicazione degli impianti industriali del Nord ma dipenderà dal fiorire di una pluralità di piccole e medie iniziative. Le esperienze che il vostro movimento sta facendo danno il significato, simbolizzano la possibilità che c’è per il Sud di percorrere questa strada; la Legge De Vito, in buona sostanza, sta dando buoni risultati; è questa la ragione per la quale è stata rifinanziata. È stato migliorato il quadro ordinamentale, sono state introdotte delle modifiche molto opportune ed io non posso che incoraggiare il vostro Movimento a stare su questa strada. Questa è una strada che può essere percorsa anche in termini di valenza politica, civile e morale. Il limite delle classi dirigenti meridionali, il limite della stessa società meridionale è sempre stato rappresentato dall’attesa del miracolo, che una volta doveva venire da Napoli, il regno dei Borboni, poi doveva venire da Roma, poi deve venire dalle varie capitali regionali; è il limite che dipende anche da una condizione propria della psicologia dell’uomo meridionale, molto caratterizzata dal fatalismo e non soltanto dal fatalismo, anche da un rapporto molto forte con l’altro da sé, forse anche con la trascendenza.

Oggi il Sud deve capire che deve fare molto con le proprie mani, deve metterci il proprio coraggio, la propria fantasia, la propria intraprendenza, la propria responsabilità, anzi la vera grande svolta che nella vita civile italiana, più ancora che nella vita civile del Sud, si dovrà ottenere, deve portare a guadagnare il senso della responsabiltà. Spesso la classe politica smarrisce il senso di questo dovere, e chiacchiera troppo anche del suo modo di essere e delle istituzioni, e qui la vostra lezione dovrebbe essere esemplare per tutti: fatti, fatti e non parole, suggerirebbe Luigi Sturzo.

La vostra testimonianza, la vostra esperienza sono un segno per tutti noi, per la politica italiana, per le forze politiche che in Italia vogliono lavorare per un rafforzamento della democrazia. Oggi questo rafforzamento e consolidamento della democrazia passa per la reintegrazione economica, civile e politica del Sud, nel contesto del Paese; l’avventura meridionale non è un lusso o un prezzo da pagare ai voti che un partito politico ottiene al Sud; l’avventura meridionale in termini d’impegno morale, d’impegno culturale, d’impegno civile, è un dovere che la comunità nazionale ha di fronte a se stessa.