Martedì 28 agosto, ore 17.00

IL CALDERONE DEI POPOLI

Partecipano:

Tomas Calvo Buezas,

spagnolo, docente d’antropologia ispano-americana all’Università Complutense di Madrid

Henry Raymont,

statunitense, originario della Prussia Orientale, giornalista e scrittore, già capo a Buenos Aires dell’ufficio di corrispondenza del "Times" per il Sudamerica, presidente della Mundus Novus Foundation

Alberto Methol-Ferrè,

uruguayano, filosofo storico, consulente della Conferenza episcopale dell’America Latina (CELAM)

L’emigrazione verso le Americhe, il Nuovo Mondo, ha condotto, come poche volte nella storia, ad una grande commistione di popoli, di culture, d’identità, di lingue. In tale prospettiva le Americhe sono state viste anche come terra promessa della tolleranza. Molta parte della loro storia, tuttavia, contraddice duramente tale visione. Nel travaglio della nascita e dello sviluppo del Nuovo Mondo non mancano i momenti di grande civiltà; ma non mancano nemmeno genocidi, discriminazioni, ghetti, rivolte di diseredati, violente repressioni. Al problema della tolleranza è stata infine sempre più spesso data una risposta solo apparentemente saggia: quella che vede, quale base concreta della tolleranza, la separazione. Nel continente America, coni suoi grandi spazi, con le sue vere o presunte grandi opportunità, c’è - si dice e si pratica - spazio per tutti purché però ognuno si ritagli un suo posto e ci rimanga dentro. La tolleranza dunque diventa possibile a patto che si mantengano delle distanze, grazie alle quali nessuno debba fare concretamente i conti con il diverso. Tanto è vero che, quando le distanze non possono essere mantenute, iniziano le discriminazioni e scoppiano i conflitti. Esiste un'alternativa a tale pseudo-tolleranza, è possibile costruire una capacità d’incontro grazie a cui l’America, da semplice calderone dei popoli quale oggi è, diventi davvero un crogiuolo di popoli come dice il suo mito?

T. Calvo Buezas:

Amici, prima di iniziare credo di avere il dovere di esprimere pubblicamente un ringraziamento. Per me è stata una meravigliosa e lusinghiera sorpresa trovarmi insieme a migliaia di giovani italiani che, sebbene in questo momento silenziosi, stanno gridando che ancora adesso, nel 1984, in Europa sono possibili l’entusiasmo, la speranza e la solidarietà con uomini d’altre razze e culture: la vostra presenza è il miglior discorso del Meeting L’America Latina è come un profondo mare, con un grande ordito di livelli e di correnti in cui confluiscono i più diversi fiumi di civiltà indios, europee, africane ed asiatiche. A cinquecento anni dalla sua scoperta l’America Latina è ancora un mosaico di popoli, di nazioni e di sangue che confluiscono in una simbiosi singolare e propria L’America Latina è oggi, nel 1984, la sincronizzazione localizzata dalla diacronia universale della storia umana e del suo progresso. Vi si possono trovare nel medesimo tempo tribù nomadi di cacciatori e di raccoglitori, masse contadine, complessi industriali urbani, équipe impegnate nell’alta tecnologia, sofisticati calcolatori elettronici. E’ una condensazione, in un tempo ed in uno spazio determinati, dell'intero lungo viaggio sin qui compiuto dall’umanità Diversità ed unità sono dunque le categorie che in modo opposto, ma complementare, meglio descrivono la realtà latino-americana. Qual è allora l'elemento caratteristico che più contraddistingue l’Ibero-America facendo sì che sia ad un tempo una cultura e molte culture, un popolo e molti popoli? Ritengo che tale elemento sia il meticciato. Il meticciato indo-ispano-negro è divenuto, sin dagli albori della scoperta, un decisivo processo dinamizzatore, creativo della nuova società e della nuova cultura. E’ un meticciato che ha trovato attuazione a tutti i livelli: un meticciato di razze, un meticciato di culture, un meticciato religioso, un meticciato di folclore, un meticciato di credenze e di valori, un meticciato di rituali e di miti. E’ all’interno di questo sincretismo creatore, è in questo meticciato che riposano l’originalità e la singolarità della storia e della cultura ibero-americana, che la differenzia radicalmente dal tipo di colonizzazione anglo sassone iniziata negli Stati Uniti dagli emigranti del ‘Mayflower’. L’America Latina non è una mera proiezione della Spagna e dell’Europa, né è una semplice creatura sua, e neppure una fusione insipida, neppure un amalgama insipido di culture, di popoli e di razze. In questo senso l’America Latina non è un ‘melting pot’, non è un frullato culturale, in cui la macchina dell’uniformità imperiosa abbia fatto scomparire l’anima e la vita delle culture autoctone all’interno di una sola cultura dominante. L’America Latina è una società, una cultura nuova in cui gli indios e i negri, non solo quindi gli spagnoli e gli europei, ebbero ed hanno un ruolo storico da protagonisti. Da qui l’originalità, il valore e la ricchezza della cultura latino-americana; da qui la sua profonda religiosità, la sua spinta e la giovane carica di sogno, il senso totalizzante delle sue feste, il suo amore per la vita e per l’allegria, la sua ospitalità, il suo senso del dovere e del rispetto. Per tutta questa vitalità e profondità umana l’America Latina è il continente della speranza. Ma una speranza che è trapuntata di difficoltà, un pugno di rose che è intrecciato di spine, per questo è appassionante la grande sfida che presenta questo Meeting: America Americhe, è impossibile la tolleranza? Dobbiamo proclamare e gridare che la tolleranza non è più impossibile. Molti esempi ci ha fornito la storia; e il paradigma del meticciato, con le sue difficoltà, è un esempio di questo. La tolleranza e l’amicizia fra i popoli sono possibili, sono realizzabili ma la convivenza pacifica, sebbene possibile, è difficile; non possiamo, eppure dobbiamo chiudere gli occhi alla storia di ieri, come a quella d’oggi, soltanto per non trovarci innanzi a fatti che non ci piacciono e con cui n siamo d’accordo. Milioni d’Indios sono discriminati in America Latina, ieri e oggi, e milioni di negri e d’ispani ci vengono disprezzati negli Stati Uniti per il colore della loro pelle e per la loro origine etnica. La storia degli Stati Uniti non può scriversi senza aggiungere i gruppi d’emigranti europei che l’hanno costituita in una nazione ricca e potente. Ma gli Stati Uniti, soprattutto il Nord-Est, non si possono capire senza la presenza d’indo-ispano-messicana nel Sud-Ovest. Essi - gli indios, gli spagnoli, i messicani - furono gli originari, i popolatori, i colonizzatori di grossi stati come la California, il Texas, A Colorado, il Nuovo Messico, il Nevada e la Florida. E più importante di questa presenza di ieri è la numerosa popolazione di lingua spagnola (25 milioni di persone) che oggi esiste negli Stati Uniti (e che Calvo Buezas ha conosciuto e studiato da vicino nei dieci anni in cui ha vissuto in America. Ndr). Milioni di essi sono giunti nell’America del Nord in cerca della terra promessa che sembrava promettere latte e miele e hanno incontrato solamente l’amarezza delle cucine e dei piatti da lavare nei ristoranti di New York, e i caldi campi della campagna della California. Discriminati per l’appartenenza razziale nera o indo-meticcia, disprezzati per la loro cultura originale, sfruttati perla loro mancanza di formazione professionale, costituiscono oggi la seconda minoranza dopo i negri. Essi gridano contro l’ingiustizia, difendono la propria cultura e la propria identità rifiutandosi di essere inghiottiti e fusi nell’insipida ‘American way of life’. La gente, la festa del movimento contadino ‘chicano’ in California sotto la guida di Cesar Chavez, ha messo in rilievo le energie di questo gruppo e la vitalità della cultura ispanica, giocando un ruolo importantissimo, in questo caso, la profonda religiosità cattolica di questi contadini, poveri economicamente, ma ricchi umanamente e spiritualmente. Questo tipo di cultura io la chiamo cultura della ricchezza, per la sua molteplicità simbolica di rituali, di miti, di valori, di folclore, di relazioni umane e di solidarietà. Antropologicamente non è affatto certo che il sottosviluppo economico o tecnologico sia uguale al sottosviluppo umano o culturale: molte nazioni o potenze militari sono materialmente ricche, tecnologicamente ricche, ma sono povere, molto povere e sottosviluppate nel loro sistema simbolico rituale di feste, di rappresentazioni collettive, di relazioni intime di solidarietà. I contadini emigranti messicani detti ‘chicanos’ hanno fatto vedere in California alla società nordamericana che la loro religiosità popolare cattolica con i rosari, con le messe, con le bandiere della Vergine di Guadalupe, con le feste dei Mariacis aveva significato, valore anche in una società post-industriale-scientificista e secolare come la società di consumo nordamericana Ecco qui un esempio di come un'identità religiosa, proclamata con coraggio ma senza fanatismo, può servire anche nel mondo postmoderno quale valido messaggio per altri popoli, quale strumento d’unità anche per altri popoli e per altre razze. E infatti al movimento di liberazione contadina dei ‘Chicanos’ della California si sono aggregati anche altri gruppi di nordamericani d’altre classi sociali, d’altra origine nazionale e d’altra religione Non nell’uniformità totalitaria, ma soltanto nella pluralità culturale e nella libertà creatrice è possibile la comunione fra i popoli. Tutti gli uomini, tutti i gruppi, tutte le culture hanno diritto all'esistenza. Per concludere, dobbiamo essere orgogliosi della nostra cultura europea, ma non dobbiamo cercare di imporla con la forza agli altri popoli. Infine noi che siamo cristiani dobbiamo assumere, dobbiamo accettare che la luce del mondo e il sale della terra non è l’Europa, né l’Occidente, ma è solo Gesù Cristo, figlio di Dio, fratello di tutti gli uomini, di tutte le razze, di tutte le culture, di tutti i tempi.

H. Raymont:

Al progresso senza precedenti nei campi della scienza e della tecnologia non ha certamente fatto riscontro un analogo progresso nella comprensione, nella capacità di comprendere come sentono, come pensano, che cosa progettano gli uomini che vivono in situazioni culturali diverse dalla nostra. Imparare a conoscerci ed a capirci meglio: questa è la grande sfida che ora ci sta di fronte. Alla vigilia della celebrazione del quinto centenario dell’incontro fra il Vecchio ed il Nuovo Mondo, com’eredi dell’epopea del 12 ottobre 1492, dobbiamo porci tali obiettivi non soltanto nelle sue dimensioni Est-Ovest (Europa-America) ma anche nelle sue dimensioni Nord-Sud (America anglosassone-America Latina).Vorrei nel mio intervento soffermarmi in particolare sul ‘melting pot’ sul ‘crogiuolo’ nordamericano. Non credo che il ‘melting pot’ nordamericano sia soltanto un calderone, e non credo nemmeno che abbia smesso di ribollire e quindi di fondere insieme con positivi risultati le etnie degli Stati Uniti. Ed a suffragio di questa mia tesi desidero passare qui rapidamente in rassegna alcuni avvenimenti ed esperienze di cui sono il testimone diretto Credo innanzitutto importante ricordare il 1962, l’anno del movimento dei diritti civili, quando milioni di giovani, come voi adesso siete, discesero nel Sud degli Stati Uniti per promuovere il diritto dei negri al voto. Fu un movimento che - potendo quasi subito contare sull’appoggio del governo federale allora presieduto da John Kennedy - in un anno fece progredire di almeno mezzo secolo la condizione umana negli Usa. Provenendo dall’Argentina, dove avevo compiuto i miei studi medi superiori, nel 1949 mi iscrissi all’università di Kliwinton, nell’Indiana. Non era Harward, non era Stanford; era un’università americana come tante. Ebbene, in questa università trovai, accanto agli studenti del Paese, un gran numero di immigrati europei e latino-americani. Studiavamo e lavoravamo tutti a fianco a fianco in un clima di dialogo culturale e spirituale di un’ampiezza che mai prima avevo sperimentato. Sono stato a Dallas due mesi fa, e l’ho trovata molto cambiata da come era nel 1964, quando la visitai per la prima volta. E’ un’altra città che ha fra l’altro ben poco a che vedere con quella che viene descritta nella serie televisiva omonima. Oggi la cosa più evidente è che esiste a Dallas una classe media di neri e di ‘chicanos’ che partecipa molto attivamente alla vita civica; ma la cosa più importante è che, negli ultimi due anni, sono giunti a Dallas ben 40 mila vietnamiti e cambogiani. Questi nuovi immigrati non patiscono alcuna segregazione, anzi fruiscono di un vantaggio derivante da un principio diffuso nella società americana (non so se di origine puritana o di quale altra): il principio secondo cui è giusto lasciare via libera agli ultimi arrivati per vedere che cosa sanno fare Nel 1952, la prima volta che andai a Washington, trovai una città nella quale vigeva ancora la segregazione razziale. Oggi a Washington, la cui popolazione è negra per A 70%, il sindaco è negro, l’assessore all’Istruzione è negro, la segregazione non esiste più, e tra gli amici delle mie figlie ci sono sia bianchi che negri. Ai negri poi si è aggiunto in questi ultimi anni un altro Non credo dunque che il ‘melting pot’ statunitense abbia smesso di grosso gruppo di non bianchi: circa 40 mila rifugiati dall’Etiopia. ribollire. Inoltre è molto importante, quando si parla di Stati Uniti, mettere nella sua giusta luce un grande valore della società USA: la capacità di autocritica, che per me, che non sono nato nel Paese, appare davvero impressionante. All’estero si danno spesso sugli Stati Uniti giudizi poco documentati mentre si parla poco di aspetti come quello cui ho appena accennato. Un altro aspetto comunemente trascurato è la grande mobilità interna della società statunitense, un fenomeno che ha precise conseguenze in campo sia culturale che politico. Si veda per esempio la campagna attualmente in corso per le elezioni presidenziali del prossimo novembre. Contrapponendosi anche in questo al Partito democratico, che con Geraldine Ferraro si propone come il partito degli immigrati, A Partito repubblicano si appella alle antiche radici dell’America, ai Padri Pellegrini del ‘Mayflower’; ma chi si fa portavoce di questa posizione è Reagan, figlio di immigrati irlandesi In quanto ai rapporti con l’America Latina, se si va alle origini degli Stati Uniti, ai tempi dei padri fondatori dell’Indipendenza e della Costituzione, ci si avvede che nelle loro intenzioni e nei loro ideali il Nuovo Mondo, allora in lotta per l’emancipazione dal Vecchio Mondo, si componeva allo stesso modo e su un piano di parità sia dall’America anglosassone che dell’America Latina Ammaestrato dallo spettacolo dei crimini che sono stati commessi nel Vecchio Mondo in nome della Verità con la V maiuscola, credo che il popolo americano sia in genere più incline ad impegnarsi per l’attuazione di verità con la v minuscola, verso le quali procedere a forza di sperimentazioni, di aggiustamenti, di autocritica e di piccole riforme. E un metodo che non può piacere alle personalità autocratiche; non per questo però mi sembra lo si debba ritenere un metodo di scarsa validità. E’ in fondo la democrazia, della quale Winston Churchill diceva: "E’ il peggior sistema di governo, ma non ce n’è un altro che sia migliore". Grazie.

A. Methol Ferrè

Cari amici, oggi vi parlerò dell’America Latina. Si tratta di un ‘popolo nuovo’ nella storia, le cui origini risalgono soltanto a cinquecento anni fa. Ci sono popoli più antichi e duraturi, non diciamo ‘vecchi’ perché questa è un’immagine troppo meccanica, come quelli dell’Europa, dell’India, della Cina. Con la scoperta dell’America inizia un grande avvenimento che giunge fino ai giorni nostri: la formazione di un Ecumene mondiale che comprende davvero tutta la terra. Prima di procedere occorre qui chiarire la nostra idea di Ecumene. Vari gruppi affini costituiscono una cultura. Varie culture che s’incontrano, che si compenetrano, costituiscono un Ecumene. L’Ecumene implica tensione di una pluralità di culture diverse che si mischiano tra loro. L’Ecumene è un'esigenza concreta di nuova universalità mediante una nuova profonda sintesi capace di assumere e trasfigurare l’insieme conflittuale dell’unità che di fatto si è venuta formando. In questo senso, a nostro modo di vedere, nella storia dell’uomo si sono registrati soltanto due periodi ecumenici. Il primo condusse, in età ellenistica, al sorgere dell’Ecumene del Mediterraneo e del Medio Oriente. Il secondo è quello, caratterizzato da un Ecumene mondiale, nel quale viviamo La moderna Ecumene mondiale è tuttavia nella crisi. Al suo centro ribolle il conflitto tra Stati Uniti ed Unione Sovietica. Usa ed Urss sono però due eredità differenti del medesimo illuminismo secolarista, nate su due distinti substrati storici, l’uno protestante e l’altro bizantino ortodosso, cesaro-papista. Queste due super potenze nemiche, ciascuna culmine di due distinte tradizioni illuministiche, nel disputarsi la supremazia sull’Ecumene mondiale moderna l’hanno trasformata nell’Ecumene del terrore. E’ questo l’esito finale dell’illuminismo? Finisce così chi venne ad ereditare o meglio a soppiantare il cristianesimo? L’illuminismo, il secolarismo, è figlio della grande crisi della cristianità latina, delle guerre di religione, della divisione cattolico-protestante che divise le due Americhe. La protesta non seppe includere la cattolicità, la cattolicità non seppe includere la protesta, si separarono, non giunsero a sintetizzarsi, e da questo insuccesso ebbe origine e forza l’illuminismo. Fu una conciliazione contro il terrore religioso. Una critica al cristianesimo che si era lasciato andare alla contraddizione del terrore. In tal maniera, l’illuminismo pretese di realizzare il cristianesimo, mettendo tra parentesi il cristianesimo. Questa è una variante. Nell’altra variante, l’illuminismo pretese sostituire il cristianesimo, a partire dalla eliminazione di Dio, di Cristo e della Chiesa, ponendo l’uomo come unico principio. Gli Stati Uniti sono la prima versione, l’Unione Sovietica la seconda versione. Se l’uomo non è innanzitutto immagine di Dio, anzi ogni valore appare come esclusiva immagine dell'uomo, allora resta solo la volontà di potere come metro di tutte le cose e l’attuale Ecumene del terrore è inevitabile. Queste due varianti dell’illuminismo sono anche la sfida che hanno oggi di fronte tutte le altre culture e i popoli nuovi. E’ il superamento che viene richiesto dall’Ecumene mondiale, per poter raggiungere una nuova civiltà. Giacché l’Ecumene del terrore è la gran crisi finale dell’illuminismo, che dà l’intonazione del nostro tempo. La crisi dell’illuminismo, in quanto separato dal Cristianesimo, sia sotto forme pragmatico-positiviste (agnostiche), che lasciano spazio alla soggettività cristiana, ma senza incidenza nel mondo, che resta sotto la regolazione del mercato (questa è la variante nord-americana), sia sotto un socialismo collettivista ateo (materialista), che cerca l’estinzione di ogni tipo di religione e una regolazione totalitaria (questa è la variante sovietica), è quella che oggi devasta l’Ecumene intera. I due rami dell’illuminismo non possono sintetizzarsi, poiché lasciati a se stessi; il puro illuminismo termina nella contraddizione della volontà di potere. In ultima istanza l’antropocentrismo si rivela come volontà di potere. Per questo la sua sintesi può essere solo l’olocausto, l’apocalisse atomica o lo stallo del negoziato. E questa antinomia, nella quale sfocia L’illuminismo separato dalla Chiesa, è ciò che oggi riapre le porte alla Chiesa di Cristo, per proporsi come autentica sintesi nella nostra Ecumene dilaniata. Il Vaticano II è questo nuovo punto di partenza e auspicio di questa nuova speranza; è vedere come i popoli dell'intera Ecumene sanno ascoltare Giovanni Paolo II, predicatore di Cristo. Sorprendente itinerario, quello del moderno calderone dei popoli. L’Ecumene planetaria che si apri con la crisi più grande della Chiesa in Europa, crisi che si biforcò nella fondazione delle due Americhe, sbocca ora nella crisi dell’illuminismo secolarista. E come ieri la prima Ecumene del Mediterraneo, oggi la Ecumene degli Oceani e della Terra intera può risolversi in una nuova universalità concreta, che tutto abbraccia, centrata in Cristo Redentore. E’ in questa direzione che si può intuire l'apporto dei popoli nuovi dell'America Latina nelle grandi tensioni dell’Ecumene con temporanea. In contrasto con il Nord, l’America Latina fa parte del mondo dipendente, marginale, è compresa nell’Ecumene della povertà, quello che comunemente viene chiamato Terzo Mondo. Tuttavia, essa è entrata in modo visibile per tutti in gran fermento da 25 anni e non solo per la rivoluzione cubana, ma perché, 25 anni fa, Giovanni XXIII convocò il Vaticano II, avvenimento universale che ha risvegliato la Chiesa. Le sono tornati dinamismo, attualità e progetto. Ha provocato, in America Latina, un risorgimento cattolico che sta ormai avviandosi. Come ciò è stato possibile? E’ stato possibile perché il Concilio Vaticano II ha assunto all’interno della Chiesa cattolica il meglio della riforma protestante, la sua verità, e il meglio dell’illuminismo, la sua verità, e le ha trasfigurate a partire dalla logica intera della Chiesa, a partire da se stessa. Con discernimento, attraverso la riforma protestante e l’illuminismo, la Chiesa si è rinnovata a partire dalle sue proprie fonti E questo formidabile rinnovamento del Vaticano II, ancora non ben compreso e che sconcerta tanti, è alla base del risorgimento. Cattolico latino-americano, tocca la capacità di universalità della stessa matrice dell’America Latina. Perciò è un avvenimento così profondo in America Latina. Perciò le grandi ripercussioni di Medellin e Puebla sono espressioni di una Chiesa che riprende la sua marcia storica all’altezza dei tempi. E da che lato l’America Latina prende il Vaticano II? Da che angolo originale? Dall’Ecumene della povertà, dai poveri, dai poveri cristiani. Di qui la possibilità del suo apporto all’Ecumene mondiale. Il popolo nuovo dell’America Latina rinnovato dal Vaticano II nelle sue stesse radici, nel senso profondo e congruo col suo proprio ethos culturale, e allo stesso tempo riassume il Vaticano Il a Medellin e Puebla a partire dall’Ecumene della povertà, dagli emarginati dei grandi poteri mondiali impantanati nell’Ecumene del terrore nell’era della coesistenza. Un Ecumene del terrore, che ha il suo opposto nell’Ecumene della povertà. Così, l’America Latina può proiettarsi sul resto del Terzo Mondo, fossilizzato nella crisi delle sue matrici culturali essenziali. La nostra riflessione termina prevedendo il senso possibile del nuovo popolo latino-americano, nell'attualità drammatica dell’Ecumene. Termina in quello che forse è più importante, il contenuto della proposta che può fare per sé e per gli altri. Qui resta solo da anticipare quello che crediamo sia il suo senso. Lasciamo da una parte, ovviamente, che la matrice culturale dell’America Latina è capace di sostenere da sé la rivoluzione scientifico industriale, poiché A Cristianesimo è l’ambito che la produsse e oggi è chiaro che i conflitti sono stati contro lo scientismo e non contro la scienza; accidentali e non essenziali. Anche la matrice culturale latino-americana, a partire dal Vaticano II, fonda sulle radici cristiane dell’Illuminismo liberale e democratico, e trascendendolo ne costituisce le fondamenta. Solo a partire da Dio, dall'uomo come immagine di Dio, acquistano fondamento, fermezza incrollabile, i diritti umani, le libertà, la democrazia. Dio è inassoggettabile alla volontà di potere. Ma anche a partire dalla nostra matrice culturale e dalla nostra povertà, conseguenza delle logiche da usuraio del mercato, le nostre esigenze, viste da Medeffin, Puebla e dalla ‘Laborem Excercens’, ci portano al di là del socialismo autogestionario, che solo p sostenere la partecipazione e la libertà a partire da basi cristiane. Così l’eredità dell’Illuminismo, nelle sue due varianti nemiche, non soltanto può essere trascesa dalla Chiesa, ma può accadere nella storia concreta dei popoli nuovi, misti, dell’America Latina, dove oggi è in fermento il più numeroso popolo fedele della Chiesa cattolica contemporanea.