Testimonianza.
Incontro con Angelina Acken Atyam

Martedì 24, ore 11.30

Relatore:

Angelina Acken Atyam,
madre di una delle ragazze rapite
in Uganda

Moderatore:

Arturo Alberti

Alberti: Una brevissima introduzione aiuterà a capire nel contesto dell’Uganda l’esperienza di Angelina Ackeng Atyam.

Dal 1984 nel Nord Uganda c’è una situazione di guerriglia sostenuta da un esercito clandestino. Questa presenza determina pericolo e instabilità soprattutto nei distretti del nord di Kitgum e di Gulu. I guerriglieri si rifugiano nel sud del Sudan, dove hanno basi operative e periodicamente attaccano i villaggi; in questi attacchi, oltre a derubare e uccidere, rapiscono spessissimo dei giovani, delle ragazze e dei bambini. I bambini vengono addestrati alla guerra perché è stato dimostrato che i bambini sono più feroci ed efficienti degli adulti stessi. Le ragazze diventano le compagne forzate dei guerriglieri.

Queste attività di rapimento si sono particolarmente accentuate a partire dal 1994. Pare che siano stati rapiti tra gli otto e diecimila bambini del Nord Uganda, con conseguenze devastanti per la loro vita. Di fronte a questa gravissima situazione si erano sempre levate poche e spaventate voci, non c’era mai stata una reazione.

Nell’ottobre del 1996 i guerriglieri hanno assaltato una scuola nel distretto di Lira, leggermente più a sud degli altri, hanno rapito 139 ragazze. Una delle suore che gestiscono questa scuola, suor Rachele, ha inseguito i guerriglieri e parlando con il loro capo è riuscita a farsi riconsegnare più di cento ragazze, mentre il capo ha deciso di tenerne trenta con sé. Tra queste trenta c’è anche la figlia di Angelina che è ancora prigioniera di questi guerriglieri

In questa occasione però è accaduta una novità: non c’è stata rassegnazione di fronte all’evento. Angelina e molti dei genitori di questi bambini rapiti non hanno accettato passivamente la situazione, si sono invece ribellati, si sono mobilitati, hanno incominciato ad interpellare le autorità, ad interpellare la società civile dell’Uganda, a stimolare i politici sul problema. Hanno costituito una associazione, la Concerned Parents Association, per salvaguardare i diritti di questi bambini e per cercare di riportare a casa i loro figli. La sensibilizzazione di questa associazione ha trovato un terreno fertile, i suoi rappresentanti hanno incontrato il Presidente dell’Uganda Museveni, ci sono state interviste sui giornali e alla televisione. Angelina è stata a Londra a presentare un libro, Where is my home, che affronta queste tematiche. È stata invitata all’ONU dove ha parlato ed ha ricevuto un premio per la sua operosità in favore dei diritti dei bambini. Dopo il Meeting andrà in Australia.

È un evento raro ed eccezionale che una donna ugandese acquisti così peso nella società e nella realtà, tanto da determinare anche un cambiamento di atteggiamento nei confronti di questi problemi. Questa mamma di fronte all’impatto con la realtà ha deciso di muoversi, di non subire passivamente. Ed ha creato un’opera. L’opera di questa associazione – le opere nascono quando una persona, un io, si mobilita e decide di cambiare la situazione – oggi ha un ruolo significativo. Non solo, ma c’è stato un altro passaggio importante: l’impegno è nato a partire da un bisogno, il bisogno di liberare i loro figli. Angelina e i suoi amici dell’associazione si impegnano per i diritti dei bambini, tutti i diritti di tutti i bambini, non solo quelli dei loro bambini rapiti; si impegnano per promuovere il diritto all’educazione, alla famiglia, il diritto ad una crescita normale in un mondo possibilmente privo di guerra e di violenza.

Acken Atyam: La nostra associazione è costituita da gruppo di genitori che combatte per la difesa dei diritti dei bambini. In molte regioni del mondo si stanno consumando e si compiono dei gravissimi casi di violazione dei diritti dell’uomo che non vengono mai controllati, che sfuggono all’attenzione, anche nei paesi firmatari della Carta delle Nazioni Uniti. Inoltre, vi sono situazioni di guerra che vanno ad aggravare le precarie circostanze di gruppi vulnerabili quali gli anziani, le donne, i bambini.

Questi soldati invisibili, ovvero i bambini, vengono presi di mira e soffrono in maniera indicibile. Vengono obbligati ad arruolarsi a forza negli eserciti o nei gruppi di guerriglia e vengono uccisi, oppure vengono deportati e muoiono di fame: i loro diritti vengono in questo modo sotterrati.

Questa evenienza è particolarmente frequente nel continente africano, in paesi come Ruanda, Mozambico, Sierra Leone, Liberia, Sudan, Uganda, paesi che sono stati testimoni di moltissimi casi di violazione dei diritti dei bambini. In Uganda in modo particolare, i rapimenti dei bambini proseguono senza impunità da più di un decennio: si parla di più di diecimila – ma dovrebbe essere una cifra molto mitigata – bambini che vengono rapiti o prelevata dalla LRA, un gruppo di guerriglieri ribelli che combattono nel nord dell’Uganda.

I rapitori sottopongono i bambini rapiti a delle torture inimmaginabili. I più giovani vengono obbligati a trasportare dei carichi pesantissimi e appena osano permettersi di lamentarsi del fatto che sono stanchi vengono immediatamente uccisi.

Lo stesso tipo di punizione viene anche riservata a coloro che si danno alla fuga, che diventano schiavi dei guerriglieri. Le ragazze, in modo particolare, vengono violentate e rese gravide in maniera prematura. Devono dare alla luce i loro bambini in ambienti malsani, in presenza addirittura di operatori che aiutano alla nascita molto poco qualificati, anzi crudeli. Molte di queste donne, proprio per i problemi correlati alla gravidanza e successivamente alla nascita, spesso non riescono a sopravvivere.

I rapimenti si verificano pressoché dappertutto: nelle scuole, nelle istituzioni, nelle case private, nei giardini e nelle Chiese. Si tratta in essenza, del modo proprio di reclutamento ed addestramento della LRA.

Il 10 ottobre del 1996, la LRA assaltò il St. Mary’s College nel nord dell’Uganda alle due di mattina, e rapì 139 ragazzine. L’età delle ragazze andava dai dodici ai sedici anni. La vice direttrice, suor Rachele, un’italiana, con il coraggio di una leonessa ferita per i propri cuccioli in pericolo, seguì i ribelli in compagnia di una giovane insegnante e poi cercò di trattare con i guerriglieri. Alla fine il risultato fu il seguente: 109 delle 139 ragazze furono rilasciate in libertà, trenta ragazze furono trattenute e tra queste mia figlia Charlotte. Da allora non l’ho più rivista.

Abbiamo quindi costituito la Concerned Parents Association con una serie di obiettivi precisi. Il primo era il rilascio incondizionato di tutti i bambini rapiti, l’arresto immediato del fenomeno del rapimento. Il secondo la riabilitazione e la reintegrazione di tutti i bambini, con particolare enfasi posta sull’aspetto educativo. Il terzo obiettivo era quello di ottenere la pace per tutti gli ugandesi.

Abbiamo svolto un lavoro non indifferente, un lavoro di supporto, una campagna. Ci siamo mobilitati moltissimo per cercare di fare qualche cosa in questo senso.

La prima cosa che abbiamo fatto è stata di contattare Sua Santità, il Papa. Egli ha fermamente condannato questo atto ed ha lanciato un forte appello ai ribelli per rilasciare i bambini prigionieri.

Successivamente, abbiamo scritto a moltissimi governi attraverso i canali delle ambasciate – italiana, britannica, americana, belga, dell’Iraq e altre ancora – in Uganda; abbiamo anche incontrato più volte il Presidente ugandese, e abbiamo preso dei contatti per incontrare il Segretario generale delle Nazioni Unite e molte altre agenzie delle Nazioni Unite, in modo particolare UNICEF e UNIFEM. Abbiamo anche scritto lettere aperte ai ribelli e abbiamo contattato i mass media sia locali che internazionali.

Abbiamo anche costituito delle ramificazioni della nostra associazione nella maggior parte delle regioni e dei distretti più colpiti da questo problema, i distretti di Gulu, Kitgum, Apac e Lira; intendiamo estendere questa rete anche in Occidente, il prossimo anno.

Ogni anno celebriamo la commemorazione del rapimento del 10 ottobre, con una giornata particolare di digiuno e preghiere.

Insieme all’UNICEF raccogliamo dei dati sui casi di rapimento, lavoriamo e collaboriamo insieme a partner interessati, in modo particolare le ONG – tra cui AVSI – e le agenzie delle Nazioni Unite.

Non possiamo sfortunatamente ancora parlare di risultati concreti; tuttavia, abbiamo già ricevuto non poco sostegno e supporto a livello sia nazionale che internazionale, anche sotto forma di viaggi, di visite sponsorizzate quale la mia qui al Meeting, di donazioni, di supporto psicosociale. Sono stati costituiti anche dei gruppi di villaggio, per incontrarsi regolarmente, per potersi scambiare e confrontare le esperienze, consolandosi a vicenda e cercando di sostenere e insegnare il perdono, la riconciliazione basata sulla pace.

Non è facile aspettare un bambino che è stato rapito, aspettare che torni a casa. Questo è il terzo anno che sto aspettando mia figlia, ma ci sono dei genitori che hanno dovuto aspettare e stanno aspettando da ancora più tempo. Si tratta di una situazione acuta, grave, di emergenza e che deve quindi essere gestita con grande prontezza. Molti genitori sono deceduti perché non riuscivano più a sopportare la pena di non rivedere i volti dei loro figli; tra questi, anche il nostro primo Presidente, che il 31 marzo è morto di un infarto proprio perché non ha più potuto rivedere due dei suoi bambini, che sono stati rapiti e portati dai guerriglieri nella boscaglia.

La domanda che si pone a questo punto è: "Quando arriverà l’aiuto?", ed è una domanda che rivolgiamo anche a Dio. Il Signore ci ha aiutato e soprattutto ci ha insegnato ad avere molta pazienza. Sappiamo anche che i tempi del Signore non sono i tempi che immaginiamo noi. Abbiamo perso, oltre a proprietà e infrastrutture, moltissime vite, e nulla mai potrà compensare o risarcire i danni sia morali che concreti subiti per amore di questi bambini, bambini che vivono. Noi siamo ancora disposti ad offrire un perdono incondizionato ai rapitori, lanciando un appello per il loro rilascio, in modo che i rapitori stessi possano un giorno usufruire o godere dei diritti assegnati da Dio.

Il 55% dei bambini rapiti non ha più un padre, perché il loro padre è stato ucciso, il 15% non ha più una madre per lo stesso motivo. Alcuni bambini sono completamente orfani. Si tratta di un momento decisamente durissimo per noi, ma il Signore ci ha tenuti in questo momento così difficile sempre uniti e molto compatti, uniti e compatti nell’amore e nella nostra forza, scaturita dalle preghiere e dal sostegno ricevuto dagli amici.