Domenica 24 Agosto, ore 15

L'ARTE RUPESTRE MONDIALE

Incontro con:

Emmanuel Anati,

paleontologo, direttore del Centro Camuno di studi preistorici, curatore della mostra.

E. Anati:

Questa mostra è una specie di piccolo antipasto su un tema senza barriere, immenso: la creatività artistica dell'uomo da 40.000 anni. Quest'avventura è iniziata tre o quattro anni fa, quando l'Unesco ci ha incaricato di fare una ricerca preliminare sul patrimonio di arte lasciato dall'uomo nei vari continenti. Ci siamo accorti che la creatività artistica coincide con la presenza della nostra specie, dell'Homo Sapiens, sorto dopo più di due milioni di vita di esseri umani diversi, circa 40.000 anni fa. C'è chi pensa che sia nato in Asia, ma le ipotesi più attendibili oggi sono che le origini dell'Homo Sapiens vadano ricercate in Africa. Questo nostro diretto antenato aveva delle caratteristiche fisiche leggermente diverse dei suoi predecessori, ma soprattutto aveva delle caratteristiche intellettuali assolutamente nuove, aveva una capacità di analisi, di sintesi e di simbolizzazione che costituiscono fino ad oggi una delle caratteristiche fondamentali della nostra specie. Era in grado di usare il linguaggio articolato per comunicare con il prossimo, linguaggio non solo dovuto a caratteristiche fisiche, ma a delle capacità cerebrali di associazione di idee, a una nitidezza estrema nel proprio pensiero, a una grande capacità di trasmettere dei messaggi precisi. Scopriamo che una delle caratteristiche fondamentali di quest'Homo Sapiens era la sua capacità di produrre arte. E io penso che non sia solo una capacità ma un'esigenza, usare l'arte per emettere, trasmettere e recepire messaggi. Sono dei messaggi in codice, archetipi che siamo in grado di recepire, qualche volta a livello cosciente, qualche altra, invece, per meccanismi che fanno parte del nostro sommerso, e oltre a una comprensione lucida ci danno delle intuizioni, dei messaggi articolati che vanno compresi, interpretati e che quindi stimolano ulteriormente l'intelletto. Diciamo che già la scoperta che l'arte è legata alle capacità e alle esigenze della nostra specie, che è indivisibile dal nostro retaggio, dalla nostra eredità culturale globale come esseri umani su questa terra, è una apertura verso nuovi orizzonti di comprensione del nostro meccanismo mentale, del nostro modo di ragionare, del nostro modo di essere. Ma a questa prima scoperta se ne sono aggiunte altre: abbiamo trovato, ad esempio, che vi sono dei paradigmi costanti, che l'uomo nei cinque continenti si è espresso con una gamma assai limitata, ha fatto delle scelte precise nei temi, negli stili, nelle associazioni. Questo ci dice quanto siano simili gli uomini dovunque siano: la specie umana è veramente un'unica specie con delle caratteristiche non solo fisiche, ma anche intellettuali, fondamentalmente uguali, che partono da una medesima matrice. All'inizio possiamo dire che vi è un'unità globale delle tematiche, dei tipi di associazione, dello stile figurativo. Poi avvengono le prime differenziazioni, si scopre che in certi territori l'uomo si adatta al clima, alle risorse, alla dieta che offre l'ambiente, e ciò modifica gradualmente, ma non fondamentalmente, il modo di pensare. L'ipotesi di lavoro è che 40.000 anni fa tutta l'umanità avesse un'unica lingua in comune e che le differenziazioni linguistiche siano frutto di innovazioni molto più recenti di quello che si era pensato fino ad oggi (…). Questo processo all'inizio è lentissimo, ma ha un cambiamento rivoluzionario alla fine del Pleistocene, ossia circa 12.000 anni fa, quando siamo arrivati in Europa alla fine dell'epoca cosiddetta glaciale. Ci sono stati grandi cambiamenti climatici: il cambiamento di clima, l'adattamento dell'uomo e della fauna a contesti nuovi, hanno cambiato gli ecosistemi del mondo intero, e in questo contesto noi scopriamo un processo accelerato di specializzazione culturale, per cui troviamo dei popoli che gradualmente ma velocemente, da quel punto in poi, si differenziano fino ad arrivare alla Torre di Babele nella quale ci troviamo oggi. Ritroviamo nell'arte, negli ultimi 40.000 anni, alcune costanti che appaiono dovunque. La prima cosa che evidenziamo nella mostra è uno dei fattori ripetitivi fondamentali, l'impronta della mano, una testimonianza di presenza, è l'uomo che firma se stesso. Questa carrellata di quattro fotografie ci mostra impronte di mani di mille anni fa, 3.000 anni fa, 10.000 anni fa, 20.000 anni fa, una di queste fotografie viene dalla Patagonia, ossia dagli antipodi, dal punto più lontano della terra dall'Europa (…). E’ una mostra prematura, perché la ricerca che stiamo facendo è ancora ben lungi dall'essere conclusa.

Il prof. Emmanuel Anati risponde ad alcune domande del pubblico.

Domanda:

Dal punto di vista religioso, che cosa traspare da questi graffiti?

E. Anati:

L'Homo Sapiens era un intellettuale, un individuo che si pone domande, che ama avere dubbi, cercare delle risposte, tormentarsi nella ricerca di un mondo più vasto di lui. Queste ricerche dello spirito, questa curiosità di sapere è una delle caratteristiche fondamentali della nostra specie; come abbiamo questo spirito nella ricerca di nuovi spazi e di nuovi territori, l'abbiamo anche nella ricerca dei problemi dello spirito stesso; domande alle quali non si trovano facilmente risposte. In questo contesto si inserisce anche la vita spirituale dell'uomo (...); lo spirito di religiosità, la ricerca di quello che oggi chiamiamo soprannaturale, ma che questa gente, sono certo, chiamava naturale, risale ai primordi dei tempi. C'è già un profondissimo senso di spiritualità, una ricerca di comunione con l'ambiente, con la natura, con tutte le forze che si sprigionano attorno all'uomo, e che l'uomo cerca di vedere sia come espressioni particolari, sia come grandi sintesi del mondo in cui vive: da quando abbiamo documentazioni di arte, possiamo dire che abbiamo anche documentazioni di spiritualità.

Domanda:

Mi risulta difficile capire come vi sia una unità di forme espressive, di modi di associare, senza una comunicazione fra i vari gruppi.

E. Anati:

Abbiamo parlato prima della presenza di paradigmi. Ad esempio, nell'arte rupestre europea del Paleolitico, un ciclo che ha avuto il suo massimo sviluppo quindicimila anni fa, nelle grotte della Francia e della Spagna, ma anche in Italia, in Ungheria, in Romania, in Austria, fino all'Ucraina e oltre, fino al lago Bajka nella Siberia centrale, abbiamo degli elementi ricorrenti: l'associazione di figure animali e l'associazione tra figure animali e simboli. Questi simboli sono in numero molto limitato, abbiamo il cerchio, la croce, una serie di puntini, il simbolo fallico, il simbolo vulvare: sono sette, otto simboli che si ripetono. Sembrano quasi, anzi probabilmente lo sono, come gli ideogrammi delle antiche fasi della scrittura cinese. Abbiamo detto che probabilmente l'Homo Sapiens ha un'origine unica, è nato in un posto e da lì si è diffuso nel mondo e, così come si è diffuso, ha portato con sé la propria cultura, archetipi concettuali che già erano nei primi nostri antenati anche se le espressioni che oggi ritroviamo forse non sono le prime, ma seguono di due, tre, cinquemila anni le espressioni che non si sono conservate. L'archeologia per sua natura è frammentaria, l'archeologo sa quello che trova, non sa quello che non ha trovato (…). Oggi conosciamo arte rupestre in 180 paesi dei cinque continenti; ci sono centomila siti noti, e circa venti milioni di figure.

Domanda:

Quest'arte decorre da quarantamila anni. Quando finisce questo tipo di arte?

E. Anati:

Quest'arte ha inizio con l'Homo Sapiens. Termina quando le società che producevano quest'arte entrano nell'era della civiltà urbana e diventano letterate. Questa è un'arte pre-letterata, pre-scrittura, se volete, che viene a cessare quando nuovi strumenti subentrano nella cultura a rendere quest'arte obsoleta. Tutto quello che si faceva attorno a queste pitture, tutta la vitalità del contesto, l'archeologia non è ancora riuscita a scoprirlo, richiede uno sforzo ulteriore da parte dell'archeologo.

J. Ries:

Vorrei innanzitutto, a nome di tutta la comunità internazionale dei ricercatori e degli scienziati, ringraziare Emmanuel Anati per il lavoro di pioniere che ha fatto nel campo di studi preistorici e di religiosità preistorica; lei pensa che si possa concludere che ci sia un'unità spirituale originaria dell'umanità?

E. Anati:

Mi sembra lecita l'ipotesi di una origine comune dell'umanità riguardo al bit, al funzionamento delle associazioni nel cervello dell'uomo, quindi al tipo di capacità associativa e cognitiva; da questo deriva anche una unità nelle capacità di spiritualità, un aspetto della globalità.