Sabato 1 settembre, ore 10.00

AMERICHE E ITALIA: CULTURA E POLITICA A CONFRONTO

Incontro con

Giulio Andreotti,

ministro degli Esteri

Qual è lo stato dei rapporti culturali e politici tra l’Italia e i paesi delle Americhe? In che misura ed in che modo i rapporti fra culture, fra civiltà, fra paesi diversi possono essere orientati, modificati, sviluppati od impediti dall'attività politica? Su questi temi il ministro Andreotti esordisce con alcune considerazioni d’apertura e quindi risponde a domande che gli vengono dal pubblico.

G. Andreotti:

Il problema dei rapporti Italia-Americhe si articola in due casi distinti: quello del Nordamerica e quello dell’America Latina. Per quanto concerne i rapporti con il Nordamerica, e in particolare con gli Stati Uniti, è determinante tenere conto che l’Italia oggi è parte di una Comunità Europea, e che tale circostanza influisce in modo determinante anche sul suo rapporto con gli USA. Oggi la nostra Europa è l’Europa comunitaria. Potenzialmente però le sue dimensioni sono ben più ampie. Con un gesto che ha un senso non soltanto religioso ma anche metareligioso, il Papa ce lo ha ricordato proclamando patroni dell’Europa, accanto a San Benedetto, anche i santi slavi Cirillo e Metodio. Non voglio con questo confondere le idee. Un ampliamento dell’Europa comunitaria oltre i suoi attuali confini, ed oltre i suoi attuali margini possibili d’espansione, è un’aspirazione che può attuarsi soltanto in tempi molto più lunghi di quelli che sentimentalmente potremmo auspicare. In quanto ai rapporti fra Europa e Nordamerica, la stessa partecipazione degli Stati e del Canada alla Conferenza per la sicurezza e la cooperazione europea (partecipazione la cui opportunità, anzi necessità, nessuno ha contestato) indica quanto siano intensi ed importanti. Degli Stati Uniti si deve anche stimare la forte carica d’idealismo. Non sto qui a fare il processo di beatificazione dell’America; l’America ha anche molti difetti; non è il paradiso terrestre; però siccome le cose si guardano sempre comparativamente, allora c'è da dover dare un giudizio, che è un giudizio nettamente positivo, anche se è chiaro che la strada del miglioramento sia una strada, o un'autostrada, che negli USA debba essere largamente percorsa. Vorrei dire anche d’alcuni atti, che a loro tempo suscitarono scalpore, quasi che fossero non tempestivi e fossero avveniristici. Parlo della politica dei diritti civili sotto l’amministrazione di Kennedy. Ad oggi noi possiamo vedere che valenza costruttiva avessero. L’azione di Jackson sarebbe impensabile, io credo, se non vi fosse stata in quel momento una rottura di una situazione che, certamente era una situazione che non faceva onore al senso d’eguaglianza e di giustizia dell'intera popolazione statunitense. Oggi quest’integrazione c’è. Addirittura chi ha assistito alle Olimpiadi, vede che l’apporto della popolazione negra al medagliere olimpionico non è un caso isolato, ma costituisce un apporto tutt’altro che indifferente. giudizi sulla politica estera statunitense possono essere vari, e anche un aspetto che qualche volta urta gli USA: se nel mondo qualche cosa non va e sorgono degli incidenti clamorosi, dei rivolgimenti che non si considerano positivamente, si rimproverano gli USA per aver lasciato fare; quando poi gli USA intervengono, normalmente si rimproverano per l’intervento. Non voglio dire che tutte le volte che gli USA intervengono, intervengono giustamente. (L’anno scorso noi prendemmo una posizione di dissenso su un intervento che noi non ritenevamo giusto). Però questa presenza allora dovrebbe fare un salto di qualità. Si parla spesso della politica nord-sud. Ci sono state una serie di riunioni delle Nazioni Unite; c’è stata quella famosa di Caucun e non si è arrivati a delle conclusioni, a mio avviso per due difficoltà che ci sono: la prima perché si parla di una politica sud, ma la verità è, che è una politica nord-ovest-sud; perché l’Est si è sempre rifiutato, nonostante, ogni anno, nella riunione dei sette paesi più industrializzati dell'Occidente, si faccia un invito all’Unione Sovietica e agli altri paesi classificati "socialisti" di fare un programma comune. Quest’invito non è stato mai raccolto; questa è la prima difficoltà della politica nord-sud. La seconda è che le attività bilaterali sono superiori a quelle che sono le attività di carattere collettivo. Ma vi possono essere strade che superino il bilateralismo con grande efficienza e allora noi poniamo qui uno dei punti su cui si può costruire una politica di grande rilevanza, cioè una triangolazione tra Europa, USA e l’America Latina. L’America Latina, noi sappiamo, che ha una realtà sociale molto diversa dall'America del Nord. Storicamente il discorso sarebbe molto più lungo, avrebbero potuto far di più, avrebbero potuto fare diversamente? Lasciamo stare. Prendiamo la situazione com’è oggi. Le profonde ingiustizie sono veramente, a mio avviso, riprovevoli sotto altri mille aspetti, ma sono molto più pericolose di tutti gli arsenali nucleari che vi sono oggi nel mondo e che spaventano molta gente. Perché l’uomo non giustizia. può, credo, sottostare a determinate condizioni di

Domanda:

In questi giorni si è parlato spesso di tolleranza, di rapporti fra Stati, Nazioni, popoli. Chiedo: secondo lei e per la sua esperienza, quale cultura rende possibile questi rapporti fra popoli e nazioni? Io credo che i rapporti politici tra gli Stati siano sempre fortemente condizionati da quelli che sono gli orientamenti del popolo rispettivo sono purtroppo delle usurpazioni di potere: la dittatura che prescinde da questo. Io credo che, veramente, salvo nei confronti di una legittima difesa, i popoli come tali mai farebbero delle guerre. Normalmente sono sempre il frutto di un’usurpazione di potere e di un’azione di prepotenza. Allora, la cultura della pace deve essere una cultura che dobbiamo diffondere alle basi. Non è mai la pace il frutto soltanto di una buona politica; è la risultante di una formazione; e questo naturalmente spetta alle entità religiose, spetta alla scuola, spetta alla famiglia. In questo senso io credo che vi sia un rapporto tra formazione popolare e azione politica interstatale; i rapporti tra Stati e Nazioni.

Domanda:

Sono un giornalista argentino, ma più che quello sono figlio d’italiani. Ma più che argentino, credo di essere uno senza patria, come ci ha detto S. Padre qui due anni fa, cioè uno di quelli che non si lasciano assimilare dal pensiero di questo mondo. Qui è stata dimostrata la grande importanza delle culture latino-americane; con il Meeting hanno cominciato a conoscersi queste culture. E’ possibile che così, come il mondo cattolico italiano si è arricchito con la cultura polacca, ci sarà la possibilità di continuare questo Meeting in Italia, cercando non solo di riportare, mi riferisco alla cultura italiana in generale, cercando non solo di portare soluzioni culturali o semplici ideologie nell’America Latina. Ma io mi domando: ci sarà anche in Italia l’umiltà di ascoltare e riconoscere queste grandi verità di 500 anni di culture latino-americane?

G. Andreotti

lo credo che se dobbiamo enunciare, tra gli altri, i meriti del Meeting e di quello di quest’anno, basterebbe citare le due mostre che voi avete fatto quella relativa al Nuovo Messico e quella relativa all’esperienza delle Riduzioni nel Paraguay, così incisiva, fatta in nome di un’ispirazione religiosa, ma con l’avvertenza non soltanto di rispettare, ma anche di valorizzare, di farne il costrutto della cultura, della civiltà che si trova in loco. Mi sembra che questo sia l’indirizzo secondo cui si deve lavorare. Certamente i popoli dell’America Latina hanno avuto una forte iniezione, nel bene e nel male, d’Europa e d’alcune nazioni dell’Europa. Ma hanno delle loro civiltà piene di fermenti di carattere positivo e credo che in questo senso noi si debba non soltanto studiarle, analizzarle, fare in modo che possano rivivere i loro valori costruttivi, ma testimoniare che la storia di un popolo evolve, proprio se c’è questa sintesi tra le varie culture e tra le varie ispirazioni. Ma quello che dobbiamo aiutare (lei sarà certamente d’accordo con me) è specialmente il tipo, chiamiamo militare argentino, a liberarsi di una cosa che è l’anticultura, cioè la superbia. Io ho avuto occasione di parlare, quando era presidente Videla, che venne in Italia non ricordo più se per il funerale di un Papa o se per l’insediamento di un altro, quell’estate fu molto movimentata sotto questo aspetto. E mi colpì una frase di questo Presidente che adesso è finito in prigione. Mi dispiace come prossimo, però se l’è meritata. Mi colpì una frase perché mi disse con una boria eccezionale: Io devo riparare a 50 anni d’errori dei miei predecessori! Allora gli dissi: Non è che voglio difendere Frondizi, perché era d’origine italiane; ma ho conosciuto dei suoi predecessori, Aramburu, Ilias che mi sono sembrati dei grandi galantuomini e se mi permette vorrei consigliarla di non dire mai una frase di questo genere, perché quello che verrà dopo di lei dovrà riparare agli errori che fa lei. Sotto questo aspetto, io credo che la cultura non possa mai accompagnarsi con la superbia, diciamo con la boria, in un’espressione più chiara. In questo dobbiamo aiutare certamente i latino-americani, ma dobbiamo aiutare anche noi a liberarci, perché abbiamo dei modelli che non esporteremmo certamente.

Domanda:

Lei ha parlato di due realtà: L’America del nord, quella dei grattacieli e l’America del sud, quella delle favelas, Ma è possibile la tolleranza fra queste due realtà?

G. Andreotti:

Non tutta l’America del nord è composta di grattacieli perché io quando ero ministro della Difesa avevo modo di girare molto per le installazioni militari, ho visto tutta una parte d’America (il Nebraska) dove la realtà non è cosparsa di grattacieli. Però credo che la ricostruzione dell’unità americana sia un obbiettivo che debba essere perseguito; e debba essere perseguito cercando di aiutare lo sviluppo delle zone che questo sviluppo non hanno, e specialmente quando parlo di sviluppo mi riferisco a quello di carattere sociale, cioè a delle condizioni di maggiore giustizia e alla fine del dominio delle grandi famiglie. In questo io credo che non solo l’America del Nord, ma tutto il mondo è interessato ed ha il dovere di contribuire perché si cammini in tale direzione.