Sabato 22 agosto 1981

MANIFESTAZIONE INAUGURALE

Paolo Cavallina:

Do lettura del telegramma che c’è pervenuto dal Presidente della Repubblica Sandro Pertini:

"Ai giovani convenuti a Rimini per il secondo Meeting per l’amicizia fra i popoli mi è particolarmente caro esprimere un saluto e un cordiale benvenuto. Le radici comuni della civiltà europea, cui è quest'anno dedicato il convegno rappresentano un tema d’alta suggestione e significato. La comunità di spirito e d’esperienza che accomuna i popoli d’Europa è, infatti, un valore profondo che secoli di lotte fratricide e barriere politiche tuttora incombenti non sono valse a sradicare. Oggi che l’eurocentrismo politico è tramontato è più che mai indispensabile che di quest’ineguagliato retaggio culturale, in gran parte divenuto patrimonio dell’intera umanità, i giovani d’Europa assumano crescente consapevolezza e meditato orgoglio. Il difficile domani che ci sta di fronte esige una coraggiosa e originale riscoperta dei tratti più fecondi della cultura europea, il gusto inquieto della ricerca e delle opere, la percezione del valore inalienabile dell'individuo libero, partecipe di una comunità retta e garantita dalla legge".

Sandro Pertini

Rodolfo Lopes Pegna:

Amici organizzatori, autorità, signore e signori, nel portare il mio saluto personale e quello della giunta esecutiva dell’Ente Fiera, esprimo la nostra soddisfazione nell’ospitare questa seconda edizione dei Meeting per l’amicizia fra i popoli particolarmente importante e interessante sia per il credito con cui l’iniziativa si presenta, dopo il successo ottenuto all’esordio lo scorso anno, sia per l’attualità dell’argomento scelto a tema di quest'anno: "L’Europa dei popoli e delle culture". Credo che sia per tutti motivo di compiacimento il poter costatare, sulla base dei programma che è stato predisposto, la serietà con la quale questo tema sarà svolto. Anche le prossime giornate vedranno, infatti, accanto a spettacoli e manifestazioni di grande interesse, la partecipazione di molte personalità italiane ed estere che per il loro prestigio rappresentano il simbolo dei desiderio dell’unità dei popoli europei e costituiscono al tempo stesso un preciso punto di riferimento per chi, seppur a partire da visioni e da impostazioni diverse, desidera comunque impegnarsi per realizzare, tassello dopo tassello, il grande armonico mosaico dell'unità europea. Da questo punto di vista credo che l’aspetto più interessante di questa manifestazione, che oggi inauguriamo, risieda nel suo configurarsi come un grande incontro fra uomini diversi, provenienti da territori geograficamente anche lontani e portatori ciascuno di una propria particolare cultura, di una propria storia, di un proprio contributo da dare. In questo fatto risiede a mio parere l’aspetto più suggestivo delle giornate dei Meeting, proprio nella possibilità cioè di ritrovare, all'interno anche d’esperienze profondamente diverse, dei riferimenti e dei valori comuni sui quali la costruzione dell'unità europea possa avere più concretezza, rispettando e anzi valorizzando quegli elementi di diversità che, giustamente intesi, possono e debbono contribuire ad arricchire quel tessuto unitario che noi - europeisti convinti - desideriamo costruire. Intervenendo a questa manifestazione noi tutti, credo, siamo chiamati ad assumerci l'impegno di rinnovare i nostri sforzi personali e collettivi per offrire fino in fondo il nostro contributo per la realizzazione di questo grande disegno d’unità europea. In questo senso ritengo che queste giornate possano rappresentare, per chi vi parteciperà, un punto di riferimento perché, sulla base delle testimonianze ascoltate e della riscoperta di realtà di cui si poteva magari ignorare l'esistenza, possa riaccendersi in ciascuno la suggestione di un impegno per un obiettivo che trascenda il proprio particolare, per legare gli uomini in una prospettiva di pace, di tolleranza e di rispetto reciproco. Mi sia consentito infine, a conclusione di questo breve saluto, rivolgere un plauso agli organizzatori per l’abilità e la capacità dimostrata, per lo sforzo organizzativo messo in essere, per la chiarezza di visione con la quale è stato messo a punto il programma di questa manifestazione. Auguri dunque perché questi sforzi siano premiati, perché i risultati di questo Meeting corrispondano alle vostre e alle nostre aspettative, perché il successo di quest’anno possa costituire il presupposto di altre ancor più riuscite prossime edizioni di questa manifestazione. Grazie.

Giancarlo Pasini:

Signor Ministro, Signori Presidenti della Giunta e del Consiglio Regionale, Signor Sindaco, Autorità e amici tutti, l’Europa dei popoli e delle culture è da tempo presente e in modo cospicuo in questa nostra terra di Romagna, attraverso la presenza fisica dei suoi cittadini che scelgono le nostre zone per le loro vacanze e per il loro tempo libero. Ciò dimostra che questo territorio possiede una capacità d’incontri, d’esperienze e d’espressioni, le più diverse, che superano il pur notevole fatto economico e si pongono come potenziale strumento per la conoscenza reciproca e quindi per l’amicizia fra le genti. Nel portare quindi il saluto della organizzazione turistica pubblica della nostra Romagna a tutti i partecipanti a questo Meeting, non possiamo nasconderci la soddisfazione per avere contribuito a creare un teatro e una platea veramente idonei e direi quasi naturali, per incontri, come il Meeting che si apre oggi, che esprimono le stesse aspirazioni di pace e di fratellanza dei popoli dell’Europa. Ma agli organizzatori di questi incontri va riconosciuto un merito importante e particolare: quello cioè di dare concretezza a queste aspirazioni molto spesso soffocate dagli egoismi e dalle prevaricazioni di vario tipo, richiamandoci tutti alla meditazione circa le nostre comuni origini, per rendere più facile la riflessione sul nostro comune cammino futuro. Di questo noi abbiamo particolare bisogno: di riflessione e di meditazione, per operare serenamente l’attuazione concreta di quel precetto nel quale tutti ci riconosciamo, cristiani e no: ricercare le cose che ci uniscono e non quelle che ci dividono. A questa ricerca il Meeting per l'amicizia fra i popoli e le manifestazioni di cui è composto porteranno un contributo non trascurabile e la nostra gente apporterà il significato della propria presenza e della propria partecipazione. Grazie di essere qui e benvenuti a tutti.

Massimo Conti

A Lei signor Ministro, ai Presidente della Giunta Regionale, al signor Sindaco, agli Onorevoli presenti, alle autorità presenti, ma soprattutto - mi si consenta - a tutti coloro che hanno voluto organizzare questo incontro, ai partecipanti, ho l’onore di porgere un sincero benvenuto ed un caldo ringraziamento, non solo per aver scelto questa città, ma per la speranza che la vostra iniziativa suscita. Il Meeting ‘81, un'occasione di dialogo, di confronto, ma soprattutto, ci auguriamo, un messaggio di pace che è rivolto ai popoli, alle genti d’Europa; un’Europa che talvolta sembra aver smarrito il senso della sua storia e di un destino comune, pur nelle diversità della lingua e delle esperienze. Con l’iniziativa dei Meeting abbiamo un’ulteriore occasione dunque per arricchire il dizionario di quello che dovrebbe essere sempre più un comune linguaggio. E’ possibile, deve essere possibile; l’esperienza di una città come Rimini forse può star lì a dimostrarlo: l’esperienza di una città che non vuoi essere per l’occasione solo cornice al vostro incontro ma partecipe di un comune dibattito. Benvenuti e buon lavoro.

Zeno Zaffagnini

Signor Ministro, signor Presidente della Commissione della Comunità Europea, signori Presidenti dell’Assemblea e della Giunta Regionale, Onorevoli Parlamentari, Autorità, ragazzi e ragazze partecipanti a questo secondo Meeting dell’amicizia, è con vero piacere che vi porto il saluto della città di Rimini, dell’Amministrazione Comunale e mio personale, sicuro che gli incontri, i dibattiti, le iniziative che si svolgeranno in questa settimana saranno un contributo all’affermazione della amicizia e della pace fra i popoli. Il tema che avete scelto quest’anno è di grande - interesse, di straordinaria, eccezionale attualità. Il mondo sta vivendo un momento difficile e delicato: la corsa al riarmo è ripresa in forme esasperate e con strumenti inumani di distruzione; i focolai di tensione vanno estendendosi e coinvolgono sempre più il Mediterraneo, lambendo le coste dei nostro Paese.

Ciò ha sollevato la giusta preoccupazione di tutti i popoli, sia per i pericoli che in essa sono contenuti per il futuro dell'umanità, sia perché essa rende sempre più problematico l'avvio a soluzione positiva dei rapporti Nord-Sud, dei problemi dei sottosviluppo, dell’arretratezza sociale, economica, della fame nel mondo. E’ in questa situazione che si colloca il ruolo dell’Europa, che si colloca la sua funzione. Essa potrà essere determinante se saprà uscire dai particolarismo, dalle anguste visioni nazionali, se saprà precisare una sua strategia, che non sia una neutralità confortevole e passiva, fatta di rassegnazione e di rinuncia ma che abbia un respiro tale da poter dare un contributo decisivo alla causa della coesistenza, dell'amicizia, dei progresso, della pace. Negli ultimi cent'anni l’Europa ha vissuto momenti sociali, economici, culturali e politici d’eccezionale portata. Nel nostro continente si sono sviluppati i grandi movimenti di massa, il liberalismo, l’imperialismo, il fascismo, il socialismo, il comunismo, che hanno inciso profondamente sulle società dei paesi extraeuropei. In Europa sono sorte figure dominanti nei campi della politica, della cultura, della scienza, che hanno caratterizzato il XX secolo. L’Europa è stata anche teatro, purtroppo, della devastante esperienza di due guerre mondiali che hanno portato distruzione e morte per milioni dei suoi abitanti. Sono questi i presupposti, con tutti i loro chiaroscuri, con tutti gli elementi di contraddizione in essa contenuti, che hanno permesso l’avvio dell’unità europea e che possono e che debbono più che mai spingerci a lavorare per la sua ulteriore affermazione, come fattore di progresso e di civiltà per i suoi popoli e per il mondo intero; progresso e civiltà che hanno bisogno dei disarmo, della distensione e della pace. Disarmo, distensione e pace non possono essere realizzati con l'equilibrio dei terrore, con la realizzazione d’armi sempre più sofisticate e micidiali, ma imboccando la strada dei disarmo controllato, che permetta di raggiungere l’equilibrio degli armamenti ai livelli più bassi possibili. L’Italia e l’Europa, l’Europa dei popoli, l’Europa con la sua grande tradizione culturale, debbono sviluppare una precisa azione che porti al dialogo, alla trattativa. E' questo l’obiettivo, che ci sta di fronte nelle prossime settimane e nei prossimi mesi e che potrà essere realizzato se in ognuno di noi non vi sarà rassegnazione, se ognuno di noi saprà giocare il proprio ruolo senza titubanze o tentennamenti. E’ per questo che iniziative come quella odierna, così come tutte quelle che si svolgono in ogni parte d’Italia e d’Europa, anche se prese a sé stanti possono apparire piccola cosa nei confronti della complessità e dell'enormità dei problemi, hanno un grande valore e trovano la nostra più completa e totale adesione. Nel rinnovare a voi tutti il saluto della città, con l’augurio di un piacevole soggiorno a Rimini, permettetemi di esprimere un auspicio: che queste giornate dei secondo Meeting si concludano con un appello a tutta la gioventù italiana ed europea perché l’amicizia e la pace siano il segno distintivo dei foro modo d’essere e d’agire e perché Rimini, come da tempo auspichiamo, diventi anche per gli anni a venire un sicuro punto di riferimento per questi obiettivi.

Lanfranco Turci

Autorità, cari amici, innanzitutto permettete che io esprima, come hanno già fatto gli altri oratori, la soddisfazione che Rimini e la nostra Regione ospitino ancora questa nuova edizione dei Meeting per la pace e l’amicizia fra i popoli. Una soddisfazione sottolineata dal fatto che questa Regione, l’Emilia Romagna, ha un'antica tradizione d’iniziative (le più diverse anche per connotazione politica e culturale) di rapporti con popoli, con Paesi di diverso regime sociale, di diversa storia e ordinamento politico. Una Regione che ha portato in tutti questi anni un suo contributo attivo, fatto d’intelligenza e di passione, al terreno della pace e della comprensione. Certo, guardando con la distanza della storia e man mano con distacco l'esperienza di questi anni, si potranno sempre meglio cogliere le connotazioni, anche più, marcate, anche più di parte, di questa o quella iniziativa sul terreno della pace e dell'amicizia fra i popoli. Ma non c’è dubbio che si è trattato complessivamente di una scelta di parte giusta, della parte dei popoli, della loro comprensione, soprattutto della parte dei più deboli, degli umili, degli indifesi. Ora, ancora recentemente, da questa Regione, dal suo capoluogo Bologna, il 2 agosto, è stato lanciato un appello a tutti i giovani d'Europa perché si uniscano, uniscano il loro impegno, non solo di lotta, ma prima ancora d’intelligenza e di comprensione, contro il terrorismo, questa nuova piaga, questa minaccia mortale per la vita non solo dei nostro Paese; abbiamo ricordato appunto un mese fa la strage di Bologna, ma per la vita d’altri Paesi e d’altri popoli d’Europa. Un’Europa che la ricchezza, la varietà della storia, la varietà delle culture, rendono un’area eletta per un esercizio di comprensione reciproca, di tolleranza, di rispetto della cultura, della fede degli individui e dei popoli anche più diversi fra di loro. Anche per questo credo che possiamo inviare da questa sede un augurio che riprenda fattivamente la conferenza di Madrid, che porti risultati più solidi e più rispettati di quelli che sono stati raggiunti nella pur importante conferenza di Helsinki e nella "Carta" che scaturì in quell'occasione. Ma l’Europa, proprio per questa sua storia, ha la necessità di svolgere un ruolo confacente alle proprie caratteristiche di continente dell’antica civiltà, un ruolo positivo volto a ricondurre le tensioni, a favorire la distensione e la pace. Tanto più poi che l'esplodere della tensione a livello mondiale si focalizzerebbe in Europa, mettendo in questione la sua stessa esistenza fisica e conseguentemente quella dei suoi popoli e delle sue culture. Credo che non esageriamo se diciamo che si vengono addensando sul nostro continente nubi oscure, nubi fredde che ricordano appunto gli anni terribili della guerra fredda che seguirono alla fine della seconda guerra mondiale. Che questi pericoli siano reali e non immaginari e che più che mai lo siano per il nostro continente, lo mostra il fatto che tutte le decisioni per il riarmo strategico a livello mondiale hanno sinora riguardato, quasi esclusivamente, il nostro continente e le armi di cui si parla da parecchio tempo oramai e con più intensità riguardano espressamente il nostro continente: gli SS 20, i Cruise, i Pershing, la bomba N. Tutto ciò viene mentre i punti caldi della crisi circondano sempre più da vicino l’Europa. Il cosiddetto arco della crisi va infatti ormai dall’Afghanistan, all’Iraq, all’Iran, al Medio Oriente con la crisi libanese sempre più drammatica, fino al recente episodio dello scontro aereo nel Golfo della Sirte. La crisi è così arrivata a pochi chilometri dalla Sicilia, in cui si è deciso proprio in questi giorni di installare i 12 Cruise con cariche di 200 Kilotoni ciascuno, per un totale di potenza distruttiva pari a quella di 1.120 bombe di Hiroshima. Dunque una catena di conflitti che si aggravano e d’incidenti sempre più prossimi all’area europea, che con le ultime proposte di riarmo rischia di diventare il serbatoio più esplosivo di un’area che registra in prossimità già continue esplosioni a catena. L’Europa dei popoli e delle culture non deve soccombere, né tantomeno può tacere, al di là delle differenze, delle diversità di concezione, deve essere unita anche nel ricordo delle sofferenze immani patite nel corso dell’ultima guerra mondiale. In quest’opera la molteplicità delle culture, il grande numero dei popoli, può essere un fattore positivo, più di unione che di divisione nella lotta per la propria sopravvivenza e per quella dell’umanità intera, di cui l’Europa porta una grande responsabilità; questa ricchezza di diverse concezioni, di diverse culture, di diverse nazioni, avvantaggia il nostro continente. L’esperienza europea ha insegnato a spese di milioni di vite umane nel corso di molti secoli che non è vero che per salvare la pace basta prepararsi alla guerra. Le armi sono prodotte per essere usate prima o poi, non serve essere più deboli ma nemmeno più forti militarmente, in un generale equilibrio occorre agire per la riduzione delle armi, perché altrimenti, seguendo la logica dei riarmo, si avrà sempre il timore che l’altro possa scoprire armi sempre più sofisticate, più pericolose e allora si penserà alla propria sicurezza.

L’unica garanzia dunque è quella dell’equilibrio nella riduzione e nell’abbassamento dei livelli di potenza dei reciproci armamenti. Ci paiono queste considerazioni non di circostanza, ma invece attuali, tanto più attuali in questi giorni in cui si apre il vostro Meeting. Per questo, noi ci auguriamo, anzi siamo certi che questi sentimenti e questi orientamenti risulteranno ribaditi dai vostri lavori. Grazie.

On. Lorenzo Natali

Un grazie sincero, cari amici, per l’invito ad essere qui presente a questo secondo vostro appuntamento in questa città, a buon titolo definita europea. Grazie soprattutto per la possibilità che mi è data di riflettere insieme a voi sulle ragioni e sui motivi che sono alla base di questo incontro così profondo di significato, così emblematico delle inquietudini, ma anche delle speranze delle giovani generazioni.

L’amicizia fra i popoli è certamente il movente più nobile di ogni azione politica anche se esso è difficile e complesso. L’Europa dei popoli e delle culture costituisce inoltre per noi europei il fondamento principale ed ineguagliabile della nostra origine comune, dei nostro sentirsi comunità, nonostante gli scontri e i conflitti che pure hanno segnato la nostra storia. Una storia che fino a qualche tempo fa era basata sul presupposto che l’Europa fosse il centro politico, economico e culturale dei mondo, presupposto che veloci e tumultuose evoluzioni hanno abbondantemente modificato. L’Europa ricerca quindi oggi una sua identità: e chi dei resto non cerca in quest’epoca così travagliata una propria identità? Ognuno di noi si batte in una costante verifica di certezze acquisite perseguendo tuttavia l’obiettivo dì raggiungere anche in sé una nuova sintesi morale e civile. La nostra esperienza umana si realizza nel segno di un rapido evolversi dei costume e delle esigenze e contemporaneamente nel più lento adattamento psicologico individuale al mutare dei tempi. Questi temi esistenziali sui quali troppo raramente ci soffermiamo durante le nostre convulse giornate, questi temi ci sono riproposti stasera nella luce della festa ma anche soprattutto della riflessione, per inserirci nell’ambito geografico e politico che è nostro: l’Europa. L’Europa è un tema in qualche modo usuale; si deve però realisticamente riconoscere che alle orecchie di tanti il termine Europa non suona in modo propriamente familiare. Probabilmente l’uomo europeo ha perso la memoria. Il limite di tanti discorsi ed iniziative europee sta nella loro incapacità di ridestare questa memoria: di incontrare quindi e di coinvolgere l’avventura umana dell’uomo europeo presente, passato e futuro, con accenti convincenti di verità. Sono, queste, frasi non mie, ma degli organizzatori, che io ho voluto ricordare testualmente per sottolineare la capacità di individuare con efficacia alcuni aspetti che hanno caratterizzato i trascorsi decenni. Assistiamo infatti nel nostro tempo, ad una discrasia mentale: da un lato ci si sente necessariamente e molto legati e collegati alla realtà europea che ci circonda, dall'altro v'è ancora insicurezza, direi instabilità psicologica, derivante dalla non conoscenza o dalla mancanza di memoria dei perché noi siamo in Europa e ad essa apparteniamo. Non a caso all'inizio parlavo di crisi d’identità. Essa è dovuta certamente a complessi fattori storici e sociali e trova sostanza nella ricerca dei ruolo che l’Europa deve svolgere. Tuttavia credo che essa sia dovuta anche all’oblio e al non approfondimento degli elementi culturali ed umani che hanno costituito la ricchezza varia e molteplice, nelle sue specificità nazionali e locali, dell’Europa. Questa Europa la cui idea unificante nasce lontano nei tempi, in quelle fonti di civiltà che hanno il nome di Grecia, di Roma, di Cristianesimo. Il concetto di Europa - afferma un eminente storico - doveva formarsi per contrapposizione a qualcosa che non è Europa. E la prima contrapposizione all’Europa di qualcosa che Europa non è, è opera dei pensiero greco; e questa Europa rappresenta lo spirito di libertà; laddove libertà significa partecipazione di tutti alla vita pubblica, dunque di cittadini e non di sudditi, significa vivere secondo le leggi, non secondo l’arbitrio di un despota. E un altro storico scriveva: "L’Europa è stata strutturata dal giudeo-cristianesimo, dalla nozione greca di individuo, dal diritto romano, dal culto della verità oggettiva, ciò nonostante e malgrado i nazionalismi". Due sono state in sostanza le motivazioni che hanno dato vita ai tentativi di unificazione europea. La prima nasceva dalla condanna della guerra e delle distruzioni che essa comportava, nella speranza di giungere ad eliminare pacificamente i conflitti. La seconda dalla tendenza egemonica di alcuni stati: il dominio sul continente europeo - ricordiamo ha significato, fino a poco tempo fa, il dominio sul mondo intero. Storicamente i tentativi di egemonia hanno avuto la caratteristica di essere legati alla vita di un uomo solo e di essere contrassegnati da anni di guerra più numerosi dì quelli di pace (accenno soltanto a Carlo Magno, a Carlo V, a Napoleone). Questi cenni sono sufficienti per poterci ricollegare ai grandi nomi di quella che chiamerei la preistoria dell’Europa, a coloro i quali seppero elevare il loro spirito ad una visione più ampia e ricca di quella che allora poteva apparire come un’utopia; come non ricordare il contributo fondamentale dei patrono d’Europa Benedetto da Norcia e di Dante che con la sua "ordinatio ad unum" fu il primo messaggero di una concezione realmente federalista? Come non ricordare un re di Boemia Giorgio di Podebrady che presenta un progetto di ventuno articoli per una confederazione continentale? Come non ricordare Grozio, Kant, lo stesso Napoleone che a Sant’Elena nel 1815 dichiarava: "Penso che dopo la scomparsa del mio sistema non ci sia in Europa altro equilibrio possibile se non l’unione e la confederazione dei grandi popoli". E raccomandava nel suo testamento di riunire l’Europa con legami federativi indissolubili. Ed ancora Saint-Simon, Victor Hugo, Giuseppe Mazzini, il cui busto campeggia - omaggio doveroso - nel palazzo dell’Europa di Strasburgo. Dalla preistoria alla storia, e anche qui soltanto alcuni accenni: nel 1922, dopo la prima guerra mondiale, l’idea di Europa riprese corpo, dapprima con gli articoli di uno studioso, il conte Codenove Calergie che richiedeva l’organizzazione di un’unione pan-europea, successivamente Aristide Briam pronunciava nel 1929 un discorso in cui chiamava i popoli europei a stringere una sorta di legame federale e negli anni ‘30, fino alla seconda guerra mondiale, l’idea federalista cresceva in tono e precisione con Robert Aron, Denis De Rougemont, Alexandr Marc ed altri. La seconda guerra mondiale non interruppe l’elaborazione concettuale: numerosi furono i progetti di costruzione europea che videro la luce in questo periodo ed è doveroso, per noi italiani, ricordare nel 1941 il manifesto di Ventoteni. Ma è grazie all’intuizione e alla lungimiranza di Jean Monnier, Robert Schuman, Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer, fu grazie all’intuizione di costoro, uomini tutti - lo dobbiamo sottolineare - di regioni di confine, che avevano più di ogni altro provato le tragedie ed i drammi della guerra, fu grazie a quella intuizione che negli anni dei dopoguerra si dette vita, anche se con forme non dei tutto ortodosse per i federalisti puri, alla realizzazione di un progetto concreto e in termini politici reali della secolare aspirazione verso un’Europa unita. Qui permettetemi di attardarmi. E’ vicenda assai nota per riviverla in questo momento: la comunità nata a ‘sei’, passata a ‘dieci’ con l'ingresso della Grecia, si avvia ad essere composta di dodici Paesi, con l’ingresso del Portogallo e della Spagna. "Bienvenidos, Bienvenidos a Rimini y en Italia. Nosotros esperamos lo mas pronto possible, bienvenidos en la comunidad europea, queridos amigos de Salamanca y de Espana". Vorrei tuttavia, e questo è quanto più mi sta a cuore, ricordare che le strutture europee, quali oggi esistono e che comunemente chiamiamo Comunità Europea, affondano le loro radici nella convinzione profonda che l’amicizia fra i popoli è il primo elemento di un nuovo convivere civile: è il presupposto indispensabile per lo sviluppo economico, è la risposta migliore all’interrogativo esistenziale citato all’inizio. Queste strutture sono la realizzazione oggi possibile di quell'idea d’Europa che, come abbiamo intravisto, nasce lontano nel tempo, nella attesa e nella speranza dei nostri popoli legati insieme dal patrimonio ricco e vario della propria cultura. Esse, per imperfette, o meglio perfettibili che siano, esistono ed arricchiscono a loro volta, giorno dopo giorno, la nostra comunità di europei. Esse sono, per definizione, al servizio dell’uomo che intendono tutelare e potenziare nei suoi valori essenziali rispettandone l’indipendenza e le peculiarità. Il preambolo dei trattati di Roma (di cui l’anno prossimo ricorre il venticinquesimo anniversario), con cui fu istituita la Comunità Europea, è in proposito eloquente nel tratteggiare con forza la volontà di difendere la pace mondiale, di superare le rivalità secolari, nel fondare, con l’instaurare una comunità di interessi, una comunità più vasta e più profonda fra popoli per lungo tempo avversi per divisioni sanguinose. Ciò al fine di porre le fondamenta di un’azione e di un’unione più stretta fra i popoli europei. Viviamo così, tutti i giorni e tutti noi a Bruxelles o dovunque si trovi un cittadino europeo, l’esaltante esperienza dei realizzarsi lento, paziente, talvolta indubbiamente oscurato da qualche turbolenza, che non può arrestare l'evoluzione, il realizzarsi dicevo, di questo grande ideale di unità e di solidarietà a cui vorremmo fosse associato un sempre maggior numero di cittadini e di popoli europei. Di qui la necessità che l’uomo europeo ritrovi la memoria, ma essa deve essere anche testimonianza dell’oggi, dell’accorgersi che l’avventura umana di ciascuno di noi è anche quella di ciascuno che ci troviamo accanto, che con noi vive una realtà comune che affonda le sue radici nel passato e che per ciò stesso è elemento unificante dei presente proiettata verso il futuro. La memoria diventa in tal modo percezione del comune cammino svolto e dei nostro avvicinarsi per tappe nella speranza che non ci siano arresti e con l’impegno ad evitarli, verso una più sicura e definitiva Europa dei popoli aperta al resto dei mondo. Noi infatti non vogliamo, né dobbiamo, essere un club ristretto ed elitario. La nostra vocazione cristiana ed europea è l’apertura e la cooperazione; non è espressione retorica dirvi che una delle esperienze più stimolanti ed affascinanti che io ho trovato negli oltre quattro anni di permanenza nella Commissione delle Comunità Europee, è stato il contatto frequente con gli esponenti dei cosiddetto Terzo mondo a noi legati da quella che si chiama la convenzione di Lomè. Sono sessanta paesi dell'Africa, del Pacifico, dei Caraibi, antiche colonie, oggi collegati all'Europa su un piede di pari dignità, a testimonianza dei definitivo ripudio della politica dello sfruttamento e del colonialismo e della scelta di quella cooperazione allo sviluppo ed alla crescita di quei popoli non più oggetti ma padroni dei proprio destino, soggetti ed interpreti della loro vita, dei loro futuro e dei foro avvenire. Certo nel nostro cammino ci sono, non possiamo nascondercelo, motivi di inquietudine e di preoccupazioni individuali e sociali: la disoccupazione, l’inflazione, il rinascere di nazionalismi ed egoismi (siamo qualche volta tentati, è vero, di isolarci, ancora una volta come se da soli fossimo capaci di affrontare le difficoltà dei nostro tempo) eppure credo sia maturata in questi decenni una forza che mi auguro permetta di superare i momenti disgregatori che potrebbero presentarsi all’orizzonte; è una forza che forse ad un livello ancora non perfettamente emerso nella nostra coscienza è, ormai ancorata nel nostro essere europei; è tra l’altro la consapevolezza dei cammino percorso. Lo smarrimento sarebbe grande se pensassimo che i nostri Paesi e i nostri popoli potrebbero essere di nuovo disuniti, lacerati da discordie e da interessi non controllati. Questa forza nasce dunque dalla convinzione che soltanto nel progresso e nel rafforzamento dell’Europa potranno trovarsi il coraggio e gli strumenti necessari per superare la grave crisi che ci colpisce. Vorrei a questo punto rendere omaggio ad una delle nostre istituzioni che recentemente due anni fa ha cominciato una nuova vita e rappresenta - come in ogni democrazia - i popoli che lo hanno eletto: mi riferisco al Parlamento europeo, il quale anch’esso è in cerca di un nuovo spazio da ritagliare nel quadro delle norme esistenti nei trattati ma eventualmente anche nell'ambito di una loro riforma. Il Parlamento europeo è tuttavia già il segno concreto dell’Europa dei popoli che s’incontra e si confronta quotidianamente. Quanto finora ho avuto la possibilità di dirvi mi spinge a rinnovare il mio ringraziamento a voi giovani qui presenti ed a dirvi che il vostro entusiasmo e la vostra consapevolezza possono essere decisivi per concretizzare l’impegno di operare alla luce dell’ideale che è proprio di questo incontro: l’amicizia fra i popoli, nella sottolineatura di quella che è stata chiamata la solida trama di unità e comunanza culturale originata dalla comune fede, può garantire pace e solidarietà a questo nostro continente ed alla umanità intera perché non vorrei che un domani dovessimo ripetere le parole di Thomas Mann: l’abisso di ironia, di dubbio, di contraddizioni, di conoscenze, di sentimenti che vi separa dagli uomini si approfondisce sempre di più. Siete soli ed ormai non c’è più intesa possibile". Sono convinto che un tale domani non ci sarà se sapremo ispirare il nostro quotidiano lavoro a lottare contro ciò che ci divide ed a ricercare ciò che ci unisce; ed in questo sta, lo sentiamo tutti, il senso profondo di questa manifestazione che oggi inauguriamo. Grazie.

On. Guido Bodrato:

Cari amici, nel rivolgere a tutti voi e alle Autorità presenti il mio saluto, mi sento direttamente coinvolto nel tema che caratterizza questo secondo Meeting per l’amicizia fra i popoli. A me pare che sia necessaria in questa occasione una riflessione molto sincera sul tema Europa che stiamo affrontando. A me sembra che qui lo abbiate affrontato in primo luogo con la consapevolezza di una crisi che l’Europa sta attraversando anche se a due anni dalla data di formazione dei Parlamento Europeo; di una crisi che è tanto più grave se la consideriamo, come è necessario considerarla, inserita in una situazione di crescenti tensioni a livello mondiale. Questo Meeting oltre a questa consapevolezza si muove da una volontà precisa e ferma di recuperare e fare crescere una speranza di dare un significato nuovo ad una idea antica, attorno alla quale è possibile fare lavorare insieme i giovani e ricollegare questa loro esigenza di rinnovamento con una parte essenziale della tradizione cristiana dei nostro e degli altri Paesi europei. Tradizione significa una, permanenza di valori e la volontà di farli maturare in una esperienza comune; significa ricerca e valorizzazione di una cultura capace di interpretare e di risolvere nel senso della unità, esperienze, problemi e posizioni diverse. Se noi vogliamo oggi parlare d’Europa dobbiamo intanto riconoscere che la linea della graduale integrazione economica, sociale e politica che è stata seguita in questi oltre trenta anni, ha bisogno di un ripensamento. Questa linea ha portato certamente a delle conquiste decisive che sono state ricordate prima dall'On. Natali. Ma noi siamo oggi ad un punto di stallo nella politica europea. Riemergono tensioni nazionalistiche, e queste tensioni, a me sembra, nel prevalere di interessi economici particolari, evidenziano il limite di certe concezioni, di quelle che hanno fatto parlare in termini polemici di Europa capitalistica o di Europa, in diverso modo, socialdemocratica. Al di là di questi limiti, dei prevalere di questi interessi economici, noi ci rendiamo anche conto dei fatto che la tendenza che sembra continuamente riemergere, al di là delle dichiarazioni di principio che si fanno, di una concezione eurocentrica, è anch'essa oggi, non soltanto in crisi, ma improponibile nel quadro internazionale. Ed essa pare nei fatti obiettivamente come una posizione subalterna e debole sia di fronte alla dottrina sovietica della sovranità limitata sia di fronte a certo realismo occidentale che fa pensare che la democrazia europea possa sopravvivere solo se protetta dall’ombrello nucleare americano. Questa situazione di difficoltà della politica europea non può essere lasciata fuori dalle porte di questa sala se la nostra riflessione vuoi essere sincera, se noi vogliamo dare un contributo, se non altro fondato, al discorso che si sta riaprendo sui problemi europei. Una seconda riflessione. E’ necessaria una forte ripresa, una rinascita dell’idea della Comunità Europea, con un salto di qualità nel dibattito politico, con un ritorno alle radici culturali dell’unità europea, con un dibattito aperto e franco sulle diverse correnti che hanno promosso e portato avanti il processo di unità europea in questi trent’anni e tra queste correnti non vi è dubbio che sia preminente il contributo dell’umanesimo cristiano. L’unità europea che non è uniformità, che è ricca perché fatta di posizioni, dì esperienze diverse, di linguaggi diversi ma che intendono comprendersi e convivere, e reciprocamente arricchirsi, è tessuta dei valori della libertà, della solidarietà, dell’eguaglianza, dei rispetto della persona, dei senso comunitario. Sono tutti valori che hanno profonde radici nel pensiero cristiano, nel diritto naturale cristiano come una volta era definito, o nell'umanesimo cristiano come oggi più normalmente si dice. La storia europea, il cammino verso l’unità, è certo ricco di contraddizioni e anche di fasi di pericoloso riflusso che in qualche occasione hanno coinvolto e travolto le stesse posizioni cristiane, ma tanto più ci si è avvicinati all’unità quanto più si sono affermati nei popoli europei gli ideali e i valori del cristianesimo. Se noi rileggiamo la Carta dei diritti dell’uomo, che è, fino alle attuali Costituzioni dei paesi occidentali e più in là, come la base storica concreta di un comune e più vasto modo di concepire la vita politica e la concezione dello stato, vediamo che essa sì basa su questi princìpi, in qualche modo li richiama, anche se certamente fa tesoro di un lungo processo di maturazione storica nel corso dei quale contributi decisivi sono venuti anche da correnti liberali, socialiste, repubblicane, specie nel nostro paese. Ma l’unità europea alla quale noi oggi pensiamo, non è una unità costituita dal dominio di una nazione sulle altre, in questo vi è una profonda diversità tra gli obiettivi che si perseguono oggi e l’Europa in qualche modo politicamente unita che noi registriamo nel passato. L’unità di oggi è l’unità che intendiamo realizzare per libera scelta europea intrecciata con il processo di cristianizzazione dei nostro continente: una libertà prima concessa poi conquistata contro forme totalitarie e autoritarie ma una libertà non formale, una libertà sostanziale, strettamente intrecciata con l’idea della giustizia, della solidarietà, una libertà che deve essere vissuta, non soltanto conquistata, ma conservata con un impegno personale. Se mi è permessa una citazione, l’unica che vorrei fare, riferita a Mazzini: "Più della schiavitù temo la libertà recata in dono"; più di un’Europa che fosse artificiosamente unita noi dobbiamo temere queste forme di protezione, di coinvolgimento, che qualche volta sono proposte come garanzie esterne al processo di unità europea. Noi possiamo, voi giovani soprattutto, potete essere parte essenziale per un'azione che rafforzi e arricchisca sul piano morale e civile l’unità europea, se riusciremo, se riuscirete, a recuperare in modo evidente, forte e diffuso, questo raccordo con le tradizioni cristiane che sono alla base dei momenti più alti e felici di unità europea. Una terza considerazione. Dobbiamo superare ogni concezione limitativa dell’idea di unità europea, ogni concezione in qualche modo garantista o difensiva dell’unità europea. Un’Europa che apparisse come una città separata rispetto al resto dei mondo, chiusa in se stessa nella difesa della propria cultura o dei propri privilegi (non vi sarebbe grande diversità tra l’una e l’altra definizione), un’Europa che non sapesse farsi carico dei problemi dei Terzo Mondo e non fosse quindi in grado di elaborare un suo progetto di sviluppo per i Paesi dei Terzo Mondo, un’Europa che non riuscisse a comprendere come questi ideali della sua tradizione crescono, si rafforzano, si ripropongono al di là dei confini della Comunità Europea alla quale noi oggi apparteniamo (penso in particolare ai problemi, alle lotte dei valori che stanno rinascendo in Polonia) una Europa che non fosse in grado di risolvere le sue contraddizioni (quelle che riflettono i momenti di più profonda e dolorosa divisione che ancora sopravvivono anche se in una regione a noi fontana e territorialmente modesta come l’Irlanda), questa Europa egoistica non meriterebbe l’entusiasmo, l’impegno, la dedizione, il sacrificio dei giovani europei e quindi nemmeno il vostro impegno e il vostro sacrificio. Noi pensiamo quindi all’Europa che, abbandonata l’idea eurocentrica, nata non a caso nell’era delle colonie, sente di dovere compiere egualmente qualcosa di decisivo nella nostra storia contemporanea. La quarta riflessione che vorrei fare riguarda il rapporto tra l’Europa e il problema della pace. Non vi è dubbio che la politica di unità europea, la graduale integrazione (che prima ho detto non mi pare sia una scelta efficiente perché, rischia di impegnare soltanto le istituzioni e non in profondità la coscienza dei popoli) è stata una delle cause decisive per la conservazione della pace in questa parte dei mondo e credo, anche più in generale, è stato un punto di riferimento e di equilibrio nel ritornante conflitto tra le due maggiori superpotenze mondiali. Se però noi, attraverso il processo di integrazione economica e politica europea, abbiamo evitato di ricadere nel ciclo perverso dei conflitti nazionalistici, dobbiamo riconoscere che il problema della pace va oggi affrontato a livello planetario. Non è sufficiente garantire per se stessi solamente la pace, non si può garantirla soltanto per l’Europa. E non a caso ancora oggi l’Europa è al centro di una polemica molto forte sul problema della sicurezza internazionale e della pace tra i popoli. Allora noi dobbiamo dire che se oggi, in termini immediati, il problema della pace si chiama sicurezza, se le scelte che abbiamo compiuto, aderendo al Patto Atlantico, sono scelte per se stesse non reversibili e per se stesse difensive e quindi non portatrici di pericoli di guerra, non è peraltro sufficiente limitare a questa affermazione la nostra riflessione sui problemi della pace in connessione coi problemi dell'Europa. L’Europa deve svolgere un ruolo più decisivo (perché lo può fare per il suo prestigio politico, per la sua forza economica, per la sua collocazione geografica) perché riprendano negoziati seri per il disarmo. Il settimanale al quale la maggior parte di voi si riferisce, Al Sabato", nell'editoriale di questa settimana ha messo in evidenza la debolezza dell'iniziativa politica europea in questo momento e, in modo molto realistico, afferma che oggi non è possibile chiedere di più all’Europa, perché non si è preparata ad un ruolo più impegnativo. Ma deve prepararsi ad un ruolo più impegnativo. Noi non possiamo ritrovarci senza capacità d’iniziativa tra la dottrina della "sovranità limitata" dell’Unione Sovietica e quella della democrazia protetta degli Stati Uniti d’America, per quanto siano alleati con i quali abbiamo portato avanti e intendiamo portare avanti in prospettiva una politica comune di sicurezza e di pace. L’Europa deve dare un proprio contributo, deve riuscire ad evitare che si ritorni inavvertitamente verso un clima da guerra fredda, che, cari amici, teniamolo ben presente, nella migliore delle ipotesi congela le posizioni, rende rigidi i confini e quindi rende praticamente impossibile i percorsi di rinascita democratica e di passaggio alla libertà che sono invece l'anelito profondo dei paesi dell’Est Europa, ed in particolare della Polonia. Noi sappiamo che la pace richiede delle iniziative, che non può essere fondata soltanto su delle scelte garantiste o difensive, dobbiamo con sincerità e lealtà dare come europei, in questa situazione, il nostro contributo per la più valida e vasta affermazione dei valori nei quali è cresciuta e si è rafforzata l’unità tra i popoli europei. Ed infine un’ultima e conclusiva considerazione. I federalisti (quelli che ha ricordato all’inizio dei suo intervento l'amico Natali, notando come forse non tutte le foro posizioni - qualcuna apparentemente romantica e impraticabile - hanno potuto caratterizzare la storia di questi trent'anni di politica europeista), hanno sempre insistito su un concetto: l’idea di Europa non scenderà nella coscienza dei popoli se avrà un’unità garantita dalle burocrazie, dai mercanti, dagli industriali, dai sindacati, dalle corporazioni in ogni caso una unità precaria e priva dei necessario senso storico che ridia all’Europa un ruolo positivo nel mondo. A me pare che questo vostro Meeting dia un contributo di grande importanza per il recupero di questa idea federalista per coinvolgere i, popoli nell'azione diretta alla costruzione della Comunità Europea; quell'ideale che già all'inizio degli anni '40 proponeva a popoli ancora divisi il manifesto federalista che non a caso mi pare oggi riscopra una assemblea di giovani che hanno una precisa ispirazione cristiana. Perché l'idea cristiana è certamente una delle idee che non soltanto da più tempo, ma con più decisione, ha operato per una coscienza degli uomini tesa alla fraternità, alla giustizia.

Emilia Smurro - Del Comitato Organizzatore del "Meeting per l'amicizia fra i popoli".

A questo punto il nostro programma annuncia l’intervento di Solidarnosc. Avevamo inteso chiudere questo pomeriggio dell’inaugurazione con la testimonianza di Solidarnosc: perché ci pare che quello che in Polonia accade da anni e visibilmente in questi ultimi due anni è accaduto, rappresenti il concretizzarsi, come testimonianza per tutta l’Europa, di ciò che è possibile. La Polonia rappresenta certamente la testimonianza che il recupero dell’identità cristiana è possibile, ed è possibile che essa sia vissuta in tutta la sua valenza sociale, civile, culturale e politica. Questo è ciò che Solidarnosc, ci sta testimoniando. Questo è ciò che Solidarnosc rappresenta in continuità con tutta ila storia dei grande popolo polacco. Non è presente il rappresentante - di Solidarnosc, - perché, come facilmente comprensibile, gli ultimi recenti avvenimenti in Polonia ne hanno reso impossibile la venuta qui. Abbiamo sperato fino all’ultimo che questo fosse possibile e non abbiamo comunque voluto rinunciare a questa testimonianza che ci pare estremamente significativa, che sentiamo in sintonia con il lavoro, con la costruzione e con l’impegno che il Meeting intende essere. Abbiamo tentato di realizzare un'intervista televisiva con un rappresentante di Solidarnosc in contrario Polonia. La televisione polacca non ci ha facilitato l’operazione, che si è rivelata al contrario impossibile. Siamo riusciti a realizzare ieri nel pomeriggio, attraverso un nostro giornalista, un’intervista, che possiamo semplicemente farvi ascoltare in audio, a Tadeusz Mazowiecki che rappresenta certamente la figura più autorevole degli intellettuali di Solidarnosc. Con profonda gratitudine per quanto il popolo polacco ha costruito e sta costruendo per tutta l’Europa, con l'intuizione che quanto loro stanno facendo è una sensibilità che vale per tutta l’Europa. Ascoltiamo ora l'intervista fatta ieri a Mazowiecki.

Intervista a Tadeusz Mazowiecki realizzata da Luigi Geninazzi.

Geninazzi: siamo nella sede dei settimanale Solidarnosc a Varsavia per parlare coi direttore del giornale T. Mazowiecki; Mazowiecki è un intellettuale cattolico molto noto in Polonia, che è stato chiamato l'anno scorso, nel mese di agosto, a presiedere il Comitato di esperti voluto da Walesa. Discutere con lui della situazione attuale della Polonia, per quello che può rappresentare per l’Europa, ci è sembrato il modo più giusto e più interessante per iniziare questo Meeting. "Mazowiecki, ad un anno dalla nascita di Solidarnosc, in Polonia la situazione sta diventando di nuovo tragica; da un lato, mi sembra, c’è una grande libertà, sociale, dall'altro lato però si vive una catastrofe economica davvero drammatica; una crisi alimentare finora mai successa; come si muove, come si sente Solidarnosc in questa situazione?".

Mazowiecki:

Solidarnosc si sente proprio come hai detto, si sente un elemento importante, un fattore che ha condizionato la situazione della libertà sociale e nello stesso tempo avverte tutte le difficoltà della crisi economica. Dalla crisi economica si può uscire soltanto tramite una profonda riforma economica e con la partecipazione di tutta la nazione ed anche di Solidarnosc. Ma è un problema di credibilità della riforma economica e di tutti i comportamenti che portano a questa riforma, di tutte le soluzioni che sono adoperate, perché non ci sono le soluzioni facili in questa situazione.

Geninazzi:

A proposito, mi sembra che ieri Walesa abbia detto che senza soluzioni politiche non si esce dalla crisi, e la cosa mi ha colpito parecchio perché è la prima volta che ho sentito dire una cosa dei genere da Walesa. Pensa che Solidarnosc, nella sua strategia, debba anche aggredire il livello politico?

Mazowiecki:

Soprattutto la cosa di particolare importanza è l’autogestione operaia nelle aziende, una vera e propria autogestione e penso che questo intendesse Walesa parlando dei metodi e delle soluzioni politiche. Non ci si può limitare soltanto all'autogestione territoriale, l’autogestione deve avvenire in tutti i settori possibili. Quindi, parlando delle soluzioni politiche, Walesa intendeva questo: che non si può trovare nessuna soluzione se non cambia il modo di amministrare, di governare, e se non si riesce a coinvolgere, a far partecipare tutta la società, per trovare queste soluzioni che portino all’uscita della crisi.

Geninazzi:

Come giudica la situazione che si sta creando dal lato del governo, del partito?

Mazowiecki:

Giudico la situazione molto difficile soprattutto per via della campagna propagandistica contro Solidarnosc che è stata diffusa dai mass-media, dall’atteggiamento di chiudere a Solidarnosc, la possibilità di esprimersi liberamente tramite i mass media.

Geninazzi:

Una domanda più generale. La Polonia è sempre stata un segno di contraddizione nel mondo, in questi ultimi decenni. Cosa può significare oggi la Polonia in questa Europa, che cosa può insegnare a questa Europa?

Mazowiecki:

Per prima cosa, rispondendo anch’io in maniera generica, penso che la Polonia possa insegnare all’Europa che alcune speranze che sembrava dovessero rimanere sempre speranze, si possono realizzare. Possono realizzarsi a condizione che diventino proprietà di tutta la società e la società fa pressione, una pressione forte ma giudiziosa, prudente; inoltre la Polonia può far vedere che alcuni valori della cultura, i valori che provengono dalla cultura cristiana sono indistruttibili e, prima o, poi, vengono alla luce.

Geninazzi.

In Occidente, qualche volta si guarda al ruolo dei cristiano come a un ruolo politico, un po’ medievale; qual è invece la posizione di Solidarnosc in questo rapporto della Chiesa con la Società?

Mazowiecki:

Il cristianesimo in Polonia è sempre stato ed è ancora un cristianesimo popolare di massa. Esprimere sempre la speranza ed i valori della dignità umana: questo è il significato del cristiano in Polonia. Ed il suo significato sociale quindi, quell’aspetto politico di cui parlavi, non è un aspetto tattico, è molto più profondo: deve esprimere la speranza dell'uomo, che permette all’uomo di avere la speranza, di conservarla nonostante tutto. Il rapporto tra Solidarnosc e la Chiesa è basato sul fatto che Solidarnosc è cresciuto su questa aspirazione, su questa speranza, e la Chiesa è sempre stata la depositaria dì questa aspirazione, e della sua realizzazione. Dunque, se posso dirlo, l’Occidente deve imparare a vedere il rapporto tra la Chiesa e Solidarnosc, deve imparare che la posizione della Chiesa bisogna vederla proprio dal punto di vista di questa aspirazione, e non dal punto di vista delle tradizioni medievali, non dal punto di vista tradizionale che tu hai posto nella tua domanda. Se diciamo che la Chiesa deve essere impegnata socialmente, la posizione della Chiesa polacca è proprio la testimonianza di questo impegno sociale. D’altra parte se pensiamo che il Movimento Sindacale debba avere una base di valori spirituali, sociali, etc., non c’è da meravigliarsi che il Sindacato si rivolga alla Chiesa che è stata portavoce di questi valori per decenni.

Geninazzi:

Qual è l’influenza, a Suo avviso, della situazione internazionale sulla Polonia e quindi sugli sviluppi dei rinnovamento e di Solidarnosc, pensando per esempio alle ultime decisioni che vengono sia dall’Ovest che dall’Est?

Mazowiecki:

E’ difficile parlare di un’influenza diretta. Se ne può parlare soltanto in questo senso: che gli avvenimenti polacchi sono importanti per tutto il mondo. Questo esperimento, come tu lo hai chiamato, non può essere distrutto ed in questo senso c'è un legame con l’Occidente, con gli USA, etc.. D’altra parte una cosa molto importante è che le grandi potenze riescano a trovare un accordo, riescano ad impedirsi fra loro, e noi pensiamo che se i nostri avvenimenti polacchi dovessero essere distrutti, anche tutto il discorso della distensione, di un accordo tra Est e Ovest, sarebbe condannato a morire, sarebbe reso impossibile.

Geninazzi:

Lei ha ricordato un certo legame fra la Polonia e tutto l’Occidente. A suo avviso come può l’Occidente aiutare la Polonia e non solo s’intende, mandando aiuti economici o ritardando i pagamenti dei crediti, e così via?

Mazowiecki:

Questo aiuto economico è una cosa molto importante nonostante tutto, ne abbiamo bisogno per riuscire ad attraversare questo momento particolarmente difficile ed uscirne. Per quanto riguarda un altro tipo di aiuto penso che la cosa più importante sia quella di comprenderci e, come ho detto in precedenza, capire che la caduta dell’esperimento polacco potrebbe portare a delle situazioni difficili in tutto il mondo.

Geninazzi:

Abbiamo parlato della situazione internazionale, ma all’interno della Polonia, a Suo avviso, quali sono i pericoli più grossi che attentano a questo esperimento? Ce li può elencare? Cioè dove stanno i nemici di Solidarnosc? Dove stanno i nemici dei rinnovamento polacco, dentro la Polonia?

Mazowiecki:

I nostri pericoli sono numerosi. Qui è successa, oppure succede ancora, una rivoluzione e nessuna rivoluzione è capace di limitarsi facilmente da sola. Nella nostra situazione geopolitica questa rivoluzione invece è costretta a limitarsi da sola, quindi il pericolo più grande è quello che non ci basti la forza e la maturità di essere nello stesso tempo nella rivoluzione e di saperci limitare da soli; che a chi governa la Polonia non basti il coraggio di venire incontro a questa rivoluzione spontaneamente e non invece con la repressione. Noi viviamo momenti di grande ottimismo e di grande pessimismo; non possiamo dire di essere ottimisti in questo momento, sempre nell'ambito di ciò di cui ho parlato in precedenza, comunque l’esperienza degli ultimi 12 mesi ci insegna che qualcosa di impossibile è diventato possibile e questa è la fonte dei nostro ottimismo.

Geninazzi:

Bene. La ringrazio anche a nome delle migliaia di persone che domani a Rimini sentiranno questa intervista. La ringrazio di cuore.

Mazowiecki:

Vorrei ricordare la spontaneità, l’accoglienza che hanno fatto gli Italiani alla delegazione di Solidarnosc quando siamo stati dal Papa, quando abbiamo visitato le case terremotate. Siamo stati accolti con grande entusiasmo e con vera simpatia e sono stato colpito da questa accoglienza. Ricordo con grande simpatia la gioventù di CL che ha circondato l’autobus, che ci ha portato a visitare le terre terremotate e che ha cantato le canzoni polacche. Penso che questa gioventù, come dei resto la gioventù polacca, stia cercando qualcosa di nuovo, una via nuova e questa simpatia che ci è stata dimostrata mi è rimasta impressa durante il mio soggiorno italiano; noi chiediamo di aver pazienza, perché la via è una via difficile che non è mai stata aperta da nessuno e che non ha punti di riferimento. Non c’è mai stato niente di simile in precedenza e quindi bisogna fare tutto di nuovo. La cosa che mi sembra più importante di questa nostra via è il fatto che l'uomo diventa più uomo, che può esprimersi in maniera più completa, che può esprimere le proprie tendenze, i propri desideri. E la stessa cosa mi ha colpito nella gioventù italiana.