Un fotografo alle isole del martirio

 

 

Venerdì 28, ore 18.30

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Relatore:

Jurij Brodskij, Autore di Pubblicazioni, mostre e Consulente di programmi televisivi

Moderatore:

Romano Scalfi

 

Scalfi: Russia Cristiana è nata nel 1957 con due preoccupazioni di fondo, cui a cercato di essere fedele, con la grazia di Dio: la preoccupazione missionaria e la preoccupazione ecumenica.

Abbiamo sempre affermato che non c’è un autentico ecumenismo che non sia missionario e non c’è un’autentica missione che non sia ecumenica, perciò il martire è missionario per eccellenza. Martire vuol dire appunto testimone: è colui che più di tutti testimonia, col dono della propria vita a Cristo, la presenza di Cristo nel mondo. Non potevamo quindi dimenticare, nei tempi tristi della persecuzione, tutte quelle persone che, con libertà, con fede, con speranza, donavano la propria vita a Cristo in situazioni disperate.

Il martire è nel medesimo tempo la persona ecumenica per eccellenza, perché nel dono della propria vita a Cristo realizza l’unità con Cristo in un modo profondissimo, di conseguenza l’unità con tutti coloro che credono in Cristo. Il martire che muore per Cristo non è un martire né cattolico né ortodosso, o meglio è cattolico e ortodosso nel medesimo tempo.

Ci hanno accusato, quando abbiamo pubblicato il primo testo sui martiri, Se il mondo vi odia, che parla soprattutto dei martiri cattolici, di non essere abbastanza ecumenici: ma per noi colui che dona la vita a Cristo non può essere distinto o contrapposto agli ortodossi o ai cattolici. Se è il sangue di Cristo che ci unisce al Padre, il sangue dei martiri ci unisce, attraverso Cristo, non solo al Padre ma anche tra di noi.

Un’altra accusa che ci viene fatta è di fare dell'anticomunismo presentando coloro che sono stati martirizzati dal comunismo: dobbiamo dire che ci rincresce ma non è colpa nostra che i carnefici siano stati educati, formati e specializzati da un regime comunista. Non abbiamo dei complessi di inferiorità nei confronti del comunismo, non siamo mai stati capaci di comprendere la posizione dei cattocomunisti che in nome di una posizione politica credono di dover dimenticare i martiri che oggi come sempre sono la gloria più luminosa per la Chiesa e per il mondo. La denuncia di un sistema che ha fatto tanto soffrire l’umanità ci sembra un atto di onestà intellettuale e morale; tuttavia, ciò che ci spinge a presentare i martiri perché non venga meno la loro memoria non è principalmente la denuncia del comunismo ma è l’esaltazione del martirio. L’esaltazione di coloro che hanno sparso il loro sangue per Cristo e per noi.

I martiri sono i primi protagonisti della storia, coloro che hanno dato inizio a questo rinnovamento della società, della Chiesa e quindi della storia. Non è possibile pensare alla rinascita cristiana della Russia all’inizio degli anni 60 se non ci fosse stato questo esempio fulgido, prima di ogni ideologia, prima di ogni commento intellettualistico, un fatto concreto: gente che si donava nella libertà del proprio cuore e si offriva come sacrificio per la rinascita della Russia. I martiri sono stati i primi artefici della caduta del comunismo, una caduta miracolosa, che nessun intellettuale aveva previsto; i più acuti pensatori prevedevano una guerra europea, se non mondiale, per abbattere questo impero immane, eppure è caduto senza quasi spargimento di sangue. I martiri furono quindi maestri di speranza, nei quali l’espressione di San Paolo in spem contra spem credere, credere contro ogni speranza, ha avuto la sua dimostrazione storica; nessuna analisi economica, politica, sociologica, psicologica, poteva dar ragione alla possibilità di questo cambiamento.

Brodskij: La storia delle isole Solovki non è solo la storia del loro monastero, perché le Solovki cominciarono ad attirare delle persone già duemila anni prima della nascita di Cristo: alle Solovki infatti esistono dei labirinti preistorici, delle spirali di pietre, che sono uno dei misteri, degli enigmi che si trovano in queste isole. Ci sono circa trecento labirinti in tutto il mondo, in diversi paesi - Inghilterra, Australia... -, ma il più grande del mondo è appunto alle Solovki.

Tuttavia, fino al sorgere del monastero ortodosso, all’inizio del XV secolo, nessuno abitò mai continuativamente alle Solovki. Infatti nella coscienza degli antichi queste isole erano una sorta di limitare fra i due mondi dell’al di qua e dell’aldilà, e si andava alle Solovki soltanto per compiere dei riti oppure per seppellirvi i propri eroi e i propri capi.

All’inizio del XV secolo pian piano alle Solovki nasce e si sviluppa appunto questo monastero ortodosso. I santi fondatori Zosima, Savvatij e German sono santi venerati in tutta la Russia. Ogni monastero ha un proprio carattere, e parlando del monastero delle Solovki bisogna dire che si trattava di un monastero molto particolare. Ancora nel XIX secolo uno scrittore russo scriveva che per capire il monastero bisogna vedere gli abitanti negli atteggiamenti più tipici della giornata. Ad esempio, i monaci del monastero della Santa montagna - un altro monastero della Russia - vanno guardati mentre commerciano e trafficano i prodotti artigianali del loro monastero, oppure i monaci della comunità di san Sergio sono caratterizzati dalle splendide liturgie e dagli splendidi paramenti che portano, oppure i monaci del monastero di Valam devono essere guardati mentre trasportano dei massi enormi sulle spalle senza alzare gli occhi da terra; invece i monaci della Solovki bisogna vederli al timone o alla poppa di una nave durante una tempesta in mare, oppure quando pescano il pesce nei periodi in cui c’è la banchisa e la neve è ghiacciata ,saltando da un blocco di ghiaccio all’altro.

Il monastero delle Solovki era orgoglioso del fatto che, sebbene ogni tanto fosse assaltato, continuamente si ricostruiva; le Solovki erano fiere del fatto che nessuno aveva mai potuto conquistarli. Nel XVI secolo vi ricevette i voti monastici un uomo che poi sarebbe morto martire, san Filipp Kolycev, rappresentante di una nobile famiglia moscovita. Quest’uomo durante una liturgia sentì la frase "non si può servire a due padroni, a Dio e a Mammona", lasciò Mosca, se ne andò al nord, si imbarcò per le Solovki e approdò al monastero che già esisteva. Per dieci anni visse lì e lavorò come un semplice monaco, poi i monaci lo elessero come proprio priore, perché era la persona più istruita e più colta. Quasi contemporaneo di Leonardo da Vinci, cominciò una importante opera architettonica: infatti è lui artefice e ideatore del principale complesso di edifici che noi vediamo ancora oggi; traccia sulle isole le strade, unisce gli innumerevoli laghetti con canali, unisce le varie isole con ponti e dighe, costruisce opere di ingegneria importantissime, costruisce la Chiesa della Dormizione e il grandioso refettorio che fu la prima costruzione in pietra dell’isola, per circa quaranta monaci. La chiesa venne costruita su grandi dimensioni per la chiaroveggenza di san Filipp, ed infatti questo refettorio è tuttora il refettorio monastico più grande della Russia, con posto per 400 persone. Finito questo lavoro, san Filipp inizia anche la costruzione della Chiesa più alta di tutta la Russia; il monastero si opponeva a lui perché diceva di avere già le chiese, eppure san Filipp insistette e riuscì a costruire una enorme cattedrale, la cattedrale della Trasfigurazione.

La sorte di Filipp fu tragica: fu chiamato a Mosca, nominato da Ivan il Terribile capo della Chiesa ortodossa, ma si rifiutò di sostenere l’ingiusta politica estera dello zar - a quell’epoca Ivan il Terribile stava conducendo una guerra civile nel suo paese -. Quando nella cattedrale del Cremlino di Mosca lo zar volle ricevere la benedizione, Filipp non gliela diede, perché, gli disse "il sangue di cui gronda per causa tua l’altare impedisce di benedirti". Per questo, Filipp viene deposto dalla sua cattedra di patriarca, viene accusato ingiustamente di arti magiche e ucciso, strangolato da sicari dello zar.

Ho parlato così a lungo di Filipp perché sotto di lui iniziano le prime deportazioni alle Solovki: è già a partire dalla sua epoca infatti che lo zar inizia a portare alle Solovki quei sudditi che erano caduti in disgrazia di fronte a lui. Nel monastero inizia a sorgere una prigione che continuerà fino alla fine del secolo scorso. Così dalle Solovki usciranno moltissime altre personalità di grande importanza: il patriarca Nikon, lo zar Pietro il Grande, che vi arrivò per due volte.

Il monastero delle Solovki è in tutte le epoche una sorta di specchio della storia e della vita della Russia, ed in qualche modo era una sorta di profezia, quello che oggi avveniva alle Solovki avveniva domani nel paese, come ad esempio il famoso scisma ecclesiale, o la rivoluzione che avviene alle Solovki all’inizio del secolo, prima della rivoluzione del ‘17, o ancora la presa di potere da parte dei bolscevichi che approda sulle isole prima ancora che nel resto del paese.

Cercherò ora di spiegare il motivo per cui mi sono interessato alle Solovki e che ha ispirato la mia opera. Quando sono arrivato per la prima volta alle Solovki ero forse più giovane della maggioranza della gente che è qui in sala, ero un romantico, mi piacevano tutte le cose più affascinanti e più pazze, saltavo con il paracadute, andavo sugli sci, facevo l’alpinista... un aviatore mio amico mi offrì l’opportunità di lanciarmi con il paracadute alle Solovki, e quando vi sono arrivato ho avuto la sensazione che quella era la mia terra, che in qualche modo ero nato lì. Non sono io che ho scelto le Solovki, ma sono loro che hanno scelto me. All’inizio, mi ero interessato soprattutto delle architetture e della natura di queste isole, ma dappertutto mi imbattevo nelle tracce del lager: cancellate, porte, mura, steccati... come fotografo professionista fotografavo queste cose perché ne restasse la memoria, molte di queste tracce le ho trovate io per primo. In seguito, ho iniziato a raccontare quello che scoprivo alla gente, ma notavo che non appena lo dicevo a qualcuno, queste stesse tracce venivano distrutte.

Nel 1973, a cinquant’anni dalla data della fondazione del lager, scrissi in nero sulla parete del campanile "la sigla del lager delle Solovki ha compiuto cinquant’anni": è scoppiato uno scandalo, perché parlare del lager era assolutamente vietato. Hanno mandato un aeroplano con una commissione per scoprire chi parlasse di cose che il regime voleva tacere. Non pensavo ancora di pubblicare un libro; in un primo tempo mi ero messo d’accordo con alcuni famosi scrittori, io avrei raccolto i materiali e loro avrebbero scritto un libro, ma non ne è venuto fuori nulla. Cinque anni fa mi è capitato un grave incidente automobilistico, che per sei mesi mi ha costretto in un letto di ospedale senza potermi muovere: ho capito che il destino mi dava una possibilità, e così stando sdraiato ho imbastito la struttura del libro che poi ho costruito.

Vorrei dire ora due parole sulla storia del lager: il lager delle Solovki a destinazione speciale è il primo lager sovietico, e del complesso dei lager sovietici non era il più grosso. Attraverso il lager delle Solovki e i lager del canale del mar Bianco e del mar Baltico passarono in tutto un milione di detenuti; ma le Solovki sono importantissime perché all’interno di questo lager venivano elaborate tutte quelle norme che poi diventeranno la legge che regolerà tutti i lager dell’Unione Sovietica, quello che Solzenicyn chiama "arcipelago Gulag": di quante calorie ha bisogno un detenuto, come deve essere la suddivisione amministrativa del lager, dove è meglio fucilare la gente, come sbarazzarsi dei cadaveri... Non è un caso che i capi delle Solovki grazie alla loro esperienza diventeranno i capi di tutti i lager sovietici; non è un caso che nel ‘34 quando il regime nazista si instaura in Germania e c’è il problema di costruire i lager nazisti, una delegazione nazista andrà alle Solovki per raccogliere le esperienze in base a cui poter poi costruire in patria questo sistema di lager.

Questo lager cresce come un albero, nessuno sapeva dove sarebbero finiti i rami. Dapprima nei lager infatti esistevano cose come un teatro, una società scientifica, venivano pubblicati giornali e riviste, era una specie di Stato nello Stato, batteva una propria moneta e aveva un proprio esercito autonomo: addirittura proprio qui alle Solovki viene elaborata per la prima volta l’idea di usare dei gas chimici letali che poi verranno usati nei lager nazisti. Nel 1930 dai documenti emerge che quando vengono a mancare i vestiti e i detenuti diventano troppi, si fanno molte scorte di questi gas mortali. Quindi nel corso degli anni questo albero prende la sua configurazione, spariscono quei fenomeni iniziali come la società scientifica o il teatro; nel 1929 le Solovki diventano uno dei tanti lager, e nel 1937 il lager viene trasformato in una prigione, con un regime ferocissimo, dove i detenuti non erano più dei nomi ma erano solo dei numeri. Non si poteva nemmeno camminare nella propria cella con le calzature, perché c’era il rischio che i detenuti si scambiassero attraverso il pavimento e le mura i segnali; durante la passeggiata nell’ora di aria si potevano solo guardare la scarpe dell’uomo che in fila camminava davanti a te, non si poteva neppure tossire. Quando la gente era in cella non poteva dormire con le mani o le braccia sotto la coperta, il secondino dallo spioncino doveva poter vedere interamente il detenuto. È stato il culmine del sistema penitenziario sovietico ma anche il vicolo cieco di questo sistema, e infatti questa prigione esistette solo per due anni, poi venne smobilitata.

Alle Solovki sono stati raccolti gli uomini migliori: ad esempio padre Pavel Florenskij, teologo, filosofo, artista, critico d’arte. Aveva già guidato sotto il periodo sovietico un laboratorio per emettere onde a lunga distanza, e venne condannato per aver pubblicato su un giornale socialista un articolo dove c’erano dei problemi matematici svolti, e nel quale aveva usato una parola che ancora non era in uso, "cibernetica". Anche nel lager continuò a fare diversi lavori, diverse pubblicazioni su questioni scientifiche di grande importanza; venne fucilato alle Solovki nel 1937. Oppure il restauratore di icone Anisimov, un restauratore notissimo, che aveva restaurato icone famose come quelle della trinità di Rubliov o la Madonna della tenerezza di Vladimir, anch’egli fucilato nel ‘37, perché - come emerge dai documenti della sua condanna - era una persona antisovietica che non rispettava i principi del comunismo e che non prendeva parte ai lavori sociali. Insieme a loro furono fucilati circa 2000 prigionieri, tra cui un ingegnere, Pavel Ivensen, che aveva lavorato ai vaccini, alla produzione dell’energia e alla costruzione di navicelle spaziali.

Quelli che in qualche modo sono sopravvissuti sono persone della seconda generazione, perché la prima generazione fu completamente sterminata.

La lezione che si può ricavare dalle Solovki l’ho capita quando ho avuto davanti a me il libro fatto: mi sono reso conto che l’uomo che per primo aveva alzato la bandiera rossa sulle Solovki è diventato un detenuto delle Solovki, l’uomo che per primo aveva proposto di creare alle Solovki un lager modello a sua volta venne fucilato, l’uomo che aveva firmato l’ordine di costituzione di questo lager fu anch’egli fucilato, i membri del partito che ratificarono questa decisione vennero fucilati, quasi tutti i capi del lager vennero sterminati in modi diversi, ad esempio con l’accusa di essere una spia, e caddero tutti nel tritacarne che avevano messo in funzione. Il sistema che è stato costruito non era un sistema che potesse rendere felice nessuno, tutti ne sono diventati vittime, non ci sono stati vincitori.

La seconda lezione è l’unità delle chiese che è avvenuta nel lager. Credenti cattolici e ortodossi si radunavano insieme per festeggiare il Natale, ed a loro si univano anche ebrei e maomettani.

Moltissime persone sono morte alle Solovky, e quindi per generazioni e generazioni russe le Solovky sono state un simbolo di morte. Ma in realtà, e questo lo capisco ora, le Solovky non possono essere un simbolo di orrore e di morte, sono invece un simbolo di purificazione, così come la croce originariamente era uno strumento di tortura ma poi è diventata il simbolo della risurrezione.