lunedì 24 agosto, ore 11

STATO E SCUOLA: UNA LIBERTA POSSIBILE?

Mario Viscovi

presidente dell'Associazione Europea dei Genitori

Stuart Sexton

direttore della Sezione Istruzione dell'Istituto per gli affari economici di Londra

Giovanni Galloni

ministro della Pubblica Istruzione

conduce l'incontro,

Mario Dupuís

La scuola rappresenta un passaggio importante e delicatissimo nella vita dell'uomo, il momento in cui l'apertura del cuore, dell'intelligenza e della ragione lo conducono ad una responsabilità creativa nel mondo, oppure egli fin da giovane chiude la vera partita della sua umanità e si prepara a diventare cittadino anonimo, succube del potere.

M. Viscovi:

Vorrei dare una risposta articolata a lanciare una sfida, in particolare ai giovani. Lo sviluppo delle capacità d’intraprendenza e di rischio si è verificato in Europa e si è diffuso nel mondo a partire dall'alto medioevo, dopo che il Cristianesimo aveva saputo agglutinare tre grandi intuizioni d’unità:

- la concezione unitaria religiosa del monoteismo ebraico;

- la concezione unitaria del sapere della metafisica greca;

- la concezione unitaria del diritto dell'amministrazione romana

Grazie agli obiettivi educativi comuni della famiglia unitaria e monogamica e utilizzando gli stessi obiettivi delle grandi scuole universitarie europee (fa piacere qui ricordare il 900' anno della più antica università, sorta nel capoluogo di questa generosa regione Emilia-Romagna), il Cristianesimo ha saputo forgiare architetti e banchieri, navigatori e soldati, artisti e filosofi.

La gente, educata al gusto dell'intraprendere e del rischio (creazione, arte, economia), fondava aziende e svolgeva traffici in tutta Europa e dall'Europa in tutto il mondo. Anche nella più severa precarietà di condizioni, la famiglia monogamica sapeva organizzarsi e affrontare il rischio di procreare ed educare molti figli.

Altri sistemi politici, allora anche più potenti (la Cina, l'India, lo stesso Islam) non hanno saputo fare altrettanto, mancando di questa concezione unitaria della vita, del sapere, della famiglia.

Oggi l'Europa ha necessità d’uomini di quella taglia, perché sull'Europa incombono difficoltà straordinarie:

- I costi per il mantenimento degli anziani sono continuamente crescenti e saranno sulle spalle vostre e dei vostri figli. L'invecchiamento della popolazione minaccia l'estinzione d’intere nazioni, mentre dal terzo mondo - soprattutto dal mondo mussulmano s’intensifica un’invasione pacifica (ci sono 14 milioni di mussulmani oggi in Europa; nel Nord Africa, soprattutto in Egitto, si assiste ad un incremento demo- grafico che si stima di 100 milioni di persone in più nei prossimi 12 anni).

Per dare un'idea di ciò che questo ritmo di cambiamento significa vi voglio raccontare la mia esperienza. lo sono ingegnere chimico, e ho fatto la mia carriera nel settore degli acciai inossidabili. All'inizio degli anni sessanta visitai a Pittsburgh un grattacielo della United States Steel, dove si trattavano i problemi degli acciai speciali, e io avevo la netta sensazione di trovarmi di fronte ad una costruzione egizia che sarebbe durata per millenni. Due anni fa la società è stata messa in liquidazione: Questo cambiamento, che per me ha richiesto venticinque anni, per i vostri figli si concluderà in cinque anni, e bisogna prepararsi.

- I costi per il mantenimento dei giovani senza occupazione e di quelli disadattati da una mancata educazione, perché non hanno potuto introiettare un criterio per selezionare e classificare, secondo una scala di valori, la miriade d’informazioni passate dai mass media.

- I costi per sostenere le specificità delle diverse culture e, in particolare, per evitare che i figli degli immigrati dal terzo mondo si sentano emarginati, vengano di fatto considerati apolidi, cadano vittime di manipolazioni ideologiche e di violenza (Bradford, Amburgo, Midi della Francia e perfino Mazara del Vallo).

Quindi occorrono famiglie unite, feconde, audaci nell'assumersi il rischio di generare e di educare i figli, famiglie con spirito imprenditoriale, capaci di associarsi per organizzare scuole con insegnanti che condividono i grandi obiettivi educativi dei genitori dei loro alunni. Noi, della generazione che ha preceduto la vostra, non abbiamo sviluppato la virtù della fortezza, necessaria ad ottenere e a gestire la libertà d’educazione, la libertà di dare continuità nella scuola alla concezione di vita e allo stile di vita che conduciamo nella nostra famiglia. Per questo occorrono anche educatori scolastici disposti ad assumere questa professione come una vocazione; colti e capaci di creare e di trasmettere cultura; liberi e decisi a difendere la libertà di ciascun alunno. Occorre che genitori e insegnanti promuovano scuole con progetti educativi definiti e chiari, perché tutti i possibili utenti - genitori e insegnanti - conoscendo quei progetti, possano scegliere liberamente quella scuola che identificano come propria. Questo è il punto essenziale per la libertà d’educazione, che affermiamo necessaria, e non solo possibile. In Europa tutti gli stati garantiscono la libertà d’educazione finanziando, direttamente o indirettamente, ogni tipo di scuola non statale. Solo l'Italia non applica la risoluzione dei Parlamento Europeo del 14.3.1984, nonostante l'Art. 11, comma 3, stabilisca che "le procedure applicabili in caso di violazione dei diritti fondamentali... si applicano anche nel caso di violazione della libertà d’istruzione". Lo vogliamo fare un ricorso alla Corte di Giustizia Europea del Lussemburgo?

Ed infine ecco la sfida che voglio lanciare, in particolare a voi giovani. Tra poco più di quattro anni, col primo gennaio 1992, ci sarà libertà di movimento in Europa per le persone, le merci, le imprese, i capitali. Volete dare un più vasto significato alla vostra esperienza? Vi propongo un eroismo nascosto ed efficace:

Ben sapendo che dovrete aprire voi le vostre strade per queste professioni, nella giungla dell'indifferenza e della sufficienza. Sapendo che la professione del maestro non è considerata - in tutto il mondo - per quello che invece vale, e che la professione di madre educatrice e direttrice dell'impresa famiglia non trova spesso una comprensione proporzionale all'importanza che riveste.

S. Sexton:

Grazie, grazie veramente per avermi invitato qui oggi a questo incontro europeo così importante; questo non è soltanto un incontro italiano, noi siamo europei. E importante cominciare stabilendo una verità semplice, una verità che troppo spesso viene dimenticata: la responsabilità, il dovere di educare un bambino, spetta ai genitori dei bambino.

E’ loro dovere e loro compito nutrire, vestire, dare una casa ed educare i loro bambini, non è dovere dello Stato. Lo Stato, d'altra parte, fornisce gli strumenti, i mezzi, le scuole, grazie ai quali i genitori possono soddisfare questo loro dovere, cioè quello di educare, di formare il bambino.

Come questo è un dovere del genitore, bisogna dire che è un diritto dei genitori quello di poter scegliere il tipo d’educazione e di formazione, di scuola, che vogliono per i loro bambini. Badate bene: non è diritto dello Stato quello di poter scegliere il tipo d’educazione.

Solo perché lo Stato raccoglie i fondi da tutti noi con le tasse, e spende questi fondi per dare scuole, non significa necessariamente che esso abbia questo diritto.

Ora, io vorrei parlare brevemente del sistema educativo e didattico in Inghilterra, e accennare ad una nuova legge che quest'anno entrerà in vigore grazie al governo della Thatcher. Poi vorrei dire che tutti noi in Europa dovremmo cercare di andare verso l'autonomia delle scuole. Tutte le scuole dovrebbero poter gestire i loro affari, anche se ricevono i fondi dallo Stato. E le motivazioni che stanno dietro questa scelta per migliorare il sistema, sono due: prima di tutto, rispettare i diritti e i doveri della famiglia, garantire che i genitori mantengano il loro diritto di poter educare i figli; secondariamente, dare una qualità molto superiore alla formazione didattica, e fornire anche un sistema che sia molto più efficace e anche più efficiente. Ora, in Inghilterra, al momento attuale, il 70% dei bambini si trova in scuole indipendenti e indipendente significa totalmente indipendente, totalmente separato dallo Stato. Il 93% dei bambini invece frequentano delle scuole che vengono finanziate dallo Stato.

Ora, queste scuole indipendenti, comprendono scuole che sono ben note in Inghilterra come per esempio Eton, Winchester, etc.

Già esiste un sistema in vigore secondo il quale lo Stato paga parte delle tariffe in base alla fascia di reddito della famiglia, affinché questi genitori possano mandare i loro bambini in queste scuole indipendenti. Questo è un provvedimento che è stato appunto introdotto dal governo della Thatcher. Dicevo, il 93% delle scuole restanti sono libere, e cioè non pagano loro in prima persona, ma è lo Stato che le sovvenziona. Incluse in queste scuole statali, in Inghilterra, sono anche quelle della Chiesa. Le scuole della Chiesa in Inghilterra sono pagate dallo Stato: è possibile per un genitore cattolico in Inghilterra mandare i figli in una scuola cattolica senza dover pagare la retta. Forse per voi sarà un paradosso, ma in Inghilterra, che non è un paese cattolico, è possibile andare in una scuola della Chiesa all'interno del sistema scolastico statale, mentre in Italia, paese peraltro cattolico, bisogna pagare per frequentare una scuola cattolica.

Un altro paradosso, e sono consapevole che qui posso anche sollevare polemiche, è questo: in Inghilterra l'unica materia, diciamo obbligatoria, delle scuole, è proprio la religione. Per me il sistema che abbiamo in Inghilterra non è ancora abbastanza buono: infatti non c'è ancora abbastanza autonomia concessa alle scuole.

Il primo passo in questa direzione consiste nel decentramento del sistema: cioè prendere dal Governo centrale e attingere anche dai governi locali quello che hanno e distribuirlo alle scuole stesse: insomma, dare in mano alle scuole la gestione e l'aspetto finanziario, la gestione del budget intero della scuola. E una nuova proposta, proveniente appunto dal governo conservatore in Inghilterra, e dovrà essere sottoposta all'attenzione del Parlamento a novembre: questa proposta darà un maggior grado d’autonomia ad ogni scuola statale, che potrà disporre di un budget annuale ed essere del tutto libera di spendere questo budget. Bene, questi sono i primi passi verso un sistema che in ultima istanza consentirebbe a tutte le scuole d’essere autonome e che consentirebbe a tutti i genitori di avere gli strumenti per recarsi nella scuola che preferiscono. Questa è l'utopia alla quale tutti dobbiamo mirare.

Tutto questo è già stato fatto in Australia. Nello Stato di Vittoria, che peraltro ha un governo socialista (cosa interessante) già hanno concesso autonomia alle scuole statali. E si può dire la stessa cosa d’Alberta nel Canada. Se diamo libertà alle scuole allora esse potranno reagire a quello che io definisco coi termine di mercato: noi, genitori, siamo i consumatori (rappresentiamo i nostri bambini) del sistema didattico. Come in qualsiasi altro mercato anche qui noi, i consumatori, dovremmo avere la possibilità e il diritto di scegliere qual è il tipo di formazione didattica che vogliamo per i nostri bambini. I fornitori invece dell'istruzione, dal canto loro, in particolare lo Stato, gli insegnanti, il personale didattico, i Governi, tutti questi dovrebbero essere messi nella posizione di essere obbligati a rispondere alle esigenze di questo mercato.

Questo è, in ultima istanza, il sistema didattico che vogliamo e per il quale dobbiamo tutti lavorare: scuole indipendenti per tutti, e la possibilità, a prescindere dalla fascia di reddito cui si appartiene, di poter frequentare una qualsiasi di queste scuole.

 

G. Galloni:

Ho accettato subito, con entusiasmo, di venire tra voi, a pochi giorni dalla mia nomina a Ministro, anche se ancora non avevo preso possesso materiale della struttura del Ministero, unicamente perché ho sempre riconosciuto l'interesse preminente del Movimento Popolare nel campo della scuola. E’ nato dalla scuola, si proietta ancora nella scuola: quale migliore occasione per me che sono nuovo in questa responsabilità? Avere un primo confronto, un primo scambio d’idee con giovani e meno giovani che di questi problemi si sono sempre occupati, che per questi problemi hanno sempre combattuto e staranno combattendo delle grandi e autentiche battaglie di libertà.

Io non posso mai dimenticare un episodio avvenuto negli anni terribili del '78, all'Università di Roma, quando l'università era in preda ai terroristi, e c'era un solo nucleo che si batteva per la libertà di parola. Mi ricordo che andai all'Università di Roma, e quando arrivai nell'Università tutti coloro che occupavano la piazza mi indicarono: "Ecco, arriva Galloni che va in soccorso dei fascisti" - perché cosi erano chiamati, allora, gli aderenti a Comunione e Liberazione, che poi si trasformò in Movimento Popolare. Ed io penetrai quasi di forza di fronte ad uno sbarramento di giovani scalmanati che mi impediva l'ingresso, ed entrai in un'aula di oltre mille ragazzi, che erano lì riuniti per celebrare i principi della libertà di parola: io non mi potrò mai dimenticare quell'incontro all'Università di Roma. In quell'occasione capii come un movimento come il vostro aveva una funzione importante per difendere la libertà civile in un paese che era in preda ad un gravissimo turbamento. E anche oggi, apprezzo lo spirito con il quale voi vi accingete ad affrontare i problemi della libertà della scuola, non solo della libertà della scuola confessionale, ma della libertà della scuola nel suo complesso.

In questo campo l'intervento di poco fa di Sexton ci dice come noi dobbiamo essere tributari all'Inghilterra sui temi della libertà, non solo sui temi della libertà civile e politica, di cui siamo tributari da sempre, ma anche su questo tema specifico della libertà della scuola.

Noi ci troviamo in una realtà scolastica che è agli antipodi di quella che ora ci ha descritto Sexton, perché noi siamo gli eredi di una tradizione che giustamente è stata definita napoleonica, il che può avere avuto anche le sue giustificazioni storiche. Infatti, nel momento della formazione della unità dei nostro Paese, forse l'eccessivo spirito anticlericale che muoveva quel processo d’unificazione, (che comunque va ambientato nella storia), spingeva a rovesciare un sistema scolastico che era stato retto fino ad allora dagli istituti ecclesiastici. Lo Stato nuovo che arrivava volle accentrare tutta la scuola. Si è creata così la struttura più mastodontica che esista nel mondo: direi che è la struttura più mastodontica in assoluto. lo mi trovo a dover guidare una struttura con quasi un milione e duecentomila insegnanti, con oltre dieci milioni e mezzo di studenti. E’ la struttura più grande che esista nel mondo, non solo nella scuola, ma forse in qualunque altro campo. E questo proprio nel momento in cui, da ogni parte, si dice che le strutture troppo grandi hanno fatto il loro tempo. Io ho detto prima nelle conversazioni private, che non sono amante della formula "Meno stato più società", e a questa preferirei non una formula, ma un concetto che rientra nella nostra tradizione in modo più adeguato, che pone la distinzione tra società e Stato, e fa sì che lo Stato sia lo strumento della società: lo Stato non potrà mai essere il fine, è uno strumento, il fine è la società, il fine ultimo è l'uomo.

E questa è la concezione che sta diventando non una concezione confessionale, ma la concezione dei mondo nuovo, della società nuova che evolve. E allora se questo è vero, se abbiamo in Italia quasi tre milioni di disoccupati, che nascono dal passaggio dalla società industriale a quella postindustriale, non possiamo non ritenere che il più grande investimento, per passare al nuovo tipo di società, non sia solo l'investimento materiale dei nuovi servizi, delle nuove attività più avanzate, dell'elettronica e delle tecnologie più avanzate, ma sia soprattutto la formazione dell'uomo, perché senza la formazione dell'uomo il salto di civiltà non si può compiere.

Se impostiamo così in questo quadro il problema della scuola, ci rendiamo conto che noi abbiamo il problema di portare la scuola ad un livello formativo più elevato. Certo, c'è stata la tentazione, credo in molti paesi anglosassoni, meno l'Inghilterra, e in molti paesi dell'est, di affrontare questo problema attraverso una specializzazione della scuola. lo credo che questa non sia la soluzione: nella società del domani, i mestieri cambieranno rapidamente per l'evolversi della tecnologia, e la scuola non potrà mai mettersi al passo con l'evoluzione della tecnologia. Perciò rischiamo di fare una scuola di specialisti che nel momento in cui vanno sul mercato sono solo inutili.

Ecco allora il grande problema che noi abbiamo: come portare avanti una cultura generalizzata di massa, se vogliamo usare questa parola che non mi piace, cioè una cultura generalizzata più elevata. Ecco, in questo senso allora si giustifica perché stiamo per elevare la scuola dell'obbligo d’altri due anni: non per fare della scuola dell'obbligo un avvio di scuola professionale, ma per dare una formazione più ampia, dopo la quale si può scegliere di continuare gli studi o di dedicarsi ad attività professionali.

Se questo è l'obiettivo, è un obiettivo enorme, grandissimo e dobbiamo mobilitare tutte le energie esistenti. E qui si supera la vecchia disputa tra scuola statale e scuola non statale. Ma per uno scopo di questo tipo così ampio, così ambizioso, non deve la mano pubblica, la collettività, la società italiana utilizzare tutti gli strumenti che ha a sua disposizione e anzi metterai in concorrenza gli uni con gli altri perché siano i più efficaci possibili? Lo Stato, lo hanno detto giustamente altri che sono intervenuti prima di me, non dà direttamente una formazione, solo uno stato totalitario pretende di dare una formazione sua, lo Stato crea le condizioni di libertà perché la scuola si possa esprimere in tutte le sue dimensioni e nella formazione completa dell'uomo. Se questo è vero, allora dobbiamo mobilitare tutte le energie pubbliche e private in relazione a certi obiettivi. Se questo è vero, allora il problema dell'autonomia è conseguente a questo: autonomia dentro la struttura statale e concorrenzialità tra la struttura statale e la struttura della scuola - io non vorrei dire privata perché non è esatto dire privata - della scuola non statale. Su questa linea ci dobbiamo muovere ed è la linea che parte innanzitutto dal accentramento: non è possibile guidare una struttura di 1.200.000 insegnanti in termini verticistici. Bisogna arrivare ad un decentramento, accentramento della struttura, perlomeno a livello provinciale, ma autonome della scuola a livello dell'istituzione. lo sono d’accordo con la linea che anche Sexton ha indicato come la linea che in Inghilterra si sta studiando: arrivare all'autonomia degli istituti, i quali abbiano anche un'autonomia finanziaria, e non solo perché ricevono un budget, ma anche perché, nei limiti del possibile, siano in grado, poco o molto, di attingere in modo lecito ad altre fonti di finanziamento, mobilitando tutta la realtà locale che si crea attorno alla scuola. E allora certo c'è il problema del rapporto tra scuola statale e scuola non statale, che sono tutte e due nell'ambito di una scuola di servizio pubblico. La scuola dell'obbligo deve essere una scuola gratuita per tutti, ma deve essere gratuita qualunque sia la scelta che si fa, sulla scuola privata o sulla scuola pubblica, sulla scuola statale o sulla scuola non statale. Io mi auguro che su questa linea anche altri partiti d’ispirazione diversa dalla nostra possano convergere. Io spero che le dichiarazioni che aveva fatto alcuni mesi fa il vice-segretario del Partito Socialista in questa materia non siano revocate, ma che su quel terreno si possa andare avanti e stabilire in concreto una linea d’incontro sulla scuola paritaria, che oltre tutto è l'adempimento di un obbligo che nasce dalla Costituzione. Sulla scuola paritaria dobbiamo confrontarci, e io mi confronterò con tutte le forze in Parlamento per dare attuazione ad un principio che è un principio costituzionale, che ci avvicina a quei principi di libertà di cui l'esperienza inglese è portatrice. Ma poi c'è l'altro problema, il problema cui accennava Viscovi con tanto impegno: il problema degli insegnanti (...).

Bisogna fare uscire gli insegnanti da quello stato di frustrazione in cui oggi si trovano, quasi che la loro opera sia inutile, quasi che la loro routine sia scontata, quasi che non serva a niente il loro contributo. Qui si tratta di creare le condizioni per una vocazione nuova che deve riemergere all'interno degli insegnanti, fuori da quell'appiattimento che ha caratterizzato purtroppo, al di là dell'aspetto economico e retributivo, che pure è grave, questa figura professionale. Ma al di là di questo la frustrazione nasce da una visione di incapacità della scuola di funzionare in maniera adeguata. Quando riguardavo il bilancio della Pubblica Istruzione mi sono accorto che il 95% va in spese correnti, e solo il 2 o 3% va in spese produttive per la scuola. Non si può insegnare se non si ha il minimo di strutture adeguate per l'insegnamento, di mezzi che la tecnologia moderna dà e che non sono distribuiti in maniera adeguata. Bisogna cioè mettere l'insegnante nella capacità di sentire la piena responsabilità del suo impegno: essere un insegnante che riemerge nella valutazione sociale. E qui l'autonomia della scuola ha la sua importanza: pensiamo ad una scuola che si organizza con gli istituti dotati di una loro autonomia, dove probabilmente tutta la partecipazione anche dei genitori in quelli che sono gli Organi Collegiali della scuola viene rivalutata, (perché oggi non significa niente l'Organo collegiale, perché non c'è niente da decidere, niente a discutere, le linee fondamentali sono tutte decise dall'alto). Pensiamo invece alla possibilità fare cooperare i genitori e le altre dimensioni che sono presenti negli Organi Collegiali, alle scelte fondamentali dell'istituto; e l'istituto dovrebbe avere un peso anche nella scelta, io penso (al momento lo dico in termini problematici), degli insegnanti che partecipano a quella scuola, in modo da modificare il meccanismo così farraginoso dei trasferimenti, che oggi dobbiamo fare col computer. Ma come si fa a fare razionalmente una valutazione degli insegnanti, quando siamo di fronte a 1.200.000 insegnanti? Non è pensabile se non c'è una sede diversa che nasce dall'istituto e che si colloca in una realtà provinciale. Certo, ci devono essere alcune linee nazionali per quanto riguarda i metodi e i pro- grammi scolastici, ma poi vi deve essere l'adeguamento su quelle linee nella libertà, e nella piena libertà dell'insegnante e dell'istituto, con la possibilità quindi concreta della scelta tra un istituto che è più valorizzato e un istituto che è meno valorizzato in relazione agli insegnanti che ha. E qui la struttura pubblica deve essere in concorrenza nel positivo con la struttura privata. Non lo so se saremo in grado di fare la grande riforma. lo so invece una cosa, che dobbiamo ridiscutere i principi, ridiscutere la funzione della scuola, ridiscutere gli obiettivi della scuola, ridiscutere all'interno di questi obiettivi il massimo di libertà che può essere garantita agli operatori scolastici e muoverai nei piccoli e grandi provvedimenti in modo coerente rispetto a questa linea. Se riusciremo a fare questo, a incominciare a chiarirci le idee sugli obiettivi della scuola, e a prendere quei provvedimenti, di cui tanto si è discusso (legge sulla scuola, allungamento della scuola dell'obbligo, riforma della scuola secondaria superiore, riforma nel senso della scuola paritaria, stato-giuridico degli insegnanti), allora avremo delle occasioni importanti di discussione, anche coi sindacati. Io li affronterò con animo conciliatore, con l'animo di chi vuole aprire un colloquio, un dialogo. Ma credo che a nessuno convenga seguire una scuola in cui gli insegnanti continuano ad essere appiattiti, perché alla fine è la loro dequalificazione a cui andiamo incontro. Bisogna ricreare le condizioni di una qualificazione degli insegnanti, abbiamo delle occasioni anche immediate, c'è un fondo di incentivazione su cui dobbiamo discutere, ci sono gli ottavi livelli di cui dobbiamo parlare; chi andrà all'ottavo livello? Ci andremo sulla base massificata puramente per anzianità, o ci andremo premiando la qualificazione, il comportamento, la capacità didattica? Porteremo questi insegnanti a piatti corsi di formazione e di aggiornamento, o li porteremo a qualche cosa di vivo che ci nasce dall'Università, dalla volontà di un aggiornamento più adeguato alle esigenze e ai problemi dell'oggi?

Ecco, questi sono i grandi problemi che dobbiamo affrontare insieme, e sono i problemi sui quali io chiedo a tutte le organizzazioni, in modo particolare alla vostra, di dare un contributo che sia utile per iniziare questo difficile ma importante cammino insieme.

M. Dupuis:

Io credo che l'incontro di stamattina sia servito a puntualizzare una cosa fonda- mentale: là dove c'è libertà di cultura e di educazione si pongono le basi per una vera creatività sociale, per un’intrapresa civile ed economica di cui l'uomo sia il protagonista. Signor Ministro, siamo costretti a dire "più società e meno stato" nella scuola, speriamo presto di non doverlo dire più; speriamo che nella scuola vinca la società, cioè che la gente sia messa in grado di essere protagonista responsabile di questo servizio; speriamo di poter dire presto che ha vinto lo stato perché ha ricompreso la sua funzione così come è emersa oggi.